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IL VALORE DEL DISSENSO AL TRATTAMENTO SANITARIO’ – David DURISOTTO

 

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Il nostro ordinamento attribuisce una rilevanza particolarmente forte alla funzione del consenso del paziente nella esecuzione di un trattamento sanitario, prevedendola espressamente nella Costituzione. Nell’art. 32, infatti, si sancisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Si specifica, inoltre, che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Strettamente legato al valore del consenso del paziente è il tipo di rapporto che questi instaura con il medico curante, nonché la individuazione della nozione di trattamento sanitario nel nostro ordinamento ed il ruolo che deve essere attribuito al consenso in ordine alla legittimità di tale intervento.

Il trattamento sanitario citato dalla Costituzione può definirsi come quell’atto posto in essere da parte di un operatore sanitario, volto al fine di «favorire le condizioni di vita di un essere umano vivente». Vi rientrano pertanto quegli interventi aventi finalità terapeutiche, eseguiti a regola d’arte, quelli diagnostici1 e quegli atti dell’operatore sanitario quali la visita medica, la profilassi, la somministrazione di farmaci, di antidolorifici e quegli interventi di carattere non strettamente terapeutico, quali gli interventi estetici o sperimentali.

Il tradizionale rapporto che tra il medico e paziente era non di rado improntato ad un approccio di carattere paternalistico. Il paziente si faceva curare e si affidava al lavoro del medico, il quale a sua volta non si sentiva strettamente tenuto ad informare il paziente e i congiunti sulla diagnosi e sul metodo terapeutico a cui intendeva sottoporre il soggetto. L’intervento di nuove disposizioni legislative e deontologiche, nonché di importanti affermazioni giurisprudenziali, ha determinato lo sviluppo di un nuovo modello di relazione improntato alla «tendenziale equiparazione dei protagonisti del rapporto di cura».

Non sono, quindi, «più accettabili né giustificabili ingerenze nella sfera dei diritti personali e delle libertà del paziente motivate dalla posizione di superiorità e di garanzia del sanitario». Nel momento in cui l’evoluzione scientifica e tecnologica della medicina consente di accedere a «terapie innovative capaci non solo di evitare la morte, ma anche di rispondere ad esigenze sempre più voluttuarie della persona», la tutela della libertà di autodeterminazione del paziente diviene «parte integrante delle prestazioni mediche».

La svolta fondamentale in ordine alla affermazione della necessità del consenso informato per questo tipo di trattamenti e, è stata operata dalla sentenza del 22 Ottobre 1990, n. 441 della Corte Costituzionale, attraverso l’individuazione di un criterio interpretativo che lega in combinato disposto gli artt. 13 e 32 della Costituzione. La libertà personale sancita dall’art. 13 Cost., della quale non si ammettono restrizioni, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge, deve essere interpretata nel senso che «la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo» potrà estendersi solo attraverso modalità che siano compatibili con il rispetto della dignità umana e, pertanto, solamente con la presenza di un consenso da parte del soggetto stesso, secondo quanto si evince dal secondo comma dell’art. 32 della Costituzione6. La Consulta riconosce così che il diritto di autodeterminarsi in ordine agli atti che coinvolgono il proprio corpo ha un diretto fondamento costituzionale nel principio di libertà personale, e che esso «non è più collegato al solo diritto alla salute, ma è espressione del generale diritto di libertà dell’individuo, rispetto al quale il consenso informato costituisce il necessario corollario». Senza un valido consenso al trattamento sanitario, il soggetto «non è più persona, ma oggetto di esperimento o di un’attività professionale che trascura il fattore umano su cui interviene, dequalificando il paziente stesso da persona a cosa». Il tema del consenso al trattamento sanitario, ossia la possibilità per il paziente di decidere consapevolmente e in piena libertà di essere sottoposto ad esso, ha quindi assunto negli ultimi decenni un ruolo fondamentale nel rapporto con il medico, venendo ad occupare uno spazio sempre crescente, trasformandosi in uno strumento di controllo della legittimità e correttezza dell’attività posta in essere dal sanitario.

 

 

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