Avv. Paolo Nesta


Palazzo Giustizia  Roma


Palazzo Giustizia Milano

Sede di Roma: C.so Vittorio Emanuele II,  252   00186 – Roma
Tel. (+39) 06.6864694 – 06.6833101 Fax (+39) 06.6838993
Sede di Milano:  Via Pattari,  6   20122 - Milano 
Tel. (+39) 02.36556452 – 02.36556453  Fax (+ 39) 02.36556454 

 

DAL DANNO PER INABILITA’ AL DANNO BIOLOGICO NELL’ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA INFORTUNI SUL LAVORO :EXCURSUS TRA I PRONUNCIAMENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE-(D.ssa Silvana Toriello)

 

Home page

Note legali e privacy

Dove siamo

Profilo e attività

Avvocati dello Studio

Contatti

Cassa di Previdenza e deontologia forense

Notizie di cultura e di utilità varie

 

 

La previdenza.it

PREMESSA

 

Si è già visto che il tradizionale concetto di «inabilità » si identifica con la riduzione dell’attitudine generica al lavoro ed ha costituito per decenni il caposaldo del sistema di assicurazione obbligatoria (artt. 2, 68 e 74 T.U. 1965).L'art. 13 D.L.vo 23 febbraio 2000 n. 38 ha radicalmente modificato il sistema di indennizzo dei danni a carattere permanente conseguenti ad infortunio o a tecnopatia, avendo introdotto per essi (ma non anche per quelli a carattere temporaneo) il concetto di« danno biologico di origine professionale », inteso come lesione dell’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale e risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produrre reddito. Nel regime che emerge dagli artt. 68 e ss. T.U. 1965 assumono rilievo, agli effetti dell’indennizzo, solo le menomazioni di carattere fisiopsichico che riducono o annullano del tutto l’attitudine al lavoro del soggetto assicurato, cioè la sua capacità « biologica » di guadagno. Nel TU 1124/1965 la inabilità al lavoro si identifica, secondo la legge, con la perdita dell’attitudine al lavoro, ovvero con la perdita della capacità dell’infortunato di espletare un lavoro proficuo. La copertura assicurativa copre esclusivamente i riflessi che la menomazione psicofisica ha sull'attitudine al lavoro, e non anche ulteriori danni ad esempio alla vita di relazione. Secondo il TU 1124/1965 art. 74

 

a) Inabilità permanente assoluta: "toglie completamente e per tutta la vita l’attitudine al lavoro" (art. 74 T.U.), è un’incapacità generica.

 

b) Inabilità permanente parziale: "diminuisce in parte, ma essenzialmente e per tutta la vita, l’attitudine al lavoro" (art. 74 T.U.), è un’incapacità generica.

 

c) inabilità temporanea assoluta: "impedisce totalmente e di fatto all’infortunato di attendere al lavoro" (art. 68 T.U.), è un’incapacità specifica.

 

Negli anni 70’ ancora la Corte Costituzionale con decisione 28 gennaio 1970 n. 10 scriveva che la garanzia ivi sancita (dall’art. 38 ndr) a favore dei lavoratori infortunati attiene piuttosto all'adeguazione dei mezzi di carattere previdenziale alle esigenze di vita dell'infortunato piuttosto che alle modalità necessarie a conseguirli, a meno che esse siano tali da comprometterne il conseguimento”. Sul piano generale, nel valutare la risarcibilità del danno alla persona la giurisprudenza limitava il proprio interesse a due soli profili: il peggioramento delle capacità produttive del soggetto (lucro cessante) ed i patimenti sopportati in ragione della lesione (c.d. danno morale). Al di fuori del 2059 c.civ. dunque, il danno ingiusto di cui all'art.2043 del codice civile era individuato nella limitazione della capacità lavorativa generica, ossia l'astratta capacità di lavoro del soggetto; venendo ad incidere negativamente su questa, l'invalidità permanente comportava un danno di natura patrimoniale proporzionale al reddito della persona lesa e capitalizzato per il numero degli anni di lavoro a venire. Tale sistema però non assicurava ristoro  a quanti, privi di un reddito proprio, si trovavano comunque a subire un danno alla propria persona (disoccupati, casalinghe ecc.) e non riusciva a giustificare l'entità del risarcimento quando la lesione non avesse un riflesso sul guadagno (come nel caso della prevalenza del capitale sul fattore umano nell'ambito dell'attività economica svolta). Un sistema di calcolo tabellare fondato sul parametro del danno personale aveva inoltre la iniqua conseguenza di indennizzare diversamente menomazioni fisiche di eguale entità favorendo le persone che guadagnavano di più.

 

E’stata l’evoluzione presente nella giurisprudenza civilistica della nozione di danno alla persona che determinando in qualche modo divaricazione nella qualità e nella misurazione del danno previdenziale ha poi determinato un mutamento di rotta anche nella giurisprudenza della Corte Costituzionale. La nozione prettamente economicistica di danno patrimoniale non è apparsa sufficiente alla giurisprudenza che ha sottolineato che il danno alla persona (inteso in senso ampio) contempla tutto l'insieme dei danni, patrimoniali e non, che un soggetto subisce in conseguenza di un evento illecito. All'interno di questo insieme più ampio possiamo ritagliare la categoria dei danni alla persona in senso stretto (altrimenti definito danno biologico), intesi quali danni subiti primariamente e direttamente sulla sua persona dal soggetto leso da un illecito. Consapevole che il danno alla persona dovesse essere ancorato ad un riferimento alla lesione di interessi umani che prescindessero dalla capacità lavorativa, la giurisprudenza iniziò così un lungo cammino verso l'elaborazione del concetto di danno biologico. I primi tentativi si rivolsero a sfere diverse di danno come il danno alla sfera sessuale, il danno estetico, il danno alla vita di relazione alle quali tutte si cercò di offrire ristoro in via equitativa fondandosi sul disposto dell'art.1223 del codice civile.

 

Il presente contributo è finalizzato ad offrire un quadro di sintesi del’evoluzione della  giurisprudenza della Corte Costituzionale sul punto.

IL DANNO MORALE

 

E’il danno morale a fare per primo il suo ingresso nella elaborazione civilistica inteso come ripercussione patrimoniale indiretta del dolore . Ad oggi il danno morale è normalmente definito dalla giurisprudenza come “l'ingiusto turbamento dello stato d'animo del danneggiato o anche il patema d'animo o stato d'angoscia transeunte generato dall'illecito” (Cass. n. 10393/2002). Con il danno morale si va dunque ad intaccare quello che è lo stato d'animo del lavoratore, consentendo il ristoro di tutti quei turbamenti, quali ansie ed angosce, che derivano al prestatore dall'aver subito un illecito da parte del proprio datore di lavoro. Grazie alla ricostruzione giurisprudenziale affermatasi nel corso degli anni, il danno morale viene direttamente ricondotto all'art. 185 codice penale, e quindi al danno risarcibile nei confronti delle vittime di un reato, le quali possono chiedere il ristoro per il turbamento dello stato d'animo derivante dall'aver subito un reato. secondo una interpretazione strettamente letterale dell'art. 2059 c.c.. In base a quest'ultima norma infatti “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. Questo significa “tipicità” del danno non patrimoniale, quindi soltanto se la legge per il caso particolare che interessa riesce a configurare un danno non patrimoniale, è possibile chiederne il risarcimento.

 

Il concetto di “legge” lo s'intende onnicomprensivo di tutte le fonti, quindi anche della Costituzione. Pertanto, se una condotta illecita del datore di lavoro è lesiva di un bene costituzionalmente garantito, l’art.2059 c.c. risulterà rispettato e quindi potrà essere chiesto il risarcimento. Deriva da ciò che il lavoratore potrà ottenere il risarcimento del danno morale soltanto se il comportamento illecito del datore di lavoro sia ascrivibile agli estremi di un reato. Ciò, in particolare, avviene nelle ipotesi di mobbing, di demansionamento talmente prolungato da integrare la fattispecie di lesioni colpose ovvero nelle ipotesi di licenziamento ingiurioso o diffamatorio.

LA SENTENZA 87/1979 DELLA CORTE COSTITUZIONALE

 

Con questa sentenza la Corte dichiaro' infondata la questione di legittimità costituzionale posta dal Tribunale di Padova rappresentando in un inciso fondamentale che ha sorretto tutta la evoluzione giurisprudenziale successiva che rientra nella discrezionalità del legislatore adottare un trattamento differenziato, ove non vengono in considerazione situazioni soggettive costituzionalmente garantite. L'art. 2059 c.c. non pone limitazioni all'esercizio di un diritto, prevedendo invece che il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale sorge solo nei casi espressamente previsti dalla legge; e quindi affermo' si' che l'art. 2059 c.c. non contrasta col principio di eguaglianza, essendo lecito al legislatore operare trattamenti diversificati di situazioni non identiche per presupposti e gravita', ma indico' espressamente, tuttavia, come limite alla facolta' discrezionale del legislatore, l'ipotesi in cui vengano in considerazione situazioni soggettive costituzionalmente garantite.

LA SENTENZA 88/1979 DELLA CORTE COSTITUZIONALE

 

In questa sentenza la Corte Costituzionale riconduce il danno alla salute al carattere precettivo dell’art. 32 Cost e così statuisce :” invero gli artt. 2059 del codice civile e 185 del codice penale, nel loro combinato disposto, espressamente stabiliscono che, ove un reato sia commesso, il colpevole é tenuto anche al risarcimento dei danni non patrimoniali. L'espressione "danno non patrimoniale", adottata dal legislatore, é ampia e generale e tale da riferirsi, senza ombra di dubbio, a qualsiasi pregiudizio che si contrapponga, in via negativa, a quello patrimoniale, caratterizzato dalla economicità dell'interesse leso. Il che porta a ritenere che l'ambito di applicazione dei sopra richiamati artt. 2059 del codice civile e 185 del codice penale - contrariamente a quanto affermato nell'ordinanza di rimessione - si estende fino a ricomprendere ogni danno non suscettibile direttamente di valutazione economica, compreso quello alla salute. Il bene a questa afferente é tutelato dall'art. 32 Costituzione non solo come interesse della collettività, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo, sicché si configura come un diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati. Esso certamente é da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione e non sembra dubbia la sussistenza dell'illecito, con conseguente obbligo della riparazione, in caso di violazione del diritto stesso. Da tale qualificazione deriva che la indennizzabilità non può essere limitata alle conseguenze della violazione incidenti sull'attitudine a produrre reddito ma deve comprendere anche gli effetti della lesione al diritto, considerato come posizione soggettiva autonoma, indipendentemente da ogni altra circostanza e conseguenza. Ciò deriva dalla protezione primaria accordata dalla Costituzione al diritto alla salute come a tutte le altre posizioni soggettive a contenuto essenzialmente non patrimoniale, direttamente tutelate. Appare evidente, allora, che ricorrendo nella fattispecie in esame i presupposti per l'applicabilità dell'art. 2059 del codice civile (il Capenti era stato condannato, in sede penale, per il reato di cui all'art. 582 cod. pen.), vi é la possibilità di accordare agli attori il risarcimento per tutti i pregiudizi di carattere non patrimoniale da essi subiti in dipendenza dell'illecito, compresi quelli corrispondenti alla menomazione della loro integrità fisica in sé considerata. Non é quindi ipotizzabile alcun contrasto con gli artt. 32 e 24 della Costituzione - in quanto la tutela del diritto alla salute, riconosciuto dalla Costituzione come diritto fondamentale dell'individuo oltre che come interesse della collettività, riceve, nella particolare ipotesi esaminata (che é la sola che in questa sede può venire in considerazione), concreta applicazione.  Del pari insussistente é poi la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione - fondata sulla differente entità del risarcimento a seconda del reddito e delle condizioni economiche del danneggiato - poiché, per quanto si é detto, la lesione del diritto alla salute, autonomamente considerato, può trovare, nel caso di specie, congrua riparazione, a prescindere da ogni riflesso di ordine economico.”

LA SENTENZA N.184/1986 DELLA CORTE COSTITUZIONALE

 

L'esperienza giurisprudenziale ha, nella propria evoluzione, il proprio fondamentale spartiacque nella pronuncia sulla legittimità costituzionale dell'art.2059 del codice civile intervenuta nel 1986 (sentenza numero 184) in cui la Corte ebbe modo di precisare che il danno biologico è distinto dal danno morale di cui all'art.2059 ed è fondato sulla lesione diretta del diritto alla salute tutelato dall'art.32 della Costituzione offrendo,peraltro, una lettura costituzionale dell’art. 2043. La Corte distinse in particolare il danno evento, che è intrinseco al fatto illecito in quanto costituito dalla lesione (la menomazione dell'integrità psico fisica del soggetto), dal danno conseguenza, ossia dalle conseguenze dannose del fatto collocandoli tuttavia entrambi nell'ampio genus del danno patrimoniale, soluzione accolta proprio per non limitare la risarcibilità del danno biologico. L'art. 2043 c.c. e' una sorta di "norma in bianco": mentre nello stesso articolo e' espressamente e chiaramente indicata l'obbligazione risarcitoria, che consegue al fatto doloso o colposo, non sono individuati i beni giuridici la cui lesione e' vietata: l'illiceita' oggettiva del fatto, che condiziona il sorgere dell'obbligazione risarcitoria, viene indicata unicamente attraverso l'"ingiustizia" del danno prodotto dall'illecito. E' stato affermato, quasi all'inizio di questo secolo (l'osservazione era riferita all'art. 1151 dell'abrogato codice civile ma vale, ovviamente, anche per il vigente art. 2043 c.c.) che l'articolo in esame "contiene una norma giuridica secondaria, la cui applicazione suppone l'esistenza d'una norma giuridica primaria, perche' non fa che statuire le conseguenze dell'iniuria, dell'atto contra ius, cioe' della violazione della norma di diritto obiettivo".

 

Il riconoscimento del diritto alla salute, come fondamentale diritto della persona umana, comporta il riconoscimento che l'art. 32 Cost. integra l'art. 2043 c.c., completandone il precetto primario. E' il collegamento tra gli artt. 32 Cost. e 2043 c.c. che ha permesso d'affermare che, dovendosi il diritto alla salute certamente ricomprendere tra le posizioni subiettive tutelate dalla Costituzione, "non sembra dubbia la sussistenza dell'illecito, con conseguente obbligo della riparazione, in caso di violazione del diritto stesso". L'ingiustizia del danno biologico e la conseguente sua risarcibilita' discendono direttamente dal collegamento tra gli artt. 32, primo comma, Cost. e 2043 c.c.; piu' precisamente dall'integrazione di quest'ultima disposizione con la prima. mentre rientra nella discrezionalità del legislatore adottare discipline differenziate per la tutela risarcitoria di situazioni diverse, tale discrezionalità è invece esclusa allorquando vengano in considerazione situazioni soggettive costituzionalmente garantite. Per queste ultime, cioè, la garanzia costituzionale implica logicamente l'obbligo del legislatore di apprestare una tutela piena , ed in particolare - ma non esclusivamente - una piena tutela risarcitoria. Il riconoscimento del diritto alla salute come diritto pienamente operante anche nei rapporti di diritto privato, non e' senza conseguenza in ordine ai collegamenti tra lo stesso art. 32, primo comma, Cost. e l'art. 2043 c.c La vigente Costituzione, garantendo principalmente valori personali, svela che l'art. 2043 c.c. va posto soprattutto in correlazione agli articoli dalla Carta fondamentale (che tutelano i predetti valori) e che, pertanto, va letto in modo idealmente idoneo a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell'illecito. L'art. 2043 c.c., correlato all'art. 32 Cost., va, necessariamente esteso fino a comprendere il risarcimento, non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma (esclusi, per le ragioni gia' indicate, i danni morali subiettivi) tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le attivita' realizzatrici della persona umana.

 

Ed e' questo il profondo significato innovativo della richiesta di autonomo risarcimento, in ogni caso, del danno biologico: tale richiesta contiene un implicito, ma ineludibile, invito ad una particolare attenzione alla norma primaria, la cui violazione fonda il risarcimento ex art. 2043 c.c., al contenuto dell'iniuria, di cui allo stesso articolo, ed alla comprensione (non piu' limitata, quindi, alla garanzia di soli beni patrimoniali) del risarcimento della lesione di beni e valori personali.

 

Se e' vero che l'art. 32 Cost. tutela la salute come diritto fondamentale del privato, e se e' vero che tale diritto e' primario e pienamente operante anche nei rapporti tra privati, allo stesso modo come non sono configurabili limiti alla risarcibilita' del danno biologico, quali quelli posti dall'art. 2059 c.c., non e' ipotizzabile limite alla risarcibilita' dello stesso danno, per se' considerato, ex art. 2043 c.c. Il risarcimento del danno ex art. 2043 e' sanzione esecutiva del precetto primario: ed e' la minima (a parte il risarcimento ex art. 2058 c.c.) delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la tutela d'un interesse.

 

Questa impostazione radicalmente innova rispetto all’assetto proprio dell’assicurazione obbligatoria con particolare riferimento all’articolo 10 che esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile con riferimento alla sola componente patrimoniale del danno alla persona.

LA SENTENZA 6 GIUGNO 1989 N. 319 DELLA CORTE COSTITUZIONALE

 

Quando la Corte Costituzionale ha pronunciato detta sentenza,  valeva la tripartizione del danno risarcibile, in danno patrimoniale, danno biologico, danno morale, costituente ognuno un genus diverso dall’altro. L’Inail indennizzava, non il danno alla persona in sé considerato (danno biologico, corrispondente al danno non patrimoniale biologico civilistico), ma il danno alla “attitudine al lavoro”, costituente un danno di natura sostanzialmente patrimoniale (Corte cost. n.356/1991).Era ovvio allora che la “prelazione o prededuzione” in favore dell’ente gestore dell’assicurazione sociale, su quanto dovuto dall’assicuratore della responsabilità civile, si risolveva, in caso di insufficienza del massimale, in un “esproprio” del diritto del lavoratore danneggiato all’integrale risarcimento del danno alla persona, costituzionalmente rilevante. Il ragionamento svolto dalla Corte costituzionale era il seguente: le ragioni della surroga non possono prevalere e pregiudicare valori costituzionalmente garantiti della persona, per cui, in caso di incapienza del massimale, occorre, anzitutto, che il lavoratore veda integralmente e prioritariamente ristorati i danni alla “integrità personale”, configurata come “fondamentale diritto dell’individuo”.Se, in caso di insufficienza del massimale, avesse prevalso l’interesse al recupero di quanto erogato da parte dell’ente gestore di assicurazione sociale, il lavoratore danneggiato avrebbe visto pregiudicato il suo diritto al pieno ristoro dei danni alla persona subiti.

 

Di qui la pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art.28 L. n.990/1969.

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 15 FEBBRAIO 1991 N. 87

 

In questa sentenza assicurazione infortuni e danno alla salute  si incontrano. Il danno biologico non rientra nella copertura Inail e deve essere pertanto risarcito dal datore di lavoro secondo le regole ordinarie della responsabilità civile. Indubbiamente,scrive la Corte,  l'esclusione dell'intervento pubblico per la riparazione del danno alla salute patito dal lavoratore in conseguenza di eventi connessi alla propria attività lavorativa non può dirsi in sintonia con la garanzia della salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività (art. 32 Cost.) e, ad un tempo, con la tutela privilegiata che la Carta costituzionale riconosce al lavoro come valore fondante della nostra forma di Stato (artt. 1, primo comma, 4, 35 e 38 Cost.), nel quadro dei più generali principi di solidarietà (art. 2 Cost.) e di eguaglianza, anche sostanziale (art. 3 Cost.).È vero che il danno biologico, in sé considerato, deve ritenersi risarcibile da parte del datore di lavoro secondo le regole che governano la responsabilità civile di quest'ultimo. Tuttavia, le stesse ragioni, che hanno indotto a giudicare non soddisfacente la tutela ordinaria e ad introdurre un sistema di assicurazione sociale obbligatoria contro il rischio per il lavoratore di infortuni e malattie professionali capaci di incidere sulla sua attitudine al lavoro, inducono a ritenere che anche il rischio della menomazione dell'integrità psico-fisica del lavoratore medesimo, prodottasi nello svolgimento e a causa delle sue mansioni, debba per sé stessa, e indipendentemente dalle sue conseguenze ulteriori, godere di una garanzia differenziata e più intensa, che consenta, mediante apposite modalità sostanziali e procedurali, quella effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno che la disciplina comune non è in grado di apprestare. Un simile ampliamento della tutela sarebbe pure in linea, per un verso, con la tendenza all'espansione della copertura assicurativa dei rischi del lavoratore, rivelata, per esempio, dall'abbandono del c.d. sistema tabellare delle malattie professionali (v. sentenza n. 179 del 1988); per altro verso, con il crescente impegno di meccanismi solidaristici per la reintegrazione di danni alla persona, autonomamente considerati (v. sentenze nn. 560 e 561 del 1987). Tuttavia, deve ammettersi che il rafforzamento della tutela del lavoratore qui considerato comporterebbe una innovazione legislativa, e quindi la specificazione di modalità procedurali e tecniche, la cui effettuazione spetta al legislatore. Di conseguenza, la questione deve essere dichiarata inammissibile. Non senza ricordare, però, come l'esigenza di adeguata tutela delle malattie professionali abbia indotto la Corte - di fronte alla prolungata inerzia del legislatore, ed in presenza di determinate condizioni - a pervenire alla declaratoria di illegittimità costituzionale del c.d. sistema tabellare, la cui revisione abbisognava anch'essa di specificazioni. Il caso concerneva un lavoratore che ,per effetto del lavoro, aveva contratto una azospermia con impotentia generandi, per sé non indennizzabile perché non incidente sull’attitudine al lavoro.

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 356 DEL 18 LUGLIO 1991

 

Con questa sentenza la Corte si pronuncia specificamente sul danno biologico nell’assicurazione infortuni precisando che la suddetta copertura assicurativa non ha per oggetto il danno biologico di per sé stesso e nella sua integralità.Le indennità previste dal d.P.R. n. 1124 del 1965 sono collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psico-fisica ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato, mentre nessun rilievo assumono gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento agli altri ambiti e agli altri modi in cui il soggetto svolge la sua personalità nella propria vita. Certamente - come è stato affermato nella citata sentenza n. 87 del 1991 - le stesse ragioni che hanno indotto ad introdurre un sistema di assicurazione sociale obbligatoria in materia di infortuni sul lavoro e di malattie professionali, inducono a ritenere che il rischio della menomazione dell'integrità psico-fisica del lavoratore medesimo, collegato allo svolgimento delle sue mansioni, debba godere di una garanzia differenziata e più intensa, che consenta quella integrale ed automatica riparazione del danno biologico che la disciplina comune non è in grado di apprestare in modo effettivo. Il danno all'integrità fisica deve essere oggetto di piena tutela assicurativa per finalità che trovano consacrazione nell'art. 32 ed anche - come è stato rilevato in dottrina - nel senso di solidarietà sociale che permea di sè l'intera Costituzione. In questo senso la Corte ha rivolto al legislatore un chiaro invito - che viene qui ribadito - ad un intervento diretto ad una riforma del sistema assicurativo idonea ad apprestare una piena ed integrale garanzia assicurativa rispetto al danno biologico derivante da infortunio sul lavoro o da malattia professionale. L'art. 1916 cod. civ. - che non esclude dal regresso dell'assicuratore le somme dovute dal terzo danneggiante per titoli di danno diversi da quelli che costituiscono oggetto del rischio assicurato-deve quindi essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 32 della Costituzione, nella parte in cui consente all'assicuratore di avvalersi, a tal fine, anche delle somme che il terzo deve al danneggiato a titolo di risarcimento del danno biologico che non formi oggetto della copertura assicurativa. La Corte, richiamando la sequenza concettuale delineata dalla propria giurisprudenza sul tema della tutela risarcitoria del diritto alla salute, ha ribadito che il principio costituzionale della integrale e non limitabile tutela risarcitoria del diritto alla salute riguarda prioritariamente e indefettibilmente il danno biologico in sé considerato, che sussiste a prescindere dalla eventuale perdita o riduzione di reddito e che va riferito alla integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica sé stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità, e cioè a tutte "le attività realizzatrici della persona umana".

 

Sulla base di tali principi, la Corte - chiamata a giudicare la legittimità costituzionale dell'art. 1916 cod. civ. - ha affermato che "allorquando la copertura assicurativa, in virtù delle norme di legge o di contratto che la disciplinano, non abbia ad oggetto il danno biologico, oppure si limiti ad indennizzare la perdita o riduzione di alcune soltanto delle capacità del soggetto (come avviene per l'attitudine al lavoro nel regime dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), consentire che l'assicuratore, nell'esercizio del proprio diritto di surroga nei confronti del terzo responsabile, si avvalga anche del diritto dell'assicurato al risarcimento del danno biologico non coperto dalla prestazione assicurativa, significa, appunto, sacrificare il diritto dell'assicurato stesso all'integrale risarcimento di tale danno, con conseguente violazione dell'art. 32 della Costituzione".

SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE, 27 DICEMBRE 1991, N. 485

 

Sulla base della via ormai tracciata con i precedenti pronunciamenti la Corte dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 10, sesto e settimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui prevede che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa hanno diritto, nei confronti delle persone civilmente responsabili per il reato da cui l'infortunio è derivato, al risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica solo se e solo nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superi l'ammontare delle indennità corrisposte dall'I.N.A.I.L. Dichiara, altresì, l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, primo e secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1964, n. 1124, nella parte in cui consente all'I.N.A.I.L. di avvalersi, nell'esercizio del diritto di regresso contro le persone civilmente responsabili, anche delle somme dovute al lavoratore infortunato a titolo di risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica.

 

L’esonero del datore di lavoro da responsabilità civile viene per tal via interpretata come riferente si al solo danno patrimoniale oggetto dell’assicurazione obbligatoria , con esclusione del risarcimento del danno da lesione del diritto alla salute.La corte statuisce quanto precede in relazione allo status quo del tempo e sottolinea parimenti come anche il danno biologico debba in prospettiva essere ricondotto alla tutela ex art. 38 Cost. e quindi all’intervento pubblico.

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 17 FEBBRAIO 1994, N. 37

 

Con questa decisone la Corte considera  infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 10 comma 6 e 7 e 11 comma 1 e 2 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, sollevata, con riferimento agli art. 2, 32 e 38 cost.,dal Tribunale di Ravenna in base al presupposto interpretativo che le citate norme, consentendo all'INAIL, in sede di regresso per indennizzo corrisposto al lavoratore per infortuni sul lavoro ed addebitabili al datore di lavoro, di avvalersi di somme da questo dovute al danneggiato per danni morali ex art. 2053 c.c., sottrarrebbe al danneggiato quanto gli spetta a titolo di risarcimento, per danni non collegati ad una diminuzione della capacità lavorativa e quindi non rientranti nel rischio assicurato. Per tal via la Corte Costituzionale supera una volta per tutte i, principio interpretativo secondo cui il danno risarcibile anche se comprende diverse componenti , costituisce un complesso unitario e sostanzialmente indifferenziato.

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 27 OTTOBRE 1994, N. 372

 

Di non facile comprensione è poi il confronto, instaurato ai fini dell'art. 3 Cost., con la disciplina delle prestazioni previdenziali per infortunio sul lavoro, modificata dalle sentenze nn. 356 e 485 del 1991 di questa Corte, ulteriormente sviluppate dalla sent. n. 37 del 1994, in relazione all'ipotesi di infortunio inabilitante. Da tali pronunce non si può argomentare che in caso di infortunio mortale la rendita corrisposta dall'INAIL ai superstiti include il risarcimento del danno biologico derivato al lavoratore per la parte "riconducibile alla mera attitudine a produrre reddito": questo tipo di danno non è configurabile proprio perchè l'assicurato è morto. La rendita spetta iure proprio ai superstiti indicati dall'art. 85 del d.P.R. 30 giugno 1965, n.1124 (modificato dalla legge 10 maggio 1982, n. 251), giusta una regola analoga a quella dell'art. 1920, terzo comma, cod.civ. (estranea all'istituto della responsabilità civile), ed è destinata a indennizzare forfettariamente il pregiudizio patrimoniale sofferto a ragione del loro rapporto di dipendenza economica col defunto, mentre il danno biologico ad essi eventualmente derivato dalla morte del familiare è disciplinato dal diritto comune.

 

L'ostacolo a riconoscere ai congiunti, di persona deceduta a seguito di comportamento colposo altrui, un risarcimento "iure successionis" della lesione del diritto alla vita e alla salute non proviene dal carattere patrimoniale dei danni risarcibili ai sensi dell'art. 2043 c.c., bensì da un limite strutturale della responsabilità civile afferente sia all'oggetto del risarcimento, che non può consistere se non in una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva, sia alla liquidazione del danno, che non può riferirsi se non a perdite; e, pertanto, la tutela risarcitoria del diritto alla salute, ex art. 2043 c.c. a cui va esteso il limite di cui sopra, non è in contrasto con gli art. 2 e 32 cost.

 

Il danno biologico è la conseguenza della violazione del diritto alla salute e, quindi, postula necessariamente la permanenza in vita del soggetto leso, mentre in caso di morte è violato il diritto alla vita, che è bene giuridico completamente diverso dal diritto alla salute. Principi poi ripresi dalla Cassazione Civile che ad esempio in Sez. III del 17 gennaio 2008 n. 870 statuisce:

 

“Il danno all’integrità psico-fisica, trasmesso "iure hereditatis" dalla persona deceduta ai suoi stretti congiunti, va risarcito anche quando la sopravvivenza della vittima è limitata ad uno spazio temporale molto breve; non risulta stabilito in linea generale quale durata debba avere la sopravvivenza perché possa essere ritenuta apprezzabile, ai fini del risarcimento del danno biologico, ma è del tutto evidente che non può escludersi in via di principio che sia apprezzabile una sopravvivenza che si protrae per tre giorni (nella specie la Corte ha cassato con rinvio la sentenza della Corte D’Appello che aveva negato ad una coppia di genitori - che aveva perso il giovane figlio in un incidente stradale – il danno biologico "iure hereditatis" perché il ragazzo era sopravvissuto solo per tre giorni)”.

LA REAZIONE DELLA DOTTRINA

 

In Italia non è mancato chi (Persiani) ha rimarcato che la Corte nel suo percorso, si sarebbe ispirata ad una logica di tipo assicurativo propria della responsabilità civile, che esige l’integrale risarcimento del danno alla persona, estranea invece alla tutela previdenziale di cui al 38C che vale per i fini dell’assicurazione Inail a sostegno del lavoratore infortunato che ha bisogno dal risarcimento in sede civilistica.

 

La dottrina italiana prevalente ha comunque condiviso le conclusioni della Corte secondo cui la tutela previdenziale sarebbe in qualche modo monca ove mai non tenesse conto della lesione dell’integrità psico fisica del lavoratore rendendo centrale la tutela globale della persona del  lavoratore infortunato non più solo la tutela del fatto lesivo in sé considerato(Giubboni, La Peccerella)

 

E d’altronde le valutazioni circa le attenzioni e le limitazioni, cui inevitabilmente va incontro un soggetto che contrae il virus HCV (particolarità del regime alimentare, cautele nei rapporti con i terzi, diminuita intensità della vita lavorativa), fra l'altro in presenza di malattia silente, non attengono in linea di principio alla tutela antinfortunistica, perché estranee alla nozione dell'attitudine al lavoro nella sua espressione della capacità lavorativa generica, quest'ultima riferita alla diminuzione della concreta capacità di lavoro dell'assicurato in rapporto alla produzione del reddito.

 

Lo ha stabilito la Sezione lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza 1° marzo 2004 n. 4165, ricordando che , anche a voler prevedere una qualche incidenza della malattia sulla predetta capacità lavorativa generica, giammai potrebbe derivarne una riduzione della capacità lavorativa generica nei limiti minimi della sua indennizzabilità.

 

Al tempo stesso se si pensa al lavoro precario in cui è difficile determinare una retribuzione che rispecchi l’intera vita lavorativa e che non dia luogo a rendite minimali la considerazione della lesione all’integrità psicofisica può aiutare a ridurre le conseguenze negative sul versante dell’assicurazione obbligatoria dell’espansione del lavoro precario. Successivamente anche la giurisprudenza di Cassazione ( su cui però andrebbe fatta più approfondita riflessione)  ha ispirato i propri pronunciamenti al decisum della Corte Costituzionale come è evincibile da Cassazione civile sez. III, 20 giugno 1992 n. 7577 in base alla quale in tema di surrogazione dell'assicuratore nei diritti dell'assicurato, ai sensi dell'art. 1916 c.c., opera il principio - che impronta anche la giurisprudenza costituzionale (sent. n. 319 del 1989, 356 del 1991 e 485 del 1991), - secondo il quale l'esercizio della relativa azione non deve sacrificare, oltre i limiti imposti dal contenuto del rapporto assicurativo, il diritto dell'assicurato all'integrale risarcimento del danno, con la conseguenza che non può estendersi anche al danno non coperto dalla garanzia assicurativa, quale il danno morale patito dal lavoratore - a cagione di un infortunio sul lavoro imputabile a penale responsabilità di terzi - e non compreso nell'indennizzo corrisposto dall'INAIL. Per tal via si è pervenuti alla conseguenza secondo cui l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile opera solo nei limiti dell’assicurazione obbligatoria e dei suoi presupposti oggettivi e soggettivi. Al di fuori di questi limiti e dove la copertura non interviene, non opera l’esonero e la responsabilità civile del datore di lavoro è disciplinata dal codice civile senza i limiti imposti dall’art. 10 TU 1124/1965. L’azione di rivalsa ex artt. 1916 o 10 e 11 DPR 30 giugno 1965 n. 1124 non può estendersi alle somme dovute per il risarcimento dei titoli di danno che non siano oggetto della tutela previdenziale.

 

Le indicazioni della Consulta sono state definitivamente raccolte dal legislatore con la legge delega 144/1999 art. 55 lett. s) prodromica all’introduzione nell’assicurazione obbligatoria dell’indennizzo per danno biologico ex art. 13 D. Lgs. 38/2000.

 

Legislazione e normativa nazionale

Dottrina e sentenze

Consiglio Ordine Roma: informazioni

Rassegna stampa del giorno

Articoli, comunicati e notizie

Interventi, pareri e commenti degli Avvocati

Formulario di atti e modulistica

Informazioni di contenuto legale

Utilità per attività legale

Links a siti avvocatura e siti giuridici