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Adozione minore informazioni
originiCon la riforma della Legge sull’adozione del
2001, il legislatore ha realizzato una distinzione
fondamentale in tema di accesso alle informazioni sulle
origini del minore adottato, imponendo da un lato, un
divieto di circolazione delle notizie relative al
rapporto di adozione nei confronti di terzi e
dall’altro, riconoscendo, in talune ipotesi, il diritto
dell’adottato o dei genitori adottivi di conoscere tali
informazioni.
La legge n. 184 del 1983,
modificata dalla Legge n. 149 del 2001, all’art. 28,
impone ai genitori l’obbligo di comunicare al figlio
adottivo la sua condizione di adottato. I genitori
adottivi, pertanto, non hanno la facoltà di scegliere se
comunicare o meno al figlio l’adozione; hanno, tuttavia,
un potere discrezionale nella scelta delle modalità e
dei tempi con i quali informare il bambino.
Il diritto del minore adottato di
essere informato della propria condizione ha una
profonda ragione di esistere giacché, omettere
l’adozione è, per il figlio adottivo, un ostacolo al
raggiungimento di un’identità integrata e sana. La
giurisprudenza ha più volte sottolineato che la
conoscenza delle proprie radici costituisce un
presupposto indefettibile per la costruzione
dell’identità personale e che la sua mancanza potrebbe
creare dei drammi interiori e condurre ad una
idealizzazione dei genitori biologici. La conoscenza
delle proprie origini è un passaggio indefettibile nella
crescita dell’adottato e al contempo un momento di
contatto con le vicende che hanno preceduto e
accompagnato l’adozione.
Gli psicologi, a tal proposito,
consigliano ai genitori adottivi di rivelare tutti i
fatti conosciuti riguardanti l’adozione, con una
narrazione adeguata all’età del bambino, introducendo
via via nuovi particolari con l’aumentare dell’età. Si
parla, precisamente, di “verità narrabile”, per indicare
quelle circostanze del passato del bambino, conosciute
dai genitori adottivi, tali da poter essere raccontate
al figlio, informazioni proporzionate all’età, senza
omissioni ma adattandole alla capacità di discernimento
del bambino.
È necessario altresì fornire, se
conosciute, le ragioni dell’abbandono, in modo tale da
permettere al bambino di comprendere i motivi che hanno
determinato il bisogno di fargli avere dei nuovi
genitori.
In ogni caso si deve tener presente
che la conoscenza dell’identità dei genitori biologici e
delle informazioni che li riguardano è certamente
un’esperienza emotiva di estrema rilevanza che potrebbe
causare anche dolorose delusioni.
Per queste ragioni il legislatore
ha ritenuto fondamentale disciplinare l’accesso alle
informazioni dei genitori biologici, riconoscendo, però,
unicamente ai figli adottivi, la possibilità di
ricercare i genitori naturali e non diversamente, ai
genitori naturali di rintracciare i figli adottivi.
Le modalità di accesso alle
informazioni riguardanti i genitori biologici sono
regolate dalla legge in relazione all’età dell’adottato
e alle ragioni della ricerca.
L’ufficiale di stato civile,
l’ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico
o privato, autorità o pubblico ufficio – soggetti che,
per il tipo di attività che svolgono possono venire a
contatto con la documentazione dell’adottato, potendo
potenzialmente ledere al diritto alla riservatezza
dell’adottato e dei genitori naturali - possono fornire
notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie
dai quali risulta il rapporto di adozione solo con una
autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria.
L’autorizzazione deve essere richiesta al Tribunale per
i minorenni con ricorso con il necessario parere del
pubblico ministero. La ragione di questa previsione
normativa nasce dalla necessità di tutela del minore
adottato affinché si realizzi il pieno inserimento
all’interno della nuova famiglia e nella società senza
interferenze e continui riferimenti al suo passato. La
divulgazione delle informazioni da parte di chi ne è a
conoscenza, senza l’autorizzazione del Tribunale,
comporta una violazione penalmente sanzionata, così come
previsto dall’art. 73 della legge n. 184/1983.
Il minorenne adottato non può
accedere alle informazioni concernenti l’identità dei
genitori biologici, tuttavia il Tribunale per i
minorenni, ove sussistano gravi e comprovati motivi,
concernenti lo stato di salute dell’adottato, può
autorizzare i genitori adottivi, o gli esercenti la
potestà genitoriale, a ricevere tali informazioni,
assicurando un’adeguata preparazione e assistenza del
minore.
L’adottato, raggiunta la maggiore
età, ove sussistano gravi e comprovati motivi attinenti
alla sua salute psico-fisica, può accedere alle
informazioni che riguardano la sua origine e l’identità
dei genitori biologici, presentando istanza al Tribunale
per i minorenni. Il legislatore prevedendo la
possibilità di accesso alle informazioni sono in
presenza di gravi e comprovati motivi, lega il diritto
alla conoscenza delle proprie origini all’accesso alla
propria storia genetica.
Al compimento dei venticinque anni,
- ossia quando il processo di maturazione della
personalità individuale può in linea di massima
ritenersi tale da consentire all’adottato di apprendere,
senza traumi insanabili, la storia, i protagonisti e lo
scenario del proprio abbandono -, l’adottato può, in
ogni caso e a prescindere da motivazioni di carattere
sanitario, accedere alle informazioni presentando
istanza.
Il Tribunale per i minorenni,
ricevuta la richiesta, pone in essere tutte le
valutazioni necessarie per verificare che la
comunicazione delle informazioni non comporti grave
turbamento dell’equilibrio psico-fisico del richiedente,
procedendo all’audizione delle persone ritenute
opportune e ottenendo tutte le informazioni, di
carattere sociale o psicologico, necessarie. Il
Tribunale, dovrà stabilire se l’istante sia persona
dotata di adeguata maturità psichica tale da escludere
eventuali stravolgimenti traumatici della sua esistenza
e turbamenti o altri esiti psicologici pregiudizievoli
in virtù della comunicazione delle suddette
informazioni.
La legge, però, pone dei limiti
all’accesso in ipotesi perentorie ossia quando
l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla
madre naturale, qualora anche uno solo dei genitori
biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato
o qualora il genitore abbia prestato il consenso
all’adozione a condizione di rimanere anonimo.
L’effettività del diritto dell’adottato a conoscere le
proprie origini è subordinata, dunque, alla volontà dei
genitori biologici di voler preservare
incondizionatamente l’anonimato.
La possibilità di non essere
rintracciata da parte della madre che ha deciso di non
riconoscere il figlio alla nascita, prevista dal D.P.R.
n. 396 del 3 novembre 2000 all’art. 30 comma 1, è
espressione di una valutazione comparativa dei diritti
inviolabili dei soggetti implicati e di un bilanciamento
tra il diritto di accesso del minore alle informazioni e
il diritto alla riservatezza della madre naturale.
L’opportunità di non essere
identificata per colei che non riconosce il figlio,
tutela il diritto alla vita, sancito dall’art. 27 della
Costituzione, di colui che deve ancora nascere; limitare
l’accesso alle informazioni della madre risponde altresì
all’esigenza di tutelare la gestante, che, in situazioni
particolarmente difficili dal punto di vista personale,
economico o sociale, abbia deciso di non tenere con sé
il bambino, dandole la possibilità di partorire in una
struttura sanitaria appropriata ed al tempo stesso di
mantenere l’anonimato nella successiva dichiarazione di
nascita. In tal modo è assicurato alla madre e al figlio
un parto in condizioni ottimali. Al tempo stesso si
vuole distogliere la donna da scelte irreparabili per il
neonato, consentendo una diminuzione degli aborti, degli
infanticidi e degli abbandoni in condizioni rischiose
per l’incolumità del neonato. Proprio per perseguire in
modo efficace questa finalità, la norma non prevede
alcuna limitazione, nemmeno temporale, per tutelare
l’anonimato della madre.
La possibilità per la madre
naturale di non essere rintracciata nasce dal
bilanciamento degli interessi in gioco, bilanciamento
che suscita in molti perplessità, in particolare
sull’interesse che viene sacrificato: non solo
l’identità personale del fanciullo ma pure il suo
diritto alla salute.
Ugualmente, la normativa
internazionale, è diretta a salvaguardare il diritto di
accesso alle informazioni riguardanti i genitori
biologici in tema di adozione internazionale.
Gli Stati, infatti, protendono
sempre più a riconoscere il diritto di accesso alle
informazioni dei genitori biologici e della storia del
bambino. Anche sul piano internazionale si riconosce
l’importanza di comunicare all’adottato, ove sia
richiesto, le informazioni sulle proprie origini, non
soltanto per garantire un diritto della persona, ma
soprattutto per soddisfare un bisogno psichico
elementare per l’elaborazione della propria identità.
In tal senso la Convenzione dell’Aja
impone alle autorità competenti di ciascuno Stato
contraente di conservare con cura le informazioni in
loro possesso sulle origini del minore, in particolare
quelle concernenti l’identità della madre e del padre e
i dati sui precedenti sanitari del minore e della sua
famiglia.
Le medesime autorità assicurano
l’accesso del minore o del suo rappresentante a tali
informazioni, con l’assistenza appropriata, nella misura
consentita dalla legge dello Stato.
La Commissione per le adozioni
internazionali, - ente che assicura che le adozioni di
bambini stranieri si realizzino nel rispetto dei
principi stabiliti dalla Convenzione dell’Aja - detiene
le informazioni circa l’identità del minore, la sua
adottabilità, il suo ambiente sociale, la sua evoluzione
personale e familiare, l’anamnesi sanitaria del minore
stesso e della sua famiglia e le generalità della madre
naturale; tali dati sono trasmessi dallo Stato di
provenienza del minore e devono essere conservate dalla
Commissione per le adozioni internazionali.
Per quanto riguarda la divulgazione
delle informazioni si seguono le regole previste per
l’adozione nazionale, ma si deve aggiungere che, tra i
soggetti che hanno il divieto di divulgazione delle
informazioni dell’adottato, sono ricompresi analogamente
anche la Commissione per le adozioni internazionali, gli
enti autorizzati ed i servizi socio-assistenziali degli
enti locali operanti nell’ambito dell’adozione
internazionale.
L’accesso effettivo alle
informazioni sulle origini e sul percorso di vita
precedente l’adozione segue gli stessi principi previsti
per l’adozione nazionale, ma nell’adozione
internazionale, presuppone ancor più l’esistenza di un
sistema coerente ed efficace di raccolta delle
informazioni personali e familiari e di una condivisione
delle informazioni fra tutti gli operatori che
intervengono nel procedimento di adozione.
Si osserva a tal proposito la
volontà dei paesi d’origine di garantire il mantenimento
dei legami con la famiglia biologica e la cultura di
origine anche nelle situazioni nelle quali si ritiene
sia necessario il collocamento in un nucleo familiare
sostitutivo.
La Convenzione Internazionale sui
Diritti dell’Infanzia del 1989, dispone che gli Stati
aderenti s’impegnino a rispettare il diritto del
fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa
la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni
familiari; diritto alla propria identità che consiste
proprio nel dare la possibilità all’adottato, ove ne
senta il bisogno, di ricercare le proprie radici e di
conoscere le informazioni riguardanti la sua famiglia
d’origine.
Ad avviso di chi scrive, l’accesso
alle informazioni è un’importante opportunità per
consentire all’adottato di costruire un’immagine di sé
chiara e definita, tenendo comunque sempre presente che,
tale possibilità non è libera ma è invece riconosciuta
all’interno di confini definiti, non avendo un carattere
di automaticità né di necessari età. L’accesso infatti è
sempre subordinato a una valutazione e un accertamento
di specifici requisiti sia di tipo formale – come
nell’ipotesi di mancato riconoscimento alla nascita -
che sostanziale – come la verifica dei requisiti di età
e le valutazioni in relazione ad un possibile turbamento
dell’adottato.
Fonte: Dott.sa Barbara Beozzo |