Filodiritto.it
Interessante pronuncia della
Cassazione che ha confermato la pronuncia di secondo
grado (Corte d'appello di Palermo) di condanna per il
reato di cui all'articolo 2636 Codice Civile, con
risarcimento del danno alla parte civile e
riconoscimento di una provvisionale, immediatamente
esecutiva.
La Corte d'appello aveva ritenuto
responsabile Tizio di avere, quale amministratore unico
della srl, ripetutamente determinato le maggioranze
nelle assemblee sociali con atti fraudolenti, di fatto
impedendo alle socie Caia e Mevia di parteciparvi: le
condotte si reputavano poste in essere con finalità di
conseguimento di un ingiusto profitto. In particolare
era stato appurato che Tizio, marito di Sempronia, la
quale, assieme a Caia e Mevia era una delle tre socie
della menzionata società - a causa di perdite di
esercizio che non voleva, nella sua veste, far emergere,
aveva convocato le assemblee sociali del 2004 e del 2006
facendo figurare a verbale, nel primo caso, la presenza
di Caia, che invece non era stata neppure convocata e,
nella seconda circostanza, attribuendo alla moglie la
titolarità di quote sufficienti per la valida
costituzione della assemblea, nonostante che la donna
non ne fosse proprietaria. In entrambe le assemblee
erano state prese determinazioni funzionali al suddetto
intento, quali l'approvazione del bilancio del 2003 e la
rinnovazione della carica di amministratore.
La Cassazione ha ricordato che "il
reato di "illecita influenza sull'assemblea" di cui
all'art. 2636 cc punisce la condotta di chiunque compia
qualsiasi atto di natura fraudolenta che di fatto
determini in maniera alterata la maggioranza della
assemblea dei soci, quando tale condotta è finalizzata
al conseguimento di un ingiusto profitto", precisando
che "la giurisprudenza di questa Corte ha posto in
evidenza come l'elemento oggettivo del reato in esame
resti integrato da qualsiasi operazione che
artificiosamente permetta di alterare la formazione
delle maggioranze assembleari, rendendo così di fatto
possibile il conseguimento di risultati vietati dalla
legge o non consentiti dallo statuto della società (Rv.
243675)".
"Ebbene nel caso di specie
l'attività fraudolenta è stata obiettivamente
individuata nella falsa rappresentazione della presenza
della maggioranza dei soci alle assemblee di cui alla
imputazione, in una occasione facendo figurare come
presente, con la falsificazione della relativa firma sul
verbale, una socia invece assente; in una seconda
occasione attestando la titolarità in capo alla socia
presente, moglie dell'imputato, di un numero di quote
sufficiente a costituire la maggioranza ma per nulla
corrispondenti alla titolarità reale. Si tratta, come è
evidente, di condotte artificiose e fraudolente, adatte
ad integrare oggettivamente il reato dal momento che si
sono rivelate idonee a realizzare il risultato di far
apparire conseguita la necessaria maggioranza societaria
e quindi a "determinare la maggioranza" per il
funzionamento della assemblea altrimenti interdetto".
Ancora: “Nemmeno coglie nel segno
il ricorso quando denuncia la mancanza di motivazione
sull'elemento psicologico del reato”. Secondo la
Cassazione, infatti: "la Corte aveva evidenziato che il
comportamento del prevenuto, come sopra descritto, non
trovava altra spiegazione che quella del potere agire
indisturbato senza dovere subire il controllo dei soci
che avrebbero potuto esautorarlo e senza soprattutto
rendere conto delle perdite subite: circostanza - quella
del non dovere sottoporsi al giudizio negativo dei soci
- che comportava per il ricorrente il vantaggio di
continuare ad esercitare una carica altrimenti destinata
ad essere revocata, carica che gli consentiva invece di
controllare una attività commerciale alla quale egli
aveva interesse anche quale marito di una socia al 33 %
del capitale sociale".
|