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Abstract: L’Autrice compie una
disamina, tra il diritto e la bioetica, del documento
nazionale che descrive lo statuto della persona nata
prematura nella sua dimensione relazionale.
La persona
Il Segretario Generale delle
Nazioni Unite Ban Ki-moon, il 22 settembre 2010, ha
presentato all’Assemblea Generale dell’Onu la Strategia
Globale per la Salute delle Donne e dei Bambini in
occasione della quale ha affermato: “È adesso il momento
di unire le forze in un impegno congiunto”. L’Italia è
stata la prima a dare una risposta a quest'appello con
la presentazione, il 21 dicembre 2010, in Senato del
“Manifesto dei diritti del bambino prematuro”, frutto
dell’impegno di un team multidisciplinare composto da
neonatologi, ginecologi e associazioni di genitori. Il
Manifesto contiene la “Carta dei diritti del bambino
nato prematuro”, un decalogo che, seppure programmatico,
rappresenta un importante approdo giuridico non solo per
i bambini nati prematuri ma per tutti i bambini e i
diritti della persona in generale.
L’art. 1 recita: “Il neonato nato
prematuro deve, per diritto positivo, essere considerato
persona”. “Persona” fa venire in mente la concezione
costituzionale di questa come espressa in seno ai lavori
dell’Assemblea Costituente (Prima sottocommissione,
seduta del 10 settembre 1946) dal deputato Lelio Basso
(che contribuì alla formulazione degli articoli da 3 a
49 della nostra Costituzione) che ebbe ad evidenziare
come la persona umana quale soggetto di diritto non sia
l’ipotetico uomo isolato, ma vada considerata in
funzione delle molteplici relazioni che si instaurano
nella società. La persona, pertanto, è fondante dei
diritti relazionali i quali non sono una nuova
generazione che si pone tra i diritti assoluti e i
diritti relativi ma sono prioritari a questi. Il neonato
prematuro non è un paziente o un soggetto ma pienamente
persona e dunque “in relazione”, non a caso nella Carta
si insiste molto sulle relazioni. In tal modo si dà la
risposta a tante questioni bioetiche riferite anche ad
altre situazioni. Il bambino prematuro, anche se
nell’incubatrice, attaccato a tubicini ed altro, è
“persona” per diritto positivo e non per disquisizioni
di diritto naturale; i mezzi suindicati hanno la stessa
funzione degli strumenti compensativi previsti per i
dislessici o delle protesi in altri casi o di altri
ausili e non quella di accanimento terapeutico o di
creare un essere bionico.
L’art. 2 “Tutti i bambini hanno
diritto […] sicurezza e benessere” riguarda tutti i
bambini e rappresenta un monito per tutta la società
odierna che offre benessere ma non sicurezza.
Nell’art. 3 si parla di “genitori”,
nell’art. 4 di “famiglia”, di “genitore” e di “nucleo
familiare” e nell’art. 5 di “mamma”. Questo significa
che sono fondamentali, non solo per il neonato prematuro
ma per ogni bambino, la coppia genitoriale, le relazioni
familiari, ogni singolo genitore e il corrispondente
ruolo. E’ necessario che il bambino venga a contatto col
codice materno e con quello paterno sin dalla nascita e
che ogni genitore sperimenti, acquisisca il proprio
codice e si confronti con quello dell’altro. Mentre in
passato si è sempre privilegiata la maternità. La
presenza del padre è fondamentale: serve al padre per
costruire la sua identità paterna, alla madre e al
figlio per avvertire e riconoscere la paternità. “Una
madre può diventare tutt’uno con il figlio e a volte si
sente confusa e sopraffatta quanto lui dalle emozioni.
In questi momenti il padre ha un compito essenziale, che
è quello di aiutare la compagna a rimanere se stessa,
senza lasciarsi travolgere dalle sensazioni infantili.
La può proteggere inserendosi fra lei e il bambino da
cui non riesce a staccarsi”1. Se questo è vero sempre,
lo è ancor di più nel caso dell’esperienza
destabilizzante di una nascita prematura e a rischio. La
locuzione “sollievo dal dolore”, che è diversa da “cura
del dolore”, e l’altra successiva “cure compassionevoli”
indicano che si prende in considerazione la
multidimensionalità del dolore che è corrispettiva alla
multidimensionalità della persona. L’espressione
conclusiva dell’art. 3 “anche nella fase terminale”, e
quindi la tutela della vita fino al suo termine, è una
chiara risposta negativa al cosiddetto Protocollo di
Groningen (Olanda) sull’eutanasia per i neonati del
2004.
Nell’art. 4 le locuzioni “contatto
immediato e continuo”, “presenza attiva del genitore”
dovrebbero far riflettere quei genitori che fanno venir
meno il loro sostegno ai figli nei momenti di difficoltà
o più importanti della loro crescita o che ostacolano i
rapporti con l’altro genitore nei casi di separazione e
divorzio. Anzi i genitori dovrebbero tener presente che
ogni conflitto o crisi coniugale o di altra natura è per
i figli come una nascita prematura con tutte le temute
conseguenze. Queste locuzioni dovrebbero anche far
riflettere sui casi estremi come quello delle
nonne-mamme che potrebbero non garantire la “presenza
attiva” durante la crescita del figlio, oppure della
donna che chiede di avere il seme del marito morente per
avere un figlio da lui dopo la sua morte. E’ da
rilevare, inoltre, i vari significati del termine
“contatto”, da quello fisico a quello psicologico, tutti
fondamentali nella crescita del bambino (infatti anche
nell’art. 9 par. 3 della Convenzione di New York si
parla di “contatti”). Il concetto di “contatto” è
collegato a quello di “continuità”, richiamato per tre
volte nella Carta (artt. 4, 6 e 7). Il significato
etimologico di “continuità” (dal latino “continere”,
“tenere insieme”, da “cum”, “con”, e “tenere”) richiede
un’alleanza o holding (“contenimento”) tra i genitori e
le altre persone che interagiscono con il neonato
prematuro.
L’art. 5 che afferma il diritto di
“ogni neonato prematuro” al latte materno richiama
l’attenzione sull’estrema eterogeneità della situazione
ospedaliera nelle regioni italiane, in quanto ci sono
ospedali che praticano la “marsupioterapia”
(dall’inglese “kangaroo mother care”, così chiamata
perché il neonato è posato sul petto della mamma) e
altri ospedali dove, invece, i genitori possono
avvicinarsi all’incubatrice solo per un paio di ore al
giorno.
Tutta la formulazione dell’art. 6
ed in particolare la locuzione “scelte terapeutiche”
implicano principi come “alleanza terapeutica tra
curante e curato” e “autodeterminazione terapeutica” e
attestano l’essere persona del neonato prematuro e non
un caso clinico. È un argine contro la
depersonalizzazione del malato e il conseguente aumento
del carico di sofferenza in atto sino ad ora negli
ospedali.
Significativo l’art. 7: “Il neonato
prematuro ha il diritto di avere genitori sostenuti
nell’acquisizione delle loro particolari e nuove
competenze genitoriali”, Questo potrebbe essere adattato
per ogni bambino sottolineando che la genitorialità non
deve essere solo espressione di un proprio desiderio o
bisogno ma deve essere una scelta consapevole e
responsabile che richiede una specifica competenza come
viene vagliata in sede di adozione dei minori.
Nell’art. 8 si legge la successione
dei verbi “accogliere”, “curare”, “seguire” che segnano
il passaggio della medicina dal “curing” (curare) al
“caring” (prendersi cura).
Nell’art. 9 si parla di disabilità
ma non di neonato disabile: non è una semplice
differenza terminologica ma culturale perché dobbiamo
imparare a considerare la disabilità una componente
dell’identità di quelle persone. Infatti, non vi è alcun
accenno alla dignità, come invece in altri testi, non
per dimenticanza ma perché essa è insita nella persona.
Non è la malattia o una condizione di disagio a togliere
dignità alla persona coinvolta bensì il modo in cui è
accettata e valorizzata dai suoi simili. E questo
documento è una bella lezione in tal senso. Inoltre
l’art. 9 è un chiaro richiamo al dovere inderogabile di
solidarietà sancito nell’art. 2 della nostra
Costituzione.
L’art. 10, articolo di chiusura,
che esordisce in maniera assertiva con “ogni famiglia”
come l’art. 5 con “ogni neonato prematuro”, conferma il
contenuto di altri atti normativi riguardanti situazioni
similari. È richiesta l’efficacia degli interventi
(“vedere soddisfatti i propri speciali bisogni”);
istanza di efficacia che è mossa in ogni campo (anche
alla stessa genitorialità) e sono individuati i soggetti
titolari dei doveri.
2. Le persone: la dipendenza e il
“dependency work”
La “Carta dei diritti del bambino
nato prematuro” pone l’accento, tra l’altro, su temi di
grande attualità, quali la dipendenza e il “dependency
work”2. La figura del bambino nato pretermine e del
figlio in generale è l’archetipo della vulnerabilità,
della fragilità (di cui si va riscoprendo il senso
antropologico) perché il figlio è colui che ha bisogno
della madre e del padre per svilupparsi e per crescere:
quella originaria dipendenza è la fonte di ogni forma di
autonomia e di realizzazione di sé. La categoria del
figlio, inoltre, è assunta come archetipo dei diritti
delle persone che accudiscono gli altri; anche questi
ultimi sono “figli”, hanno cioè diritto a qualcuno che
si prenda cura di loro (si pensi alle difficoltà di
molti genitori di bambini nati prematuri che devono
allontanarsi dalla loro casa e sede di lavoro per
stabilirsi temporaneamente nella sede della struttura
ospedaliera adeguata). Questa dipendenza è fondamentale
per la nostra umanità, è l’origine dei nostri legami più
profondi e la radice di ogni organizzazione sociale
umana. La comprensione di questa dipendenza è basilare
per il benessere sociale perché essa è il tessuto della
solidarietà in senso giuridico (art. 2 Cost.) e per il
benessere personale perché dalla cattiva costruzione ed
elaborazione di questa dipendenza (si pensi al caso
esaminato dei bambini nati prematuri e ai genitori
provati da quest’esperienza) possono scaturire le
dipendenze patologiche, da quella affettiva alla
tossicodipendenza. L’accudire, l’impegno silenzioso e
necessario di chi assiste persone non autosufficienti,
cosiddetto “dependency work”, dovrebbe avere la stessa
dignità, lo stesso valore di qualsiasi altro tipo di
lavoro retribuito e dovrebbe essere riconosciuto come
tale dal contesto sociale. Tanto il legislatore quanto
la società tutta dovrebbero prendere consapevolezza
della dipendenza e del “dependency work” e intervenire
in maniera adeguata. Si richiede cioè l’umanizzazione
del diritto o meglio che il diritto ritorni alla sua
vera natura (in latino diritto è “ius” dal verbo “iungo”,
congiungere). “Ma il diritto che, accecato dalla
necessità di tutela assoluta dell’individuo, nega il
rapporto umano, è un non diritto. Al contrario un
sistema giuridico che pone al centro della sua tutela la
persona, intesa come essere che cerca la vera relazione,
è in grado di produrre vero diritto”3 sin dal nascere
della persona o addirittura dal suo concepimento (come
sembra scorgersi nella sentenza della Corte di Giustizia
Europea di Lussemburgo del 18 ottobre 2011 che ha
vietato il brevetto di embrioni umani nel procedimento
C-34/10).
1 Asha Philips, “I no che aiutano a
crescere”, Feltrinelli, Milano, 1999, p. 47.
2 Sull’argomento si legga Eva Feder
Kittay, “La cura dell’amore. Donne, uguaglianza,
dipendenza”, Vita e Pensiero, Milano, 2010.
3 Francesco Occhetta, “Il potere di
servire” in AA.VV. “Le ragioni di Antigone”, Cittadella
editrice, Assisi, 2011, p. 6 |