(Maria Morena Ragone, Fabrizio
Sigillò)
L’eccessivo ricorso alla
decretazione d’urgenza ha prodotto, nel corso degli
ultimi anni, una graduale riforma del processo civile e
la contestuale sovrapposizione di innumerevoli - e a
volte confliggenti - interventi normativi, spesso
rispondenti ad esigenze totalmente estranee a quelle -
migliore esercizio della dfesa, riduzione dei costi,
accelerazione del processo - con cui essi vengono,
invece, pubblicizzati.
Al termine di un quinquiennio
costellato da approssimative modifiche, improvvisate
revisioni e ristrutturazioni parziali del codice
(rivelatesi poi pressochè integrali), tutte perseguite
con gli ormai periodici decreti(ni), inspiegabilmente
inserite in leggi di stabilità o in decreti
milleproroghe, quand’anche non rivelatosi appannaggio
esclusivo del tradizionale e fantasioso estro italico,
pare possa pacificamente affermarsi che nessuno di
questi sistemi abbia sortito utile effetto ai fini
dell'accelerazione del processo civile, fermo tra ruoli
sovraccarichi, croniche carenze di personale
amministrativo e disponibilità di giudicanti, solo
parzialmente mitigata dai temporanei palliativi affidati
alla magistratura onoraria, o dall’estensione delle
competenze ai giudici di pace e dall’applicazione,
tendenzialmente arbitraria, dei sistemi di mediazione.
Anche il governo Monti,
apparentemente intenzionato ad astenersi dal ricorso a
quel sistema di decretazione a cui quello precedente
aveva fatto pressochè quotidiano ricorso, procede,
invece, solerte all’adozione dell’ennesimo provvedimento
correlato alla - mai provata - connessione tra sorte del
processo civile e crisi economica, e che viene, questa
volta, legittimato dalla “ ...straordinaria necessita'
ed urgenza di emanare disposizioni in materia di
composizione delle crisi da sovraindebitamento e sulla
disciplina del processo civile, al fine di assicurare
una maggiore funzionalita' ed efficienza della giustizia
civile”.
Il provvedimento in oggetto è il
decreto legge 22 dicembre 2011, n. 212 pubblicato in GU
22 dicembre 2011, n. 297 recante, come sopra detto,
“disposizioni urgenti in materia di composizione delle
crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo
civile” e distribuito in 17 articoli.
La prima parte - Capo I, articoli
da 1 ad 11 - si occupa delle “Disposizioni in materia di
composizione delle crisi da sovraindebitamento”, ed è
dedicata alle definizioni generali ed, in particolare,
all’individuazione della casistica e dei soggetti
interessati al provvedimento legislativo, finalizzato a
trovare una soluzione alle numerose situazioni di
indebitamento di soggetti a cui non sono applicabili le
disposizioni vigenti in materia di procedure concorsuali
(debitori e imprenditori non fallibili).
A questi ultimi, così, viene
offerta la possibilità di concordare con i creditori un
piano di ristrutturazione dei debiti, con estinzione
finale delle poste debitorie.
Il sistema, in prospettiva, si
ripropone di attivare un circolo virtuoso preordinato
alla diminuzione del contenzioso relativo al recupero
dei crediti e, di conseguenza, alla riduzione del
contenzioso civile.
L’articolo 1 delinea finalità e
definizioni delle situazioni di sovraindebitamento ed
introduce il dettaglio della procedura, poi disciplinata
negli articoli seguenti.
Significativa, in questa fase, la
preliminare equiparazione, ai fini della nuova
procedura, delle fattispecie di sovraindebitamento del
debitore e di sovraindebitamento del consumatore, quale
definito dal Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005).
L’articolo 2 determina i
presupposti oggettivi per l’ammissibilità dell’accordo,
individuandoli
nel mancato ricorso
dell’istante alla medesima procedura nei precedenti tre
anni;
nella non assoggettabilità del
debitore alle procedure concorsuali.
Ad essi si associano quelli di
natura soggettiva, rimessi cioè alla valutazione ed alla
determinazione del debitore e consistenti:
nella sussistenza di uno stato
di sovraindebitamento quale delineato all’articolo 1,
comma 2 (“..perdurante squilibrio tra le obbligazioni
assunte e il patrimonio liquidabile per farvi fronte...
ed “incapacità... di adempiere regolarmente le proprie
obbligazioni”;
nell’elaborazione di un
progetto “di rientro” che assicuri “...la soddisfazione
dei crediti attraverso qualsiasi forma (articolo 3,
comma 1), comprensivo anche di cessione crediti futuri
e/o di affidamento del patrimonio ad un fiduciario per
la liquidazione, la custodia e la distribuzione del
ricavato ai creditori.
Contenuto dell'accordo
Ai sensi dell’articolo 2, la
proposta deve contenere:
il pagamento integrale dei
creditori privilegiati;
il regolare pagamento degli
eventuali creditori estranei all’accordo;
l’indicazione di termini e
modalità di pagamento, garanzie prestate e previsione
dei modi di liquidazione dei beni indicati nella
proposta.
Ai sensi del successivo articolo 3,
la proposta deve mirare alla ristrutturazione dei debiti
e alla soddisfazione dei creditori, anche mediante
cessione di crediti futuri. In caso di beni
insufficienti, la proposta può essere integrata da beni
o crediti apportati da terzi che, a tal fine,
sottoscrivono l’istanza.
L’accordo dovrà poi menzionare le
eventuali limitazioni all’accesso al credito da parte
del debitore.
Possibile, ai sensi del comma 4,
anche una moratoria di 1 anno, sempre che questa non
renda impossibile il pagamento alla nuova scadenza
pattuita.
Deposito della proposta
La proposta di accordo, ai sensi
dell’articolo 4, va depositata presso il Tribunale in
cui il debitore ha la residenza ovvero la sede, e
comprende una serie di allegazioni documentali
attestanti:
le movimentazioni contabili
alla data del deposito;
l’elenco dei creditori con
relativi crediti;
il riepilogo degli atti di
disposizione compiuti negli ultimi 5 anni;
le scritture contabili (in caso
di esercizio di impresa).
La fase introduttiva sembrerebbe
ispirata alla massima semplificazione, attestata anche
dalle considerazioni sull’ammissibilità della proposta,
apparentemente limitate ad un mero riscontro formale
sulla ricorrenza dei requisiti previsti dalla legge, ma
priva di qualsivoglia approfondimento sulla preliminare
valenza della proposta od anche della garanzia
eventualmente offerta dal terzo, al quale viene
richiesta solamente - come già detto - la sottoscrizione
all’istanza (articolo 3, comma 2).
La semplificazione del procedimento
viene ulteriormente asseverata dalla certificazione di
conformità all’originale delle scritture contabili
prodotte dal debitore che svolge attività d’impresa, e
che viene affidata ad una sua semplice dichiarazione
(articolo 4,comma 3).
Fissazione dell'udienza di
trattazione del procedimento
L’instaurazione della procedura
prosegue con la fissazione dell’udienza, assunta dal
giudice delegato con apposito decreto da comunicare ai
creditori secondo un sistema apparentemente anomalo
rispetto a quello delineato dalla più recente normativa
in tema di processo civile telematico.
Il comma 1 dell’articolo 5,
prevede, infatti, che l’invio ai creditori della
proposta di accordo e del pedissequo decreto del giudice
possa essere realizzato “...anche per telegramma o per
lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per
telefax o per posta elettronica certificata”,
individuando, così, una molteplicità di strumenti
fors’anche idonei ad assicurare il raggiungimento dello
scopo, ma in aperto contrasto con la più recente
regolamentazione del processo civile telematico che
affida invece in via esclusiva alla posta elettronica
certificata tutte le comunicazioni e notificazioni (cfr,
art. 4, co. 2, L. 24/2010; artt. 16 e 17 D.M. 21
febbraio 2011, n. 44).
La disposizione si rivela eccessiva
anche se confrontata con la recente modifica
all’articolo 136 c.p.c. operata dalla L. 183/2011, che
ha previsto, proprio per le comunicazioni, la sola
possibilità del telefax in alternativa alla p.e.c., e
solo qualora non sia possibile utilizzare quest’ultima.
A tale univoco riferimento
legislativo fa riscontro la scarsissima affidabilità
della comunicazione effettuata a mezzo telefax,
notoriamente inidonea ad offrire certezza in termini di
data, ora della spedizione e della ricezione, effettiva
ricezione dell’atto e/o sua sottoscrizione.
Può ritenersi che l’elaborazione di
questo passo del decreto sia indice della natura vetero
stragiudiziale della procedura.
Sebbene la disposizione sembrerebbe
affidare l’adempimento della comunicazione alla
cancelleria (“...fissa con decreto l'udienza, disponendo
la comunicazione ai creditori presso la residenza o la
sede legale...”.) deve ritenersi che, in ossequio al
tradizionale sistema predisposto per i procedimenti
introdotti con ricorso, sia la parte a dover provvedere
all’acquisizione delle copie da comunicare ai
destinatari degli atti.
Ben più affidabile, sul piano della
pubblicità, l’annotazione nel registro delle imprese
della fissazione dell’udienza di discussione della
proposta, che il Giudice delegato dispone nel decreto.
All’udienza indicata dal Giudice,
questi, valutata l’assenza di iniziative o atti in frode
ai creditori (articolo 5, comma 3), dispone che “...per
non oltre centoventi giorni, non possono, sotto pena di
nullita', essere iniziate o proseguite azioni esecutive
individuali ne' disposti sequestri conservativi ne'
acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del
debitore che ha presentato la proposta di accordo, da
parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore.”
Questa disposizione realizza, di
fatto, un effetto analogo a quello previsto per
l’esazione dei crediti nei confronti degli enti
pubblici, beneficiati dalla moratoria di 120 giorni tra
la data di notificazione del titolo esecutivo e la
successiva instaurazione della procedura esecutiva. Al
pari di quella previsione infatti, questa determina, di
fatto, una rilevante limitazione al recupero del
credito, ulteriormente aggravata dal carattere
tradizionalmente ordinatorio dei termini previsti dal
decreto, e che rendono incerta la quantificazione della
durata del procedimento.
Non vi è, infatti, alcuna
definizione circa i tempi decorrenti tra la data di
deposito del ricorso e l’adozione del provvedimento di
fissazione dell’udienza, e, allo stesso modo, non si
conoscono neanche i tempi entro cui dovrebbe concludersi
la fase del procedimento e l’omologazione dell’accordo,
salvo farli coincidere con il limite dei sopra
richiamati 120 giorni il cui inutile decorso
determinerebbe la riattivazione delle procedure
esecutive, rimaste in fase di stallo in virtù della
preliminare sospensione disposta in occasione della
prima udienza. E’, al proposito, da precisare come, a
norma dell’articolo 5, comma 3 il termine richiamato non
sia ulteriormente prorogabile, con l’effetto che
risulterebbe inutile la prosecuzione del procedimento,
in pendenza della riattivazione delle azioni esecutive
individiali nei confronti del debitore.
La mancanta indicazione della
durata delle varie fasi, oltre a complicare il calcolo
sulla durata stimata dell’intera procedura, collide
palasemente con le finalità del procedimento,
dichiaratamente preordinato a velocizzare il contenzioso
civile.
Pur volendo prescindere dalla
durata del procedimento, vi è un altro profilo, non meno
rilevante, che si delinea nella fase intercorrente tra
la proposizione del ricorso e la data fissata per
l’udienza di discussione. Dato che la sospensione
coincide - come detto - con la prima udienza, è lecito
ritenere che, prima di quella udienza, i creditori siano
pienamente abilitati alla proposizione di azioni
individuali ed all’acquisizione di eventuali diritti di
prelazione.
Il procedimento si svolge nelle
forme dell’udienza camerale, ove compatibili, in
composizione monocratica, ed il provvedimento è
reclamabile ai sensi e con le modalità di cui all’art.
737 c.p.c.
L’approvazione dell'accordo
Dalla lettura del decreto
sembrerebbe che la partecipazione dei creditori alla
fase di approvazione e di omologazione dell’accordo si
perfezioni in due fasi e con due differenti modalità.
La prima è quella indicata
all’articolo 6, ed è preordinata al raggiungimento
dell’accordo. E’ in questa occasione che viene richiesta
la manifestazione del consenso sull’accordo originario o
eventualmente modificato. La relativa comunicazione può
pervenire all’organismo di conciliazione della crisi
previsto dall’articolo 10 con le medesime modalità
alternative previste per la comunicazione della
fissazione dell’udienza.
Il decreto dispone, sin da questa
fase, della sorte dell’accordo nel caso in cui non si
adempia, nel termine previsto, al pagamento dei debiti
vantati dalle pubbliche amministrazioni o dagli enti
previdenziali (“L'accordo e' revocato di diritto se il
debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni
dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle
amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme
di previdenza e assistenza obbligatorie” - articolo 6,
comma 5)
L’omologazione dell'accordo
Anche nella successiva fase di
omologazione - che comprende la redazione di un parere
elaborato sulla scorta delle risultanze della precedente
approvazione - si prevede la partecipazione dei
creditori, abilitati a sollevare contestazioni sulla
relazione dell’organismo di conciliazione della crisi,
in mancanza delle quali, e previo raggiungimento delle
maggioranze prescritte dall’articolo 6, comma 2 (70% dei
creditii, 50% in caso di sovraindebitamento del
consumatore) la proposta viene omologata con gli effetti
di cui al comma 3 dell’art. 7 (“dalla data di
omologazione ai sensi del comma 2 e per un periodo non
superiore a un anno, l'accordo produce gli effetti di
cui all'articolo 5, comma 3”).
L’effetto sospensivo si aggiunge,
quind,i a quello di massimo 120 giorni inizialmente
predisposto dal giudice delegato in occasione delle
prima udienza, ai sensi dell’art. 5, comma 3 del decreto
(...per non oltre centoventi giorni) e dei suoi effetti
(non possono, sotto pena di nullita', essere iniziate o
proseguite azioni esecutive individuali ne' disposti
sequestri conservativi ne' acquistati diritti di
prelazione sul patrimonio del debitore …).
Esso ingenera analoghe
preoccupazioni sui tempi della procedura, la cui durata
manca di precisi termini nella sua fase iniziale (dalla
proposizione del ricorso all’adozione del decreto di
fissazione dell’udienza), risente della prima
sospensione di 120 giorni sopra richiamata, si prolunga
fino alla data di omologazione dell’accordo e si estende
ulteriormente per la durata massima di un anno, rendendo
difficoltosa la quantificazione temporale della sua
durata complessiva.
Per chi opera quotidianamente nel
contesto giudiziario i termini appaiono eccessivi, così
come preoccupante è l’effetto pratico che questa
sospensione può produrre anche sulla sorte delle
garanzie dei beni di cui il debitore dispone.
Il decorso di termini così lunghi,
infatti, lascia impregiudicata la sorte dell’accordo,
che potrebbe risolversi negativamente per una serie di
motivi, tra cui il mancato adempimento del debitore.
Senonchè, mentre in procedure in qualche modo analoghe a
questa (come il concordato preventivo) al mancato
adempimento del debitore può seguire la dichiarazione di
fallimento e l’acquisizione alla massa attiva di tutti i
beni, ciò non pare si verifichi in questo procedimento,
che nulla dispone sul destino dei beni in seguito alla
risoluzione dell’accordo per inadempimento del debitore.
Si potrebbe, forse, ritenere che i
beni offerti in garanzia tornino nella disponibilità del
debitore e divengano, quindi, nuovamente attaccabili?
E, ancora, cosa accadrebbe se nel
procedimento in esame il giudice disponesse ai sensi
dell’articolo 8, conferendo l’incarico ad un liquidatore
di provvedere anche in ordine ai beni pignorati offerti
a garanzia dell’accordo?
Ultima singolare previsione è
quella che mostra un apparente contrasto tra il disposto
dell’articolo 2, co. 2 (secondo cui "la proposta è
ammissibile quando il debitore non è assoggettabile alle
vigenti procedure concorsuali") e quella dell’art. 7
comma 5 che attribuisce alla sentenza di fallimento
pronunciata a carico del debitore la risoluzione
dell'accordo...”.
Sembrerebbe quantomeno difficile
che, se il debitore non risulta ammissibile in quanto
assoggettabile a procedure concorsuali (a quindi
differente dal debitore che può esercitare la procedura
prevista dal decreto in esame), lo stesso possa, poi,
essere dichiarato fallito e, quindi, veder risolto, a
causa dell’intervenuta dichiarazione di fallimento,
l’accordo con i creditori.
Tra le ipotesi interpretative,
oltre ad un possibile aperto contrasto tra le norme
(sempre ipotizabile, soprattutto in sede di decretazione
d’urgenza...), la possibilità che la proposta del
debitore sia stata dichiarata ammissibile in carenza dei
presupposti ivi previsti (quindi , per esempio, da
debitore assoggettabile a procedura concorsuale), e che,
pertanto, possa su di esso intervenire sentenza
dichiarativa di fallimento.
L’esecuzione dell'accordo
“Se per la soddisfazione dei
crediti sono utilizzati beni sottoposti a pignoramento
ovvero se previsto dall'accordo, il giudice nomina un
liquidatore che dispone in via esclusiva degli stessi e
delle somme incassate”.Il richiamato articolo 8 delinea
una procedura che sembrerebbe rendere inefficace il
vincolo discendente dall’apposizione del pignoramento
già eseguito, distraendolo per il soddisfacimento dei
crediti.
Sembra, infatti, che i beni
pignorati (o l’assegnazione delle somme incassate) siano
destinate alla “...soddisfazione dei crediti...”, e non
al soddisfacimento del creditore che lo ha eseguito in
singolo pignoramento.
La parte del decreto dedicato alla
procedura di risoluzione del sovraindebitamento si
conclude con l’introduzione degli ‘organismi di
composizione della crisi’, figura specialistica
appositamente costituita sulla falsariga di quella
elaborata per la mediazione civile e commerciale, la cui
similitudine è attestata dall’automatica iscrizione di
quegli organismi, già costituiti i sensi del a questo
fine, nel registro che il ministero andrà ad elaborare e
che verrà integrato dalla lista degli enti pubblici che,
a norma del comma 1 dell’art. 10, “possono costituire
organismi per la composizione delle crisi da
sovraindebitamento con adeguate garanzie di indipendenza
e professionalita'.”
Permangono, in chi scrive, riserve
analoghe a quelle già espresse in altre sedi, e relative
all’effettiva professionalità di questi organismi,
affidata - e qui il riferimento è alla media
conciliazione civile e commerciale - ad una formazione
eccessivamente breve ed alle risultanze invero non
proprio affidabili (si ignora, ad esempio, il numero dei
partecipanti ai corsi di formazione che, al termine
degli stessi, siano ritenuti inidonei al conseguimento
del titolo...).
In alternativa, la disposizione
transitoria di cui all’articolo 11 comma 1 prevede che
“i compiti e le funzioni attribuiti agli organismi di
composizione della crisi possono essere svolti anche da
un professionista o da una società tra professionisti in
possesso dei requisiti di cui all’articolo 28 del regio
decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive
modificazioni, ovvero da un notaio, nominati dal
presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato”.
In caso di mancata costituzione degli organismi di cui
all’art. 10 nei tempi previsti, pertanto, le relative
funzioni verranno svolte dagli stessi soggetti in
possesso dei requisiti per svolgere la funzione di
curatore fallimentare.
La seconda parte del Decreto-Legge
- Capo II - contiene una serie di misure ispirate sempre
alla medesima ratio deflattiva del contenzioso, ma che
incidono più direttamente sulla specifica disciplina del
processo civile.
Esso è rubricato “Disposizioni per
l’efficienza della giustizia civile” - che, benchè
beneficiata dalle innumerevoli recenti riforme in tema
di semplificazione, accelerazione e riduzione dei costi,
continua, evidentemente, a non essere efficiente.
L’incipit è, in questo caso,
affidato al procedimento di pianificazione delle
attività giudiziarie che - si dice - comprende ora la
previsione di “...ogni iniziativa necessaria a favorire
l'espletamento della mediazione su invito del giudice ai
sensi del comma 2” (articolo 12).
Ma la prima novità importante la
troviamo all’articolo 13, comma 1, lett a), con
l’estensione del valore delle cause in cui la parte può
stare in giudizio personalmente senza l’assistenza
dell’avvocato da €. 516,46 ad €. 1.000.
Pur senza voler tutelare gli
interessi di categoria, la previsione appare
insuscettibile di contribuire all’efficienza della
giustizia civile, e si rivela, presumibilmente di
improbabile applicazione pratica.
Pur non disconoscendo, infatti, il
carattere meno formalista del processo dinanzi al
giudice di pace, esso non manca di quei requisiti di
forma e contenuto difficilmente conosciuti dal “non
tecnico”; nè va trascurata l’ipotesi che, a fronte del
soggetto che si improvvisa ‘legale di sè stesso’ (di
ciceroniana memoria), si eriga una qualificata
opposizione della controparte costituita a mezzo
avvocato, pronto a rispondere sulle ipotizzabili
questioni procedurali ravvisabili nell’altrettanto
improvvisato atto introduttivo, presumibilmente
elaborato su facsimile utilizzabile alla bisogna.
Non poche preoccupazioni, poi,
desta la previsione riportata al capo sub b) dell’art.
13, secondo cui “...all'articolo 91, e' aggiunto, in
fine, il seguente comma: «Nelle cause previste
dall'articolo 82, primo comma, le spese, competenze ed
onorari liquidati dal giudice non possono superare il
valore della domanda.».
Il dubbio può essere riassunto
mediante esempio scolastico.
Tizio introduce personalmente - e
quindi senza l’assistenza di un avvocato - un
procedimento monitorio davanti al Giudice di pace per il
recupero di un suo credito di 700 euro oltre interessi.
Caio si oppone, costituendosi a
mezzo avvocato di fiducia, e risulta vincitore nel
giudizio di merito.
Quale sarà il criterio di
liquidazione delle competenze ?
Per la parte costituitasi
personalmente lo prevede sicuramente il disposto
dell’art. 13 con la singolarità che questi, pur non
essendo avvocato, finisce improvvisamente per
beneficiare di un sistema tabellare di compensi
comprensivo di voci (diritti ed onorari) ordinariamente
previsto per una categoria professionale specializzata
(gli avvocati).
Ancora fresca di pubblicazione,
viene modificata la recentissima legge n. 183 del 12
novembre 2011 (c.d. Legge di stabilità), con la
rettifica dell’art. 26, dedicato all’adozione di “Misure
straordinarie per la riduzione del contenzioso civile
pendente davanti alla Corte di cassazione e alle corti
di appello”, contenuta nell’articolo 14.
La disposizione assunta nel decreto
qui esaminato, infatti, estende l’obbligo di richiesta
per la fissazione della trattazione per le cause
pendenti (rectius congelate) presso le Corti d’Appello
non più da due anni (come previsto nell’art. 26 sopra
richiamato) ma da tre anni.
Al fine di rendere ancora più
efficiente il delineato sistema, viene, poi, abrogato
l’onere di sollecitazione alle parti costituire,
dapprima posto a carico della cancelleria ed ora
affidato al procuratore costituito, tenuto del
reperimento della parte (o delle parti) che ha conferito
la procura alle liti (o dei suoi eredi...sic!) e
dell’autenticazione della dichiarazione di persistenza
dell'interesse alla trattazione del giudizio, da
depositarsi entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore del decreto.
Si segnala, sul punto, una
situazione estremamente importante.
Il termine di sei mesi per il
deposito della dichiarazione di interesse decorre, a
norma dell’articolo 14, dalla data di entrata in vigore
della presente legge. Trascurando la terminologia usata,
sembra, però, legittimo e corretto ritenere già pendente
il sudddetto termine, introdotto con decreto legge,
immediatamente vigente dal giorno successivo alla sua
pubblicazione (per come d’altra parte riportato nel
successivo e finale articolo 17)
Il termine di sei mesi non rileva
ai fini della richiesta di equa riparazione di cui all
articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89.
Concludono la sezione del decreto
l’articolo 15, contenente la proroga dei magistrati
onorari, il cui contributo viene ulteriormente prorogato
dalla sua ordinaria scadenza al 31 dicembre 2012,
unitamente a quello dei giudici di pace; l’articolo 16
modifica l’articolo 14, comma 9, primo periodo, della
legge 12 novembre 2011, n. 183, e l’articolo 6, comma
4-bis, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231,
che adegua la normativa con l’introduzione del ‘sindaco
unico’ nel sistema di controllo delle società di
capitali. L’Articolo 17, infine, che ne dispone
l’entrata in vigore.
. Articolo di Maria Morena Ragone e
Fabrizio Sigillò) |