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Dal 20 marzo 2012 la procedura di
mediazione obbligatoria riguarderà anche la materia
condominiale e la responsabilità civile per i danni
derivanti da circolazione di autoveicoli (“L'esperimento
del procedimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale”: art. 5, primo
comma, D.Lgs. n. 28/2010).
Tralasciando in questa sede le
problematiche relative allo “tsunami” che produrrà il
settore dell’R.C. auto, è opportuno valutare l’impatto
di questa novità in ambito condominiale, che sarà
certamente dirompente tenuto conto che in Italia oltre
la metà della popolazione – e nelle grandi città la
quasi totalità dei cittadini - vive in condominio
(peraltro, a conferma di quanto appena affermato, si
evidenzia che, secondo i dati del Censis, su tutte le
vertenze nel 2007, circa il 4,5% sono state in ambito
condominiale).
La materia condominiale è
particolare, perché a differenza del resto del diritto
civile, che è regolato dalle norme del codice e dalla
legislazione, quello condominiale sembra quasi essere un
enclave improntato al “common low” anglosassone
all’interno del nostro ordinamento.
Ed infatti, essendo la materia
condominiale basata sulla oramai superata normativa
codicistica ossia su regole dettate per un istituto che,
all’epoca della normazione del codice, era, a dir poco,
embrionale oggi si aspetta, oramai da decenni, la
riforma del diritto condominiale.
Nell’attesa che il legislatore
adegui le norme ai tempi la magistratura ha dovuto
supplire con interventi che, più che interpretare, hanno
tentato di “riscrivere” le regole.
Per tale motivo ritengo che, in
materia condominiale, sembra che l’ordinamento italiano
ammetta un sistema quasi di “common low” ossia basato
sui precedenti giurisprudenziali più che su codici e
leggi.
Ed infatti molti argomenti sono
stati oggetto di mutamento di orientamento anche solo
negli ultimi anni (basti pensare alla possibilità di
modifica delle tabelle millesimali “a maggioranza” e non
all’unanimità o alla “vexata questio” della parziarietà
e solidarietà su cui si dibatte praticamente da sempre,
e che vede il prevalere alternativo dei “seguaci” del
Branca e del Salis ad ogni cambio di composizione della
Suprema Corte).
In relazione quindi al procedimento
di mediazione, il problema preliminare è quello di
stabilire se l’amministratore sia legittimato – senza il
preventivo consenso dell’assemblea – a decidere se
partecipare o meno al procedimento di mediazione e, in
caso ritenga di dovervi partecipare, se debba essere
assistito.
Sul punto è bene ricordare che un
argomento del quale si dibatte da tempo è quello del
potere dell’amministratore di conferire mandato ad un
legale per rappresentare il condominio in giudizio.
Anche su tale argomento si assiste
ad un alternarsi di orientamenti che non ha mai portato
ad una definizione precisa della materia.
Per un lungo periodo dottrina e
giurisprudenza ritenevano – sulla base di una
interpretazione estensiva dell’art. 1131 del codice
civile – che l’amministratore fosse legittimato, anche
senza il preventivo consenso dell’assemblea
condominiale, a poter “resistere” in giudizio ed a
proporre azioni a difesa delle parti comuni (ossia nei
limiti dell’art. 1130 n. 4), salvo poi la ratifica
successiva dell’assemblea condominiale; mentre per le
liti “attive” era comunque necessario il preventivo
consenso dell’assemblea dei condomini.
Poi un orientamento diverso e, a
mio modesto avviso, migliore, ha preso piede sulla base
di alcune lungimiranti pronunzie sia di merito che di
legittimità.
In particolare si evidenzia quanto
stabilito sul punto dalla Cassazione nel 2004 (con
sentenza n. 22294 pronunciata il 26 novembre 2004;
edita, tra l'altro, in Foro It., 2005, 7/8, I, 2082 ss.)
che ha ritenuto che il convincimento in ordine alla
sussistenza di una generale legittimazione passiva
dell'amministratore trovi il suo fondamento in una
erronea interpretazione degli artt. 1131 commi I e II
c.c., alla stregua del quale se l'amministratore può
risultare destinatario della notificazione di qualunque
azione concernente le parti comuni dell'edificio da ciò
discenderebbe l'illimitatezza dei suoi poteri
rappresentativi processuali dal lato passivo e,
pertanto, ha statuito che: "Il collegio ritiene di non
condividere tale orientamento, in quanto basato su una
interpretazione dell'art. 1131, secondo comma, cod. civ.
che non tiene conto della ratio ispiratrice di tale
norma, la quale è diretta a favorire il terzo il quale
voglia iniziare un giudizio nei confronti del
condominio, consentendogli, invece di citare tutti i
condomini, di notificare la citazione
all'amministratore. Nulla, invece, nella norma in
questione giustifica la conclusione secondo la quale
l'amministratore sarebbe anche autorizzato a resistere
in giudizio senza essere a tanto autorizzato
dall'assemblea. Una volta chiarito tale punto, va
rilevato che, in considerazione del fatto che la c. d.
autorizzazione della assemblea a resistere in giudizio
in sostanza non è che un mandato all'amministratore a
conferire la procura ad litem al difensore che la stessa
assemblea ha il potere di nominare, per cui, in
definitiva, l'amministratore non svolge che una funzione
di mero nuncius .".
Sul punto è intervenuta anche la
dottrina (Dott. Gian Andrea Chiesi, magistrato, in "Spia
al Diritto" del 28 settembre 2005) che ha notato che:
"l'autorizzazione dell'assemblea a resistere si pone
quale condicio sine qua non affinchè l'amministratore,
nella propria veste di mandatario, possa conferire il
mandato difensivo ad un legale e sottoscrivere la
relativa procura alle liti. In mancanza, non potrà che
concludersi - e salva la facoltà del Giudice di disporre
l'integrazione delle necessarie autorizzazioni, ex art.
182 cod. proc. civ. - per l'inammissibilità della
costituzione in giudizio del condominio e la
declaratoria di contumacia dello stesso (con le
conseguenti responsabilità in capo all'amministratore)."
ed ancora "i condomini si vedono involontariamente
coinvolti in un giudizio, senza neppure essere a
conoscenza degli atti di causa - casomai addirittura
condividendo le motivazioni sottese alla lite .- e salvo
essere posti, solo in un secondo momento e a "giochi
fatti", di fronte all'alternativa tra la ratifica, da un
lato, di una nomina già effettuata “motu proprio”
dall'amministratore e la scelta, dall'altro, di un
legale di fiducia del condominio (non di un suo, pur
qualificato, rappresentante) ovvero di dissentire
rispetto alla lite, con duplicazione, nel primo caso, di
esborsi, ovvero, nella seconda ipotesi ed in caso di
vittoria, con possibile sostenimento di spese non volute
(cfr., a tale ultimo proposito, l'art. 1132, comma 3,
cod. civ.) .". (sul punto cfr. conforme anche Izzo,
Milano, 2005, 209); conforme anche la migliore
magistratura di merito (“in assenza della delibera
dell’assemblea dei condomini che autorizzi
l’amministratore a resistere in giudizio,
l’amministratore è carente di legittimazione
processuale, donde discende l’irritualità della
costituzione del rapporto processuale e, per l’effetto,
l’inammissibilità della costituzione in giudizio del
condominio”: Tribunale di Torre Annunziata, sezione
distaccata di Torre del Greco, sentenza 19 ottobre
2006).
E' concorde sul punto anche la
giurisprudenza amministrativa che ha ritenuto che fosse
"inammissibile l'atto di intervento in giudizio di un
condominio ove la deliberazione assembleare con cui è
stato ratificato l'intervento risalga a epoca successiva
alla notifica dell'atto di intervento stesso" (T.A.R.
Lombardia Milano, 4. luglio 2002, n. 3115), ovvero che
"l'amministratore di condominio non è legittimato a
impugnare -in difetto di delibera dell'assemblea dei
condomini- il provvedimento sindacale contingibile e
urgente adottato nei confronti del condominio" (Cons.
Stato, 21 luglio 1988, n. 478).
Questa corretta interpretazione è
stata poi confermata anche dalla Cassazione nel 2006
(cfr. sentenza della II sezione civile del 25 gennaio
2006, n. 1446) che ha espressamente statuito commentando
la ratio dell'art. 1131, secondo comma che: "Nulla,
contemporaneamente, nella stessa norma, giustifica la
conclusione secondo cui l'amministratore sarebbe anche
legittimato a resistere in giudizio senza essere a tanto
autorizzato dall'assemblea. Considerato, inoltre, che la
cosiddetta autorizzazione dell'assemblea a resistere in
giudizio in sostanza non è che un mandato
d'amministratore a conferire la “procura ad litem” al
difensore che la stessa assemblea ha il potere di
nominare, in definitiva, l'amministratore non svolge che
una funzione di mero “nuncius" e che pertanto è
inammissibile l'azione proposta dall'amministratore
"senza espressa autorizzazione della assemblea.".
Sul punto è poi intervenuta
nuovamente la Suprema Corte con una pronunzia, a Sezioni
Unite, (la n. 18331 del 6 agosto 2010) che ha
specificamente statuito che: "Sulla questione sottoposta
all'esame di queste Sezioni Unite esistono nella
giurisprudenza di legittimità due diversi orientamenti:
il primo (maggioritario) afferma che l'amministratore
può costituirsi nel giudizio promosso nei confronti del
condominio e può impugnare la sentenza sfavorevole al
condominio pur se a tanto non autorizzato dall'assemblea
condominiale; il secondo (minoritario) sostiene, invece,
che in assenza di tale deliberazione assembleare
l'amministratore e' privo di legittimazione a
costituirsi e ad impugnare. ...... Alla luce delle
considerazioni svolte va enunciato il seguente principio
di diritto: "L'amministratore di condominio, in base al
disposto dell'art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche
costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza
sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto
dall'assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la
necessaria ratifica del suo operato da parte
dell'assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità
dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione".
Per contro l’opposta teoria
tradizionale ha trovato nuova linfa da una ultima e
recentissima Cassazione (sentenza del 23.8.2011 n.
17577) che ha statuito “in tema di controversie
condominiali, la legittimazione dell'amministratore del
condominio, dal lato attivo coincide con i limiti delle
sue attribuzioni, mentre dal lato passivo, non incontra
limiti e sussiste in ordine ad ogni azione concernente
le parti comuni dell'edificio”.
In seno a tale problematica era
interessante stabilire l’efficacia processuale di una
delibera successiva che avesse ratificato l’operato
dell’amministratore inizialmente sprovvisto del mandato
assembleare.
Sul punto si era più volte espressa
la giurisprudenza statuendo ad esempio che “Il
conferimento da parte dell'assemblea condominiale
all'amministratore del condominio del potere di stare in
giudizio in una controversia non rientrante tra quelle
che può autonomamente proporre ai sensi del primo comma
dell'art. 1131 cod. civ. può sopravvenire utilmente, con
effetto sanante, dopo la proposizione dell'azione.”:
Cassazione del 13.12.2006 sentenza n. 26689 (in rigetto,
all’App. Torino del 31.12.2002).
Va segnalato che, in sede
processuale, altri ritenevano comunque, preliminarmente,
che, il terzo non potesse eccepire il superamento dei
poteri dell'amministratore, essendo i limiti degli artt.
1130 e 1131 c.c. posti a salvaguardia esclusiva dei
diritti dei condomini (Cass. Sez. II 20 febbraio 1997,
n. 1559); ed infatti questi ultimi, possono sempre
ratificare l'operato dell'amministratore (App. Milano,
20 novembre 1998).
E ciò sulla base della
considerazione che la procura ad litem, rilasciata dalla
parte processuale al suo difensore ai sensi dell’art. 83
c.p.c., lungi dal costituire un atto processuale è un
negozio giuridico rientrante nell’istituto della
rappresentanza e che pertanto a tale figura si applica
una disciplina speciale data dall’insieme delle
disposizioni contenute nel codice di procedura civile
(artt. 83 c.p.c.) e da quelle contenute nel Libro IV,
Capo VI del Codice Civile riguardanti la rappresentanza;
e poiché l’art. 83 c.p.c. non si pronunzia in alcun modo
sugli effetti della procura successiva si devono,
quindi, analizzare le disposizioni generali del diritto
civile e processuale vigente; in proposito dal combinato
disposto degli articoli 1398 e 1399 c.c. emerge la
possibilità del rappresentato di ratificare l’opera di
chi ha agito in nome e per conto di altri senza averne i
poteri; e nel caso in questione tale fattispecie è
comunque di gran lunga di gravità minore posto che il
mandato è comunque sottoscritto dall’amministratore di
condominio, ossia dal legale rappresentante dell’ente
condominiale e non ad esempio da un falsus procurator ;
sul punto si è espressa la Suprema Corte proprio che, in
merito agli effetti della procura ad litem sul
rappresentato, ha stabilito che: “Ai fini del valido
conferimento della procura rilasciata a margine
dell’atto di citazione non è necessario che esso sia
contestuale o successivo alla redazione della citazione,
non essendo richiesta a pena di nullità la dimostrazione
della volontà della parte di fare proprio il contenuto
dell’atto nel momento stesso della sua formazione o ex
post” (Cass. 8904/94); e, quanto agli effetti sananti
della ratifica, basta ricollegarsi a quanto statuito
dall’art. 1399 c.c..
Tale interessante problematica
processuale – anche in riferimento ad un’eventuale
eccezione di difetto di jus postulandi sollevata
tempestivamente in relazione non solo al disposto
dell’art. 163 n. 5 c.p.c. ma, anche, alla normativa
sulle preclusioni alle attività difensive come novellata
dalla riforma del codice di rito del 2005 – è di fatto
stata “sterilizzata” dalla riforma dell’art. 182 c.p.c.
(come riscritto dall’art. 46 comma II della legge n. 69
del 18 giugno 2009) che ha rafforzato il potere del
giudice di poter invitare le parti a sanare la posizione
processuale mediante il deposito di atti e documenti.
E quindi parrebbe che la produzione
documentale sanante non incontri limiti preclusivi
proprio a norma del disposto dell’art. 182 c.p.c.
novellato, in forza del quale l’autorizzazione del
Condominio sarebbe potuta addirittura sopravvenire dopo
l’instaurazione del giudizio con efficacia sanante ex
nunc (cfr. G. Buffone, in “Sanabilità dei vizi afferenti
alla validità della procura”, scritto presentato al
seminario di formazione professionale tenuto dall’Ordine
degli avvocati di Catanzaro del 14 luglio 2009, dal
titolo “Prime riflessioni sulla novella al codice di
procedura civile”).
Ciò posto la giurisprudenza si è
sempre orientata per il difetto di legittimazione in
caso di mancanza di mandato per le cause “attive” (cfr.
Tribunale di Napoli – IV sezione civile, sentenza n.
7510/2010 del 1.7.2010 nella quale nel rigettare le vane
istanze del condominio il giudice ha espressamente
statuito che poiché il mandato condominiale “… non
risulta essere stato conferito per procedere alla
proposizione della domanda giudiziale nei confronti … ”
… “dichiara inammissibile la domanda proposta dal
condominio sito in … in persona dell’amministratore pro
tempore …”.; parimenti ha sanzionato il difetto di “jus
postulandi”, acclarandone anche la nullità dell’azione
proposta il Tribunale di Napoli, III sezione civile del
18.3.2011, che ha statuito che “il ricorso introduttivo
del presente giudizio deve ritenersi nullo” poiché
“secondo l’insegnamento della giurisprudenza di
legittimità, inoltre, il difetto di legittimazione
processuale dell’amministratore di un condominio,
attenendo alla legittimità del contraddittorio, nonché
alla validità della sua costituzione, determina la
nullità degli atti processuali compiuti ed è rilevabile
anche d’ufficio (Corte di Cassazione sentenza n.
1926/1997). Pertanto nel caso in esame la procura doveva
essere rilasciata da una persona della quale fosse non
solo dichiarata, ma anche dimostrata la qualità di
titolare del potere rappresentativo sulla base di una
specifica delibera o del regolamento condominiale, che
non risultano, invece, prodotti in giudizio. Sul punto
la Corte di Cassazione ha precisato che “in tema di
condominio di edifici colui che agisce in giudizio in
nome del condominio deve dare la prova, in caso di
contestazione, della veste di amministratore e quando la
causa esorbita dai limiti di attribuzione dell’art. 1130
cod. civ., di essere autorizzato a promuovere l'azione
contro i singoli condomini o terzi. Tale onere
probatorio è da ritenersi assolto con la produzione
della delibera dell'assemblea condominiale dalla quale
risulti che egli è l'amministratore e che gli è stato
conferito mandato a promuovere l'azione giudiziaria”.
(Corte di Cassazione sentenze n. 8520/2003, n.
13164/2001, 6697/1991).” e quindi “in conclusione il
ricorso deve ritenersi nullo” e “P.Q.M. il Tribunale …
dichiara la nullità del ricorso introduttivo del
presente giudizio.”.
Fatta tale necessaria premessa
processuale si può passare ad analizzare quali siano le
facoltà dell’amministratore di poter decidere se
intervenire ad una procedura di mediazione.
La soluzione a tale problematica
non è assolutamente scontata né univoca.
Ed infatti, proprio per quanto
sopra esposto in relazione alle problematiche
processuali, non si può considerare automatica la
legittimazione dell’amministratore in materia di
mediazione.
Già concettualmente la mediazione
tramite amministratore di condominio è fortemente
“depotenziata” rispetto a quella tradizionale, posto che
la partecipazione dell’amministratore alla conciliazione
postula, come necessario presupposto, l’assenza dei
condomini (che sono la parte interessata in quanto
titolari dei diritti oggetto del futuro eventuale
processo, dato che il condominio è comunque un ente di
gestione); il mediatore infatti ha, tra le varie
funzioni, quella di chiarire alle parti quali possano
essere le eventuali possibili soluzioni e ciò anche
indipendentemente dall’eventuale esito processuale o
dalle ragioni giuridiche delle parti.
All’uopo non soccorre la novella
“punitiva” in materia di mediazione (art. articolo 8,
comma 5, decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28) che,
anzi, acuisce solo le eventuali responsabilità
dell’amministratore, posto che, per tale norma, il
giudice adìto condanna, con ordinanza non impugnabile
pronunciata d’ufficio alla prima udienza, la parte
costituita che non ha partecipato al procedimento di
“mediazione obbligatoria” senza giustificato motivo al
versamento di una somma di importo corrispondente al
contributo unificato dovuto per giudizio. E, d’altra
parte, i termini necessariamente ristretti che
intercorrono tra la convocazione e la seduta di
mediazione (e l’informativa spesso lacunosa dell’oggetto
della mediazione) con quasi certezza impediranno la
preventiva convocazione di un’assemblea di condominio,
che fornisca all’Amministratore le necessarie
indicazioni su come comportarsi rispetto al procedimento
di mediazione.
La posizione dell’amministratore è
perciò assolutamente “scomoda”. Ed infatti, tale nuova
normativa pone all'amministratore un ristretto ventaglio
di possibili scelte, nessuna delle quali sicura e/o
corretta. Mentre, infatti, pare consolidato
l’orientamento che ritiene che rientri nell’ambito delle
facoltà dell’amministratore quella di sottoscrivere
l’informativa relativa alla possibilità di avvalersi
della mediazione, non altrettanto chiara e concorde è la
dottrina sulla possibilità dell’amministratore di essere
parte del procedimento di mediazione senza il preventivo
assenso dell’assemblea condominiale.
Per quel che concerne la procedura
di mediazione obbligatoria, pertanto, qualsiasi scelta
operata dall’amministratore, sebbene in buona fede e
nell’esclusivo interesse del condominio, potrebbe - in
astratto - essere oggetto di critica dal condominio (o
da alcuni condomini).
A titolo meramente esemplificativo,
se vi è una comunicazione di un invito in mediazione per
una richiesta di risarcimento danni da infiltrazioni
l'amministratore può:
non aderire
aderire ed andare da solo in
mediazione
aderire ed andare accompagnato da
un legale
aderire ed andare accompagnato da
un legale e con l'ausilio di un perito (es. ingegnere).
Qualsiasi di queste scelte comporta
una assunzione di responsabilità in quanto:
se da una parte chiedere l'ausilio
di un consulente (legale e tecnico) impone un onere
economico;
il non andare o l'andare senza
consulente può produrre effetti negativi (processuali o
sull'esito della mediazione).
Poniamo ad esempio l’ipotesi in cui
l’eventuale successivo procedimento rientri nelle
competenze dell’amministratore (e che, quindi, tale
fattispecie non richieda il preventivo assenso
assembleare), lo stesso amministratore sarà tenuto a
promuovere l’azione giudiziaria ed a conferire mandato
(ad esempio in materia di difesa delle parti comuni),
altrimenti potrebbe essere citato in giudizio per
rispondere dei danni; ma come deve comportarsi
l’amministratore in caso di invito comunicato al
condominio come parte di un procedimento di mediazione ?
E in tale caso l’assicurazione
professionale dell’amministratore “coprirà” le eventuali
scelte “sbagliate” (o comunque non condivise/ratificate
dal condominio) pre-processuali (es. mancata
partecipazione alla mediazione) che però non solo hanno
conseguenze processuali (es. ex II comma art. 116
c.p.c.) o economiche (condanna, ex art. articolo 8,
comma 5, d.l. 4.3.2010, n. 28, al pagamento del
contributo unificato)?
L’amministratore, in caso di
ricevimento di atto di un invito al procedimento in
mediazione, potrebbe inviare una comunicazione all’ente
di conciliazione per richiedere di posticipare il primo
incontro in modo da avere il tempo di convocare
l’assemblea, ma - indipendentemente dall’esito di tale
richiesta - il problema potrebbe anche non essere
risolto posto che l’assemblea potrebbe anche non
deliberare (es. andare “deserta”).
Onde evitare l’inconveniente
segnalato, riterrei opportuno che, ancor prima della
prossima entrata in vigore della normativa in esame (e
comunque prima che giungano gli “inviti” per le future
procedure di mediazione), venga convocata
dall’Amministratore una assemblea di Condominio con uno
specifico punto all'o.d.g. che metta l'assemblea nelle
condizioni di scegliere, preventivamente, come
indirizzare l’operato dell’amministratore ed in tal modo
esoneri l’amministratore dal dover decidere assumendosi
la responsabilità della scelta.
Uno schema base del punto da
inserire nell'o.d.g. potrebbe essere il seguente:
“Mediazione ex D.Lgs. n. 28/2010:
entrata in vigore del tentativo obbligatorio di
mediazione in materia condominiale dal marzo 2012.
Eventuali delibere in merito alla preventiva
autorizzazione all'amministratore pro tempore del
condominio a partecipare al procedimento di mediazione.
Eventuale delibera di autorizzazione preventiva
all'amministratore a conferire mandato ad un avvocato
per l’assistenza e la consulenza in sede di mediazione
ed anche eventualmente in sede giudiziaria in caso di
mancata conciliazione. Eventuale delibera di
autorizzazione preventiva all'amministratore per
conferire l'incarico ad un perito/tecnico per
l’assistenza e la consulenza in sede di mediazione ove
la materia lo richieda.”.
La delibera dovrebbe poi dare
istruzioni anche in riferimento alle varie possibili
ipotesi di argomenti oggetto della mediazione (come
nell’esempio del danno da infiltrazioni deve essere
chiarito se l’amministratore deve aderire alla
mediazione e se deve essere assistito da un legale e da
un perito).
E’, a mio avviso, utile tale
discussione preventiva in seno all’assemblea anche se
poi, chiaramente, ove, in sede di mediazione, si
prospetti una concreta ipotesi di conciliazione,
l’amministratore dovrà comunque convocare nuovamente
l’assemblea ponendo all’o.d.g. i termini precisi della
eventuale proposta; in questo caso, se l’assemblea
deliberasse di accettare la proposta, tale proposta
dovrà essere integralmente recepita – ossia negli stessi
termini della delibera condominiale – nel verbale di
conciliazione.
Problema ulteriore si porrebbe nel
caso in cui la proposta fosse dall’assemblea deliberata,
ma con quorum insufficienti. A mio avviso, in caso di
mancata impugnazione, l’amministratore dovrebbe comunque
procedere a sottoscrivere il verbale di conciliazione.
Più problematica sarebbe la posizione
dell’amministratore in caso di impugnativa posto che,
fino all’eventuale sospensione e/o annullamento,
l’amministratore sarebbe comunque tenuto ad eseguire il
deliberato, ma le conseguenza giuridiche – a lungo
termine posti i tempi della giustizia – dell’eventuale
annullamento del deliberato sarebbero difficilmente
riproducibili in un verbale di conciliazione; il tutto
con la prevedibile conseguenza che l’altra parte del
procedimento sarebbe quindi poco motivata a concludere
positivamente la mediazione.
Nonostante la disciplina della
mediazione non abbia radicamento territoriale -
probabilmente perché all’epoca del concepimento della
normativa il legislatore non sapeva quanti organismi di
mediazione sarebbero sorti e dove sarebbero stati
ubicati - si deve ritenere, per analogia a quanto
disciplinato dagli artt. 23 e 810 c.p.c., che la
mediazione debba svolgersi presso un organismo di
mediazione sito nella stessa circoscrizione ove sorge
l’edificio condominiale; ed anche su questo punto
sarebbe utile una intervento integrativo del
legislatore.
Non è poi chiaro quali siano le
materie “condominiali” oggetto di mediazione
obbligatoria.
Oggetto di mediazione sono
sicuramente le impugnative di deliberazioni assembleari
condominiali ed anche le azioni tese alla formazione o
alla revisione delle tabelle millesimali.
Va chiarito che in materia di
impugnazione di delibere resta, chiaramente, sospeso il
termine per l’impugnazione stessa per il periodo
necessario ad esperire il tentativo di conciliazione
(quattro mesi).
Non dovrebbero essere oggetto di
mediazione obbligatoria le eventuali cause che
vedrebbero parte “passiva” il condominio contro un
fornitore di servizi (di pulizia, di manutenzione
dell’ascensore o di caldaie, di disinfestazione, ecc.) o
contro le ditte che hanno eseguito lavori edili al
fabbricato condominiale posto che la natura di tali
vertenze è di mero recupero crediti.
Non sono oggetto di mediazione
obbligatoria: i ricorsi per decreto ingiuntivo ex art.
63 disp. att. c.c. (ma anche le aste giudiziarie
relative agli appartamenti dei condomini morosi), le
procedure concernenti la nomina e/o la revoca
dell’amministratore del condominio, i procedimenti di
cui all’art. 1104 del c.c..
Sono pure esclusi dal procedimento
di mediazione obbligatoria i giudizi cautelari, le
vertenze possessorie, i procedimenti per convalida di
licenza o sfratto (di locali condominiali) fino al
mutamento del rito, i procedimenti di opposizione o
incidentali di cognizione relativi comunque a esecuzione
forzata.
Sono parimenti esclusi i
procedimenti di volontaria giurisdizione e/o comunque
camerali.
Inutile soggiungere che nemmeno
sono soggetti alla mediazione obbligatoria le azioni
civili spiegate come parti civili nel processo penale.
Una problematica a parte riguarda i
procedimenti in cui sarebbero parti sia un condomino che
il condominio per le problematiche attinenti ai
conflitti di interessi ed ai quorum assembleari
(soggetti alla cd. prova di resistenza).
Per la casistica assicurativa in
materia di condominio si deve distinguere:
tra quella relativa alla richiesta
di indennizzi sulla base della polizza globale
fabbricati che è comunque materia di mediazione
obbligatoria perché la vertenza si basa su un contratto
assicurativo;
e quella in cui il condominio è
parte invitata alla mediazione ma è opportuno che
richieda che sia invitata alla mediazione anche la
compagnia assicurativa per essere eventualmente
manlevato (proprio per la polizza globale fabbricati).
Sembra invece pacifico che
l’amministratore – come per la transazione - non possa
sottoscrivere alcun verbale conciliativo se non
autorizzato da specifica delibera condominiale che
recepisca preventivamente ed integralmente il contenuto
della mediazione.
Il problema, a questo punto, si
sposta sulle eventuali maggioranze necessarie affinchè
si possa effettivamente partecipare alla mediazione e/o
far sottoscrivere un verbale di conciliazione
all’amministratore. Deve quindi essere verificata se la
delibera “autorizzativa” alla conciliazione sia stata
presa con il quorum (costitutivo e deliberativo)
necessario.
Per le mediazioni concernenti la
rinunzia ai diritti reali su parti comuni (a favore di
un condomino o di un terzo) e/o comunque atti di
alienazione di parti comuni o di costituzione su di esse
di diritti reali o per le locazioni ultranovennali è
richiesto il consenso della totalità dei condomini. E
ciò perché in tali atti rileva il diritto dei condomini
uti singuli e non come partecipanti al condominio (ed
infatti in tali casi è improprio anche parlare di
delibera totalitaria o all’unanimità) e quindi tali atti
non sono di specifica competenza delle assemblee
condominiali (indipendentemente dalle maggioranze).
In caso di vertenze relative a
pendenze economiche (es. riparto di spese condominiali
oppure la definizione di pendenze col precedente
amministratore) dovrebbero essere sufficienti le
maggioranze ex art. 1136, comma 4 (ossia comma 2 per
esplicito rinvio) c.c..
Chiaramente in cause che
coinvolgono i singoli condomini contro il condominio
dovrebbero essere verificati i quorum per i possibili
conflitti di interessi e quindi con particolare
riferimento degli stessi quorum alla cd. prova di
resistenza.
Una ipotesi particolare e di
difficile soluzione è quella relativa alle possibili
vertenze tra l’amministratore ancora in carica ed il
condominio posto che l’amministratore è l’unico
rappresentante legale - sebbene pro tempore - del
condominio.
In questo caso l’assemblea dovrebbe
assolutamente delegare un terzo soggetto a rappresentare
il condominio in fase di mediazione per ovviare al
conflitto di interessi.
Quindi, come sempre, le future
pronunzie della giurisprudenza colmeranno i vuoti
legislativi … quasi a voler riaffermare che
effettivamente che la materia condominiale è regolata da
una sorta di non meglio precisato … “common low” …
. Articolo di Ghigo Giuseppe
Ciaccia)
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