La
Voce.info
Sono già molte le amministrazioni che hanno preso
provvedimenti di limitazione del traffico per sforamento
dei limiti di concentrazione delle polveri. Misure che
con il passare degli anni divengono via via più
inefficienti. E che spesso trascurano il rapporto fra i
benefici e i costi. Sarebbe invece opportuno definire
limiti di concentrazione degli inquinanti diversificati
per le varie zone d'Europa. Altrimenti non ci resta che
pagare le sanzioni comminate dall'Unione. Oppure
accettare che per alcuni mesi all'anno, il sistema
produttivo del Nord Italia venga fermato.
Nella prima settimana dello scorso dicembre, a Milano
ha attuato due giorni di blocco totale del traffico,
con annessa chiusura delle scuole. Provvedimenti
analoghi, anche se meno drastici, sono stati adottati da
altre amministrazioni locali dopo molti giorni di
sforamento dei limiti di concentrazione delle polveri.
Divieti di questo tipo hanno scarsa efficacia, sia
perché nel breve periodo i livelli di concentrazione
sono fortemente correlati alle condizioni atmosferiche,
sia perché gli effetti più rilevanti sulla salute si
manifestano nell’arco di molti anni. In tale ottica, il
parametro più significativo è la concentrazione media
annuale e non quanto accade in una singola giornata
o settimana.
LE POLVERI DIMINUISCONO, MA NON ABBASTANZA
L’analisi dell’evoluzione della concentrazione delle
polveri nell’arco degli ultimi decenni è peraltro
rassicurante. A Milano il PM10, che negli
anni Settanta si attestava a circa duecento microgrammi
per metro cubo, nell’ultimo lustro ha oscillato intorno
ai cinquanta. Come spesso accade anche in altri ambiti,
l’Italia non è però capace di rispettare i vincoli
imposti dalla Unione Europea, che prevedevano a
partire dal 2005 un limite annuo per le polveri sottili
di 40 microgrammi e non più di trentacinque superamenti
giornalieri della soglia di 50 microgrammi. Limiti che
sono stati ulteriormente irrigiditi a partire dal
gennaio 2010, quando il livello annuale di polveri è
stato portato a 20 microgrammi e il numero massimo di
sforamenti della soglia dei 50 microgrammi a sette
giorni. Colpa della nostra scarsa coscienza ambientale e
dello smodato attaccamento all’auto?
Come già evidenziato in passato, la quota di
mobilità soddisfatta dall’auto nel nostro paese è del
tutto analoga a quella che si registra negli altri paesi
europei. Se guardiamo alle emissioni di tutti i settori
scopriamo poi che in Lombardia la quantità di polveri
sottili procapite risulta essere molto al di
sotto della media UE (figura 1). Le concentrazioni
di inquinanti relativamente più elevate che si
registrano nella pianura padana sono quindi da
ricondursi alle “condizioni al contorno” più sfavorevoli
alla dispersione degli inquinanti: se stiamo un po’
peggio degli altri, la responsabilità non è nostra, ma
del cielo di Lombardia e delle Alpi.
PROVVEDIMENTI REALISTICI POCO EFFICACI
Non esistono oggi provvedimenti realistici che possano
modificare in misura significativa i livelli di
inquinamento. Si contrappongono spesso misure
“strutturali” a quelle “emergenziali”. In particolare,
per quanto riguarda le emissioni da traffico, si punta
soprattutto sul miglioramento qualitativo e quantitativo
del trasporto collettivo. Raramente vengono però
esplicitate le stime dei risultati che possono essere
conseguiti. Di quanto si può ridurre la concentrazione
media di polveri in un’area urbana con la realizzazione
di una nuova linea di metropolitana? Ogni infrastruttura
è un caso a sé, ma l’ordine di grandezza si può stimare
analizzando il caso della metropolitana di Torino
entrata in servizio nel 2006. La riduzione della
mobilità individuale grazie alla nuova infrastruttura è
risultata pari a circa 20mila spostamenti al giorno,
equivalenti all’1 per cento del traffico
complessivo di persone nell’area metropolitana.
Considerato il contributo del traffico commerciale e
quello delle altre sorgenti, la riduzione delle
emissioni è inferiore allo 0,5 per cento; in termini di
concentrazioni, la diminuzione è intorno agli 0,3
microgrammi.
Analoghe considerazioni possono essere svolte per l’Ecopass
milanese, il pedaggio al quale l’amministrazione Moratti
aveva voluto attribuire una veste ambientale. Grazie a
Ecopass le emissioni di polveri sottili nell’area
centrale di Milano sono diminuite da 32 a 21 kg al
giorno; la riduzione conseguita è notevole se si
considera la sola area a pedaggio, ma è pari allo 0,1
per cento delle emissioni provinciali. E le polveri sono
mobili... Anche tenendo in considerazione la diminuzione
delle emissioni all’esterno della cerchia dei Bastioni
(correlate al percorso effettuato dai veicoli
all’infuori dell’area soggetta a pedaggio), risulta
evidente come, allargando lo sguardo oltre il centro di
Milano, il contributo del provvedimento sia del tutto
marginale.
È LA TECNOLOGIA, BELLEZZA!
Più in generale, i provvedimenti volti a limitare la
mobilità privata divengono con il passare degli anni via
via più inefficienti. Consideriamo, ad esempio, le auto
alimentate a gasolio: le emissioni unitarie dei più
importanti inquinanti, ossidi di azoto (NOx)
e particolato, erano pari rispettivamente a 5 e a 0,4
g/km per un veicolo commercializzato negli anni Settanta
e sono state progressivamente ridotte fino a 0,18 e a
0,05 g/km per le auto a standard Euro 5 (figura 2); per
gli ossidi di azoto è prevista un’ulteriore riduzione a
0,08 g/km con lo standard Euro 6. Ciò significa che una
sola auto di quarant’anni fa emetteva più di cinquanta
veicoli odierni. E, di conseguenza, per avere la stessa
riduzione di emissioni che quarant’anni fa si otteneva
con un’auto in meno sulla strada, oggi è necessario
eliminarne dalla circolazione più di cinquanta
accrescendo in proporzione la perdita di utilità per
coloro cui è fatto divieto di spostarsi (e quella, per
la collettività, delle entrate fiscali correlate al
consumo di carburante). Per altro verso, per avere lo
stesso beneficio alla qualità dell’aria di un solo
chilometro di metropolitana costruito qualche decennio
addietro, oggi bisognerebbe costruirne 50 chilometri.
IL PARADOSSO E LA RAGIONE
Come spesso succede in campo ambientale (ma accade lo
stesso per le “grandi opere”), il rapporto fra i
benefici e i costi di una misura viene
trascurato. Dalla constatazione (corretta) che una
riduzione dell’inquinamento è positiva se ne fa
discendere illogicamente la conclusione che sia
opportuno adottare qualsiasi provvedimento che vada in
quella direzione. Portata alle estreme conseguenze,
questa prospettiva imporrebbe di azzerare qualsiasi
livello di mobilità o di attività economica che comporti
rischi per la salute e la sicurezza.
Ragionevolezza vorrebbe che la riduzione delle emissioni
si arrestasse quando il costo marginale supera il
beneficio. Sarebbe allora opportuno definire limiti di
concentrazione degli inquinanti diversificati per le
varie zone
come già proponeva alcuni anni fa l’allora direttore
generale e oggi ministro dell’Ambiente, Corrado Clini.
Senza una ridefinizione dei limiti, restano due
alternative: i cittadini italiani pagano le sanzioni
comminate dalla UE per l’infrazione di direttive
accettate con leggerezza, magari atteggiandosi a “primi
della classe”; oppure, per almeno due o tre mesi
all’anno, il sistema produttivo del Nord Italia
viene in larga misura fermato. Certo, se avessimo un
record migliore nel rispetto delle regole europee (da
quelle sul debito pubblico in giù) per le quali non
possiamo accampare valide giustificazioni, forse avremmo
qualche probabilità maggiore di vedere accolta la nostra
richiesta in questo caso specifico.
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