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Il Decreto-Legge n° 212 del 2011
(uno dei primi provvedimenti della linea “cresci,
Italia”) introduce e disciplina, ai suoi articoli da 1 a
11, la procedura di composizione delle crisi da
sovraidebitamento, cioè di perdurante o definitivo
squilibrio fra le obbligazioni assunte e la capacità
reddituale e patrimoniale di farvi fronte con regolarità
(vale a dire l’insolvenza), da parte delle imprese che
non sono soggette al fallimento ed alle altre procedure
concorsuali e da parte del consumatore, vale a dire, ai
sensi della lettera a) dell’art. 3 del Decreto
Legislativo n° 206 del 2005 (il “Codice del consumo”),
“la persona fisica che agisce (acquistando per sé o per
altri beni o servizi) per scopi estranei all’attività
[…] professionale (cioè lavorativa) eventualmente
svolta”.
Segnaliamo che è la prima volta
che nell’ordinamento giuridico italiano viene introdotta
una procedura che possiamo senz’altro definire
paraconcorsuale o parafallimentare applicabile anche al
consumatore, come avviene invece da gran tempo nel
diritto statunitense. Essa non genera gli effetti che la
sentenza dichiarativa di fallimento produce per la
persona del fallito.
Le piccole imprese individuali o
collettive (società) a cui si applica questa procedura
sono, come abbiamo detto, quelle che non possono essere
assoggettate alle procedure concorsuali, vale a dire
quelle che, a norma dell’art. 1° della Legge
Fallimentare (il Regio Decreto n° 267 del 1942 riformato
prima dal Decreto Legislativo n° 5 del 2006 e poi dal
Decreto Legislativo n° 169 del 2007) presentano tutte e
tre queste caratteristiche:
a)hanno avuto, negli ultimi tre
anni (esercizi) o dall’inizio dell’attività se di durata
inferiore, un totale annuo dell’attivo dello stato
patrimoniale inferiore od uguale a 300.000 Euro (per
ogni anno e non in media per tre anni);
b)hanno realizzato ricavi lordi,
cioè un fatturato complessivo1 negli ultimi tre anni
(esercizi) o dall’inizio dell’attività se di durata
inferiore, per un ammontare annuo inferiore od uguale a
200.000 Euro (idem sopra);
c)hanno un ammontare totale di
debiti, anche non scaduti, inferiore od uguale a 500.000
Euro (dati dal totale dei debiti dello stato
patrimoniale).
L’art. 2 del DL 212/2011 prevede
che questa procedura debba essere svolta dal debitore in
difficoltà con l’ausilio di uno degli organismi di
composizione delle crisi da sovraindebitamento aventi
sede nel circondario del Tribunale del luogo dove il
debitore ha la sua residenza se è un consumatore o la
sede principale (la sede effettiva dell’attività che può
non coincidere con la sede legale) se è una impresa.
Oltre agli organismi di composizione la procedura può
essere svolta da un professionista (avvocato o
commercialista) o da una società di professionisti che
abbiano i requisiti per la nomina a curatore
fallimentare previsti dall’art. 28 del RD 267/1942 o da
un notaio nominato dal Presidente del Tribunale o da un
Giudice da lui delegato (art. 11 del DL 212/2011).
L’art. 10 dello stesso Decreto
prevede che questi organismi possono essere costituiti
dagli enti pubblici (tendenzialmente tutti) e che devono
dare adeguate garanzie di indipendenza e di
professionalità (1° comma). Essi hanno l’obbligo di
iscriversi in un apposito registro tenuto dal Ministero
della Giustizia che lo disciplinerà con un proprio
regolamento2 (2° e 3° comma). In particolare, gli
organismi di mediazione3 costituiti dalle Camere di
Commercio e dagli Ordini Professionali degli avvocati,
dei commercialisti e dei notai sono iscritti di diritto,
previa soltanto la presentazione di una domanda, in
questo registro (4° comma).
L’organismo di composizione
della crisi da sovraindebitamento, e quindi anche
l’organismo di mediazione che soddisfa i requisiti
citati, assiste il debitore nella predisposizione di un
accordo consistente in un piano di ristrutturazione del
debito con le nuove scadenze dei relativi pagamenti da
proporre ai creditori, verifica la veridicità dei dati
contenuti in esso e nei documenti allegati ed attesta la
fattibilità del piano. La proposta di accordo, assieme
all’elenco di tutti i creditori con l’indicazione delle
somme dovute, a quello dei beni del debitore e degli
atti di disposizione da lui compiuti negli ultimi cinque
anni, alle sue dichiarazioni dei redditi degli ultimi
tre anni ed alle scritture contabili (se impresa) od
agli estratti conto bancari degli ultimi tre anni, è
depositata presso il Tribunale del luogo dove il
debitore ha la sua residenza o la sede principale. Il
Giudice, se la proposta soddisfa questi requisiti, fissa
l’udienza e dispone la comunicazione della proposta ai
creditori che è eseguita dall’organismo di composizione
assieme alle eventuali altre forme di pubblicità
disposte sempre dal Giudice. All’udienza, se non vi sono
stati in precedenza atti in frode ai creditori, viene
disposta una sospensione di 120 giorni delle azioni
esecutive o conservative individuali dei creditori
(pignoramenti, sequestri, ecc.).
Se i creditori che aderiscono
all’accordo rappresentano almeno il 70% del passivo (se
impresa) od il 50% (se consumatore), esso, assieme alla
relazione sui consensi espressi e sulla maggioranza
raggiunta, è trasmesso dall’organismo di composizione al
Giudice che lo omologa. L’accordo vale per tutti i
creditori, compresi quelli che non hanno aderito
all’accordo, deve garantire il pagamento integrale dei
crediti privilegiati, può prevedere l’intervento di
terzi garanti che conferiscono beni o redditi per il
pagamento dei debiti ed anche limitazioni all’accesso al
credito per il debitore. La pubblicità dell’accordo
omologato nei confronti dei creditori viene anch’essa
curata dall’organismo di composizione. L’omologazione
sospende le azioni esecutive o conservative individuali
dei creditori per un periodo non superiore ad un anno, a
meno che l’accordo non sia rispettato e venga risolto
prima. L’organismo di composizione vigila sulla corretta
esecuzione dell’accordo che può prevedere anche la
nomina di un liquidatore da parte del Giudice, specie se
per la soddisfazione dei crediti sono utilizzati dei
beni sottoposti a pignoramento. I pagamenti e gli atti
dispositivi dei beni posti in essere in violazione
dell’accordo sono nulli. Se il debitore compie atti in
frode ai creditori ognuno di essi può chiedere al
Tribunale l’annullamento dell’accordo. Se, invece, il
debitore non adempie regolarmente le obbligazioni
derivanti dall’accordo ogni creditore può chiedere la
risoluzione di quest’ultimo. L’annullamento o la
risoluzione non pregiudicano i diritti acquisiti dai
terzi in buona fede (artt. da 2 a 9 e commi 6°, 7° ed 8°
dell’art. 10 del DL 212/2011). |