Federico Gavioli
La Corte di Cassazione ha
confermato che è legittimo il provvedimento di revoca
dell'incarico se è giustificato da manchevolezze e
negligenze del dirigente pubblico. La vicenda presa in
esame dai giudici di legittimità è di notevole
importanza per il mondo del pubblico impiego che dopo
una serie di riforme attuate in questo ultimo decennio
e, dopo la cura "Brunetta" del precedente esecutivo di
Governo, tende ad assomigliare sempre più al privato.
Con la sentenza n. 25036 del 28
novembre 2011 la Corte di Cassazione, in tema di
pubblica amministrazione, ha confermato che è legittimo
il provvedimento di revoca se è giustificato da
manchevolezze e negligenze del dirigente pubblico.
La vicenda presa in esame dai
giudici di legittimità è di notevole importanza per il
mondo del lavoro del pubblico impiego che dopo una serie
di riforme attuate in questo ultimo decennio e, dopo la
cura “Brunetta “ del precedente esecutivo di Governo,
tende ad assomigliare sempre più al privato.
Il caso nasce a seguito del fatto
che il Tribunale ordinario aveva dichiarato
l’illegittimità del decreto della Agenzia delle Entrate,
con cui un suo dirigente pubblico era stato rimosso
dall'incarico di Capo di un Reparto dell'Ufficio IVA di
una città siciliana, ordinando alla stessa Agenzia delle
Entrate di reintegrare il ricorrente in mansioni
ritenute equivalenti a quelle svolte in precedenza dal
lavoratore presso il suddetto Ufficio e condannando,
l'Amministrazione, al risarcimento dei danni
patrimoniali subiti dal ricorrente per effetto del
demansionamento.
Per converso i giudici di secondo
grado hanno “ribaltato” la sentenza dei giudici di primo
grado ritenendo che il provvedimento di revoca
dell’Agenzia delle Entrate fosse giustificato alla luce
di una valutazione complessiva delle numerose violazioni
dei doveri d'ufficio commesse dal dipendente e dei
risultati negativi della gestione del reparto,
osservando altresì che non vi era comunque prova che le
nuove mansioni assegnate al dipendente ricorrente non
rientrassero tra quelle proprie della qualifica
rivestita dal ricorrente.
Avverso tale sentenza il dirigente
pubblico ricorre in Cassazione.
La rimozione dell’incarico nella
pubblica amministrazione
Occorre preliminarmente rilevare
che con la riforma Brunetta viene introdotto per la
prima volta il criterio della trasparenza e della
pubblicità nel procedimento per l’affidamento degli
incarichi e, dando un forte rilievo alla valutazione, si
punta sulla rivoluzione del merito.
Occorre rilevare che dopo i
numerosi interventi interpretativi della magistratura
volti a tutelare la dirigenza riaffermando la
separazione del potere politico da quello gestionale
(vedi in particolare le sentenze della Corte
Costituzionale 103/2007 e 104/2007, nonché 161/2008) la
riforma Brunetta ha cercato (e sta cercando nel suo
intento) di porre rimedio ai problemi connessi con
l’attribuzione e la revoca degli incarichi dirigenziali.
L’incarico può essere revocato
(art. 21 del D.Lgs 165/2001) in caso di responsabilità
dirigenziale per mancanza di raggiungimento degli
obiettivi fissati, da accertare attraverso le risultanze
del sistema di valutazione previsto dal D.Lgs 150/2009,
o per inosservanza delle direttive; la revoca deve
essere ancorata a dati oggettivi e valutabili e non già
“ad nutum e deve seguire precise garanzie procedimentali
(atto comunicato al dirigente con congruo avviso,
motivato e previo contraddittorio, sottoposto al
controllo giurisdizionale in relazione alla sua
legittimità sostanziale e al rispetto delle garanzie
procedimentali)”.
Il D.Lgs. 165/2001 prevede,
infatti, che il mancato raggiungimento degli obiettivi
accertato attraverso le risultanze del sistema di
valutazione di cui al Titolo II del decreto legislativo
di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in
materia di ottimizzazione della produttività del lavoro
pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni ovvero l'inosservanza delle direttive
imputabili al dirigente comportano, previa contestazione
e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare
secondo la disciplina contenuta nel contratto
collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso
incarico dirigenziale. A proposito della gravità dei
casi, l'amministrazione può, inoltre, previa
contestazione e nel rispetto del principio del
contraddittorio, revocare l'incarico collocando il
dirigente a disposizione dei ruoli o può recedere dal
rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto
collettivo.
L’analisi dei giudici
I giudici di legittimità con la
sentenza citata nel paragrafo iniziale osservano che i
giudici di merito hanno ritenuto giustificato il
provvedimento di revoca dell'incarico, adottato
dall'Amministrazione nei confronti del dirigente
ricorrente, sulla base di un esame complessivo delle
manchevolezze riscontrate nella gestione del reparto al
quale il dirigente ricorrente era preposto,
manchevolezze ritenute "di essenziale importanza, in
quanto relative alla principale finalità istituzionale
dell'Agenzia delle Entrate", oltre che reiterate in un
arco temporale inferiore ad un anno, osservando che il
ritardo nell'invio di numerosi atti di contestazione e
avvisi di accertamento alla firma del Dirigente non
poteva trovare alcuna valida giustificazione,
considerato anche "il rischio derivante dal ritardo
nell'attività di riscossione" e "il pregiudizio che ne
risente l'attività amministrativa, gravemente
penalizzata dalla necessità di avviare alla notifica, in
prossimità della scadenza, una gran mole di atti che ben
potevano, invece, se correttamente gestiti, essere
scaglionati nel tempo".
Altrettanto grave e ingiustificato
era il calo di produttività del reparto, che si
attestava intorno al 74% e che, date le proporzioni, non
poteva essere spiegato con le pur lamentate carenze di
organico.
Per i giudici di legittimità si
tratta, come è evidente, di una valutazione di fatto,
devoluta al giudice del merito, non censurabile in
cassazione in quanto comunque assistita da motivazione
sufficiente e non contraddittoria.
Per la Corte di Cassazione, quindi,
il ricorso deve essere pertanto respinto con la conferma
della sentenza impugnata. |