Altalex.it
Sommario
1. Premessa
2. Convocazione, elettorato attivo
e passivo
3. Modalità di voto e di scrutinio
4. La scheda elettorale
5. Quorum ed elezione
6. L’interpretazione del voto e il
caso di parità
7. Il reclamo avverso i risultati
8. Le elezioni suppletive e le più
recenti decisioni
9. Conclusioni
1. Premessa
La normativa in materia di elezione
dei consigli degli Ordini forensi sarà presto riformata
in esecuzione dell’art. 3 del Decreto Legge 13 agosto
2011 n. 138, convertito in Legge 14 settembre 2011, n.
148; ma le elezioni che si avvicinano saranno ancora
regolate dalle antiche norme che qui commentiamo.
L’argomento è ancor oggi regolato
dal D.Lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 382 (norme sui
consigli degli ordini e collegi e sui consigli
nazionali), integrato dal D.Lgs. 26 febbraio 1948, n.
174.
Quest’ultima norma, rispetto alla
precedente, stabilisce in modo diverso – rispetto alle
altre professioni – il numero di componenti di ogni
consiglio forense: cinque se gli iscritti negli albi non
superano i cinquanta; sette se superano i cinquanta e
non i cento; nove se superano i cento e non i
cinquecento; quindici se superano i cinquecento.
Per il resto, le elezioni forensi
seguono le regole stabilite nel 1944 e la loro
interpretazione giurisprudenziale, a parte alcune
modifiche di dettaglio.
L’esame della normativa che andiamo
a condurre ne dimostrerà l’inadeguatezza rispetto alle
più moderne esigenze e potrà forse essere utile per la
redazione della attesa riforma.
2. Convocazione, elettorato attivo
e passivo
I componenti dei Consigli
dell’Ordine degli avvocati sono eletti nel mese di
gennaio, restano in carica due anni e scadono il 31
dicembre dell’anno successivo a quello dell’elezione;
rimangono in prorogatio fino all’insediamento del nuovo
consiglio.
L’elezione, a norma dell’art. 3 del
D.Lgs. Lgt. 23 novembre 1944 n. 382, è strutturata in
assemblea piuttosto che tramite seggi elettorali veri e
propri, e ciò comporta caratteristiche peculiari e
disparità di trattamento che appaiono incompatibili con
la moderna concezione delle elezioni.
I termini da rispettare per la
convocazione sono i seguenti:
Ø essa deve avvenire nei 15 giorni
anteriori alla scadenza del Consiglio, cioè tra il 17 e
il 31 dicembre;
Ø l’avviso deve essere inviato
almeno dieci giorni prima della assemblea iniziale, e
deve essere anche affisso nelle sale di udienza; il
primo adempimento può essere sostituito dalla doppia
pubblicazione su un giornale; occorre altresì, come
diremo tra breve, una pubblicazione sul sito internet
del CNF;
Ø la seconda convocazione per il
primo turno deve avvenire almeno tre giorni dopo la
prima;
Ø il ballottaggio si può svolgere
anche subito dopo il primo scrutinio, ma previa
convocazione.
Sarà quindi indispensabile che la
delibera di indizione delle elezioni preveda la data
della prima convocazione, quella della seconda e quella
del ballottaggio, nel rispetto dei termini di legge.
La locuzione nei quindici giorni
precedenti va intesa nel senso che nei 15 giorni occorre
convocare l’assemblea, mentre le elezioni si svolgono in
seguito[i], e comunque non oltre il mese di gennaio.
Ciò, per le elezioni forensi, è
espressamente previsto dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. n.
174/48.
Il CNF ha comunque stabilito, con
decisione n. 118 del 6 dicembre 1990, che il termine per
la convocazione dell’assemblea elettorale ha carattere
ordinatorio e non è prescritto a pena di nullità.
Per l’affissione dell’avviso nelle
sale di udienza, la dicitura normativa è intesa in senso
lato e quindi è sufficiente che l’avviso sia affisso nei
corridoi degli uffici giudiziari, nelle apposite
bacheche e più in generale nei luoghi frequentati dagli
avvocati per l’esercizio della professione[ii].
L’art. 5 del D.Lgs. Lgt. n. 382/44,
nel prevedere la necessità della maggioranza assoluta
per l’elezione, fa espresso riferimento ai “candidati”.
Tuttavia, in questo particolare
tipo di elezione non esiste una candidatura in senso
tecnico, ma tutti gli iscritti all’albo sono
eleggibili[iii], salve le precisazioni che illustreremo
tra breve.
Ciò deriva dalla struttura
assembleare della votazione, nella quale in teoria tutti
gli iscritti dovrebbero discutere i problemi del foro
locale ed insieme scegliere i loro rappresentanti.
Malgrado ciò sia superato dai tempi
e dal notevole numero degli iscritti, resta fermo il
principio per cui tutti gli iscritti negli albi e
nell’elenco speciale hanno diritto all’elettorato
passivo e possono essere votati anche se non hanno
manifestato la volontà di candidarsi.
Alcuni regolamenti locali prevedono
la possibilità di presentare una candidatura ufficiale,
ma ciò avviene a solo scopo divulgativo, per far cioè
conoscere (anche tramite appositi manifesti da affiggere
all’ingresso dei locali in cui si vota) la propria
disponibilità ed evitare inutili dispersioni di voti.
Sono ammessi a votare (e possono
essere votati) tutti gli iscritti in albi, ancorchè
versino in situazione di incompatibilità non ancora
accertata ufficialmente, ma non (anche se questo è
dubbio) gli avvocati colpiti da provvedimenti
disciplinari di sospensione.
Il requisito, infatti, è solo
quello dell’iscrizione nell’albo che viene meno soltanto
con la cancellazione e la radiazione; tutti gli iscritti
sono quindi elettori ed eleggibili, compresi coloro che
dopo l’iscrizione non abbiano ancora prestato
giuramento.
Anche la pendenza di un
procedimento di cancellazione non influisce sui diritti
elettorali (CNF 15 marzo 1968).
La consolidata regola per cui
qualunque avvocato iscritto può essere eletto prevede
un’eccezione introdotta dalla legge che ha riformato
l’esame per l’accesso alla professione.
Infatti, a norma della Legge 18
luglio 2003, n. 180, che ha convertito con modifiche il
D.L. 21 maggio 2003, n. 112, non possono essere
designati a componenti della commissione e delle
sottocommissioni avvocati che siano membri dei consigli
dell'ordine o rappresentanti della Cassa nazionale di
previdenza e assistenza forense. Gli avvocati componenti
della commissione e delle sottocommissioni non possono
candidarsi ai rispettivi consigli dell'ordine e alla
carica di rappresentanti della Cassa alle elezioni
immediatamente successive all'incarico ricoperto.
La norma è imprecisa poichè, come
abbiamo visto, non è necessaria una formale candidatura;
è certo, però, che è stata introdotta una speciale forma
di ineleggibilità per i membri delle commissioni e
sottocommissioni dell’esame di avvocato.
La ratio è quella di creare una
“separazione funzionale intesa ad impedire possibili
commistioni di attribuzioni reputate non opportune,
secondo una prospettiva di efficienza gestionale
perfettamente in linea con i valori espressi al riguardo
dalla Carta fondamentale”[iv].
In coerenza, il divieto di
candidarsi si applica “indifferentemente a quanti
abbiano partecipato, anche per breve tempo, a
commissioni i cui lavori siano terminati prima
dell'elezione ed a coloro che partecipino o abbiano
partecipato a commissioni d'esame ancora operative al
momento della consultazione elettorale” (CNF 24 novembre
2008, n. 153; CNF 20 maggio 2004, n. 140). E riguarda la
successiva tornata elettorale sia della Cassa che del
Consiglio dell’Ordine, e non soltanto la prima delle due
in ordine cronologico[v].
Conseguenza dell’eventuale elezione
in violazione del divieto è “la sola nullità originaria
della candidatura del soggetto non candidabile e del
voto dato allo stesso, con conseguente invalidità
originaria della sua elezione, senza incidere sul
risultato complessivo della tornata elettorale, che
resta valido ed efficace, così come i voti validamente
espressi agli iscritti eleggibili”[vi].
Altra novità è stata introdotta
dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 che ha convertito, con
modifiche, il decreto legge 14 marzo 2005 n. 35 (c.d.
competitività), stabilendo espressamente che gli
iscritti che versino in stato di sospensione non devono
essere convocati in assemblea, e quindi (si deduce che)
non hanno diritto di voto, nè attivo nè passivo.
Il nuovo testo normativo recita
così:
“L’assemblea per l’elezione del
Consiglio deve essere convocata nei quindici giorni
precedenti a quello in cui esso scade. La convocazione
si effettua mediante avviso spedito per posta almeno
dieci giorni prima a tutti gli iscritti, esclusi i
sospesi dall’esercizio della professione, per posta
prioritaria, per telefax o a mezzo di posta elettronica
certificata. Della convocazione deve essere dato altresì
avviso mediante annuncio, entro il predetto termine, sul
sito Internet dell’Ordine nazionale. È posto a carico
dell’ordine l’onere di dare prova solo dell’effettivo
invio delle comunicazioni. Ove il numero degli iscritti
superi i cinquecento, può tenere luogo dell’avviso
spedito per posta, la notizia della convocazione
pubblicata almeno in un giornale per due volte
consecutive. L’avviso e la notizia di cui ai commi
precedenti contengono l’indicazione dell’oggetto
dell’adunanza e stabiliscono il luogo, il giorno e l’ora
dell’adunanza stessa in prima
convocazione ed, occorrendo, in
seconda, nonché il luogo, il giorno e l’ora per
l’eventuale votazione di ballottaggio. L’assemblea è
valida in prima convocazione se interviene una metà
almeno degli iscritti, ed in seconda convocazione, che
deve aver luogo almeno tre giorni dopo la prima, se
interviene almeno un quarto degli iscritti medesimi”.
Con circolare n. 32-C-2005 del 27
dicembre 2005 il CNF ha comunicato, sul proprio sito
internet, l’attivazione dell’area nella quale
raccogliere tutti gli avvisi di convocazione.
Malgrado il chiaro testo (deve
essere dato altresì avviso...) il CNF ha deciso che “la
pubblicazione sul sito internet dell'Ordine nazionale
non costituisce adempimento la cui omissione determina
la nullità o l'annullamento delle operazioni
elettorali”[vii].
3. Modalità di voto e di scrutinio
L’art. 4 del D.Lgs. Lgt. n. 382/44
prevede che nell’assemblea in questione si proceda alla
chiamata nominativa di tutti gli iscritti nonchè ad una
successiva chiamata, un’ora dopo il primo appello, di
quelli che non risposero alla prima.
Si tratta di una norma che la
prassi costringe a disattendere, giacchè nei fori medio
– grandi è necessario allestire veri e propri seggi e
stabilire un periodo molto ampio, anche nell’arco di più
giorni, per consentire la partecipazione di un
sufficiente numero di iscritti.
Nella prassi, l’assemblea di prima
convocazione va deserta, poiché occorrerebbe per la sua
validità la partecipazione di almeno metà degli
iscritti, e la votazione avviene in seconda
convocazione, nella quale è sufficiente la presenza di
un quarto degli iscritti.
Sempre a norma dell’art. 4,
effettuata la doppia chiamata il presidente dichiara
chiusa la votazione ed assistito da due scrutatori da
lui scelti tra i presenti procede immediatamente e
pubblicamente allo scrutinio.
Tale modalità è lo specchio di
tempi ormai trascorsi, nei quali l’elezione si svolgeva
effettivamente a seguito di un dibattito pubblico e non
vi erano quasi mai contestazioni; tuttavia, al giorno
d’oggi, appare certamente singolare la previsione di un
presidente che a sua volta è candidato alle elezioni e
che procede allo scrutinio da solo, assistito da due
scrutatori da lui stesso scelti.
La giurisprudenza ha affermato che
tutte le circostanze apparentemente in contrasto con i
più elementari principi di democrazia e trasparenza sono
in realtà irrilevanti.
Così, è stato deciso che la
presenza come scrutatore di un candidato non costituisce
irregolarità determinante nullità[viii]; nessuna
irregolarità si ravvisa nella circostanza che il
presidente ancora in carica presieda l’assemblea ed
effettui lo spoglio, essendo tale compito a lui
espressamente affidato dalla legge; e le funzioni di
componente del seggio possono essere affidate a
qualunque iscritto, anche se consigliere uscente[ix] e
candidato.
Appare quindi eccessivamente
formalista quella giurisprudenza che stabilisce la
nullità delle operazioni elettorali quando non si sia
proceduto al secondo appello, espressamente previsto
dall’art. 4. Questo principio è stabilito in
giurisprudenza antica (CNF 25 febbraio 1972) e più
recente (CNF 19 dicembre 1995, n. 158); è stato altresì
statuito che il mancato rispetto del termine di un’ora
tra la prima e la seconda chiamata comporta la nullità
delle elezioni (CNF 3 dicembre 1998, n. 190), ma non
mancano decisioni più sagge che escludono ogni nullità
nell’ipotesi in cui sia stata garantita la più ampia
partecipazione, come nel caso in cui la possibilità di
votare sia stata distribuita in un’intera giornata o in
più giorni con orari prefissati.
Infatti, secondo autorevole
dottrina[x], confortata da giurisprudenza del CNF, il
sistema della legge che prevede un primo appello,
l’attesa di un’ora e un secondo appello diventa non
vincolante nel caso in cui le disposizioni in concreto
adottate abbiano reso possibile il comodo esercizio del
diritto di voto.
L’idea che in un grande Foro si
possa fare l’appello degli iscritti per ben due volte
suona assai strana: eppure la necessità della seconda
chiamata, dopo un’ora dalla prima, è stata statuita con
riferimento alle elezioni di Milano[xi]!
Più recentemente però il CNF,
appunto con la citata sentenza n. 173/2002, ha statuito
che “la omessa chiamata per appello nominale degli
iscritti all’ordine per l’esercizio del diritto di voto
non determina la nullità del procedimento elettorale per
le elezioni di ordini aventi un numero elevato di
iscritti, che si svolgano in più ore e in più giornate e
vedano una massiccia partecipazione di elettori”; è
un’interpretazione pratica, condivisibile e conforme
alla migliore dottrina, ma formalmente discutibile,
atteso che la norma generale dovrebbe essere
interpretata in modo uniforme e non con correttivi
legati alla situazione peculiare.
Tornando alla significativa
questione che potremmo definire del conflitto
d’interessi tra candidato e componente del seggio,
esigenze di maggiore trasparenza hanno indotto numerosi
consigli dell’ordine a dotarsi di regolamenti che
contemperano questa sorta di “potere assoluto”: si
prevede così che la lettura delle schede possa avvenire
a cura di altro avvocato scelto dal presidente e che
comunque i singoli candidati possano esaminare le schede
scrutinate.
Quest’ultimo aspetto è stato
trattato da una decisione del CNF, che ha affermato
l’insussistenza del diritto di ogni elettore di
esaminare personalmente le schede scrutinate[xii]; se ne
deduce che il diritto spetta a chi abbia un interesse
diretto, cioè al candidato in competizione.
Ancora, nella prassi corrente in
molti ordini ogni candidato ha due scrutatori (per
consentire un controllo incrociato) e dei due uno è di
fiducia dello scrutatore mentre l’altro è nominato dalla
presidenza.
Questi accorgimenti ed altri
simili, individuati dalla prassi, servono ad evitare
contestazioni, o almeno a favorirne la rapida
composizione nell’immediatezza dello spoglio.
Le vetuste norme che regolano
l’argomento hanno però provocato dubbi interpretativi;
il più importante sembra oggi chiaramente risolto, come
andiamo a esaminare.
4. La scheda elettorale
L’art. 2 del D.Lgs. Lgt. n. 382/44
si limita ad affermare che l’elezione avviene a
maggioranza assoluta di voti segreti per mezzo di schede
contenenti un numero di nomi uguale a quello dei
componenti da eleggersi.
Questa sintetica norma è stata
interpretata in modo assai singolare dalla Cassazione in
una controversia relativa alle elezioni del Consiglio
dell’Ordine degli Ingegneri; poichè la norma
interpretata è la stessa, il principio è stato applicato
anche alle elezioni forensi.
Secondo la Suprema Corte a sezioni
unite, 19 dicembre 1991, n. 13714, la norma sopra
riportata deve intendersi nel senso dell’obbligatorietà
per l’elettore di indicare un numero di nomi esattamente
uguale a quello dei membri da eleggersi e quindi, nel
caso di specie, occorreva indicare quindici nominativi
su quindici sotto pena di nullità della scheda.
Nella motivazione, la Cassazione
affermava che la necessità di indicare tutti i nomi
deriva da quella di comporre interamente il collegio: se
l’elettore avesse la possibilità di indicare meno
nominativi, vi sarebbe il rischio di non arrivare
all’elezione di tutti i consiglieri necessari.
La sentenza della Suprema Corte era
viziata da numerosi errori.
Per meglio comprendere la ragione
della formulazione normativa conviene riportare un passo
tratto da autorevole dottrina[xiii], che si riporta
anche alla sentenza del CNF del 25 febbraio 1972:
“l’elettore deve indicare, se la
votazione avviene con schede non recanti i nomi dei
candidati, coloro che intende votare – in numero non
superiore a quello dei consiglieri da eleggere – mentre,
in caso di schede compilate a stampa con l’elenco di
tutti i candidati o distinti in liste separate, può
manifestare la sua volontà con un segno tracciato in
corrispondenza dei nominativi dei candidati prescelti,
ovvero cancellando i nomi prestampati di coloro ai quali
non vuole attribuire il suo voto. Poichè, però,...tutti
gli iscritti sono eleggibili l’elenco unitario o le
distinte liste contenuti nelle schede non sono
vincolanti per l’elettore, il quale può anche sostituire
i nominativi prestampati con altri di sua scelta, nel
numero massimo degli eligendi”.
Le frasi sopra riportate ci
ricordano la modalità di elezione “bulgara” che era in
uso in quasi tutti i Fori fino a una ventina di anni
addietro: la scheda elettorale era già precompilata con
i nomi dei consiglieri uscenti e l’elettore, se
intendeva confermare il consiglio in carica, poteva
imbucarla così com’era, oppure era libero di cancellare
e sostituire alcuni o tutti i nominativi indicati,
purchè non superasse il numero massimo degli eligendi.
I candidati non prescelti venivano
quindi cancellati dall’elettore, e da questa attività
deriva l’espressione gergale, molto in uso nell’ambiente
elettorale forense, tagliamo Tizio.
Ovviamente, una simile modalità di
voto tende a favorire il Consiglio uscente, poiché
induce l’elettore a votare la scheda precompilata,
ovvero a modificarla solo in parte, lasciandone però
inalterati diversi nomi; per tale ragione, in quasi
tutti i Fori questa antica modalità è stata eliminata
(ma non in tutti; da qualche parte si vota ancora così,
come si legge in CNF, 5 ottobre 2010, n. 77!) ed il voto
è espresso tramite schede bianche che l’elettore deve
compilare.
Orbene, anche con il vecchio
sistema non era obbligatoria l’indicazione di tutti i
nomi, essendo l’elettore libero, come abbiamo visto, di
“tagliarne” alcuni; però questo spiega la lettera della
legge: un numero di nomi uguale a quello dei componenti
da eleggersi è quello contenuto nella scheda
precompilata, ma ciò non significa che vi sia un obbligo
di votare tutti i nomi possibili.
Se così fosse il nostro sistema
elettorale potrebbe definirsi maggioritario,
plurinominale, a preferenza multipla obbligatoria.
Che sia maggioritario, non c’è
dubbio: vince chi conquista più voti, intesi come voti
singoli, mentre l’accorpamento dei candidati in “liste”
ha il solo scopo di mostrare una condivisione di intenti
e di programmi, ma non vincola l’elettore che può
“pescare” i suoi prescelti tra liste diverse o tra
candidati singoli (e, come abbiamo detto, anche tra i
non candidati).
Ma sulla preferenza multipla
obbligatoria, chi scrive manifesta da anni profondo
dissenso segnalando che il testo di legge ha la
spiegazione storica sopra indicata; e che la tesi
suddetta contrasta con il principio – certamente di
rango superiore rispetto alla legge del 1944 – di
libertà del voto. Analogo dissenso è stato espresso da
autorevole dottrina[xiv].
Qualunque regola elettorale
conosciuta e comunemente applicata prevede la
possibilità di indicare più nomi, mai l’obbligo; anzi,
con la preferenza unica si va in direzione esattamente
opposta, nel senso di limitare la scelta piuttosto che
ampliarla con costrizione.
Inoltre, per il principio di
conservazione del voto, si potrebbe ipotizzare una
nullità parziale della scheda (nella parte in cui non
contiene alcuni nomi) ma non l’intera nullità,
travolgente anche i pochi nomi espressi.
Dopo una iniziale adesione alla
giurisprudenza della cassazione, il CNF ha mutato
orientamento e, con sentenza 3 ottobre 1997, n. 109, ha
statuito che l’indicazione di un numero di candidati
pari a quello da eleggere non risponde “ad un interesse
pubblico generale, nè a principi di ordine pubblico o di
esigenze della collettività, non presenta il carattere
della inderogabilità...”.
Pertanto, la volontà dell’elettore
non può essere coartata ed egli può esprimere, fino al
tetto massimo, “il numero di preferenze che crede dando
il sostegno al candidato o ai candidati che ritiene
maggiormente qualificati ad assumere la rappresentanza
forense...”.
La scheda, pertanto, sarebbe nulla
solo se contenesse un numero di preferenze superiore a
quello massimo[xv], ma più recentemente anche questo
tabù è stato superato, proprio accogliendo la tesi sopra
accennata della nullità parziale, annullando solo quelle
preferenze espresse in eccesso rispetto al numero
massimo possibile[xvi].
La Suprema Corte, peraltro,
affermava che le schede che contengono un numero di
preferenze superiore a quello dei consiglieri da
eleggere sono interamente nulle (Cass., sez. unite, 10
aprile 2003 n. 5618).
Il mutato orientamento del 1997 era
confermato dalla sentenza del CNF 29 settembre 1998, n.
119; con un accenno di inversione di tendenza con la
sentenza 17 ottobre 2002, n. 173.
Con quest’ultima decisione il CNF
afferma la persistente nullità della scheda contenente
un numero di preferenze inferiore a quello massimo,
purchè la previsione dell’art. 2 del decreto n. 382/44,
ritenuta derogabile, sia assorbita e contenuta
nell’apposito regolamento elettorale adottato dal
Consiglio dell’ordine locale.
La motivazione non convince: la
norma di legge non può essere derogata da una fonte di
rango inferiore, bensì interpretata; e se la sua
corretta interpretazione è quella “libera” (così come
ritenuto, in altre occasioni già citate, dallo stesso
CNF), non può certo un regolamento introdurre una
diversa, e più restrittiva, interpretazione.
Del resto, lo stesso CNF ha
affermato, in più occasioni, che i regolamenti locali
possono dettare regole autonome per facilitare le
operazioni di voto e l’interpretazione delle schede, ma
sempre nel rispetto dei principi normativamente fissati
e pertanto inderogabili.
Ad esempio, è stato considerato
legittimo il divieto di propaganda e di pubblicità nelle
24 ore precedenti la votazione, contenuto nel
regolamento del Consiglio dell’Ordine di Milano[xvii].
Più specificamente una successiva
sentenza riconosce ai singoli ordini territoriali il
potere di darsi regolamenti elettorali autonomi per la
suddivisione dei seggi, la designazione degli
scrutatori, le modalità della propaganda e più in
generale per le questioni organizzative, con esclusione
dei principi inderogabili come l’elettorato attivo e
passivo, la segretezza del voto, i quorum costitutivi e
deliberativi e la congruità dei tempi fissati per le
votazioni[xviii].
Ritenevamo che la validità o meno
della scheda in relazione al numero di nomi votati non
potesse essere stabilita in modo diverso da Consiglio a
Consiglio poichè essa deriva dall’interpretazione di una
precisa norma di legge; auspicavamo quindi un nuovo
intervento della Cassazione a sezioni unite, che
capovolgesse quello del 1991; finalmente è arrivato.
Con sentenza 4 agosto 2010, n.
18047, le sezioni unite hanno ribaltato motivatamente il
vecchio indirizzo, tenendo conto del diritto vivente
nelle realtà delle comunità professionali, delle mutate
dimensioni degli Ordini, delle forti tensioni che al
loro interno si dibattono.
La nuova sentenza, che parla anche
di frazionamento ideologico, precisa che privilegiare la
sostanza è miglior cosa che avallare ragioni di forma: e
conclude che “la scheda conserva la sua validità anche
nel caso in cui contenga un numero di nomi inferiore a
quello dei componenti da eleggere”.
Il principio è stato poi confermato
dalla citata Cass. sez. unite, 24 novembre 2011, n.
24812 e pertanto può dirsi consolidato.
5. Quorum ed elezione
Abbiamo già accennato alla
definizione del sistema elettorale dei Consigli
dell’Ordine come maggioritario e plurinominale.
Ciò determina la necessità di
conteggiare alcuni quorum.
Al momento della costituzione
dell’assemblea in prima convocazione, per la validità
della stessa deve intervenire almeno la metà di tutti
gli iscritti negli albi e nell’elenco speciale al
momento della consultazione; nella prassi, questa prima
convocazione va di solito deserta e la votazione è
rinviata alla seconda convocazione, nella quale deve
essere presente almeno un quarto degli iscritti.
Anche se la legge parla di due
distinti appelli, di fatto sono realizzati i seggi
elettorali e vengono segnati i nomi dei votanti man mano
che essi si presentano.
Pertanto nella prassi,
contrariamente alla previsione normativa e
all’indicazione dottrinaria[xix], il quorum è raggiunto
nel corso delle operazioni di voto e non è mai
verificato al momento dell’apertura dell’assemblea (e se
si verificasse, certamente mancherebbe).
Peraltro il CNF, adeguando la
propria giurisprudenza ai tempi, con sentenza 17 ottobre
2002, n. 173 ha statuito che il quorum “ha natura
rappresentativa e può pertanto essere accertato al
termine delle operazioni elettorali”.
Per l’elezione al primo turno è
necessario conseguire la maggioranza assoluta dei voti
così come prevede l’art. 5 del Decreto n. 382/44.
Un problema assai dibattuto
riguarda il computo del quorum: se si debba tener conto
di tutti i voti o soltanto di quelli validi, con
esclusione di schede bianche e nulle.
Secondo CNF, 8 novembre 2001, n.
226, dal conteggio devono essere escluse le schede nulle
e quelle bianche.
Pochi mesi prima il CNF, con
sentenza 15 dicembre 2000, n. 271, aveva affermato il
principio esattamente opposto: “è necessario considerare
tutti i voti, non solo i voti validi. Pertanto, i voti
sui quali va calcolata la richiesta maggioranza assoluta
sono quelli complessivamente espressi dall’assemblea,
compresi i voti nulli”.
Con sentenza 14 ottobre 2008, n.
107 il CNF ha affermato che “ai fini della
determinazione del quorum deliberativo deve tenersi
conto non soltanto dei voti validamente espressi, ma
anche di quelli nulli e delle schede bianche”.
Con sentenza 5 ottobre 2010, n. 76
il CNF è tornato al precedente del 2001: “non devono
essere considerate le schede bianche e le schede nulle,
ma soltanto i voti validi e/o validamente espressi”.
Con sentenza 5 ottobre 2010, n. 77
il CNF conferma, precisando: “non devono essere
considerate le schede bianche e le schede nulle, ma
soltanto i voti validi e/o validamente espressi. Tale
opzione interpretativa deve ritenersi tanto più corretta
quando, come nel caso di specie, il C.d.O. espressamente
preveda con una propria ed incontestata delibera - il
cui sindacato non rientra peraltro nella giurisdizione
del C.N.F. - di determinare il quorum con esclusione dei
voti nulli e delle schede bianche”.
Infine, con sentenza 21 febbraio
2011, n. 14, il CNF torna sui propri passi e afferma che
“devono ritenersi computabili, ai fini del quorum
deliberativo, anche i voti nulli e le schede bianche. Le
norme regolatrici del sistema elettorale, d'alta parte,
hanno carattere indicativo e non escludono che i singoli
Consigli dell'Ordine territoriali possano darsi
regolamenti autonomi, pur nel rispetto dei principi
inderogabili normativamente fissati, quali quelli
relativi all'elettorato attivo e passivo, alla
segretezza del voto, ai quorum costitutivi e
deliberativi, alla congruità dei tempi per l'elezione”.
Vi è pertanto un contrasto interno
alla giurisprudenza del CNF, ma la tesi dell’autonomia
regolamentare non convince, poichè porta a
interpretazioni divergenti da Consiglio a Consiglio.
I regolamenti locali possono
indicare i criteri di interpretazione dei singoli
voti[xx] e, più in generale, disciplinare le relative
operazioni; ma è dubbio che possano interpretare o
addirittura variare i criteri di legge. In ogni caso
detti regolamenti possono essere impugnati e il loro
sindacato rientra nella giurisdizione del CNF (malgrado
la sentenza n. 77 sopra citata affermi il contrario),
come vedremo tra breve.
Il contrasto qui segnalato dovrebbe
essere risolto, a parere di chi scrive, preferendo la
prima tesi, in adesione a quanto espresso dal DANOVI che
a sostegno indica un parere del Consiglio di Stato in
data 4 febbraio 1997, n. 76/97 e le ulteriori sentenze
del CNF 18 maggio 1999, n. 59 e 17 ottobre 2002, n. 173.
Secondo questa tesi le schede
bianche e nulle, attesa la loro neutralità, non possono
essere computate per il calcolo del quorum funzionale e
cioè per determinare il numero minimo di voti necessario
per l’elezione[xxi].
Nella successiva ed eventuale
votazione di ballottaggio, non è necessario alcun quorum
nè per la costituzione nè per l’elezione: pertanto non è
necessario un numero minimo di presenti e risultano
eletti, nell’ordine, coloro che hanno riportato il
maggior numero di voti.
La caratteristica principale del
ballottaggio è quella di avere un numero limitato di
candidati.
Infatti, mentre al primo turno sono
eleggibili tutti gli iscritti (tranne gli ex commissari
d’esame e i sospesi), al ballottaggio possono essere
eletti soltanto coloro che al primo turno abbiano
riportato almeno un voto.
6. L’interpretazione del voto e il
caso di parità
Durante lo spoglio delle schede si
verifica frequentemente il caso di voti contestati
perché i nominativi sono scritti con grafia poco chiara
o addirittura con errori relativi alla esatta
individuazione del candidato prescelto.
Il problema più ricorrente è quello
dell’indicazione del solo cognome, nel caso in cui vi
siano più avvocati che lo portino ma uno solo di essi
sia effettivamente interessato all’elezione.
La presentazione della formale
candidatura, o la rinuncia degli omonimi alla
candidatura medesima non sono sufficienti ad attribuire
il voto al candidato, e pertanto tutti i voti espressi
con il solo cognome dovrebbero essere annullati.
Tuttavia, qualora l’ipotesi di
accreditamento del voto al candidato indicato con il
solo cognome sia contemplata nel regolamento elettorale,
ciò costituisce un preventivo criterio
interpretativo[xxii].
In ogni caso, l’indicazione del
solo cognome è ritenuta sufficiente nella votazione di
ballottaggio, quando uno solo degli omonimi sia
eleggibile per aver riportato voti al primo
scrutinio[xxiii] e non vi sia pertanto equivoco
nell’interpretazione della volontà dell’elettore.
Allo stesso modo, qualora vi siano
due iscritti con lo stesso nome e cognome il voto non
dovrebbe essere attribuito per assoluta impossibilità di
identificazione, a nulla rilevando la differenza di età
e di notorietà (CNF 26 marzo 1976); anche in questo
caso, tuttavia, una diversa previsione regolamentare
dovrebbe ritenersi valida.
La possibilità per i Consigli
dell’Ordine di dotarsi di propri regolamenti elettorali
è stata riconosciuta, oltre che dal CNF, anche dalla
Suprema Corte con la sentenza, a sezioni unite, 20
giugno 2005, n. 13445.
Nella fattispecie è stato esaminato
l’art. 10 del regolamento elettorale adottato dal
Consiglio dell’Ordine di Catania in una ipotesi nella
quale l’elettore aveva votato indicando correttamente il
nome ma erroneamente il cognome.
La Suprema Corte ha affermato il
principio generale del favor voti in materia di elezioni
ed ha ritenuto valido il voto espresso con il nome
corretto ed il cognome simile (così come previsto dal
regolamento locale) o parzialmente coincidente (come
affermava il CNF nella motivazione della sentenza
confermata).
La sentenza in argomento ha anche
precisato (difformemente da quanto aveva affermato il
CNF) che i regolamenti elettorali locali possono essere
impugnati innanzi allo stesso CNF in uno alle operazioni
elettorali, poiché l’interesse all’impugnazione della
regola interpretativa sorge nel momento in cui ne viene
fatta applicazione lesiva, e il CNF può accertare
incidentalmente la validità delle norme regolamentari.
L’attribuzione o meno di un singolo
voto solitamente non è decisiva; però la giurisprudenza
conosce alcuni casi nei quali due contendenti per
l’ultimo posto utile hanno riportato la parità dei voti.
In questo caso, a norma dell’art. 5
del D.Lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, è preferito il
candidato più anziano per iscrizione nell’albo e, in
caso di nuova parità, il maggiore di età.
Naturalmente in questa ipotesi la
validità o meno del singolo voto è decisiva.
Il primo caso individuato riguarda
la sentenza della Cassazione, sez. unite, 31 luglio
1962, n. 2298.
In quella ipotesi, due avvocati
avevano ottenuto la parità di voti per l’ultimo posto
utile e uno dei due aveva rinunziato alla candidatura.
In applicazione dell’art. 6 del
Decreto n. 382, un altro professionista aveva proposto
il reclamo tendente a far dichiarare l’invalidità della
detta rinuncia e quindi a far proclamare proprio colui
che aveva ceduto il posto al collega a pari voti.
Ciò conferma la ragionevolezza
della norma che prevede la possibilità di impugnare le
elezioni da parte di ogni singolo professionista
iscritto, poiché vi è un interesse collettivo
all’elezione dei rappresentanti istituzionali.
Purtroppo, la sentenza sopra citata
ha deciso su una questione processuale ma non è entrata
nel merito della validità della rinuncia.
In una seconda ipotesi[xxiv] era
stato proclamato il candidato più anziano, ma uno dei
voti era contestato perché accanto al nome del candidato
era stato apposto un aggettivo ingiurioso.
Il CNF, con sentenza 28 marzo 1985,
ha annullato quel voto essendo certa la volontà
dell’elettore di non preferire il candidato che aveva
ingiuriato.
Il terzo precedente è quello della
già citata Cass. n. 13445/05, in una fattispecie nella
quale l’elezione del candidato più anziano è stata
revocata a seguito dell’attribuzione al candidato più
giovane di un voto che il seggio non aveva attribuito.
Quest’ultima sentenza, come sopra
detto, manifesta la necessità per i consigli dell’Ordine
di dotarsi di regolamenti che individuino
preventivamente e correttamente le regole interpretative
da seguire nello scrutinio.
7. Il reclamo avverso i risultati
L’art. 6 del D.Lgs. Lgt. 23
novembre 1944, n. 382 prevede sinteticamente che ciascun
professionista iscritto nell’albo può proporre reclamo
contro i risultati dell’elezione, presentandolo nella
sede del CNF entro 10 giorni dalla proclamazione.
La giurisdizione del Consiglio
Nazionale si estende a qualunque controversia relativa
alle elezioni, non potendosi ritenere che una parte di
giurisdizione (ad esempio, sulla legittimità dei
regolamenti elettorali dei singoli Ordini, o sulla
modalità di convocazione) sia attribuita ad altro
organo[xxv].
Non è valida la presentazione
presso il Consiglio dell’Ordine locale[xxvi], mentre è
valida la spedizione entro il termine a mezzo
posta[xxvii].
La proclamazione, pertanto,
segnando il dies a quo per la presentazione dei ricorsi,
rappresenta il momento ultimo della fase amministrativa
e ciò ha fatto stabilire al CNF, con parere n. 8 del 19
aprile 1998, che dopo la proclamazione degli eletti non
è più possibile procedere alla verifica in via
amministrativa, da parte del Consiglio dell’Ordine o del
seggio elettorale, delle preferenze accordate a un
candidato.
Il parere sopra indicato omette di
indicare un altro aspetto che conduce in ogni caso alla
stessa soluzione: con la proclamazione degli eletti dopo
il ballottaggio il seggio elettorale ha esaurito la
propria funzione e si scioglie, perdendo così ogni
potere sulla valutazione delle schede scrutinate.
Sarà quindi opportuno che ogni
contestazione relativa al computo dei voti sia proposta
prima della proclamazione, poichè dopo di essa l’unico
rimedio è quello giurisdizionale, costituito dal reclamo
in oggetto.
Sarà poi l’organo giurisdizionale a
proclamare, in caso di esito favorevole del reclamo, il
candidato eletto[xxviii].
Il reclamo può investire le
modalità di espletamento delle operazioni elettorali,
l’attribuzione ed il calcolo dei voti, l’eleggibilità,
la validità dei regolamenti e, come sopra detto, ogni
altro aspetto comunque relativo alle elezioni.
Ai fini del computo dei dieci
giorni occorre rilevare che se la contestazione riguarda
l’intero svolgimento delle operazioni e alcuni degli
eletti abbiano conseguito la maggioranza assoluta al
primo scrutinio, il termine per il deposito del reclamo
decorre dalla data della proclamazione degli eletti
nella prima fase[xxix].
Se invece l’impugnativa riguarda le
sole operazioni di ballottaggio, il termine decorre
dalla proclamazione finale[xxx].
La giurisprudenza è costante nel
riconoscere natura giurisdizionale al procedimento di
reclamo innanzi al CNF e nel riconoscere come parti
necessarie in questa fase sia il Consiglio dell’Ordine
che i consiglieri eletti.
Così, è stato più volte dichiarato
inammissibile il ricorso depositato al CNF ma non
notificato nè comunicato al Consiglio e agli
eletti[xxxi].
La questione della legittimazione
passiva al ricorso, in questi termini, sembra assai
semplice; tuttavia anche in questo caso sono opportune
alcune precisazioni.
Dando per scontato che il Consiglio
dell’Ordine è contraddittore necessario, non è detto che
tutti i consiglieri eletti abbiano interesse a resistere
al ricorso, e quindi non appaiono condivisibili quelle
decisioni che richiedono la necessaria notifica “ad
almeno uno degli eletti”, come si esprime il CNF nelle
decisioni 8 marzo 2001, n. 45 e 11 aprile 2001, n. 63.
Infatti, se alcuni consiglieri sono
stati eletti al primo turno e l’impugnativa riguarda le
sole operazioni di ballottaggio, i primi eletti non
hanno alcun interesse a contraddire; se invece la
contestazione riguarda le preferenze attribuite ad un
candidato, del quale pertanto si contesta l’avvenuta
proclamazione, solo quel candidato è contraddittore
necessario unitamente al Consiglio dell’Ordine, ma non
tutti gli altri eletti, la cui proclamazione non
potrebbe essere scalfita dall’accoglimento del reclamo.
Sembra quindi più precisa la
decisione del CNF 13 ottobre 1994, n. 90 che prevede la
necessità di notificare il reclamo, oltre che al
Consiglio dell’Ordine, a coloro il cui status viene
contestato.
Vi è solo un caso in cui tutti gli
eletti sono contraddittori necessari, ed è quello in cui
il reclamante contesti la validità di tutte le
operazioni elettorali; in questo caso l’accoglimento del
reclamo travolgerebbe l’elezione di tutti, e pertanto il
ricorso dovrà essere notificato a tutti gli eletti.
L’errata indicazione della
necessaria notifica “almeno ad uno degli eletti” nasce
da una precedente giurisprudenza del CNF che prevedeva
l’obbligatorietà della notificazione del reclamo,
seguita dal deposito presso il CNF, ed il tutto entro il
termine perentorio di giorni dieci[xxxii].
Tale giurisprudenza era costante e
addirittura in alcune sentenze[xxxiii] il CNF ha
statuito che al ricorso elettorale si applica, in via
analogica, il procedimento del ricorso giurisdizionale
innanzi ai TAR.
In realtà però il variegato
ordinamento processuale italiano conosce sia l’ipotesi
di ricorsi che devono essere prima notificati e poi
depositati (oltre al TAR, é anche tale il procedimento
davanti alle commissioni tributarie), sia quella di
ricorsi che devono essere soltanto depositati nel
termine e solo in seguito notificati (è il caso del rito
del lavoro).
L’equivoco relativo al rito, sorto
dalla troppo sintetica disposizione normativa, è stato
chiarito dalla Corte di Cassazione.
Con due sentenze[xxxiv] la Suprema
Corte ha stabilito che il termine per il reclamo “è
rispettato quando l’atto è depositato o presentato nella
cancelleria del giudice dell’impugnazione prima della
sua scadenza”, ed inoltre che tale deposito costituisce
l’unico adempimento da compiere nei dieci giorni, poiché
compete all’organo di giurisdizione domestica disporre
che il contraddittorio sia costituito nei confronti dei
consiglieri risultati eletti.
Sembra quindi che il rito da
seguire sia simile a quello civile del lavoro, e che
pertanto la notificazione al Consiglio dell’Ordine e
alle altre parti interessate possa essere successiva (a
cura del ricorrente) o debba addirittura essere disposta
dallo stesso CNF, come si legge nella motivazione della
sentenza n. 2602[xxxv].
Questo rito, che ritiene
sufficiente il solo deposito entro il termine, è oggi
confermato dalle più recenti sentenze del CNF[xxxvi].
Il CNF, se accerta vizi nello
svolgimento delle operazioni che comportino l’invalidità
del risultato elettorale complessivo, annulla le
elezioni; se invece riscontra errori relativi al computo
dei voti o alla eleggibilità, procede direttamente alle
necessarie correzioni e proclama gli eletti.
La sentenza del CNF, come risulta
anche dai precedenti, è ricorribile in Cassazione;
tuttavia, attesa la lentezza della giustizia (compresa
quella domestica) non è raro il caso in cui il
procedimento giurisdizionale si protrae per oltre due
anni e l’organo contestato, nel frattempo, si rinnova
per effetto di nuove elezioni; in questo caso, per
costante giurisprudenza, si ritiene che sopravvenga la
carenza di interesse con conseguente cessazione della
materia del contendere[xxxvii].
Per costante giurisprudenza, il
reclamo deve essere preciso e circostanziato, con
l’individuazione dei vizi lamentati[xxxviii]. Un reclamo
generico è pertanto inammissibile.
8. Le elezioni suppletive e le più
recenti decisioni
Se nel corso del mandato biennale
vengono a mancare uno o più consiglieri per morte,
dimissioni o decadenza, si procede a convocare
l’assemblea per le elezioni suppletive, con le stesse
modalità.
Ciò naturalmente a meno che venga a
mancare oltre la metà dei consiglieri, poiché in questa
ipotesi avviene il commissariamento (art. 8, D.Lgs. Lgt.
23 novembre 1944 n. 382).
Non è previsto dalla legge il
subentro del primo dei non eletti alla precedente
consultazione, e tale omissione è stata ritenuta congrua
dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 260 del 20
giugno 2002, la cui motivazione è densa di contenuti
rilevanti.
La Consulta conferma che l’elezione
in argomento avviene tramite un sistema maggioritario
plurinominale, nel quale “non sussiste alcuna divisione
formale dei candidati in liste e l’intuitus personae
viene a costituire il solo elemento giuridicamente
rilevante ai fini della votazione... (che imprime) alla
votazione un carattere fortemente personalistico ... ”.
Inoltre, lo svolgimento di elezioni
suppletive “appare coerente con il sistema elettorale
previsto ... poichè assicura, attraverso la reiterazione
della consultazione elettorale, la rispondenza della
scelta del nuovo consigliere alla volontà espressa dagli
elettori”.
Infine, gli inconvenienti legati
alla difficoltà (nei grandi fori) di raggiungere il
quorum sono legati a scelte discrezionali del
legislatore, che non appaiono irragionevoli.
Questi aspetti sono confermati
dalla giurisprudenza più recente.
In merito alle liste, con sentenza
CNF 30 marzo 2011, n. 24 è stato confermato che non si
può votare indicando il numero o il motto di una lista,
ma che i voti devono essere espressi nominativamente, a
pena di nullità della scheda.
Quindi i candidati sono liberi di
riunirsi con liste e programmi comuni, ma è necessario
che la scheda elettorale riporti i singoli nomi.
Infine, la già citata Cass., sez.
unite, 24 novembre 2011, n. 24812 ha precisato che si
indicono elezioni suppletive solo nei casi
tassativamente indicati dalla legge, mentre nelle
ipotesi di ineleggibilità si procede alla surroga del
consigliere.
9. Conclusioni
E’ certamente un sistema che merita
di essere aggiornato ai tempi, con regole più garantiste
per i candidati e meno protezionistiche per i Consigli
uscenti; vi sono, come abbiamo visto, palesi situazioni
di conflitto di interessi che meritano di essere
regolate con attenzione.
Ma l’ordinanza della Corte
Costituzionale, sopra ricordata, ci dà un insegnamento
che vale anche per il futuro legislatore: la carica di
consigliere dell’ordine è legata alla stima e alla
fiducia personali, e non può essere costretta in liste o
cordate.
Si scelgano i migliori, allora,
utilizzando come parametro anche l’art. 57 del codice
deontologico:
“L’avvocato che partecipi, quale
candidato o quale sostenitore di candidati, ad elezioni
ad organi rappresentativi dell’avvocatura deve
comportarsi con correttezza, evitando forme di
pubblicità ed iniziative non consone alla dignità delle
funzioni”.
(Altalex, 11 gennaio 2012. Articolo
di Antonino Ciavola)
_________________
[i] cfr. CNF 28 dicembre 2001, n.
307.
[ii] CNF 13 febbraio 1993 n. 6; CNF
28 marzo 1958; CNF 28 dicembre 2001 n. 307; CNF 5
dicembre 1994 n. 127.
[iii] principio confermato da
Cass., Sez. Unite, 24 novembre 2011 n. 24812.
[iv] Corte Cost., 15 aprile 2011 n.
138 (ord.).
[v] Corte Cost., 15 aprile 2011 n.
138 (ord.); in coerenza CNF 26 luglio 2011 n. 130;
questa sentenza è stata riformata dalla Cassazione, ma
non su questo specifico punto, che è stato confermato.
[vi] Cass. sez. unite, 24 novembre
2011 n. 24812.
[vii] CNF 23 ottobre 2010 n. 127;
CNF 20 dicembre 2008 n. 176, che espressamente lo
definisce adempimento facoltativo.
[viii] CNF 6 dicembre 1990 n. 118.
[ix] CNF 19 aprile 1980.
[x] R. DANOVI, Corso di ordinamento
forense e deontologia, pag. 170, che riporta CNF 17
ottobre 2002 n. 173.
[xi] CNF, 9 aprile 1999, nn. 27 e
28.
[xii] CNF, 28 marzo 1958.
[xiii] E. RICCIARDI, Lineamenti
dell’ordinamento professionale forense, pag. 35.
[xiv] F. MOROZZO DELLA ROCCA,
Elezioni forensi: il limite numerico nell’espressione
del voto, in Giust. civ. 2004, I, 2413 e segg., nota a
Cass. 10 aprile 2003 n. 5618.
[xv] CNF, 11 marzo 1966.
[xvi] CNF, 23 luglio 2002 n. 112.
[xvii] CNF, 9 aprile 1999, nn. 27 e
28.
[xviii] CNF, 11 aprile 2001, n. 66.
[xix] E. RICCIARDI, Lineamenti
dell’ordinamento professionale forense, pag. 33.
[xx] Cass. sez. unite, 23 giugno
2005 n. 13445.
[xxi] R. DANOVI, Corso di
ordinamento forense e deontologia, pag. 174.
[xxii] Così R. DANOVI, Corso di
ordinamento e deontologia pag. 171.
[xxiii] CNF 13 ottobre 2001 n. 202.
[xxiv] Riportata da R. DANOVI,
Corso di ordinamento forense e deontologia, pag. 172.
[xxv] Cass., sez. unite, 10 giugno
2003 n. 9296.
[xxvi] CNF 18 marzo 1993 n. 29; CNF
15 gennaio 2009 n. 2.
[xxvii] CNF 21 febbraio 2011 n. 14.
[xxviii] ciò per costante
giurisprudenza; recentemente contra CNF 26 luglio 2011
n. 130, riformata però sul punto da Cass., sez. unite,
24 novembre 2011 n. 24812, nel senso indicato nel testo.
[xxix] CNF 13 aprile 2011 n. 40.
[xxx] si veda però, per un’ipotesi
specifica, CNF 15 gennaio 2009 n. 2.
[xxxi] CNF 14 aprile 1993 n. 61;
CNF 23 luglio 2002 n. 113.
[xxxii] CNF 19 aprile 1991, n. 23.
[xxxiii] CNF 3 maggio 1995 n. 52;
CNF 30 ottobre 1995 n. 105.
[xxxiv] Cass., sez. unite, 20
febbraio 2003 n. 2602; Cass., sez. unite, 6 giugno 2003
n. 9069.
[xxxv] Riportata per esteso in
Rassegna Forense n. 1/2004.
[xxxvi] CNF 23 ottobre 2010 n. 127.
[xxxvii] Cass., sez. unite, 15
novembre 2002 n. 16160 CNF 26 ottobre 2002 n. 184.
[xxxviii] CNF 18 aprile 1986; CNF
18 maggio 1999 n. 59. |