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Con delibera 16 dicembre 2011 il
Consiglio Nazionale Forense ha riscritto il testo
dell’art. 55 del codice deontologico, al fine di
armonizzarne il contenuto con l’art. 55 bis
(mediazione), recentemente introdotto.
L’occasione è idonea per commentare
l’intero articolo, finalizzato a garantire
l’imparzialità del professionista che sia chiamato al
delicato compito di giudicare, rispetto a tempi ormai
andati nei quali l’arbitro nominato da una delle parti
tendeva a supportare la posizione di chi lo aveva
designato, piuttosto che a decidere autonomamente.
Come è noto, i singoli articoli del
codice sono composti da regole deontologiche e canoni
complementari. La regola generale indica il principio
astratto, il canone complementare tipizza i
comportamenti più ricorrenti[i].
La regola generale dell’art. 55
(rimasta invariata) recita:
L'avvocato chiamato a svolgere la
funzione di arbitro è tenuto ad improntare il proprio
comportamento a probità e correttezza e a vigilare che
il procedimento si svolga con imparzialità e
indipendenza.
La giurisprudenza disciplinare ha
così affermato che “Pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante l'avvocato che, dopo aver
presieduto il collegio arbitrale incaricato di risolvere
il conflitto fra le due parti contrapposte, assuma la
difesa degli interessi di una parte contro l'altra,
anche se in buona fede” (CNF 15 maggio 1996, n. 66).
“Pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante l'avvocato che nominato in
un collegio arbitrale, non collabori tempestivamente con
i colleghi componenti del collegio, facendo scadere
inutilmente il termine per l'arbitrato medesimo, e
comunichi alla parte che lo aveva nominato arbitro, e al
suo difensore, la corrispondenza scambiata con gli altri
componenti del collegio arbitrale” (CNF 14 maggio 2003,
n. 93).
“Pone in essere un comportamento
deontologicamente censurabile, ai sensi degli artt. 55,
I e II comma, e 6 c.d.f., il professionista che,
nominato in sede contrattuale arbitro unico, pur
formalmente sfiduciato da una delle parti non rinunci
all'incarico ricevuto e, anzi, dia corso al procedimento
arbitrale emettendo il relativo lodo” (CNF 6 dicembre
2006, n. 138).
“Viene meno ai doveri di
correttezza e diligenza l'avvocato che, quale componente
di un Collegio arbitrale, ingiustificatamente ometta di
prendere parte alle riunioni del Collegio alle quali era
stato convocato, con ciò omettendo di adempiere alla
funzione affidatagli e arrecando pregiudizio al regolare
svolgimento del procedimento arbitrale” (CNF 18 dicembre
2009, n. 180).
Gli indicati doveri non riguardano
soltanto il comportamento nel corso del mandato
arbitrale, ma anche quello successivo, con efficace
esempio relativo al compenso:
“Il professionista che rifiuti i
chiarimenti richiesti dal cliente in merito alla notula
presentata per il pagamento di prestazioni rese quale
arbitro unico, che non presenti, pur invitato a farlo,
un rendiconto dell'attività svolta, che utilizzi come
titolo esecutivo per la riscossione del proprio compenso
il lodo arbitrale e che rifiuti di sottoporre a
controllo di legittimità e alla valutazione del
Presidente del Tribunale la congruità del compenso
richiesto, tiene un comportamento non conforme alla
dignità e al decoro professionale e merita la sanzione
dell'avvertimento” (CNF 18 marzo 1989, n. 57).
E ancora, il comportamento di chi
utilizzi a scopi propagandistici la propria esperienza
e/o attività di arbitro:
“Pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante perché in contrasto con il
dovere di indipendenza e probità propri della classe
forense, l'avvocato che, sottoscrivendo una convenzione
con l'associazione "giudici arbitrali", si obblighi a
utilizzare per l'ufficio la denominazione "forum
arbitrale", a rispettare l'esclusiva dell'attività con
detta associazione, a fornire consulenza obbligatoria,
indistintamente, a tutti gli utenti dell'associazione e,
da ultimo, consenta alla pubblicità dell'attività
attraverso il volantinaggio, così ponendo in essere una
forma di accaparramento di clientela e di pubblicità
vietata” (CNF 11 aprile 2003, n. 60).
Per completare l’esame della
regola, mi sembra significativa questa motivazione:
“L'art. 55 c.d.f., anche a seguito
delle più recenti modifiche che pur hanno mantenuto
sostanzialmente invariata la regola disciplinare ed una
indicativa e non tassativa tipizzazione dell'illecito
nei canoni complementari, enuncia un principio che
impone l'indipendenza e l'imparzialità dell'arbitro,
senza distinzione né tra arbitro rituale e irrituale, né
tra il ruolo di presidente o di arbitro di parte,
cosicché l'arbitro non soltanto deve essere indipendente
e imparziale, ma deve anche apparire tale, perché possa
svolgere la sua funzione in un ruolo di terzietà, con il
necessario distacco dalle parti e dai loro difensori.
Inoltre, i doveri di dignità e decoro (art. 5 c.d.f. e
art. 12 legge professionale) impongono a chi è chiamato
a svolgere tali funzioni di evitare comportamenti
virtualmente idonei a pregiudicare l'immagine di un
ruolo che, anche per il rilievo pubblicistico che
l'ordinamento gli attribuisce, deve garantire alla
società e ai cittadini, oltreché alle parti, la massima
affidabilità ed imparzialità nell'applicazione della
legge e nella attuazione della giustizia. Costituiscono
pertanto circostanze intrinsecamente incompatibili con i
doveri imposti all'arbitro dalle suddette norme
deontologiche la condivisione dei locali dello stesso
studio con il difensore delle parti, la nomina
proveniente dalle parti con l'assistenza dello stesso
difensore, il rapporto personale già esistente tra
difensore e arbitro con il matrimonio celebrato subito
dopo la nomina ad arbitro e prima della costituzione del
Collegio, nonché il successivo mantenimento
dell'incarico” (CNF 2 novembre 2010, n. 196).
Passando ai canoni complementari,
troviamo le modifiche, modellate sulla falsariga dei
rapporti dell’avvocato con ex clienti e dell’avvocato
mediatore. Deve quindi evitarsi il conflitto di
interessi che deriva dai rapporti professionali in corso
e anche da quelli esauriti, ma entro il limite
temporale, già noto perchè applicato nelle altre ipotesi
citate, dei due anni.
Per evitare aggiramenti della
regola (non posso farlo io, quindi nomina come arbitro
il mio amico) il divieto riguarda anche clienti ed ex
clienti dei soci, associati o semplici colleghi di
studio.
Inoltre, l’avvocato che abbia
svolto le funzioni arbitrali, e i suoi colleghi o
associati, non potranno instaurare rapporti
professionali successivi con le parti, e ciò ancora per
due anni.
Come abbiamo accennato in premessa,
questi canoni complementari sono ispirati ai casi già
verificatisi. Vediamone alcuni.
“Pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante l'avvocato che assuma la
funzione di arbitro pur avendo avuto o avendo rapporti
professionali con una delle parti in causa” (CNF 10
dicembre 2007, n. 189).
“Pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante l'avvocato che assuma la
funzione di arbitro se abbia o abbia avuto rapporti
professionali con una delle parti che possano
pregiudicarne l'autonomia e ledere i doveri di
indipendenza e imparzialità propri della funzione
arbitrale ricoperta, o se una delle parti del
procedimento sia assistita da altro professionista di
lui socio o con lui associato ovvero che eserciti negli
stessi locali” (CNF 21 settembre 2007, n. 121).
“Pone in essere un comportamento
deontologicamente rilevante, perché lesivo del dovere di
indipendenza e imparzialità, l'avvocato che assuma la
funzione di arbitro pur essendo il difensore di una
delle parti in altro procedimento, a nulla rilevando che
egli in realtà non abbia svolto funzioni difensive ma
sia stato un semplice domiciliatario” (CNF 10 novembre
2004, n. 269).
La modifica conferma che l’avvocato
dovrà comunicare per iscritto alle parti le eventuali
ragioni ostative alla sua nomina, per ottenerne il
consenso; ma non potrà mai superare i limiti dettati
dall’art. 815, primo comma, cod. proc. civ. (interesse,
parentela, causa pendente ecc.).
Il consenso delle parti (ovviamente
di entrambe) può dunque avere una sua rilevanza,
deducibile dalla prossima massima che riguarda
assunzione di incarico contro ex cliente, ma che può
comunque orientarci:
“Il precetto deontologico di cui
all'art. 51 c.d. non consente all'avvocato di assumere
incarichi contro ex clienti, a meno che sia decorso un
ragionevole periodo di tempo, l'oggetto del nuovo
incarico sia estraneo a quello espletato in precedenza e
non vi sia possibilità, per il professionista, di
utilizzare notizie precedentemente acquisite.
Conseguentemente, pur quando non ricorrano nella
fattispecie tutte le condizioni innanzi richiamate, il
rigido tenore della predetta norma può indubbiamente
ritenersi superato allorché il soggetto - alla cui
tutela la norma è in parte orientata -, autorizzando
espressamente il professionista a non tener conto del
divieto, lo libera dal vincolo deontologico impostogli
dal precetto” (CNF 22 ottobre 2010, n. 120).
Ma in generale, il suggerimento è
quello di gestire la nomina, oltre che nel rigido
rispetto della regola deontologica, soprattutto con
trasparenza ed equilibrio.
E senza esagerare, perché... “Pone
in essere un comportamento deontologicamente rilevante e
lesivo del dovere di correttezza e autonomia propri
della classe forense l'avvocato che, nominato arbitro
unico, non comunichi di aver assunto in precedenza un
incarico professionale da una delle due parti in causa,
ma anzi, successivamente alla nomina, assuma altro
incarico professionale dalla medesima parte” (CNF 8
novembre 2001, n. 229)!
Articolo di Antonino Ciavola)
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[i] R. DANOVI, Il codice
deontologico forense, introduzione.
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