Diritto.it
“Meno le persone sanno di come
vengono fatte le salsicce e le leggi e meglio dormono la
notte”
Ottone Von Bismarck
Sommario: 1. Il disegno criminoso
del legislatore - 2. La decretazione d’urgenza 3. La
tecnica legislativa - 4. Il rapporto tra le fonti
normative - 5. Le funzioni di indirizzo e coordinamento
- 6. La nuova governance di 2° livello - 7. Gli organi
di governo - 8. Profili d’incostituzionalità - 9. Il
ruolo delle Regioni – 10. Considerazioni finali.
Nell’annuario delle politiche
pubbliche l’anno 2011 sarà certamente ricordato come un
anno di crisi, tagli e sacrifici, se non altro perché lo
Stato è stato costretto a bussare più di una volta alla
porta degli italiani non certo per augurare nuovi
propositi ma per chiedere contributi straordinari alla
nota causa comune di ridurre l’indebitamento pubblico
contrastandone i processi regressivi.
Il 2011 sarà però ricordato anche
per un fatto di inedita gravità istituzionale. Dopo
tante polemiche e tanti tentativi andati a vuoto,
sull’Istituzione Provincia è finalmente calato il
sipario (rectius, the end). Il decreto legge n. 201 del
6/12/2011, convertito nella legge n. 214 del 22/12/2011
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
300 del 27/12/2011, ha infatti introdotto
nell’ordinamento il percorso terapeutico previsto per
quelle Istituzioni giunte allo stadio terminale, così
eguagliando quel primato che solo il fascismo era
riuscito a conquistare.
Sul perchè sia accaduto tutto ciò
se ne potrà anche parlare nelle aule universitarie in un
mix didattico di storia, diritto, scienza della politica
e sociologia, ma pensare di trovare oggi un filo logico,
una ragione giustificatrice, una motivazione plausibile
è lavoro decisamente perso. Non sono infatti bastati
tutti i documenti prodotti dall’Unione delle Province
Italiane sul paventato risparmio, le ricerche
demoscopiche e le analisi del Censis, dell’Istat, del
Formez, lo studio dell’Università Politecnica delle
Marche del 2008, il recente studio dell’Università
Bocconi sul riassetto delle Province. Non sono bastate
neanche le recentissime riflessioni della dottrina
opportunamente raccolte in un’unica iniziativa
editoriale1, così come non è bastata la “tavola rotonda”
promossa il 12 dicembre scorso dalla Provincia Regionale
di Enna nel tentativo disperato di far ragionare, al
netto di pregiudizi e slogan, esponenti della politica,
delle istituzioni e del mondo accademico.
E’ prevalsa la “linea Barabba”,
metodo pilatescamente scelto da una debole classe
politica che si è arresa di fronte alle spinte
demagogiche dell’antipolitica. Hanno vinto, tra gli
altri, gli editoriali della nota coppia giornalistica
Stella-Rizzo e della trasmissione radiofonica “Zapping”
di Aldo Forbice che, attraverso un organizzato
martellamento comunicativo, sono riusciti a falsare la
realtà contaminando l’opinione pubblica già accecata dai
nemici della “casta”.
E’ stato facile, nel contesto di
un’emergenza economica e finanziaria, in cui tutti sono
chiamati al sacrificio, buttare nell’arena quell’anello
debole della catena istituzionale che prima e più degli
altri avrebbe mostrato il tanto atteso e spettacolare
“sangue”, facendo godere sugli spalti dell’antipolitica
tutti coloro che, con la “bava in bocca”, puntano
l’indice verso, pensando, ingenuamente, di determinare
le sorti e il futuro degli altri. Niente di più errato e
di più scorretto, ma sarà la storia a trarne le
conclusioni, adesso è troppo tardi per dire “aprite gli
occhi” e troppo presto per dire “avevamo ragione”.
Non ci resta che prenderne atto,
anche perché alcuni Ministri del Governo Monti hanno già
fatto i loro programmi di governo senza tenere conto
delle Province. Fabrizio Barca, Ministro per la Coesione
territoriale, in un suo recente intervento sul Sole
24Ore ha annunciato “il metodo del confronto, fra tutti
i soggetti, interni ed esterni al territorio (…) la
costruzione di coalizioni orizzontali (fra Comuni,
sistemi di imprese, cittadini organizzati) e verticali
(fra livelli di Governo)”2. Fra questi attori mancano le
Province, sarà un lapsus freudiano?
Ecco perché l’ennesima arringa, per
quanto argomentata, sul rapporto Provincia/Territorio
ovvero sul rapporto Provincia/Costi sarebbe ultronea e
comunque tardiva. L’interlocutore, infatti, non è più il
legislatore, né tanto meno la “politica”, atteso che
quest’ultima ha mostrato manifestamente non solo i
propri limiti ma anche la volontà di procedere “a
prescindere” sulla via intrapresa dell’espunzione
dall’ordinamento dell’Istituzione Provincia.
Non ci resta che appellarci
all’unico Organo dello Stato chiamato ad assicurare la
correttezza dei rapporti interni alle Istituzioni di
rango costituzionale, preso atto che anche il Presidente
della Repubblica, che pure in questo periodo è stato
elogiato dagli alleati europei per avere tracciato la
“Ragion di Stato” e gli orizzonti del nuovo Governo
Monti, ha pensato di “glissare” sull’argomento. E’ la
Corte Costituzionale il nostro interlocutore, ovvero il
Giudice delle leggi, quell’Organo dello Stato che in più
occasioni, nella storia repubblicana, ha dimostrato di
essere immune dalle pressioni che puntualmente le
arrivano dal “sistema”. Alla Corte Costituzionale si
chiede un intervento che, nel caso in specie, sia immune
non solo dalla “politica” ma soprattutto
dall’”antipolitica”, vista la forza plebiscitaria che,
almeno su questa vicenda delle Province, ha dimostrato
di avere.
E però tale intervento, in assenza
del controllo preventivo di costituzionalità, invece
previsto in altri paesi europei, non potrà arrivare se
non nel contesto di una procedura incidentale che dovrà
essere promossa dal cosiddetto giudice a quo. Così come
è da escludere l’ipotesi di un accesso diretto al
contenzioso costituzionale sia dell’Unione delle
Province Italiane3, trattandosi di un’associazione di
diritto privato non “…competente a dichiarare
definitivamente la volontà di un potere dello Stato per
la delimitazione di una sfera di attribuzioni
determinata da norme costituzionali”4, che delle
medesime Province. In proposito va evidenziato che le
pur rilevanti modifiche introdotte dalla legge
costituzionale n. 3/2001, non comportano un’innovazione
tale da equiparare pienamente tra loro i diversi
soggetti istituzionali che pure tutti compongono
l’ordinamento repubblicano, così da rendere omogenea la
stessa condizione giuridica di fondo dello Stato e delle
Regioni per l’accesso diretto alla Corte
Costituzionale.5
Ciò significa che la legge produrrà
inevitabilmente i suoi effetti giuridici, incurante dei
vizi di costituzionalità di cui è verosimilmente affetta
fin quando, ammesso che non sia troppo tardi, la Corte
Costituzionale si pronunci sulla legittimità
costituzionale di siffatto impianto legislativo.
Corollario di questo percorso di non breve periodo è
che, fuori dall’auspicata ipotesi di ricorso diretto
alla Corte a cura delle Regioni6, le Province dovranno
impugnare al Tar i singoli atti amministrativi attuativi
delle disposizioni di legge che Stato e Regioni
adotteranno nell’ambito delle rispettive competenze,
chiedendo al citato giudice a quo di sollevare la
questione di costituzionalità per la rilevanza della
medesima ai fini del giudizio amministrativo e per la
non manifesta infondatezza delle ragioni argomentate.
1. Il disegno criminoso del
legislatore
La tecnica usata dal legislatore
non è quella di sopprimere, sic et simpliciter, le
Province ma di svuotarle di contenuto, nel tentativo di
passare indenni dal filtro a maglie strette incastonato
nella Costituzione a difesa del principio di autonomia
locale. E così, con una serie di disposizioni prima si
degrada la Provincia ad un ente locale di “serie B”7 con
“…funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività
dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge
statale o regionale, secondo le rispettive competenze”
(art. 23, comma 14), poi la si priva di rappresentanza
diretta dei propri organi introducendo il sistema di 2°
grado per l’elezione degli stessi (art. 23, comma 16) ed
infine riduce a dieci i componenti del Consiglio
Provinciale eletti dai Comuni ricadenti nel territorio
della Provincia (art. 23, comma 16).
Cioè, in sostanza, con tali
disposizioni il legislatore mira al cuore della
Provincia demolendone lo status di ente territoriale di
governo, cioè di ente a competenza generale. Chiaro è il
progetto prefigurato, quello di espungere
definitivamente dalla Costituzione questo tipo di ente
intermedio per lasciare posto ad un non precisato ente
locale de-costituzionalizzato preposto alla cura di
interessi pubblici di cui oggi si sconosce la
collocazione istituzionale. La tacita verità è che le
norme contenute nella presente articolazione normativa
rappresentano la prima tappa del progetto, mentre quelle
contenute nel disegno di legge costituzionale approvato
dal Governo Berlusconi il 13/09/2011 rappresentano la
seconda ed ultima tappa del più ambizioso processo di
soppressione delle Province.
Sbaglia quindi chi pensa,
ingenuamente, che le Province continueranno ad esistere
perché un ente privo di autonomia politica, privo di
quella rappresentanza esponenziale delle comunità
interessate e privo di quelle funzioni fondamentali,
ovvero proprie, che legano l’istituzione al cittadino
secondo il principio no taxation without representation
non solo non è un ente territoriale di governo, ma non è
neanche un modo corretto e funzionale di essere dei
Comuni, atteso che in discussione non è la funzione o la
dimensione del livello istituzionale ma la qualità
dell’azione di governo affidata all’individuato ente.
Peraltro, l’esperienza in materia di gestione associata
di servizi di area vasta da parte dei Comuni conferma
tale affermazione. Basti pensare all’esito delle
autorità d’ambito territoriale ottimale per la gestione
dei rifiuti e delle risorse idriche prima introdotte e
poi espunte dal medesimo legislatore per accertata
inadeguatezza del relativo modello istituzionale.
Orbene, non potendo, per i motivi
su indicati, ri-argomentare le questioni sottese al
rapporto Provincia/Territorio e Provincia/Costi non ci
resta che illustrare alcuni dei limiti che le
disposizioni di legge che ci occupano presentano sotto
il profilo sistematico e costituzionale, non certo per
fornire suggerimenti alla suprema Corte ma per
continuare a dare il nostro contributo alla formazione
di quella “cittadinanza competente”8 che mantiene
“cocciutamente” la responsabilità di sensibilizzare
l’opinione pubblica per una “rimotivazione collettiva”9,
atteso che sono l’elites che “…risultano determinanti
nel bene e nel male”10 resistendo alle forze
disgregatrici e difendendo le Istituzioni.
2. La decretazione d’urgenza
Preliminarmente va evidenziata
l’inidoneità dello strumento legislativo della
decretazione d’urgenza per introdurre interventi così
invasivi nell’architettura del sistema delle autonomie
locali, attesa l’assenza dei presupposti di necessità ed
urgenza richiesti dall’art. 77 della Costituzione.
Presupposti che mancano per espressa ammissione del
Governo Monti che, relativamente agli aspetti della
finanza pubblica, attorno alla quale ruota la genesi del
decreto Salva-Italia, nella parte dedicata alle
Province, non omette di evidenziare che “il risparmio di
spesa associabile al complesso normativo in esame – 65
milioni di euro lordi – è destinato a prodursi dal 2013
e peraltro in via prudenziale non viene considerato in
quanto verrà registrato a consuntivo”11. Né tale vizio
di costituzionalità può ritenersi sanato con la
conversione in legge del decreto-legge, poiché tutto il
meccanismo della procedura d’urgenza affidata al Governo
si fonda su un potere legislativo di tipo derogatorio
rispetto all’ordinaria funzione legislativa solennemente
affidata dalla Costituzione al Parlamento (art. 70) e
come tale non suscettibile di interpretazione estensiva.
Inoltre il Governo, attraverso la
decretazione d’urgenza è intervenuto su una materia,
qual’è certamente quella in questione, sottratta alla
sua disponibilità. L’art. 14 della l. n. 400/88 ha
espressamente chiarito che non possono formare oggetto
di decretazione d’urgenza da parte del Governo le
materie previste dall’art. 72, comma 4, della
Costituzione, tra le quali sono incluse le norme di
carattere costituzionale o elettorale. In questo senso
va subito respinta l’eventuale eccezione dell’assenza di
norme a contenuto costituzionale, in considerazione che
l’artificio legislativo di mantenere solo formalmente in
vita il contenitore Provincia non può reggere di fronte
alla sostanziale opera demolitoria di un Ente a valenza
costituzionale contenuta nelle disposizioni censurate.
Dello stesso avviso è la dottrina secondo cui “Si
potrebbe dibattere se le norme statali in questione
violino il dettato formale della Costituzione, quello
che possiamo dire è che sicuramente ne violino lo
<<spirito>>”12.
3. La tecnica legislativa
La tecnica legislativa utilizzata è
delle peggiori perché introduce disposizioni normative
su argomenti già ampiamente disciplinati da leggi
precedenti senza alcuna avvertenza di coordinamento. Non
si comprende infatti se alcune disposizioni vanno
coordinate con quelle esistenti o si pongono in modo
alternativo e/o sostitutivo secondo il principio della
successione cronologica delle leggi. Già con Circolare
del 24/02/1986 n. 1.1.26/10888.9.68 la Presidenza del
Consiglio dei Ministri, nell’auspicare un processo di
miglioramento qualitativo della produzione legislativa
attraverso un affinamento ed una omogeneizzazione della
tecnica di formulazione dei testi normativi, aveva
scoraggiato le modifiche implicite o indirette di atti
legislativi vigenti, privilegiando la modifica testuale
della massima ampiezza possibile (“novella”). Nella
medesima Circolare veniva scoraggiata altresì la tecnica
delle abrogazioni implicite, sollecitando quanto più
possibile forme di abrogazione esplicita.
Orbene, il comma 14 dell’art. 23
della l. n. 214/2011 così recita: “Spettano alla
Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di
coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e
nei limiti indicati con legge statale o regionale,
secondo le rispettive competenze”. Detta disposizione
collide non poco sia con l’art. 19 del TUEL (d.lgs. n.
267/2000) che attribuisce alle Province le funzioni
amministrative di interesse provinciale che riguardano
vaste zone intercomunale o l’intero territorio
provinciale in dieci settori, che con la legge sul
Federalismo fiscale n. 42/2009 che qualifica come
“fondamentali” le funzioni generali di amministrazione,
di gestione e di controllo delle Province. Ma per tutte
queste funzioni il legislatore sembra avere previsto “il
grande rientro”. Il comma 18 del medesimo art. 23
prevede infatti che "Fatte salve le funzioni di cui al
comma 14, lo Stato e le Regioni, con propria legge,
secondo le rispettive competenze, provvedono a
trasferire ai Comuni, entro il 30 aprile 2012, le
funzioni conferite dalla normativa vigente alle
Province, salvo che, per assicurarne l'esercizio
unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla
base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle
funzioni da parte delle Regioni entro il 30 aprile 2012,
si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell'articolo 8
della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello
Stato". Quindi prepariamoci ad una grande operazione
legislativa ed amministrativa di Stato e Regioni volta a
fare rientrare tutte quelle funzioni amministrative nel
tempo trasferite e/o attribuite alla Provincia. Come non
condividere lo stupore dei primi commentatori su questa
fantasiosa idea del legislatore13.
Secondo il noto criterio
cronologico della successione delle leggi saremmo
infatti in presenza di un’abrogazione implicita di
quelle parti del TUEL in contrasto con la novella legge
(e col suo progetto!?), lasciando in vita ed
all’interprete la sola esigenza di coordinamento del
citato 2° comma dell’art. 19. Infatti la nuova
disposizione, nell’attribuire alla Provincia
“esclusivamente” le funzioni di indirizzo e di
coordinamento, esclude implicitamente le precedenti
funzioni ad essa espressamente assegnate per singolo
settore.
L’unica funzione prevista dal TUEL
in capo alle Province che potrebbe ritenersi salva,
perché compatibile con le novelle disposizioni, rimane
pertanto quella contenuta al 2° comma dell’art. 19 che,
nei settori economico, produttivo, commerciale,
turistico, sociale, culturale e sportivo, rimanda ad
un’attività di collaborazione e coordinamento di
programmi ed attività dei Comuni.
4. Il rapporto tra le fonti
normative
In disparte la discutibile tecnica
utilizzata dal legislatore per le ragioni già
illustrate, una considerazione di merito concerne i
rapporti gerarchici tra le fonti normative in
discussione. Siamo infatti in presenza di norme primarie
che ben possono essere modificate, sostituite ovvero
abrogate dal medesimo legislatore ordinario. Tuttavia
andrebbe in questa sede indagata meglio la portata
normativa del TUEL, che certamente viene introdotto
nell’ordinamento attraverso una norma primaria ma che,
secondo una scala gerarchica a maglie più strette, si
trova ad un gradino decisamente più alto di un’ordinaria
legge approvata dal Parlamento. Siamo infatti in
presenza di una norma, che “metabolizzando” la
precedente legge di riforma delle autonomia locali n.
142/90, attua per la prima volta il principio di
valorizzazione e promozione dell’autonomia locale
contenuto nell’art. 5 della Costituzione. Trattandosi,
quindi, di una norma attuativa di una previsione
costituzionale, si ritiene che la stessa operi ad un
livello superiore a quello della legge statale14. La
Corte di Cassazione15, evidenziando la portata
innovativa del TUEL, ha affermato che tale legge ha
profondamente inciso nei rapporti tra fonti normative e
statali e locali.
E, sul piano della coerenza
ordinamentale, come non evidenziare altresì la portata
innovativa delle leggi Bassanini (legge n. 59/97 e
d.lgs. n. 112/98) che in applicazione dell’art. 128
della Costituzione hanno trasferito alle Province un
vasto ventaglio di funzioni amministrative. La legge n.
59 del 1997 contiene infatti un’ampia delega al Governo
per l'attuazione, fra l'altro, di un organico disegno di
ulteriore decentramento di funzioni (dopo quello
realizzato, per quanto riguarda le Regioni, e sempre per
via di legislazione delegata, in base all'art. 17 della
legge n. 281 del 1970 e successivamente, con criteri
meno restrittivi, in base all'art. 1 della legge n. 382
del 1975), comportando l'impiego, da parte del
legislatore delegato, di tutta la gamma di strumenti
costituzionalmente ammessi per il decentramento delle
funzioni, dal trasferimento di nuove funzioni
amministrative alle Regioni nelle materie di cui
all'art. 117 della Costituzione (utilizzando i margini
di flessibilità insiti nella definizione legislativa
delle materie elencate dalla Costituzione), alla delega
alle Regioni di funzioni in altre materie, alla
attribuzione di funzioni agli enti locali.
Incoerente si profila la scelta del
legislatore statale anche in rapporto con il sistema del
Federalismo fiscale introdotto nell’ordinamento con la
l. n. 42/2009 in attuazione dell’art. 119 Cost. ed in
particolare con i principi ed i criteri direttivi
concernenti il finanziamento delle funzioni fondamentali
delle Province che incrociano inevitabilmente il
pluralista disegno istituzionale. Infatti la prospettiva
disegnata è quella di favorire un processo di
razionalizzazione delle competenze e delle funzioni
amministrative in capo ai soggetti istituzionali che,
sulla base dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e
differenziazione, sono, più di altri, in grado di
esercitarle. Secondo questa prospettiva condivisibile è
l’affermazione secondo cui “il senso complessivo del
percorso avviato nel 2009 è proprio quello della
predisposizione di un meccanismo di responsabilizzazione
degli enti territoriali nel reperimento e nell’impiego
delle risorse finanziarie”16. In tale contesto, si
profila la violazione del principio di unicità per la
non chiarezza della ripartizione funzionale, per
l’assenza di responsabilizzazione degli amministratori e
per la mancata ripartizione delle risorse finanziarie,
atteso che “Il principio presente nella legge n. 59 del
1997, non è stato costituzionalizzato, ma lo si può
considerare implicitamente compreso in quello di
sussidiarietà”17.
Incomprensibile diventa quindi
l’attività del legislatore che da qualche anno ha
avviato un processo centripeto di semplificazione
istituzionale nei settori cruciali delle risorse idriche
e dei rifiuti. La gestione sovra comunale in tali
settori non è venuta meno a seguito dell’entrata in
vigore dell’articolo 2, comma 186-bis, della legge n.
191/2009, come introdotto dall’articolo 1, comma
1-quinquies, del d.l. 2/2010, convertito con la legge n.
42/2010. Detta disposizione, infatti, nel prevedere la
soppressione delle Autorità di Ambito, dispone che,
entro un anno18, “le regioni attribuiscono con legge le
funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza”. In tale modo, “Il legislatore statale non
ha voluto senz’altro ripudiare la scelta di gestire il
servizio in un ambito sovraccomunale, ma soltanto
consentire una ricollocazione delle funzioni (…) secondo
le diverse esigenze dei territori e delle collettività
regionali, prevedendo comunque (evidentemente, per
ragioni di contenimento della spesa) l’eliminazione di
un’entificazione autonoma del soggetto titolare delle
funzioni”19. Chiaro l’intento del legislatore statale
nell’indurre le Regioni a trasferire tali competenze
all’ente locale di livello provinciale. Ora, come farà,
ad esempio, la Regione Campania che con l.r. n. 4/2008
ha affidato le funzioni in materia di organizzazione,
affidamento e controllo del servizio di gestione
integrata dei rifiuti alle Province? A quale ente
andranno attribuite dette funzioni visto che il livello
comunale non sembra idoneo ad assicurare una gestione
integrata e che gli ATO vanno soppressi?
5. Le funzioni di indirizzo e
coordinamento
L’azione del legislatore con la
quale si attribuiscono alla Provincia le sole funzioni
di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni,
nelle materie indicate con legge statale o regionale
secondo le rispettive competenze, non è altro che un
artificio, un raggiro, un abbindolamento normativo per
mantenere solo formalmente in vita un ente locale al
quale è stato notificato “il foglio di via” (rectius,
espunzione) dall’ordinamento costituzionale. Non si
comprende infatti in cosa possa consistere la funzione
di indirizzo e coordinamento verso un altro livello
istituzionale, quello comunale, che non è affatto sotto
ordinato a quello provinciale per espressa volontà equi
ordinatrice della Costituzione (art. 114). In un
contesto ordinamentale in cui il principio di
“sussidiarietà responsabile” da un lato e la spettanza
al Comune di tutte le funzioni amministrative che
riguardano il territorio comunale dall’altro, orientano
le politiche pubbliche locali secondo il criterio della
competenza, deve ritenersi azzardato ipotizzare che il
ruolo del Comune possa essere confinato nell’ambito
della mera attuazione di scelte precostituite dalla
Provincia nell’esercizio della funzione di indirizzo e
coordinamento. Invero, il nostro ordinamento conosce
tale funzione ma nell’ambito del rapporto gerarchico tra
le fonti del diritto (tra leggi cornice e leggi
regionali in materie a competenza concorrente), ovvero,
nel contesto della pubblica amministrazione, tra le
amministrazioni a struttura gerarchica, all’interno
delle quali la sede centrale indirizza e coordina le
sedi periferiche.
Anche con l’esperienza della
pianificazione territoriale di area vasta, contemplata
dall’art. 15, comma 2, della legge n. 142/90 poi
sostituito dall’art. 20, comma 2 del TUEL, è stato
infatti affermato dalla giurisprudenza che “l’intervento
amministrativo della Provincia potrà avvenire solo nei
confronti di quegli atti che pur essendo stati posti in
essere da altri enti, hanno un oggetto rientrante nelle
competenze e attribuzioni della Provincia, non
suscettibile al tempo stesso, di porsi in contrasto con
la riconosciuta affermata autonomia normativa di altri
enti”20, atteso che le esigenze di tutela e salvaguardia
delle autonomie locali, costituzionalmente garantite
dall’art. 5 della Costituzione e formalmente attuate con
la legge n. 142/90 prima e dal TUEL dopo, trovano
riconoscimento nell’affermazione dell’autonomia
normativa e regolamentare in capo ai Comuni.
Inoltre, ammesso che il legislatore
statale/regionale possa stabilire, in questi termini e
con questa temerarietà, quali funzioni fondamentali
attribuire alle Province e, di converso, quali funzioni
togliere in forza dell’art. 117, comma 2°, lett. p)
della Cost., tale sorte non può essere riservata anche
alle funzioni proprie, cioè a quelle funzioni
storicamente esercitate dall’ente intermedio perché
dotate di mirata copertura costituzionale. L’art. 118,
comma 2°, della Cost. stabilisce infatti che “I Comuni,
le Province e le Città metropolitane sono titolari di
funzioni amministrative proprie e di quelle conferite
con legge statale o regionale, secondo le rispettive
competenze”. In tale contesto la Corte Costituzionale,
pur negando che possa distinguersi fra le “funzioni
fondamentali”, di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera p), e le “funzioni proprie” degli enti locali,
di cui all’art. 118, secondo comma, Cost.21, e che il
mancato riferimento, da parte del legislatore, alle
funzioni proprie della Provincia non implica il
disconoscimento dell’esistenza di un nucleo di funzioni
intimamente connesso al riconoscimento del principio di
autonomia degli enti locali sancito dall’art. 5 Cost22,
non ha escluso la utilità del criterio storico “per la
ricostruzione del concetto di autonomia provinciale e
comunale”, circoscrivendone l’utilizzabilità “a quel
nucleo fondamentale delle libertà locali che emerge da
una lunga tradizione e dallo svolgimento che esso ebbe
durante il regime democratico”23. Può, invero,
pacificamente ritenersi che siffatta posizione,
costituzionalmente qualificata, sia anche funzionale
alla migliore tutela delle prerogative di cui godono le
Province, tra le quali vi è certamente il riconoscimento
di un “diritto” all’integrità del proprio territorio
(inteso come elemento costitutivo e identitario di
qualunque categoria di enti in cui si articola la
Repubblica ai sensi dell’art. 114 Cost.), della relativa
popolazione (art. 133 Cost,) e delle funzioni proprie
(art. 118 Cost.).
Nel caso in specie, occorre molta
fantasia per ritenere che la sola ed “esclusiva”
funzione di indirizzo e coordinamento possa
rappresentare quel nucleo di funzioni amministrative
intimamente connesso al riconoscimento del principio di
autonomia della Provincia richiesto dalla Costituzione
ed individuato dallo Stato ai sensi dell’art. 117. In
tale contesto è veramente difficile pensare che una
norma, per quanto caratterizzata da elementi
riconducibili alle emergenziali esigenze di
coordinamento e finanza pubblica, possa d’emblée sortire
i prefigurati effetti demolitori contenuti nelle
fondamentali leggi di riforma del sistema delle
autonomie locali, considerato altresì che una tanto
arbitraria configurazione del nuovo ente intermedio
farebbe torto alla ragionevolezza di qualunque sistema
giuridico.
6. La governance di 2° livello
I commi 15,16,17 e 20 dell’art. 23
disciplinano la forma di governo della nuova Provincia
e, in coerenza col disegno criminoso, mirano a
depotenziare la governance innestando un elezione
mediata sia per il Presidente della Provincia che per i
Consiglieri Provinciali. In sostanza il legislatore
“scardina” la conquista dell’elezione diretta
dell’organo monocratico introdotta nell’ordinamento
degli enti locali con la legge n. 81/93 e prevede che il
Presidente sia eletto da un Consiglio Provinciale i cui
componenti, a loro volta, sono designati dai Comuni
ricadenti nel territorio della stessa con modalità non
ancora stabilite.
Sotto il profilo della governance,
appare evidente che il sistema è annoverabile tra quelli
di 2° grado, atteso che la nuova Provincia è espressione
dei comuni che, invece, essendo enti di governo locale
continuano a godere di un rapporto di fiducia diretta ed
esponenziale con le comunità amministrate. E, in questa
prospettiva, non desta alcuna meraviglia che gli organi
di governo siano espressione dei Comuni e non della
società civile. Infatti, “Il carattere rappresentativo
ed elettivo degli organi di governo degli enti
territoriali è strumento essenziale dell’autonomia, cui
hanno riguardo gli artt. 5 e 128 della Costituzione. Non
può ritenersi, invero, che quei principi non possano
osservarsi, anche in caso di elezioni di secondo grado
e, conseguentemente, non può escludersi la possibilità
di siffatte elezioni, che, del resto sono prevedute
dalla Costituzione proprio per la più alta carica dello
Stato (art. 83)”24.
Se però, un siffatto sistema di
governance non presenta alcun vizio di costituzionalità,
essendo riconosciuta allo Stato tale competenza (art.
117, comma 2, Cost.), sul piano funzionale e della
coerenza istituzionale i rilievi sono numerosi. Infatti
l’impatto sull’ordinamento locale dopo 152 anni25 di
sedimentazione di un modello fondato sulle Province
sarebbe traumatico. In disparte il fatto che
l’abolizione di organi di governo direttamente eletti
produrrebbe risparmi assai limitati e costituirebbe
solamente un pericoloso vulnus per la legittimazione
democratica delle Istituzioni locali; nelle future
Province verrebbe infatti azzerato il confronto tra le
forze politiche, essendo potenzialmente possibile avere
un Consiglio Provinciale composto da rappresentanti dei
Comuni di omogenea estrazione politica.
Del resto, “E’ difficilmente
negabile che la scelta popolare diretta del Capo
dell’esecutivo non mediata dai partiti…instaura circuiti
di legittimazione e di responsabilità politica in
qualche misura autonomi, e quindi conduce ad una più
marcata personalizzazione della politica ed alla
valorizzazione del ruolo delle istituzioni a scapito di
quello delle forze politiche”26. Ancora, sull’importanza
della funzione elettiva degli organi della Provincia, è
stato già detto che “Matura quindi la natura di ente
elettivo rappresentativo, perché ci si convince sempre
più che non c’è capacità di governo senza rappresentanza
eletta, senza rendere conto agli elettori di come si
governa”27.
Il modello elettivo del sistema di
governance di qualsiasi organizzazione pubblica ha
refluenze anche sul grado di partecipazione del
cittadino al processo di costruzione della decisione
pubblica locale. Il ruolo della partecipazione dei
cittadini alle articolazioni territoriali del potere
pubblico può subire oscillazioni in relazione al
concreto riparto di competenze stabilito, “ma deve,
(ovunque) mantenere il medesimo significato e la
medesima <<dignità>>”28.
7. Gli organi di governo
Al comma 15 dell’art. 23 il
legislatore prevedendo che gli organi di governo della
Provincia sono il Consiglio Provinciale e il Presidente
della Provincia - la cui durata in carica è mantenuta in
cinque anni – sopprime, implicitamente, l’organo
esecutivo della Giunta previsto dagli artt. 46, 47 e 48
del TUEL. Rispetto alle altre disposizioni questa sembra
la più logica atteso che mantenere in vita tre organi
(Presidente, Giunta e Consiglio) per esercitare solo una
funzione di indirizzo e coordinamento delle attività
comunali non avrebbe avuto veramente senso. Meno logico
è non avere pensato a quale organo affidare le
competenze attribuite dal TUEL alla Giunta che, oltre
all'adozione dei regolamenti sull'ordinamento degli
uffici e dei servizi, è competente in tutte le altre
materie non espressamente attribuite ad altri Organi
stante il potere residuale generale ad essa
riconosciuta.
Per la verità è discutibile anche
la permanenza di un Consiglio Provinciale così
configurato; in disparte il silenzio del legislatore
sulle competenze da attribuire, non si comprende infatti
quali atti d’indirizzo politico possa esprimere
un’assemblea priva di autonomia politica. Né è
facilmente ipotizzabile che il Consiglio Provinciale
possa esercitare una funzione di indirizzo politico nei
confronti del Presidente della Provincia chiamato, a sua
volta, ad esercitare la novella funzione di indirizzo e
coordinamento sulle attività dei Comuni del
comprensorio. Peraltro, che il legislatore non abbia
tanta considerazione del nuovo organo consiliare lo si
evince dal successivo comma 16 dedicato al numero dei
componenti. Detta disposizione così recita: “Il
Consiglio Provinciale è composto da non più di dieci
componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni
ricadenti nel territorio della Provincia. Le modalità di
elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il
30 aprile 2012”. Orbene, senza ritornare nel merito
della questione sottesa al sistema di 2° grado
utilizzato, appare verosimile prefigurare uno scenario
di futuri Consigli Provinciali i cui componenti, scelti
“ovviamente” nel numero massimo di dieci, risultino
privi di adeguata rappresentatività politica. Se infatti
“è ancora vero” che in un ordinamento plurale come
quello italiano la sovranità appartiene al popolo, che
la esercita per il tramite di Istituzioni governate da
propri rappresentanti democraticamente eletti, è
impensabile che il legislatore possa consentire al
Consiglio Provinciale di una Provincia di Roma, che
copre più di 4 milioni di abitanti, di avere designati
lo stesso numero di componenti del Consiglio Provinciale
di Asti, che copre appena 220 mila abitanti, senza
incorrere nella violazione dell’art. 3 Cost., per la
disparità della disciplina introdotta.
Evidente, anche in questo caso, è
l’obiettivo, cioè quello di consentire alle Province di
parlare “invano” di tutto e di più senza incidere sulle
decisioni pubbliche del territorio e comunque fino al
programmato spegnimento dei “microfoni”.
8. Profili d’incostituzionalità
Per tentare di valutare con
maggiori ed orientati strumenti interpretativi la
conformità costituzionale dell’articolato delle
disposizioni in questione, illuminante appare la
sentenza della Corte Costituzionale29 secondo cui “La
Costituzione conferisce al legislatore statale, ai fini
della realizzazione del disegno complessivo di autonomia
ispirato ai principi di cui all'art. 5, sia il
potere-dovere di regolare per ogni ramo della pubblica
amministrazione "il passaggio delle funzioni statali
attribuite alle Regioni" ai sensi dell'art. 118, primo
comma (VIII disp. trans. e fin., secondo comma); sia il
potere di "delegare alla Regione l'esercizio di altre
funzioni amministrative" (art. 118, secondo comma); sia,
infine, quello di attribuire direttamente alle Province,
ai Comuni e agli altri enti locali le funzioni
amministrative "di interesse esclusivamente locale"
nelle materie di spettanza regionale (art. 118, primo
comma), e più in generale di determinare le funzioni di
Province e Comuni con le "leggi generali della
Repubblica" che fissano i principi della loro autonomia
(art. 128). Nell'esercizio di questi poteri il
legislatore statale gode di spazi di discrezionalità:
così nello scegliere le materie in cui delegare alle
Regioni ulteriori funzioni; nell'individuare
direttamente le funzioni di interesse esclusivamente
locale attribuite agli enti locali o nel demandare
invece alla Regione, nell'esercizio della sua potestà
legislativa e anche in attuazione del principio del
"normale" esercizio decentrato delle funzioni
amministrative della medesima (art. 118, terzo comma),
il compito di identificare specificamente la dimensione
dei relativi interessi "in rapporto alle caratteristiche
della popolazione e del territorio", come ad esempio si
esprime l'art. 3, comma 2, della legge n. 142 del 1990
sull'ordinamento delle autonomie locali; o ancora
nell'individuare le esigenze e gli strumenti di raccordo
fra diversi livelli di governo per un esercizio
coordinato delle funzioni o per attuare la cooperazione
nelle materie in cui coesistano competenze diverse”.
La Costituzione sembra quindi
riconoscere al legislatore statale una discrezionalità
piena in materia, tuttavia per rispondere compiutamente
al quesito bisogna leggere con attenzione la seconda
parte della medesima sentenza, allorquando il Giudice
delle leggi afferma che “Ciò che rileva dal punto di
vista costituzionale é che non siano violate le sfere di
attribuzioni garantite alle Regioni, nonchè, a livello
di principio, a Comuni e Province, dalle norme
costituzionali, e più in generale che la disciplina del
riparto di competenze e dei rapporti fra Stato, Regioni
ed enti locali sia in armonia con le regole e i principi
derivanti dalle stesse norme costituzionali. La scelta,
entro questi limiti, di modelli di riparto di funzioni e
di disciplina di rapporti più nettamente ispirati al
potenziamento del ruolo della Regione anche per quanto
attiene all'assetto delle funzioni degli enti locali,
ovvero invece alla determinazione diretta, con legge
statale, di sfere di attribuzioni amministrative degli
enti locali, garantite a priori anche nei confronti del
legislatore regionale, rientra nell’ambito delle
legittime scelte di politica istituzionale, che possono
volta a volta avvalersi di questo o quello strumento
apprestato in questo campo dalle norme costituzionali, e
che non hanno ragione di essere discusse in questa sede,
se non quando si tratti di verificare in concreto
l'osservanza dei limiti costituzionalmente imposti”. Più
recentemente, è stato affermato dalla medesima Corte
Costituzionale che “ogni momento della vita di un ente
locale è devoluto dal legislatore costituzionale alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato, con la
conseguenza che appare in re ipsa che siffatta
devoluzione includa anche il momento genetico basilare
della istituzione stessa di un ente locale, nelle sue
componenti geografiche e personali, ivi compresa la
fissazione del numero minimo di abitanti”30.
Corollario di queste autorevoli
argomentazioni è che il legislatore statale, come anche
quello regionale ad autonomia particolare, può (nei
differenziati ambiti lasciati dalle disposizioni
costituzionali), in presenza di esigenze di carattere
generale, articolare diversamente i poteri di
amministrazione locale, “con il limite della permanenza
di almeno una sfera adeguata di funzioni”31. La
giurisprudenza della Corte Costituzionale32 è ferma nel
sostenere che una disposizione come quella di cui
all’art. 5 della Costituzione certamente impegna la
Repubblica, e anche quindi le Regioni ad autonomia
speciale, a riconoscere e a promuovere le autonomie, ed
ha anche aggiunto che le leggi regionali possono bensì
regolare l’autonomia degli enti locali, ma mai
comprimere fino a negarla. Analogamente, si è ritenuto
doveroso il “coinvolgimento degli enti locali
infraregionali alle determinazioni regionali di
ordinamento”, in considerazione “dell’originaria
posizione di autonomia ad essi riconosciuta”33.
L’assenza di una qualche forma
preventiva di raccordo e/o concertazione istituzionale
con gli enti locali coinvolge sia le Province,
direttamente interessate dall’azione legislativa di
degradazione, che i Comuni, verso i quali si rileva il
silenzio del legislatore in merito a modalità
organizzative e finanziarie connesse ai programmati
trasferimenti di funzioni. Ne deriva una palese
irragionevolezza, che si riverbera inevitabilmente sia
sul principio di leale collaborazione tra le Istituzione
della Repubblica che sull’autonomia finanziaria dei
medesimi Comuni.
9. Il ruolo delle Regioni
Nel perseguire il citato disegno
“criminoso” il legislatore statale chiama in correità
anche le Regioni. Il comma 18 dell’art. 23 stabilisce
infatti che le Regioni, con propria legge, provvedono a
trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le
funzioni conferite dalla normativa vigente alle
Province, pena l’esercizio del potere sostitutivo dello
Stato ai sensi dell’art. 8 della l. n. 131/2003.
Neanche le Regioni a statuto
speciale sembrano risparmiate dal fornire il proprio
contributo. Il comma 20-bis dell’art. 23, aggiunto nella
seconda versione del decreto-legge n. 201, così recita:
“Le regioni a statuto speciale adeguano i propri
ordinamenti alle disposizioni di cui ai commi da 14 a 2°
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del
presente decreto. Le medesime disposizioni non si
applicano per le province autonome di Trento e
Bolzano”34.
Tuttavia, la disposizione normativa
prevista per le Regioni a statuto speciale presenta un
vistoso vizio di costituzionalità, configurando un
intervento “a gamba tesa” verso una competenza
legislativa che tali Regioni esercitano in via esclusiva
in forza dei rispettivi statuti, soprattutto
all’indomani della legge costituzionale n. 2/93 che
estende a tutti le Regioni ad autonomia differenziata il
medesimo livello di autonomia già riconosciuto alla
Regione Sicilia in tema di ordinamento degli enti
locali.
Rinviando integralmente alle
argomentazioni di cui al paragrafo precedente in ordine
ai profili d’incostituzionalità e ad uno specifico
approfondimento dedicato al caso siciliano35, stimolato
da questioni analoghe contenute nel precedente
decreto-legge n. 138 del 13/08/2011, possiamo qui
aggiungere che la Regione ad autonomia differenziata non
è vincolata all’osservanza, come invece preteso
dall’odierno legislatore, di uno specifico modello
istituzionale analogo alla legislazione statale per
disciplinare l’assetto degli enti locali ma, come già
affermato per la Regione Friuli-Venezia-Giulia, “deve
rispettare il principio autonomistico o – meglio ancora
– tramite le sue autonome determinazioni <<deve favorire
la piena realizzazione dell’autonomia degli enti
locali>>”36.
Invero, anche il termine del
31/12/2012, entro il quale trasferire ai Comuni le
funzioni delle Province, peraltro privo di sanzione nel
caso di inosservanza, più che essere considerato
ordinatorio è da intendersi alla stregua di una non
vincolante “raccomandazione”.
Pertanto, sulla base delle
argomentazioni illustrate nei paragrafi precedenti, è da
escludere che interventi normativi di portata così
invasiva, anche se inseriti nel contesto di una norma
finanziaria, possano annoverarsi tra i principi
fondamentali dell’ordinamento giuridico ovvero tra le
norme fondamentali di riforma economico-sociale della
Repubblica, né, tanto meno, tra i principi fondamentali
di coordinamento della finanza pubblica, attesa la più
volte citata ammissione sull’incertezza finanziaria
contenuta nella relazione tecnica governativa allegata
al decreto legge n. 201 del 06/12/2011.
L’incostituzionalità di cui è
verosimilmente affetta la disposizione normativa in
commento non esime anche le Regioni a statuto speciale
dalla opportunità/necessità di ricorrere alla Corte
Costituzionale per sentirsi confermare le proprie
lagnanze. Interessante sarebbe infatti conoscere il
pensiero del Giudice delle leggi chiamato a sindacare il
novello impianto normativo in rapporto al principio di
autonomia locale contenuto sia nell’art. 5 della
Costituzione che nell’art. 4, par. 4, della “Carta
europea delle autonomie locali”, ratificata dall’Italia
con la l. n. 439/1989, che nella “Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea” incorporata nel
Trattato (2010/C-2010)37.
10. Considerazioni finali
In teoria, è anche possibile
immaginare un sistema di “enti intermedi” costituito da
proiezioni organizzative e funzionali degli enti locali
necessari (Comuni), con i medesimi uffici delle
soppresse province, atteso che forme di coordinamento
intercomunale sono state sperimentate in quelle realtà
che per l’assenza di un livello intermedio tra i comuni
e la regione (o lo Stato) affidano ai “consorzi di
comuni” i compiti di gestione di aree territoriali che
comprendono diversi municipi (i syndicats de comune in
Lussemburgo), ma l’esperienza ci dice che mettere
d’accordo tra loro 20 o 100 comuni della stessa area per
esercitare insieme delle funzioni è assai complicato, e
non è detto costi meno che mantenere tali funzioni in
capo ad enti territoriali autonomi come le attuali
province. Infatti “i modelli associativi sopra descritti
non risolvono sempre in modo convincente la questione
fondamentale dei rapporti tra l’Ente associativo e le
rispettive rappresentanze locali, soprattutto in sede di
adozione delle scelte di governo”38. Basti pensare alla
recentissima esperienza dei consorzi e società d'ambito
per la gestione integrata dei rifiuti che in Sicilia ha
già maturato un debito di oltre un miliardo di euro, per
il quale il Governo regionale è ancora impegnato ad
accendere uno specifico mutuo bancario.
Secondo questo ragionamento è
quindi certamente da respingere la soluzione trovata dal
legislatore atta a (ri)configurare le Province quale
proiezione istituzionale dei Comuni, con rappresentanza
di 2° grado, atteso che la perdita dello status di ente
territoriale di governo comporta un’indebita
intromissione nell’originaria autonomia organizzativa e
funzionale delle Province, autonomia che è garantita
dagli artt. 5 e 128 della Costituzione non solo nei
confronti dello Stato e delle Regioni ad autonomia
ordinaria, ma altresì nei confronti delle Regioni ad
autonomia speciale.
Di fronte a cotanta evidenza
saremmo ancora una volta tentati di pretendere una
risposta su tutto ciò e di insistere ancora una volta
nel tentativo, inascoltato, di far comprendere
all’opinione pubblica prima, e ai “decisori” dopo, che
costi della politica e costi della democrazia non sempre
sono due facce della stessa medaglia, ma forse è più
comodo trincerarsi dietro le parole dell’opera teatrale
di Pirandello: Così è (se vi pare).
1 Si vedano le riflessioni
contenute nel volume “La faccia intermedia del
Leviatano”, Novagraf, dicembre 2011, Assoro(EN).
2 Fabrizio Barca, “Per il sud l’ora
della concretezza”, Il Sole 24Ore, 24/12/2011.
3 L’Unione delle Province Italiane,
riuniti i propri organi il 21/12/2011, ha infatti deciso
di promuovere la convocazione temporanea di tutti i
Consigli Provinciali per il 31 gennaio 2012 e chiedere
alle Regioni di attivare tutte le iniziative per
impugnare il decreto legge in questione presso la Corte
Costituzionale qualora fosse stato convertito in legge
mantenendo le lesive norme sulle Province.
4 Corte Cost. ordinanza 24/04/2009
n. 120.
5 Tra le altre, si veda la sent. n.
533/2002, sulla quale si può leggere il commento di C.
Padula, La problematica legittimazione delle Regioni ad
agire a tutela della propria posizione di enti
«esponenziali» (Nota a sent. Corte cost. n. 533/2002),
in Forum di Quaderni Costituzionali. Si vedano anche le
sentt. nn. 303/2003 e 196/2004. In generale, poi, sul
problema in esame si veda F. Drago, I ricorsi in via
d’azione tra attuazione del titolo V e giurisprudenza
costituzionale (il giudizio in via principale delle
leggi dopo i problemi legati allo jus superveniens), in
Giur. cost. 2004, 6, 4787.
6 In mancanza del Consiglio
regionale delle Autonomie Locali e della possibilità di
adire direttamente il Giudice delle leggi la tutela
costituzionale delle prerogative degli Enti locali è
affidata alle Regioni nell’esercizio di un riconosciuto
potere di agire nel giudizio costituzionale. Con
sentenza n. 343/91 la Corte Costituzionale ha
configurato la Regione come “centro propulsore e di
coordinamento dell’intero sistema delle autonomie
locali”. Tale ruolo, relativamente alle regioni ad
autonomia ordinaria, risultava, in particolare,
dall’art. 3 della l. n. 142/90 e risulta oggi dall’art.
4 del TUEL; relativamente alle regioni ad autonomia
speciale, esso è implicito nella loro attuale competenza
in materia di ordinamento degli enti locali.
7 La legislazione ordinaria (art.
2, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000) prevede una categoria
di enti a valenza territoriale diversa rispetto a quella
privilegiata degli enti locali che contribuiscono a
formare la Repubblica ai sensi dell’art. 114.
8 Carlo Carboni, “Parabola dei
talenti per le élite”, Il Sole 24Ore, 09/05/2009.
9 Pietro Barcellona, “Schiavi della
solitudine, ripartiamo dall’amicizia”, La Sicilia,
30/12/2011.
10 Pietro Grilli di Cortona, “Come
gli stati diventano democratici”, Laterza, Roma-Bari
2009.
11 Espressione tratta dalla
Relazione tecnica del Governo che illustra il decreto
legge.
12 Alessandro Sterpa, “Il
Decreto-legge n. 138 del 2011: riuscirà la Costituzione
a garantire l’autonomia di Regioni e Comuni?”,
Federalismi.it, 19/08/2011.
13 Luigi Oliveri, “Province: la
clausola <<Stella-Rizzo>> che non fa risparmiare nulla,
ma che fa tanta <<audience>>.
14 Corte Cost. 18 maggio 1959 n.
30, Corte Cost. n. 13/1974.
15 Corte Cass. Sez. Unite Civ.,
sent. 16/06/2005 n. 12868.
16 Giulio M. Salerno, “Che fine
farà il Federalismo fiscale?”, Federalismi.it,
28/12/2011.
17 Francesco Merloni, “Il riordino
del sistema istituzionale e l’individuazione delle
funzioni delle autonomie locali”, Amministrazione In
Cammino, 20/10/2008.
18 Termine prorogato al 31/1272012
dall’art. 13, comma 2°, del d.l. n. 29 dicembre 2011, n.
216 c.d. “mille proroghe”.
19 Tar Umbria
sent. n. 402/2010.
20 Cons. Stato,
sent. 20/03/2000 n. 1493.
21 Corte Cost.
sent. n. 238/2007.
22 Corte Cost.
sent. n. 238/2007.
23 Corte Cost.
sent. n. 52/1969.
24 Corte Cost. sent. n. 96/68.
25 La Legge comunale e provinciale
del 1865 estese a tutt’Italia le previsioni della Legge
Rattazzi del 1859 che per prima disegnò l’ente
intermedio sulla scia del modello francese dei
dipartimenti.
26 Giovanni Pitruzzella, “Se il
Presidente val meno di un Sindaco”, Cronache
Parlamentari, gennaio/2000.
27 Giuseppe Campos Venuti,
Relazione all’Assemblea Nazionale dell’U.P.I. sul tema
“Identità e ruolo della Provincia nel sistema delle
autonomie”, Palazzo Doria Pamphili, Roma 6-7/10/1994.
28 Simone Pajno, “L’adeguamento
automatico degli Statuti speciali”, Federalismi.it, n.
23/2008.
29 Corte Cost.
sent. n. 408/98.
30 Corte Cost.
Sent. n. 261/2011.
31 Corte Cost.
sent. nn. 378/2000, 286/97, 83/97.
32 Corte Cost.
sent. n. 83/97.
33 Corte Cost.
sent. n. 229/2001.
34 In questa occasione il
legislatore non ha inserito la disposizione normativa di
stile che tradizionalmente viene utilizzata per le
Regioni a statuto speciale: “Le disposizioni della
presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto
speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano
compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e
delle relative norme d’attuazione”.
35 Si consenta il rinvio a Massimo
Greco “La soppressione delle Province in territorio
siciliano”, su AmbienteDiritto.it – Rivista giuridica
pubblicata sul web all’indirizzo www.ambientediritto.it,
24/08/2011; su “Persona e Danno” – Rivista giuridica
elettronica, pubblicata sul web all’indirizzo
www.personaedanno.it, 24/08/2011; su Lexambiente –
Rivista giuridica sull’ambiente pubblicata su internet
all’indirizzo www.lexambiente.it, 25/08/2011; sul
portale dell’Associazione Siciliana Amministratori Enti
Locali (ASAEL) pubblicato su internet all’indirizzo
www.asael.pa.it, 25/08/2011; sull’Organo d’informazione
dell’Unione Regionale delle Province Siciliane,
pubblicato sul web all’indirizzo www.urps.it,
29/08/2011; su Diritto & Diritti – Rivista giuridica
elettronica, pubblicata su internet all’indirizzo
http://WWW.diritto.it, ISSN 1127-8579, 01/09/2011; in
Osservatorio Giuridico “La Previdenza”, pubblicato su
internet all’indirizzo www.laprevidenza.it, 10/09/2011;
su “Norma”, quotidiano d’informazione giuridica,
pubblicato su internet all’indirizzo
http://www.norma.dbi.it/index.jsp, 24/08/2011; su “La
faccia intermedia del Leviatano”, Novagraf, dicembre
2011, Assoro(EN).
36 Corte Cost. sent. n. 238/2007.
37 Nel nostro ordinamento, tra i
principi fondamentali aventi forza costituzionale
rafforzata vanno considerati quelli derivanti dal
diritto internazionale e dei Trattati Europei.
38 Marco Mordenti e Pasquale Monea,
“Le unioni di Comuni, dall’unità d’Italia alla manovra
di ferragosto”, LexiItalia, n. 9/2011. |