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Al di là della discussione sull'acquis
comunitario, sarebbe opportuno un accordo con la
Svizzera sulle attività finanziare lì nascoste da
residenti in Italia, sulla falsariga di quelli conclusi
da Germania e Gran Bretagna? È vero, si tratterebbe di
uno scudo, ma con aliquote di gran lunga superiori
rispetto a quelle applicate nel nostro recente passato.
E non sarebbe tombale. La ritenuta su interessi e
dividenti dei capitali regolarizzati non è europea, ma
rispecchia quanto previsto dai singoli paesi. La
posizione di chi non aderisce all'accordo.
Germania e Gran Bretagna hanno
chiuso di recente un accordo con la Svizzera sulle
attività finanziarie detenute (di nascosto) da propri
residenti nel territorio svizzero. L’Italia, invece, non
pare voler seguire la medesima strada. Il che appare
sorprendente considerato che è largamente condivisa
l’idea che fette importanti di patrimoni riconducibili a
residenti nel nostro paese trovino confortevole alloggio
presso i forzieri delle banche svizzere.
La cosa ha fatto rumore così che è
stato proprio Piero Giarda, il ministro dei Rapporti col
parlamento, a dichiarare alla Camera che non era questa
l’intenzione del governo. E che la valutazione derivava
non già da una sottovalutazione dei vantaggi in termini
di gettito che ne sarebbero potuti derivare ma,
piuttosto, dalla considerazione che un esame di
conformità all’acquis comunitario da parte della
Commissione europea avrebbe potuto facilmente condurre a
una sua solenne bocciatura. (1)
I PERCHÉ DEL NO ALL’ACCORDO
Nell’attesa, tuttavia, che questa
valutazione venga adeguatamente approfondita da esperti
di diritto comunitario, vale la pena cimentarsi col
merito degli accordi in questione per verificare se –
questioni comunitarie permettendo – valga la pena o meno
incamminarsi su questa strada. A parere di Andrea
Manzitti parrebbe proprio di no. Le sue obiezioni sono
riassumibili come segue:
1. si tratta, nei fatti, di uno
“scudo fiscale”. Un condono tombale
2. la Germania (o la Gran
Bretagna) non hanno alcun modo per verificare che le
banche svizzere coinvolte abbiano detto la verità
3. resta la riservatezza
(anonimato) per tutti coloro che aderiscono alla
sanatoria
4. chi, possedendo asset
(clandestini) in Svizzera alla data del 10 ottobre 2011,
li sposta prima del 31 maggio 2013 - ma li fa rientrare
dopo questa data - la fa franca (per la Gran Bretagna
cambiano le date di riferimento, ma non la sostanza)
5. sui frutti dei capitali
regolarizzati si applica una ritenuta del 25 per cento
anziché l’euroritenuta del 35 per cento.
MA I VANTAGGI CI SONO
La prima obiezione è perlopiù
centrata. Ma non vi è chi non veda che il difetto
principale degli scudi italiani stesse nelle scandalose
aliquote applicabili (2,5, 4 e 5 per cento) nelle
versioni susseguitesi. Per tedeschi e inglesi l’aliquota
è, invece, del 34 per cento. Il che rende indigesta la
misura a chi abbia a cuore il principio del “mai più
condoni”, ma solletica l’appetito di chi ha bisogno di
fare cassa. Non mi pare, invece, ci sia un effetto
“condono tombale”. Analogamente a quanto è avvenuto in
Italia con le cosiddette “dichiarazioni integrative” si
eleva la legittimità degli eventuali accertamenti in
misura pari agli importi “scudati”.
La seconda obiezione è fondata
anch’essa. Ma l’accordo è inserito pur sempre nel
contesto di rapporti di collaborazione e di scambio di
informazioni derivanti dal già vigente trattato contro
le doppie imposizioni (sia per Germania che per Gran
Bretagna) che ben potrebbe essere attivato per scoprire
le eventuali banche fellone. Del resto, la mano pesante
usata di recente dal fisco americano contro le banche
svizzere sta a dimostrare che, quando un sistema paese
di rilievo vuole stroncare la collaborazione fra banche
ed evasori, dei risultati si ottengono anche in assenza
di regole scritte di scambio di informazioni.
La terza obiezione è figlia della
prima della quale, peraltro, si è già detto.
La quarta obiezione è quella per
certi versi più insidiosa. Tanto da legittimare la
domanda del perché si è lasciato un buco all’apparenza
così facile da utilizzare. La mia lettura è che la
Svizzera voglia: (i) invitare i propri depositanti a
sceglierla per l’affidabilità del sistema svizzero –
anche sotto il profilo della tutela della riservatezza –
e non come ricettacolo di guadagni di dubbia
provenienza; (ii) lasciare libero chi vuole sottrarsi al
prelievo straordinario di andarsene senza aver
conseguito alcun beneficio su una piazza rispettabile;
(iii) irrigidire le norme in materia di apertura di
nuove posizioni finanziarie una volta scaduta la data
rilevante. Che il sistema svizzero creda nella
fondatezza di questa posizione emerge con chiarezza
dall’impegno delle banche svizzere a versare un importo
a titolo di acconto dell’imposta straordinaria che esse
prevedono di incassare (rispettivamente 2 e 0,5 miliardi
di franchi per Germania e Gran Bretagna) che viene
ipotizzato come non inferiore alla metà di quanto
dovuto.
Le ragioni per le quali il buco in
questione è stato accettato dai paesi contraenti paiono,
ovviamente, diverse. La prima potrebbe essere la pura e
semplice indisponibilità della Svizzera a fare di più.
La seconda è che gli asset di ritorno in Svizzera dopo
la data rilevante si troverebbero in situazione identica
a quella attuale: quindi anonimi solo perché nascosti,
non scudati né più scudabili. Cioè privi dei vantaggi
potenzialmente garantiti dall’accordo in questione.
La quinta obiezione è un po’ troppo
tranchant. Vero è che l’accordo fa strame dell’euroritenuta
del 35 per cento. Ma non sempre per concedere un
trattamento di maggior favore. Nell’accordo con la Gran
Bretagna, anzi, si conferma l’applicazione delle imposte
ordinarie inglesi che sono, per gli interessi, del 48
per cento e, per i dividendi, del 40 per cento. Al
contrario nel caso tedesco la ritenuta applicabile è,
effettivamente, del 25 per cento.
Un osservazione conclusiva
sull’acquis comunitario. Entrambi gli accordi in
questione sembrano riguardare anche l’Iva (più chiaro
nell’articolo 9, paragrafo 10, dell’accordo del Regno
Unito. Meno trasparente nell’articolo 7, paragrafo 6, di
quello tedesco). Dal momento che la Corte di giustizia
ha già avuto modo di bocciare il condono italiano del
2002 proprio per questa ragione pare improbabile
l’assunzione di una posizione diversa nel caso in esame.
(1) L’acquis comunitario è
l’insieme dei diritti, degli obblighi e degli obiettivi
politici e istituzionali che accomunano ogni stato
membro dell’Unione Europea. In particolare è composto
dai principi e gli obiettivi comuni stabiliti nei
trattati comunitari; la normativa comunitaria; dagli
atti adottati nell’Unione in materia di giustizia,
affari interni, politica estera e sicurezza; dagli
accordi internazionali. Ogni nuovo paese che desidera
entrare a par parte dell’Unione deve accettarli e
integrarli nel proprio ordinamento nazionale. |