di Antonio Antonuccio*
Le bevande alcooliche rappresentano
nel cosiddetto "mondo civile" le sostanze voluttuarie
più diffuse; nonostante la gravità sociale proveniente
dall'abuso, il loro consumo è tollerato (ove non
addirittura stimolato). Le bevande a contenuto alcoolico
- d'altra parte - sono profondamente radicate nelle
abitudini alimentari, nelle consuetudini sociali e nella
ritualità di quasi tutte le culture. E' risaputo come
certi valori consolidati ne favoriscano il consumo. I
soggetti che ben sopportano l'alcool - in effetti - sono
considerati forti e virili; una buon bevuta è spesso un
obbligatorio rituale di certe situazioni sociali come
banchetti, feste o celebrazioni. Di questo, Bacco ne era
ampiamente convinto ma, per quel "gran dio" che era
considerato nell'Olimpo, avrebbe potuto considerare gli
effetti provenienti dall'abuso.
Fatta la premessa, distinto è il
consumo controllato e contenuto in quantità modeste - e
come tale scevro dagli effetti collaterali e poco nocivo
alla salute - dal consumo, ovverosia abuso, sia esso
saltuario o abituale, cui sono invece legate le gravi
conseguenze individuali e sociali derivanti dai
riverberi negativi sul comportamento. Alla luce di ciò,
è socialmente adeguato il comportamento di quei
consumatori che gradiscono le bevande alcooliche
mantenendosi, però, nei loro confronti del tutto liberi
di gestirne l'uso, potendone interrompere l'assunzione
senza alcuna difficoltà, senza sentire i bisogni
imperiosi. Per fortuna, tale atteggiamento interessa la
maggior parte delle persone senza comportare
praticamente alcuna conseguenza nociva, sia fisica, sia
psichica o ancora comportamentale.
L'abuso consiste nell'assunzione di
quantità rilevanti di bevande alcooliche in un breve
spazio di tempo. Si realizza, in tale ipotesi, un
insieme di fenomeni somatici e psichici che configurano
ciò che si chiama abitualmente "ubriachezza" che, a sua
volta, a secondo dell'uso più o meno prolungato nel
tempo, è meglio definita in etilismo o alcoolismo acuto
o cronico, quest'ultimo detto genericamente alcoolismo.
L'alcoolismo - secondo la letteratura medico-scientifica
- può considerarsi una vera e propria tossicomania, dal
momento che, in taluni individui, induce una forte
dipendenza sia psichica sia fisica (alcool-dipendenza),
così come avviene con gli stupefacenti.
L'alcoolista cioè non solo sente un
desiderio irresistibile di assumere nuovamente tali
bevande al fine di rivivere quegli stati psichici che
sono a lui graditi, parliamo in questo caso di
dipendenza psichica, ma ha anche un bisogno fisico, che
si osserva in stati particolarmente avanzati, che si
manifesta come sofferenza organica per la mancanza
dell'alcool, parliamo in questo caso di dipendenza
fisica. Si verificano, infatti, anche per l'alcoolismo
vere e proprie sindromi da carenza e/o astinenza, così
come accade per l'eroina o altri stupefacenti.
Una piaga sociale
Il panorama che si configura - in
effetti - evidenzia che i problemi dovuti all'alcoolismo
sono molto gravi e il fenomeno non è affatto in via di
riduzione. Il consumo di alcool come abuso in Italia -
in tal senso - è sicuramente significativo.
Da un punto di vista dell'analisi
storica del fenomeno, si evidenzia che vi è stato
indubbiamente un declino in quel tipo di alcoolismo,
caratteristica delle classi e delle aree più povere;
quell'alcoolismo - cioè - dei braccianti, dei contadini,
dei montanari che era unito alla miseria e che
coinvolgeva soprattutto i maschi dei ceti sociali più
sfavoriti. Tale fenomeno - appunto - era più visibile
nel sud e nel nord-est d'Italia. A questo tipo
d'alcoolismo, detto anche "da vino" e legato al
pauperismo, si è andato affiancando - nel tempo (oggi
ormai superato) - un etilismo legato al maggior
benessere economico, da consumo ad esempio di
superalcolici costosi, che coinvolge anche le donne ed i
giovani. Tal altro fenomeno è molto visibile, di contro,
nel centro e nel nord Italia più industrializzato.
Le ragioni che possono portare
all'alcoolismo sono molteplici: si possono individuare
motivazioni individuali e sociali. Fra i fattori
individuali sono importanti le carenze e i disturbi
nella personalità, le deficienze intellettive, le
nevrosi, le depressioni e certe psicosi. Queste sono
condizioni che possono facilitare la dipendenza da
alcool, ma - in verità - anche negli alcoolisti, come
nei tossicomani, si possono riscontrare soggetti privi
di predisposizioni e di disturbi di questo tipo. Più
importanti sono certi tratti psicologici quali
l'instabilità emotiva, l'incapacità di superare
conflitti, l'insicurezza, la depressione e la fragilità
dell'Io.
In letteratura si evidenzia come le
personalità passive, dipendenti e immature tendono più
facilmente a risolvere illusoriamente i problemi
dell'esistenza mediante il ricorso ad un mediatore
chimico qual è l'alcool, anziché attraverso le risorse
interiori. L'influenza di fattori sociali e culturali
sono, peraltro, ugualmente importanti anche per questo
tipo di devianza. La nostra cultura è innanzitutto molto
tollerante verso l'abuso di alcoolici: ciò costituisce
un fattore di per sé favorente l'eccesso del consumo. Le
difficoltà e le frustrazioni della vita sono certamente
determinanti e di notevole significato; mancano - però,
in genere - nell'alcoolista, contrariamente a quanto si
verificava in passato per i consumatori di droghe, i
significati oppositivi e di protesta. L'abuso
dell'alcool è - per questo - definito come una devianza
tipicamente passiva, frutto del disimpegno ed evasione
dalle difficoltà; si tratta di una tipica condotta
astensionistica o di rinuncia.
Aspetti criminogeni
Pare ovvio nell'affrontare la
questione - nel tentativo di essere più esaustivi - che
agli aspetti che studiano l'eziologia di tale morbo
sociale debba essere associato lo studio di quegli
aspetti cosiddetti "criminogeni". L'alcoolismo - in
maniera lapalissiana - è una forma di devianza che si
riflette in modo rilevante sul comportamento. E' questo
un motivo che non consente - ovviamente - di trascurare
la sua importanza "criminogenetica". Delle risultanti di
tale aspetto, si può averne conferma confrontando la
frequenza di alcolizzati fra i campioni di delinquenti
comuni recidivi. I dati fanno ritenere, a titolo
indicativo, che fra di essi il numero di coloro che
abusano di alcoolici sia da quattro a otto volte
superiore a quanto si riscontra fra la popolazione
generale. Esaminando l'aspetto in senso opposto, risulta
che in un campione di bevitori cronici il rischio di
compiere reati è assai più elevato di quanto non sia per
un campione di soggetti sobri. Per tale evidenza può
considerarsi l'alcoolismo come un fattore sicuramente
selettivo nel facilitare le condotte delittuose, il che
è ampiamente comprensibile per le caratteristiche degli
effetti psichici indotti dall'alcool.
Gli studi effettuati non confermano
una trasmissione genetica degli alcoolisti per quanto
attiene al comportamento criminale. Pur tuttavia, può
ammettersi al più l'ipotesi di un legame ereditario di
certe caratteristiche psichiche e di personalità quali
per esempio la passività, l'immaturità, la scarsa
capacità d'inibizione, la labilità emotivo-affettiva e
la fragilità dell'Io. Tali caratteristiche - confermate
in letteratura - sono responsabili sia dell'etilismo sia
della criminalità, ambedue sintomi - perciò - di un
comune disturbo psicologico. Più frequentemente, però,
la correlazione fra criminalità ed etilismo dei genitori
è espressione delle gravi ripercussioni che derivano in
seno alla famiglia quando uno o entrambi i genitori sono
alcoolisti; la correlazione - in tal senso - è più
ambientale che biologica. I figli dei bevitori vivranno
infatti più facilmente in ambienti miseri e
diseducativi; saranno esposti a difficoltà sociali ed
economiche per l'incostanza dei genitori nel lavoro. La
condotta spesso degradata, immorale, aggressiva del
genitore può compromettere i processi di
identificazione, può fornire modelli negativi e imporre
nel clima familiare norme comportamentali asociali e
valori violenti.
L'alcoolismo - nelle sue
correlazioni con la criminalità, tuttavia - è sempre
ovviamente più importante se presente nei singoli
delinquenti che nei loro genitori. Ritornando al
problema che, se da una parte, è vero considerare il
degrado sociale, la diserzione dal lavoro, il
conseguente pauperismo, il decadimento morale,
l'indifferenza per i doveri come conseguenze
dell'etilismo cronico che possono facilitare lo
slittamento verso forme non riconducibili a fattispecie
qualificate di criminalità abituale o professionale, di
contro, è altrettanto vero che non esiste ovviamente
alcun rapporto obbligato fra etilismo cronico e delitto,
essendo ben compatibile l'abuso alcoolico con una
condotta che, pur essendo sempre fonte di disagio, non è
però necessariamente delittuosa.
Molto più chiare sono le
correlazioni dirette fra etilismo acuto e criminalità:
lo stato di ebbrezza, che può realizzarsi come è ovvio
tanto nel bevitore abituale come in quello occasionale,
induce disinibizione e pertanto slatentizza la violenza
e debilita i freni morali e normativi, che abitualmente
consentono il controllo delle pulsionalità antisociali.
Da qui l'alta frequenza, in stato di alcoolismo acuto,
di condotte aggressive, da quelle più innocue e
puramente verbali (ingiurie, offese e oltraggi), a
quelle più gravi contro le persone (percosse,
maltrattamenti in famiglia, litigi, risse e lesioni fino
all'omicidio). Abbastanza caratteristici sono anche i
reati sessuali compiuti in stato di ubriachezza: dalla
semplice molestia alla violenza carnale, in particolar
modo quella incestuosa. Di significativa importanza
sociale è, inoltre, la condotta pericolosa alla guida di
autoveicoli in stato di ebbrezza (a cui possono
ricondursi le tragedie del "sabato sera").
Un fenomeno sottovalutato
Alla luce di quanto fin qui
esposto, è opportuno considerare il diverso modo con il
quale vengono affrontati e percepiti i due gravi
problemi dell'alcoolismo e della tossicodipendenza, sul
piano dell'interesse pubblico e dell'allarme sociale ma,
anche, dalla parte politica.
I rischi e i danni dell'alcoolismo
sono globalmente sottostimati, sia come numero di
persone coinvolte (in questo caso è bene ricordare il
numero oscuro statistico, cioè il numero di soggetti
alcoolisti che non emerge alla luce perché non
denunciato per un opinabile retaggio culturale), sia
come danno sociale (basti pensare al solo prezzo di vite
umane pagato per la guida in stato di ebbrezza), sia -
infine - come danno alla salute (sebbene non sempre bene
evidenziato, è più elevato il numero dei morti per
alcool che per droga). Gli interventi sanitari
preventivi/curativi e riabilitativi degli enti pubblici
sono quasi esclusivamente rivolti alla
tossicodipendenza, contrariamente a quanto avviene in
altri paesi con problemi di alcoolismo analoghi ai
nostri.
Dal punto di vista del dibattito
politico in materia, per quanto attiene alla normativa
penale, si è visto che solo dal 1986 con la riforma
sull'Ordinamento Penitenziario, con la cosiddetta "Legge
Gozzini" e, successivamente nel 1999, con la cosiddetta
"Legge Simeone" si è codificata una esecuzione penale
alternativa (per soggetti alcoolisti con condanna penale
definitiva) e, per quanto attiene alla cura e
riabilitazione grazie alla Legge 309/90, si sono
previste le modalità di prevenzione, cura e
riabilitazione presso le strutture sanitarie pubbliche
(i cosiddetti SER.T).
E' fin troppo evidente - ancora
oggi, salvo questa lodevole eccezione - che il grave
etilista sia percepito dalla vulgata comune e dalla
legge solo come un vizioso, piuttosto che come una
persona coinvolta da una grave dipendenza fisica e
psichica che vive un "comportamento problematico" per sé
e per la società. L'impegno della politica è
colpevolmente assente ed il dibattito sociale - con un
andamento oscillante (frutto delle contingenze, come le
morti del "sabato sera") - è del tutto inefficace.
Cionondimeno è sempre opportuno non
dimenticare che l'alcooldipendente, come il
tossicodipendente, mantiene una quota di responsabilità
che è propria di colui che abusa, il quale effettua una
scelta con rischi a lui ben noti, anche se poi,
instauratasi la dipendenza, gli è difficile sottrarsi
alla sostanza, sia essa alcool o droga.
* Specialista in Criminalità,
Devianza e Sistema Penitenziario |