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LA DISCIPLINA IN MATERIA DI INQUINAMENTO ACUSTICO: ACTIO FINIUM REGUNDORUM TRA L'ART. 10 COMMA 2 L. N. 447 DEL 1995 E L'ART. 659 COMMI 1 e 2 C.P.di Alessandro VERRICO

 

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Pubblicato in Giur. merito 10\2011 si ringrazia l'Editore

 

Sommario:1. Premessa. “ 2. Il contesto normativo in materia di inquinamento acustico, con particolare riferimento al settore aeroportuale. “ 3. L'aspetto sanzionatorio della legge quadro e la «sovrapposizione» con la tutela penalistica. “ 4. Il rapporto tra i commi 1 e 2 dell'art. 659 c.p., sotto la particolare prospettiva dell'applicazione del principio di offensività. “ 5. Conclusioni.

 

1. PREMESSA

 

Con il decreto di archiviazione in commento il G.i.p. del Tribunale di Roma, intervenendo nella dibattuta questione relativa ai rumori emessi dal traffico aereo presso l'aeroporto di Ciampino ed alle relative conseguenze sulla tranquillità e sulla salute degli abitanti delle zone limitrofe, compie una preziosa opera di delimitazione delle sfere di competenza delle normative applicabili in materia di inquinamento acustico. Invero, con particolare riferimento al fenomeno della rumorosità con origine dal traffico aereo, soprattutto alla luce del notevole aumento dei voli nell'aeroporto laziale, la pronuncia, non solo fa chiarezza sul composito quadro normativo e sul suo stato di attuazione demandato alle competenti Autorità amministrative, ma definisce anche, in maniera puntuale i rapporti tra le due fattispecie criminose di cui all'art. 659 c.p., commi 1 e 2 rispettivamente, da un lato, e l'illecito di cui all'art. 10 comma 2 l. l. 26 ottobre 1995, n. 447 (recante Legge quadro sull'inquinamento acustico), dall'altro.

 

Il contesto risultante, nell'àmbito del quale viene riservato un autonomo e rilevante spazio di operatività all'illecito amministrativo, a scapito delle ipotesi contravvenzionali, trova un solido fondamento nell'interpretazione delle rationes degli interventi normativi in materia, tanto nazionali quanto comunitari. Nell'ottica del rispetto della discrezionalità del legislatore nella determinazione del catalogo sanzionatorio, la retrocessione della tutela penalistica viene, quindi, giustificata dall'intenzione di contemperare la protezione dell'ambiente e della tranquillità e salute pubblica con la salvaguardia di altri diritti riconosciuti costituzionalmente, come, nella specie, la liber tà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), particolarmente rilevante, al riguardo, per il progresso del Paese e la realizzazione dell'unità culturale e spaziale comunitaria e internazionale.

 

Con il commento alla pronuncia, dopo aver compiuto una breve ricognizione della normativa attualmente vigente in materia di inquinamento acustico, si coglie l'occasione per esaminare la disciplina applicabile nelle varie fattispecie verificabili in concreto, alla luce, peraltro, dell'ulteriore e connessa problematica relativa alla definizione dei rapporti tra le due contravvenzioni di cui all'art. 659 c.p.

 

2. IL CONTESTO NORMATIVO IN MATERIA DI INQUINAMENTO ACUSTICO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL SETTORE AEROPORTUALE

 

Alla luce dell'ormai unanime riconoscimento dell'inquinamento acustico come causa certa di effetti dannosi per la salute umana, il legislatore nazionale già da più di trent'anni ha affrontato il problema in relazione non solo all'ambiente esterno ma anche agli ambienti di lavoro. Nonostante si debba individuare il primo intervento normativo in materia nella l. 23 dicembre 1978, n. 833 (intitolata Legge di riforma sanitaria), fu solo nel 1991 che il legislatore affrontò la materia in maniera organica, quando, in ragione del crescente interesse dimostrato in sede comunitaria (1) e in attesa dell'emanazione di una legge-quadro sull'inquinamento acustico, fu adottato il d.p.c.m. 1 marzo 1991 recante Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno, che, escludendo dal suo àmbito operativo gli ambienti di lavoro ed altri fenomeni di rilevante entità, fissò le soglie di accettabilità dei livelli di rumore su tutto il territorio nazionale (2).

 

Fece séguito la legge quadro 26 ottobre 1995, n. 447, che fornì una disciplina organica della materia attraverso l'indicazione di definizioni, la fissazione di valori limite e l'individuazione di provvedimenti per la limitazione delle emissioni sonore di natura amministrativa, tecnica, costruttiva e gestionale, la previsione di controlli e sanzioni nonché l'individuazione delle competenze dei singoli enti territoriali, la previsione dell'adozione di piani di risanamento acustico e la fissazione di disposizioni in materia di impatto acustico (3). Peraltro, in virtù dell'art. 11, che faceva rinvio per la definizione dettagliata della disciplina in determinati settori alla successiva emanazione di regolamenti di esecuzione, all'entrata in vigore della legge quadro hanno fatto séguito numerose disposizioni finalizzate alla concreta attuazione della legge medesi ma e provvedimenti specifici, attinenti a determinate fonti sonore (4) , tra cui, da ultimo, il d.lg. 19 agosto 2005, n. 194, recante Attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale e che ha in parte modificato la legge quadro stessa (5).

 

Ciò nonostante, sebbene si debba constatare la particolare intensità dell'attività svolta dal legislatore, non può tuttavia dirsi completato il quadro normativo di riferimento, vista la permanente assenza di ulteriori provvedimenti attuativi di cui si attende l'emanazione, e considerato che ad essi dovrà poi seguire, per l'ulteriore esecuzione, l'attività legislativa delle Regioni e l'intervento delle Province e dei Comuni nei limiti delle competenze ad essi attribuiti dalla legge quadro.

 

A questo riguardo e con particolare riferimento al settore dell'inquinamento acustico avente origine dal traffico aereo, va ricordato che, come menzionato anche nel decreto di archiviazione in commento, in virtù dell'art. 3 comma 1, lett. m) della legge quadro, è stato emanato il decreto del Ministro dell'ambiente 31 ottobre 1997, di concerto con il Ministro dei trasporti e della navigazione, che, tra l'altro, ha assegnato ad ENAC il potere di istituire per ogni aeroporto la Commissione aeroportuale con il còmpito di definire le procedure antirumore e di individuare le c.d. aree di rispetto dell'intorno aeroportuale (zone A, B, C, ex art. 6 d.m. 31 ottobre 1997), all'interno delle quali valgono i limiti per la rumorosità prodotta dalle attività aeroportuali come definite dalla legge quadro. La definizione della zonizzazione rappresenta, infatti, il presupposto indispensabile per consentire l'adozione delle procedure antirumore previste dal suddetto decreto ministeriale, per consentire inoltre alla società di gestione aeroportuale di predisporre i piani di risanamento previsti dalla vigente normativa e infine per evitare ulteriori costruzioni edilizie intorno all'aeroporto.

 

La detta Commissione aeroportuale, istituita in data 20 dicembre 2000 relativamente all'aeroporto di Ciampino, nonostante abbia indicato le procedure antirumore da seguire, poi adottate dalla direzione dell'aeroporto con ordinanza n. 5 del 2001, non ha in séguito provveduto alla caratterizzazione acustica dell'intorno aeroportuale e alla classificazione delle zone, in ragione dell'impossibilità da parte della stessa di raggiungere l'unanimità. Ne è conseguita la devoluzione della relativa competenza a decidere alla Conferenza dei servizi, la quale ha indi visto recepire le proprie conclusioni dalla delibera della Giunta Regionale del Lazio (pubblicata sul B.U. Regione Lazio n. 37 del 7 ottobre 2010, suppl. n. 172), che dovranno essere poi adottate con provvedimento del Direttore della circoscrizione aeroportuale.

 

3. L'ASPETTO SANZIONATORIO DELLA LEGGE QUADRO E LA «SOVRAPPOSIZIONE» CON LA TUTELA PENALISTICA

 

Accanto alle difficoltà attuative di una normativa così complessa e frammentaria nell'attribuzione delle competenze, ulteriori perplessità sorgono in relazione al regime sanzionatorio applicabile in caso di accertata violazione, alla luce del disposto di cui all'art. 10 comma 2 legge quadro, che, segnatamente, punisce con sanzione amministrativa «chiunque, nell'esercizio o nell'impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, supera i valori limite di emissione stabiliti dalla legge»; limiti, come s'è visto, successivamente fissati, per la materia dell'inquinamento acustico aereo, con d.m. 31 ottobre 1997. Invero, l'introduzione dell'illecito amministrativo ha determinato una sostanziale sovrapposizione normativa, in virtù del fatto che una medesima fattispecie fattuale (in particolare la produzione di rumore nell'esercizio di un mestiere con corrispondente superamento dei limiti fissati in via normativa o amministrativa) può facilmente integrare, in astratto, tanto l'illecito di cui al citato art. 10 comma 2 quanto entrambi i reati previsti dal codice penale all'art. 659 commi 1 e 2, rispettivamente.

 

Invero, com'è noto, anteriormente al 1995, la tutela accordata dall'ordinamento contro il rumore era unicamente di carattere penale, essendo stata attuata attraverso i due reati di cui all'art. 659 c.p., inserito tra le contravvenzioni lesive dell'ordine pubblico e della tranquillità pubblica, da intendersi quest'ultima come un aspetto particolare del primo (6). Per converso, con l'introduzione della novità normativa del 1995 si sono sin da subito riscontrati rilevanti problemi di individuazione della disciplina da applicare, a cui è peraltro connesso l'ulteriore dubbio sulla sopravvivenza delle contravvenzioni citate, in considerazione dell'ipotizzato rapporto di specialità sussistente tra esse e l'illecito amministrativo contemplato dalla legge quadro.

 

Alla luce delle diverse opzioni sviluppatesi nel tempo nella dottrina e nella giurisprudenza, può ora affermarsi che la questione non appare ancora pienamente risolta, anche se una sostanziale unicità di indirizzo è stata raggiunta con riferimento ai rapporti tra l'art. 10 l. n. 445 del 1997 e l'art. 659 comma 1 c.p. Infatti, in relazione a tale problematica, comunemente si esclude che vi sia stata qualsiasi forma di depenalizzazione, in ragione del fatto che le due norme, in primo luogo, descrivono distinte fattispecie, visto che la prima attiene al mero superamento di una certa soglia prefissata, mentre la seconda prende in considerazione gli effetti negativi della rumorosità. In tal modo, ai fini dell'integrazione dell'illecito amministrativo si ritiene sufficiente la violazione dei detti limiti tramite un loro superamento, mentre per configurare la contravvenzione si esige che sia stato arrecato un effettivo disturbo alle persone, da vagliare attraverso un accertamento concreto giudiziale. In secondo luogo, si osserva che diverso è lo scopo delle due norme, mirando la prima a preservare la salubrità ambientale e la salute umana, contenendo i limiti di rumorosità delle sorgenti sonore e prescindendo dall'accertamento di un effettivo disturbo alle persone, l'altra invece la quiete e la tranquillità pubblica e i correlati diritti delle persone all'occupazione e al riposo. Ne consegue che, non operando il principio di specialità di cui all'art. 9 l. 24 novembre 1981, n. 689, non si produrrà alcun assorbimento della seconda disposizione nella prima tale da determinare l'applicazione solo di quest'ultima (7).

 

Peraltro, come anche menzionato dal G.i.p. di Roma nel decreto in commento, non mancano pronunce che affermano la possibilità di un concorso formale tra i due illeciti laddove l'esercizio di un mestiere rumoroso in violazione dei limiti stabiliti dalla legge speciale abbia determinato non solo il superamento dei limiti legali, ma anche la lesione o la messa in pericolo della quiete pubblica (8) ; finendo in tal modo per ribadire un indirizzo già consolidato nell'ambito dell'analisi dei rapporti tra le due disposizioni di cui all'art. 659, che verrà poi separatamente affrontato, alla stregua del quale, una volta accertato il superamento dei detti limiti, sarà possibile procedere alla verifica in ordine all'effettivo disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone. Anche se, sul punto, si connette l'ulteriore problema relativo alla possibilità di assorbimento del reato di cui al comma 1 dell'art. 659 c.p. da parte di quello previsto al comma 2 dello stesso articolo (9). Questione in merito alla quale alcune pronunce, tra cui lo stesso decreto che si annota, concludono in senso positivo, fondandosi sul riconoscimento della natura di reato di pericolo concreto della contravvenzione di cui all'art. 659 comma 2 e ritenendo così integrata in via autonoma la fattispecie di cui al comma 1 solo se l'attività svolta ecceda il normale esercizio della professione o costituisca uso smodato dei mezzi tipici di essa (10). Del resto, da un lato, non viene ritenuto corretto procedere ad una sopravvalutazione del criterio teleologico ai fini di una differenziazione delle due disposizioni, anche in ragione della sostanziale affinità dei beni da esse tutelati; dall'altro, la scelta in favore dell'assorbimento, alla luce della sostanziale identità tra le fattispecie, viene considerata afferente alla sfera della discrezionalità legislativa.

 

Decisamente diverso è il contesto interpretativo sviluppatosi in merito ai rapporti tra l'illecito amministrativo de quo e la contravvenzione di cui all'art. 659 comma 2 c.p., dovendosi constatare le permanenti difficoltà incontrate nell'affermazione di un indirizzo pienamente univoco.

 

Al riguardo, si osserva che inizialmente in giurisprudenza si è avuta una prevalenza della tesi della depenalizzazione totale dell'art. 659 comma 2, cit., ad opera dell'art. 10 l. n. 447, cit., in virtù di una piena coincidenza tra le due fattispecie descritte (11) ; affermazione che, dopo una fase iniziale di incertezza, ha poi registrato una netta stabilizzazione (12) , nonostante la medesima si sia fondata nelle diverse interpretazioni su considerazioni diverse. Invero, va riscontrato che, in molti casi, la motivazione fondamentale è stata basata sulla sussistenza di un rapporto di specialità tra l'art. 659 comma 2 c.p. e l'art. 10 legge quadro, con la conseguenza che, sulla scorta del disposto dell'art. 9 l. n. 689 del 1981, deve ritenersi applicabile la sola fattispecie che prevede l'irrogazione della sanzione amministrativa (13). Peraltro, in alcuni casi, l'esistenza di tale rapporto di specialità viene rilevata sulla base di un confronto strutturale delle fattispecie descritte, facendo notare, in primo luogo, l'identità della situazione presa in esame dal codice penale rispetto a quella sanzionata in via amministrativa, e, in secondo luogo, la maggiore ampiezza del contenuto della seconda, in quanto riferita a «chiunque» e non solo a chi eserciti professioni o mestieri per loro natura fonti di rumore (14).

 

Diversamente, in altre pronunce, tra cui quella qui in commento, l'operare del principio di specialità viene limitato alle ipotesi riferite al solo superamento dei limiti di emissione, in quanto, alla luce di una più attenta comparazione tra le due fattispecie, emerge che solo in tali casi può rinvenirsi una perfetta coincidenza tra norma penale e amministrativa (15). Ne consegue che, laddove l'emissione di rumore sia stata posta in essere in violazione di norme che regolano i mestieri rumorosi sotto profili diversi dai valori-limite (ad esempio, riguardo agli orari di esercizio o all'adozione di particolari accorgimenti), residuerà un campo di applicabilità per l'ipotesi contravvenzionale.

 

Tuttavia, nella giurisprudenza attuale, tale ultimo orientamento della c.d. depenalizzazione parziale, da ritenersi prevalente, registra pronunce che, partendo da una diversa comparazione tra le disposizioni della legge quadro ed il comma 2 dell'art. 659 c.p., sono giunte ad affermare la soluzione diametralmente opposta, volta ad escludere la sussistenza del rapporto di specialità. In tal modo, mentre la parte maggioritaria della giurisprudenza ha continuato a ribadire che la rilevanza penale della condotta prevista dal comma 2 dell'art. 659 c.p. non è stata del tutto eliminata ma resta circoscritta alla violazione delle prescrizioni attinenti al problema della rumorosità diverse da quelle concernenti i limiti delle emissioni sonore (16) , un orientamento minoritario ha al contrario negato l'esistenza del rapporto di specialità. Ciò ha affermato in ragione del fatto che la fattispecie di cui all'art. 659 comma 2 c.p. «contiene un elemento, mutuato da quella del comma 1 con cui il comma 2 va posto in relazione, estraneo alla fattispecie prevista dall'art. 10 l. n. 447 del 1995 che tutela genericamente la salubrità ambientale limitandosi a stabilire, e a sanzionarne in via amministrativa, il superamento dei limiti di rumorosità delle sorgenti sonore oltre i quali deve ritenersi sussistente l'inquinamento acustico. Tale elemento è rappresentato proprio da quella concreta idoneità della condotta rumorosa, che determina la messa in pericolo del bene della pubblica tranquillità tutelato da entrambi i commi dell'art. 659 c.p., a recare disturbo al riposo e alle occupazioni di una pluralità indeterminata di persone» (17).

 

Quindi, se, da un lato, si è continuato in diverse occasioni a ribadire la tesi dell'abrogazione parziale, dall'altro, si è precisato che, anche con riferimento al superamento dei limiti di legge, non sussisterebbe la piena coincidenza tra le due fattispecie in quanto quella contemplata nel codice penale presenterebbe l'elemento differenziale dell'offesa concreta al bene giuridico tutelato. Con l'ulteriore conseguenza che, visto che le due disposizioni non puniscono «lo stesso fatto», come espressamente previsto e richiesto dall'art. 9 l. n. 689 del 1981, non vi sarà spazio per l'applicazione del principio di specialità. Tesi che, peraltro, viene fondata in alcune pronunce su considerazioni di mera politica criminale, individuando come elemento discretivo tra le due fattispecie i differenti scopi rispettivamente perseguiti dalle norme in questione. Invero, mentre la norma penale mira a sanzionare gli effetti negativi della rumorosità col fine di tutelare la tranquillità pubblica, la norma amministrativa, attraverso il rispetto dei limiti di rumorosità, si pone a protezione della salubrità ambientale in genere (18).

 

Tuttavia, un'interpretazione di questo tipo non può essere recepita acriticamente, in quanto, essendo fondata su un'attenta riflessione in merito alla natura del reato di cui all'art. 659 comma 2, richiama prepotentemente l'ulteriore questione dei rapporti tra i reati di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 659 c.p., che merita di per sé un idoneo approfondimento.

 

4. IL RAPPORTO TRA I COMMI 1 E 2 DELL'ART. 659 C.P., SOTTO LA PARTICOLARE PROSPETTIVA DELL'APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ

 

Occorre premettere che, nonostante giurisprudenza e dottrina siano concordi nel ritenere che l'art. 659 c.p. preveda due distinte ed autonome figure di reato, si deve riconoscere che in entrambe le ipotesi il bene tutelato è la quiete pubblica, intesa come disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone ovvero degli spettacoli, dei ritrovi o dei trattenimenti pubblici; disturbo che, con riferimento alla fattispecie di cui al comma 1, può commettersi «mediante schiamazzi o rumori ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali», mentre con riferimento all'ipotesi di cui al comma 2 «esercitando una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'autorità». Con la conseguenza che, in entrambi i casi, non si ritiene sufficiente che sia stato prodotto un mero rumore, se lo stesso non abbia determinato un pregiudizio alla quiete pubblica, nella specifica accezione prevista dall'art. 659 c.p., essendo unico ed identico il bene protetto (19). Questione ulteriore, poi, sarà capire con quale grado dovrà essere portato, ai fini della valutazione della configurazione dei singoli reati, l'accertamento di tale pregiudizio, ossia se sia necessario procedere ad un vaglio in concreto per entrambe le fattispecie ovvero se, per la sola contravvenzione di cui al comma 2, il pericolo vada considerato insito nella condotta ritenuta dal legislatore pericolosa per comune esperienza (20).

 

Invero, per quanto riguarda l'ipotesi di cui al comma 1, secondo la giurisprudenza è pacifica la natura di reato di pericolo concreto, con l'immediata conseguenza che affinché esso sia integrato, si esige la prova della idoneità del rumore prodotto a turbare la quiete pubblica, ossia ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone (21). Per converso, l'opinione della giurisprudenza maggioritaria è nel senso di ritenere applicabile la fattispecie prevista dal comma 2 a tutte le attività lavorative rumorose che, indipendentemente dal disturbo arrecato in concreto, si svolgano in contrasto con disposizioni di legge o prescrizioni dell'autorità. Ne consegue che, per l'integrazione del reato non sarà necessario valutare se il rumore prodotto nell'esercizio del mestiere sia concretamente idoneo ad arrecare un danno alla quiete pubblica, bensì si considera sufficiente che la professione sia in sé rumorosa e venga esercitata irregolarmente, venendosi ad integrare una presunzione iuris et de iure della sussistenza dell'evento perturbante, ossia della potenzialità offensiva del rumore emesso (22). Al punto da arrivare a considerare detta fattispecie alla stregua di un reato formale, per la cui integrazione è sufficiente accertare la sola condotta, prescindendo dalla valutazione degli effetti prodotti (23).

 

Peraltro, la netta differenza tra le due ipotesi contravvenzionali, riscontrata anche in punto di trattamento sanzionatorio, viene fondata su considerazioni di politica criminale. Per la prima, si è infatti ritenuto che la produzione di rumori attraverso comportamenti privi di collegamento con altri interessi ritenuti dall'ordinamento apprezzabili meriti un determinato e rigido trattamento sanzionatorio; per l'altra, si è considerato, invece, che alcune professioni e mestieri, nonostante possano produrre rumori di per sé potenzialmente idonei a disturbare la «tranquillità pubblica», devono veder garantito il proprio esercizio, in vista della tutela di un interesse superiore (come quello per esempio dell'economia nazionale), seppur nei limiti consentiti dalle disposizioni di legge o dalle prescrizioni dell'autorità. Con la conseguenza che solo in caso di violazione di tali limiti, si perfezionerà la contravvenzione, peraltro contraddistinta da conse guenze sanzionatorie più lievi rispetto a quelle previste per la prima fattispecie. Così finendo, da un lato, per regolare in maniera rigida e rigorosa l'esercizio di alcune professioni entro limiti strettamente necessari a garantire i detti interessi e, dall'altro, per mantenere intatta la punibilità in sede penale di condotte che non rispettino tali limiti, considerati ex lege invalicabili ai fini della salvaguardia del diritto al riposo e alla tranquillità della comunità sociale (24).

 

Del resto, la diversità tra le due disposizioni discende immediatamente dalla divergenza tra le finalità da esse rispettivamente perseguite. L'ipotesi di cui al comma 1, infatti, sanziona «gli effetti negativi della rumorosità in funzione della tutela della tranquillità pubblica», mentre quella di cui al comma 2 «essendo diretta unicamente a stabilire i limiti di intensità delle sorgenti sonore provenienti fisiologicamente da attività rumorose, oltre i quali deve ritenersi sussistente l'inquinamento acustico, prende in considerazione soltanto il dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità» (25).

 

A ben vedere, l'adesione a tale tesi maggioritaria rende particolarmente rilevante la tecnica di tipizzazione normativa utilizzata per il comma 2, da individuarsi chiaramente in quella della norma penale in bianco, in cui la norma incriminatrice individua il comportamento vietato, rinviando ad una proposizione di rango inferiore (di regola un regolamento amministrativo) per la precisa determinazione del contenuto del divieto nelle modalità spaziali e temporali dell'esercizio delle attività di lavoro rumoroso. L'inosservanza della previsione contenuta nel provvedimento amministrativo, quindi, dovrebbe essere sufficiente per integrare, come visto, gli estremi del reato; mentre a questo fine non rilevano le disposizioni dettate ad altri scopi, la cui violazione configurerà, qualora ne ricorrano le condizioni, altri reati o infrazioni amministrative (26).

 

Nonostante ciò, la sempre maggiore rilevanza assunta dal principio di offensività nella giurisprudenza attuale, seppur avvertita principalmente in altri settori (27) , ha indotto, in alcuni casi, ad attenuare la rigidità di una siffatta soluzione. Si è dato luogo, infatti, all'introduzione di un'interpretazione alternativa della norma di cui al comma 2 dell'art. 659 c.p., tale da ritenere insufficiente ai fini della configurabilità del reato e, quindi, della declaratoria della responsabilità penale, la mera violazione della specifica prescrizione in particolare con riferimento al puro e semplice travalicamento dei c.d. limiti tabellari considerando al contrario necessario procedere anche all'accertamento della concreta minaccia per il bene tutelato. Da cui ne discende che dovrà escludersi la sussistenza del reato e comunque la punibilità, laddove si constati che nel caso di specie esista uno scarto tra tipicità, cioè la violazione del provvedimento richiamato dalla norma incriminatrice, e offesa al bene giuridico tutelato, nel senso che, a fronte del superamento dei suddetti limiti non si sia registrato alcun pregiudizio alla quiete pubblica, neppure sotto forma di sua sottoposizione a pericolo.

 

In tal modo, grazie alla valorizzazione del principio di necessaria offensività, un orientamento minoritario ritiene che, anche in caso di inosservanza delle prescrizioni che disciplinano l'esercizio dell'attività rumorosa, si debba comunque procedere all'accertamento dell'effettiva sussistenza di un disturbo per la pubblica quiete, in modo da valutare sempre in concreto l'effettiva rumorosità determinata (28).

 

Tra le conseguenze prodotte da tale dibattito, si rinviene, oltre a quelle inerenti i rapporti tra la detta fattispecie penale e l'illecito amministrativo di cui all'art. 10 l. n. 447 del 1995, che saranno successivamente affrontate, quelle, seppur connesse, attinenti alla configurabilità del concorso formale tra le due ipotesi di reato di cui all'art. 659 c.p. In particolare i dubbi in merito alla disciplina applicabile attengono al particolare caso in cui il rumore prodotto dall'esercizio del mestiere, in violazione delle disposizioni di legge o delle prescrizioni dell'Autorità, sia effettivamente idoneo a mettere in pericolo la quiete pubblica. Invero, le restanti ipotesi verificabili non producono rilevanti perplessità: laddove il rumore sia stato generato al di fuori dell'esercizio del mestiere si applicherà, infatti, l'art. 659 comma 1, nei limiti in cui sia stata determinato un pericolo concreto al bene giuridico tutelato. Viceversa, nel caso in cui il rumore prodotto nell'esercizio del mestiere, in violazione delle disposizioni di legge o delle prescrizioni dell'Autorità, non abbia parimenti determinato un pregiudizio concreto alla quiete pubblica, aderendo alla tesi maggioritaria del reato di pericolo astratto, sarà applicabile il solo art. 659 comma 2, altrimenti alla condotta bisognerà negare qualsiasi rilievo penale, non potendosi ritenere integrata la fattispecie del comma 1.

 

Con riferimento all'ipotesi dubbia, invece, va osservato che, aderendo all'opinione prevalente che distingue le due contravvenzioni tra reato di pericolo concreto e reato di pericolo astratto (rispettivamente con riferimento alle ipotesi dei commi l e 2), si finisce per ammettere il concorso formale, venendosi ad integrare nel caso di specie entrambe le fattispecie di reato. In tal modo, infatti, l'abuso previsto dal comma 2 sarà solo quello costituito da una violazione delle prescrizioni che disciplinano l'esercizio della professione o del mestiere; mentre l'abuso che si concretizza nell'emissione di rumori eccedenti la normale tollerabilità ed idonei a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone rientrerà nella previsione di cui al comma 1 dell'art. 659 c.p., indipendente mente dalla fonte sonora dalla quale i rumori provengono, quindi anche nel caso di uso smodato dei mezzi tipici di esercizio della professione o del mestiere rumoroso (29). È evidente pertanto che occorre procedere in via prioritaria ad una verifica rigorosa se siano stati o meno rispettati i livelli sonori massimi previsti dalla vigente normativa speciale in tema di inquinamento acustico e, solo in caso di accertato superamento di tali limiti, sarà possibile procedere alla verifica in ordine alla eventuale contestuale sussistenza, in presenza dei presupposti previsti dalla legge, della condotta integrante l'ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 659, cit., essendo per l'appunto configurabile anche un concorso fra le condotte descritte nei due commi della predetta disposizione codicistica (30).

 

Al contrario, la valutazione della contravvenzione di cui al comma 2 alla stregua di un reato di pericolo concreto determina la qualificazione della stessa come ipotesi speciale rispetto a quella indicata dal comma 1, con la conseguenza che, a fronte dell'integrazione di entrambe, dovrà trovare applicazione solo quella di cui al comma 2, in virtù del principio di specialità di cui all'art. 15 c.p. Invero, quest'ultima contravvenzione presenterebbe, a voler seguire tale ricostruzione, alcuni elementi aggiuntivi rispetto al primo reato, richiedendosi per la sua integrazione, non solo la lesione del bene giuridico costituito dalla quiete pubblica, ma anche che il rumore sia stato prodotto nell'esercizio di una professione o di un mestiere rumoroso e in violazione delle dette prescrizioni. Allo stesso tempo, come già accennato, alcune pronunce, a cui fa séguito il decreto di archiviazione in oggetto, hanno apportato dei correttivi a tale tesi, concentrandosi sulle modalità di esercizio del mestiere rumoroso e, in tal modo, finendo per ammettere il concorso: così, mentre nell'ipotesi di normale esercizio si applicherà, come detto, il solo comma 2, con assorbimento del reato di cui al comma 1, nel diverso caso in cui l'attività svolta ecceda il normale esercizio della professione o costituisca un uso smodato dei mezzi tipici di essa, troverà applicazione anche la fattispecie di cui al comma 1 (31).

 

Tesi isolata è poi quella che, individuando come essenziale elemento discretivo tra le due contravvenzioni la fonte di produzione del rumore, esclude l'integrazione del comma 1 laddove si tratti di rumori provocati nell'esercizio di una professione o di un mestiere rumoroso, ritenendo di restare, viceversa, nell'àmbito della fattispecie di cui al comma 2, anche nel caso di attitudine dei rumori stessi a ledere la quiete e la tranquillità pubblica, essendo tale bene giuridico protetto da entrambe le disposizioni della norma (32).

 

5. CONCLUSIONI

 

L'analisi degli orientamenti venutisi ad affermare in merito alle questioni dei rapporti tanto tra l'art. 10 e l'art. 659 comma 2 c.p., da un lato, quanto tra l'art. 659 comma 1 c.p. e l'art. 659 comma 2 stesso codice, dall'altro, ha posto in luce l'importanza assoluta assunta dall'interpretazione del reato di cui all'art. 659 comma 2, cit., alla stregua di reato di pericolo concreto o astratto. Invero, seguendo l'interpretazione finora prevalente, l'affermazione della natura di reato di pericolo astratto determina, in primo luogo, la demarcazione di una netta linea di confine di tale reato con quello di cui all'art. 659 comma 1, tale, come visto, da rendere pacificamente configurabile tra essi un'ipotesi di concorso formale; inoltre, insistendo in tale interpretazione, non si può negare l'esistenza di una coincidenza della fattispecie regolata dall'art. 659 comma 2 c.p. con quella disciplinata dall'art. 10, richiedendo entrambe per la loro integrazione il mero superamento dei limiti normativamente posti. Con la conseguenza che, quanto meno con specifico riferimento al caso in cui la violazione consista nel superamento dei limiti di rumore previsti dal legislatore o dall'Autorità amministrativa, si deve confermare, così seguendo l'opzione attualmente prevalente, l'avvenuta depenalizzazione parziale della contravvenzione de qua, trovando applicazione il principio di specialità di cui all'art. 9 l. n. 689 del 1981. Con l'ulteriore conseguenza che nell'ipotesi in cui il rumore prodotto nell'esercizio del mestiere abbia superato i detti limiti e, al contempo, alla luce di una valutazione in concreto, sia risultato lesivo della quiete pubblica verrà integrata sia la contravvenzione di cui all'art. 659 comma 1 c.p. che l'illecito amministrativo di cui all'art. 10 l. n. 447 del 1995, che andranno così a concorrere.

 

Diversamente, laddove si volesse aderire alla tesi che considera il reato di cui al comma 2 dell'art. 659 come reato di pericolo concreto, si ritiene che si debba accettare, come visto, l'idea della non configurabilità di un concorso formale di esso con la contravvenzione di cui al comma 1 del medesimo articolo, trovandosi, al contrario, al cospetto di un'ipotesi di concorso apparente tra norme che determina l'applicabilità del solo comma 2, in virtù del principio di specialità ex art. 15 c.p. Con l'ulteriore conseguenza che, accedendo alla tesi maggioritaria della depenalizzazione (parziale) dell'ultima fattispecie di reato, finirebbe per trovare applicazione in questo caso la sola disposizione recante l'illecito amministrativo. Soluzione questa ampiamente opinabile, in quanto condurrebbe all'applicazione dell'ipotesi normativa più attenuata nel caso di emissioni sonore perturbative della quiete pubblica, quindi nelle situazioni potenzialmente maggiormente inquinanti acusticamente, che se ricomprese nella sola previsione del comma 2 dell'art. 659 c.p. sarebbero, per l'appunto, ora soggette unicamente alla sanzione amministrativa (33).

 

Si giungerebbe, invece, a diverse conclusioni laddove si volesse aderire alla tesi già illustrata, volta ad individuare una differenza strutturale tra la fattispecie di cui all'art. 659 comma 2 c.p. e quella di cui all'art. 10 l. n. 447 del 1995, ritenendo che solo la prima si ponga a tutela del bene giuridico quiete pubblica e, dunque, richieda la lesione di questo per la sua integrazione. Ne conseguirà, quindi, che nell'ipotesi problematica di rumore derivante dall'attività professionale esorbitante i limiti legislativi, nel caso in cui, alla stregua di una valutazione giudiziale in concreto, non si sarà determinata una lesione della quiete pubblica, si configurerà il solo illecito amministrativo di cui all'art. 10 anzidetto. Al contrario, laddove nella medesima ipotesi si verifichi anche un pregiudizio concreto ed effettivo alla quiete pubblica verrà integrata sia l'ipotesi dell'art. 659 comma 2 c.p. che quella di natura amministrativa, non essendovi un rapporto di specialità attesa la diversità strutturale tra le fattispecie; principio di specialità che, al contrario, sussisterà con riferimento alla contravvenzione di cui all'art. 659 comma 1 c.p., determinandone l'inapplicabilità.

 

Per converso, viene ammesso il concorso tra i due illeciti penali, nonostante la considerazione di entrambi come reati di pericolo concreto, con l'adesione alla tesi sposata dalla pronuncia sull'aeroporto di Ciampino, con riferimento alla sola ipotesi di esercizio smodato ed esorbitante i c.d. limiti interni dell'attività della professione rumorosa, decretando invece l'assorbimento della fattispecie di cui al comma 1 da parte di quella di cui al comma 2 nell'ipotesi di esercizio normale. Nel primo caso si assisterebbe, infatti, ad un'applicazione congiunta non solo delle due contravvenzioni, ma, relativamente allo specifico caso di superamento dei valori-limite (oggetto della depenalizzazione parziale), anche del reato di cui all'art. 659 comma 1 e dell'illecito amministrativo.

 

Alla luce delle diverse opzioni ermeneutiche illustrate e delle relative conseguenze sul piano sanzionatorio, ci si sente di condividere le tesi maggioritarie affermatesi, in relazione alle differenti problematiche, nella giurisprudenza di legittimità. Il contesto che ne discende fa, quindi, in primis, confermare l'avvenuta depenalizzazione parziale dell'art. 659 comma 2 in favore dell'art. 10 comma 2 l. n. 447 del 1995 e, in secundis, ritenere pienamente ipotizzabile il concorso formale tanto tra il reato di pericolo concreto di cui all'art. 659 comma 1 e il reato di pericolo astratto di cui all'art. 659 comma 2, quanto tra la prima contravvenzione e l'illecito amministrativo. Ne consegue che, tornando alla materia dell'inquinamento acustico aereo, una volta accertato che le emissioni rumorose sono superiori ai limiti di cui al d.m. 31 ottobre 1997, spetterà al giudice valutare in concreto se sia stata prodotta una lesione o una messa in pericolo della quiete pubblica, in modo da ritenere integrato non solo l'illecito amministrativo ma anche la contravvenzione di cui al comma 1.

 

Del resto, non possono condividersi le opzioni alternative che conducono alla negazione delle descritte ipotesi concorsuali, attesa l'illogicità delle conseguenze sul piano sanzionatorio, finendo, in tal modo, per trovare applicazione la normativa più tenue nella situazione più grave. Invero, ben potrebbe ritenersi che lo scopo perseguito, prima con l'art. 659 comma 2 c.p. poi con l'introduzione dell'illecito amministrativo, potrebbe essere, non solo quello di garantire il libero esercizio dell'iniziativa economica fornendo una normativa più favorevole, ma anche quello di sanzionare sia in via amministrativa che in via penale le fattispecie particolarmente pericolose per la salute collettiva.

 

Infine, decisamente diversa e, per ciò, non criticabile è la soluzione avanzata sul punto dal G.i.p. romano che, nonostante condizioni l'operare dell'art. 659 comma 1 c.p. alla valutazione delle modalità di esercizio del mestiere rumoroso, non nega la possibilità di un'applicazione congiunta degli illeciti. Tuttavia, al riguardo vanno pur sempre considerate le difficoltà che si potrebbero incontrare in sede processuale nell'accertamento del concreto svolgimento della professione, che potrebbero condurre ad un'eccessiva limitazione della sfera di applicazione della contravvenzione più grave.

 

 

 

 

 

Note

 

(1)Per l'esame della disciplina comunitaria, cfr.Grillo, nota introduttiva alla sezioneRumore, inMaglia - Santoloci,Il codice dell'ambiente, Piacenza, 2007, al quale si fa rinvio anche per l'analisi delle altre disposizioni che si qui si citano.

 

(2)In generale, per un commento al testo della normativa in materia di inquinamento acustico, si vedaDe Cesaris,Inquinamento acustico, inDe Cesaris -Nespor,Codice dell'ambiente, Milano, 1999, 951 ss.

 

(3)Per un'analisi dettagliata delle disposizioni contenute nella l. n. 447 del 1995 e di quelle del d.p.c.m. 1 marzo 1991, e per un loro esame comparato, v.Gabriotti, inLa tutela del «bene ambiente» dall'inquinamento acustico, inAmbiente e sviluppo, 1996, f. 6, 452 ss. Per primi commenti alla legge quadro:Fonderico,Legge-quadro sull'inquinamento acustico: molto rumore per nulla, inAmbiente e sviluppo, 1996, f. 2, 89;Muratori,La nuova legge quadro sul rumore, inAmbiente e sviluppo, 1995, f. 12, 8; Giampietro,Inquinamento acustico: un disegno incompleto, inAmbiente e sviluppo, 1993, f. 3, 99.

 

(4)Per l'individuazione dei singoli provvedimenti adottati, v.Ramacci,Diritto penale dell'ambiente, Padova, 2007, 439 ss.

 

(5)Per un commento, v.Muratori,Gestione del rumore ambientale «all'europea»:l'Italia si adegua, a modo, suo, alle regole, inAmbiente e sviluppo, 2005, f. 12, 1049.

 

(6)Per un approfondimento sulla normativa penale, v.Ramacci,Manuale di diritto penale dell'ambiente, Padova, 2005, 445 ss.

 

(7)Ex plurimis, cfr. Cass., sez. I, 23 aprile 1998, Garozzo, inCass. pen., 1999, 1771;Riv. pen., 1999, 87; Giust. pen., 1999, II, 1; Cass., sez. I, 10 dicembre 1997, Sciacquatori e altro, inStudium iuris, 1998, 1262;Riv. pen., 1998, 248.

 

(8)V. Cass., sez. I, 6 dicembre 2006, n. 1075, inCed Cass., n. 235791.

 

(9)Cfr. Cass., sez. I, 25 maggio 2006, n. 30773, inCass. pen., 2007, 2845. Sul punto si veda l'approfondimento di cui al paragrafo successivo.

 

(10)Come anche nel decreto di archiviazionede quo, si rinvia a Cass., sez. I, 6 novembre 2007, n. 46083, inCass. pen., 2009, 1049; Cass., sez. I, 25 maggio 2006, n. 30773, inCass. pen., 2007, 2845.

 

(11)La prima decisione nota è del G.i.p. Pret. Venezia 13 luglio 1996, Rosso, inNuovo dir., 1996, n. 9, 789 ss., con nota diRamacci,Inquinamento acustico: è ancora applicabile l'art. 659 c.p. dopo l'entrata in vigore della legge 447/95?, sulla quale interveniva poi Cass., sez. I, 12 marzo 1997, Rosso, inRiv. pen., 1997, n. 4, con nota diRamacci,Inquinamento acustico: la Cassazione individua l'ambito di applicazione della Legge Quadro e dell'art. 659 c.p.

 

(12)V. ad esempio, Cass., sez. I, 8 settembre 1997 (recte, 19 giugno 1997), Sansalone, inGiur. it., 1998, 1915;Ced Cass., n. 208495; Cass., Sez. I, 3 marzo 1998, n. 1295, Herpel, inRiv. pen., 1998, 434; Cass., sez. I, 26 marzo 1998, Girolimetti, inCed Cass., n. 210425; Cass., sez. I, 26 aprile 2000, Civiero, inCass. pen., 2001, 1479.

 

(13)Così, Cass., sez. I, 21 gennaio 1997, Marasco Petromilli, inCass. pen., 1998, 88, con nota diDe Falco,La tutela normativa dall'inquinamento acustico. I reati di cui all'art. 659 c.p. ed i nuovi illeciti amministrativi;Studium iuris, 1997, 969.

 

(14)Cass., sez. I, 8 settembre 1997, Sansalone, cit. Nello stesso senso Cass., sez. I, 3 dicembre 1997, n. 11113, Antonazzo, inCass. pen., 1998, 2929.

 

(15)Ex multis, v. Cass., sez. I, 26 aprile 2000, n. 10518, Mirarchi, inCed Cass., n. 217043; Cass., sez. I, 26 aprile 2000, Civiero, cit.; Cass., sez. I, 18 marzo 1999, n. 6291, De Mitri, inCass. pen., 2000, 1956; Cass., sez. I, 30 settembre 1998, n. 13010, Messina, inCass. pen., 2000, 1954; Cass., Sez. I, 26 marzo 1998, Girolimetti, cit.; Cass., sez. I, 3 marzo 1998, Herpel, cit.; Cass., sez. I, 4 luglio 1997, Vita, inCed Cass., n. 208578; Cass., sez. I, 21 gennaio 1997, Marasco Petromilli, cit.

 

(16)V. Cass., sez. III, 21 dicembre 2006, n. 2875, inCed Cass., n. 236091. Nello stesso senso, Cass., sez. I, 3 dicembre 2004, n. 530, inCed Cass., n. 230890; Id., Sez. I, 8 novembre 2002, n. 43202, Romanisio, inCed Cass., n. 222946;Cass. pen., 2004, 508.

 

 

(17)Così, Cass., sez. I, 16 aprile 2004, n. 25103, inCed Cass., n. 228244;Riv. pen., 2004, 810. Il principio era stato in qualche modo già accennato dalla risalente pronuncia di Cass., sez. I, 12 marzo 1997, Rosso, cit. Lo stesso orientamento è stato poi ripreso da Cass., sez. I, 1 aprile 2004, n. 32468, inRiv. pen., 2004, 1071;Consulente dell'impresa commerciale industriale (per il), 2005, f. 5, 868, con nota diIzzo,Attività industriali rumorose tutela penalistica ed amministrativa; e da Cass., sez. III, 5 dicembre 2006, n. 1561, inCass. pen., 2007, 4174.

 

(18)Cass., sez. I, 11 novembre 2005, n. 8197, inRiv. giur. ambiente, 2006, 458, nella quale, peraltro, proprio in ragione della differenza tra i beni protetti dalle due normative (penale e amministrativa), se ne ammette l'applicazione congiunta nel momento in cui sia superato il livello quantitativo di emissione sonora consentito e, al contempo, la condotta sia concretamente idonea a recare disturbo ad una pluralità indeterminata di persone. Si veda, inoltre, Cass., sez. I, 29 novembre 2002, n. 3742, Tomagra, inGuida dir., 2003, f. 19, 101.

 

(19)Cfr. Cass., sez. I, 20 marzo 2002, Carloni ed altri, inCed Cass., n. 221888;Riv. giur. pol., 2007, 533.

 

(20)Sulla distinzione tra i reati di pericolo astratto e i reati di pericolo concreto, si veda, tra gli altri,Gargani,Reati contro la pubblica incolumità, inGrosso - Padovani - Pagliaro,Trattato di diritto penale. Parte speciale, IX, t. I, Milano, 2008, 108 ss.;Parodi Giusino,I reati di pericolo tra dogmatica e politica criminale, Milano, 1990, importante anche per l'analisi del rapporto esistente tra i reati di pericolo in generale ed il principio di offensività. Sui reati di pericolo in generale si segnala, invece,Gallo,Reati di pericolo, inForo pen., 1969, 1 ss.;Delitala,Reati di pericolo, inStudi Petrocelli, III, Milano 1972, 1731. Si rammenta infine, che, secondo parte della dottrina (tra gli altri,Mantovani,Diritto penale,Parte generale, Padova, 2009, 207 s.), è necessario altresì distinguere tra reati di pericolo astratto e reati di pericolo presunto.

 

(21)Cfr.,ex plurimis, Cass., sez. I, 11 novembre 1985, Bottazzo, inCass. pen., 1987, 1725; Cass., sez. VI, 12 luglio 1985, Zannoni, inCed Cass., n. 170927; Cass., sez. III, 21 ottobre 1981, Ponti, inCed Cass., n. 151640; Cass., sez. III, 20 ottobre 1965, Inneo, inCass. pen., 1966, 372.

 

(22)V.,ex plurimis, sez. I, 8 novembre 2002, Romanisio, cit. in nt. 16; Cass., sez. I, 26 aprile 2000, Civiero, cit. in nota 12; Cass., sez. I, 23 febbraio 1998, Basile, inGiust. pen.1999, II, 439; Cass., sez. I, 28 settembre 1994, Amato, inCed Cass., n. 200022; Cass., sez. I, 1 luglio 1980, Fiori, inCass. pen., 1982, 66; Cass., sez. IV, 10 dicembre 1965, n. 2602, Fovero, inCed Cass., n. 101230. In dottrina, cfr.Castaldo,Attività lavorativa e inquinamento da rumore, inRiv. pen. econ., 1990, 22.

 

(23)V. Cass., sez. VI, 3 luglio 1969, Caroli, inCed Cass., n. 112682.

 

(24)Al riguardo, è degno di menzione l'orientamento di parte della giurisprudenza che ha ritenuto configurabile la contravvenzione di cui all'art. 659 comma 1 c.p. nel caso in cui la produzione di rumori, anche se avvenuta nel rispetto delle prescrizioni normative, abbia determinato una lesione effettiva del bene giuridico tutelato. V. Cass., sez. I, 12 dicembre 1994, Mangone, inCed Cass., n. 200652, riguardante una fattispecie di esercizio di attività di discoteca a carattere stagionale.

 

(25)Così, Cass., sez. I, 6 dicembre 2006, n. 1075, cit. in nt. 8. In precedenza, sulla scorta della medesima argomentazione, Cass., sez. I, 14 novembre 2001, n. 319, Fittabile, inCed Cass., n. 220458; Cass., sez. I, 19 novembre 1999, Piccioni, inCass. pen., 2000, 3301;Riv. pen., 2000, 598; Riv. giur. polizia, 2007, 529; Cass., sez. I, 26 marzo 1997, Cavallini, inCass. pen., 1998, 1364;Dir. pen. e processo, 1998, 328 con nota di Bisori; Cons. impr. comm. ind.1997, 2111; Cass., sez. I, 7 novembre 1996, P.M. in proc. Tornei ed altro, inCed Cass., n. 206181.

 

(26)Cass., sez. I, 29 novembre 1996, Giacomelli, inCass. pen., 1998, 90, con nota diDe Falco,La tutela normativa dell'inquinamento acustico. I reati di cui all'art. 659 c.p. ed i nuovi illeciti amministrativi.

 

(27)Come esempio si prenda in considerazione il settore degli stupefacenti, per un'analisi del quale, sotto il particolare profilo della valutazione dell'offensività delle condotte, si consenta di rinviare adVerrico,Le applicazioni del principio di offensività in materia di coltivazione di piante da stupefacenti alla luce delle Sezioni Unite del 2008, inCass. pen., 2010, n. 10, 207 ss., dove si prende in esame anche il ruolo del principio di offensività nella giurisprudenza attuale. Inoltre, in generale sul principio di offensività, v.Manes,Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, Torino, 2005.

 

(28)Cfr. Cass., sez. I, 19 giugno 1992, n. 2908, Bergami, inForo it., 1993, 432; Cass., sez. I, 12 giugno 1992, n. 7954, Maselli, inGiust. pen., 1993, n. 6, 325; Cass., sez. I, 1 luglio 1980, n. 12913, Fiori, cit. in nota 22. Sui rischi che un tale accertamento in concreto determini uno «sconfinamento» da parte del giudice penale nel campo di competenza dell'autorità amministrativa, avuto riguardo al potere di fissare i limiti di accettabilità del rumore, cfr.Grillo,Le leggi vigenti ci difendono dal rumore?, in questaRivista, 1989, 201.

 

(29)Cass., sez. I, 19 novembre 1999, n. 382, Piccioni, cit. in nota 25; Cass., sez. I, 26 marzo 1997, Cavallini, cit. anch'essa in nt. 25.

 

(30)Cfr. Cass., Sez. I, 14 novembre 2001, n. 319, Fittabile, cit. in nt. 25; Cass., sez. I, 19 novembre 1999, n. 382, Piccioni, cit. anch'essa in nt. 25.

 

(31)Cass., sez. I, 25 maggio 2006, n. 30773, inCass. pen., 2007, 2845.

 

(32)Cass., sez. I, 6 novembre 2007, n. 46083, inCass. pen., 2009, 1049; Cass., sez. I, 20 marzo 2002, n. 24018, Carloni, inCass. pen., 2003, 1557; Cass., sez. I, 17 dicembre 1998, n. 4820, Marinelli, inCass. pen., 2000, 1956.

 

(33)In questo senso Trib. Napoli 7 marzo 2007, ord., in questaRivista, 2007, 3246, con nota diRamacci,Inquinamento da rumore e tutela penale.Contra, il G.i.p. del Tribunale di Roma, nel decreto in commento, sostiene la «ragionevolezza» della scelta legislativa in favore dell'applicazione dell'illecito amministrativo, stante la particolare invasività della relativa disciplina sanzionatoria (sanzione pecuniaria, lungo termine di prescrizione, applicabilità di misure interdittive).

 

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