Nel diritto.it
Estratto dell’approfondimento di
civile inserito nel fascicolo di Dicembre della Rivista
cartacea Neldiritto.
1. La responsabilità professionale
del notaio (Cass. civ., sez. III, 27 ottobre 2011, n.
22398 ).
L’Autrice trae spunto dal recente
intervento della Cassazione (circa l’inosservanza
dell’obbligo di espletare la visura dei registri
immobiliari in occasione di una compravendita
immobiliare) per affrontare il tema della responsabilità
professionale del notaio. In questo senso, muove
dall’analisi dei profili generali, soffermandosi sui
canoni di diligenza delineati dagli artt. 1176 e 2236
c.c. e ricostruendo il dibattito attorno all’apparente
iato tra le anzidette disposizioni normative. Affermato
il superamento della tradizionale distinzione tra
obbligazione di mezzi e di risultato, si sofferma sulla
natura giuridica della responsabilità notarile
(contrattuale, extracontrattuale o mista) e giunge
infine a verificare l’applicazione dei criteri generali
di diligenza all’ipotesi peculiare affrontata nella
pronuncia in commento.
1.1. Premessa.
In una recentissima pronuncia
(Cass. civ., sez. III, 27 ottobre 2011, n.22398), la
Cassazione ha affrontato il tema della responsabilità
professionale del notaio, in relazione ad un’ipotesi
quasi manualistica: la inosservanza dell’obbligo di
espletare la visura dei registri immobiliari in
occasione di una compravendita immobiliare.
In quell’occasione si è specificato
che il notaio non può invocare la limitazione di
responsabilità prevista per il professionista dall’art.
2236 cod. civ. con riferimento al caso di prestazione
implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale
difficoltà (nella specie per l’arretrato in cui
versavano le Conservatorie all’epoca della stipula e per
la necessità di esaminare le annotazioni provvisorie di
cui ai c.d. mod. 60), in quanto tale inosservanza non è
riconducibile ad un’ipotesi di imperizia, cui si applica
quella limitazione, ma a negligenza o imprudenza, cioè
alla violazione del dovere della normale diligenza
professionale media esigibile ai sensi del secondo comma
dell’art. 1176 cod. civ., rispetto alla quale rileva
anche la colpa lieve.
Lo spunto è di particolare
interesse per scandagliare, in termini generali, i
traguardi raggiunti da dottrina e giurisprudenza in
materia di responsabilità professionale, per poi calarli
nel peculiare contesto della responsabilità notarile.
1.2. La responsabilità
professionale: profili generali[1].
La responsabilità professionale
deriva dall’inadempimento delle obbligazioni inerenti
all’esercizio di un’attività professionale.
Per attività professionale – è bene
precisare- non si intende solo quella espletata dai
professionisti intellettuali (medici, avvocati ecc..),
ma qualsiasi attività esercitata in forma non
occasionale (perciò ‘professionalmente’) allo scopo di
ricavarne un utile: quindi anche l’attività artigianale,
imprenditoriale ecc.
Per questo tipo di rapporti, l’art.
1176, comma 2, c.c. dispone che la diligenza adempitiva
“deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività
professionale esercitata”.
La norma impone, pertanto, al
professionista un impegno superiore a quello del comune
debitore: in luogo della generica diligenza del buon
padre di famiglia (art. 1176, comma 1, c.c.), si
richiede una diligenza particolarmente qualificata
dall’osservanza di apposite regole e dall’impiego degli
strumenti tecnici adeguati al tipo di attività dovuta
(id est la perizia)[2].
Con la precisazione, peraltro, che
il criterio applicabile è pur sempre quello della
normale diligenza, in quanto il professionista deve
impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo
standard professionale della sua categoria.
Tale standard servirà a determinare
il contenuto della prestazione dovuta e la misura della
responsabilità, conformemente alla regola generale [3].
Non può, dunque, parlarsi di una
responsabilità aggravata a carico del professionista, ma
più semplicemente di una responsabilità calibrata sulla
natura dell’attività esercitata[4]. Al contrario, di
minore responsabilità è possibile parlare, nei termini e
nei limiti di cui si dirà infra, con riferimento a
quella particolare categoria di professionisti che va
sotto il nome di professionisti “intellettuali”.
1.3. La responsabilità del
professionista intellettuale.
La professione intellettuale, come
autorevolmente enunciato in dottrina, consiste “in
quelle particolari attività, di particolare pregio per
il loro carattere intellettuale, che trovano il loro
elemento qualificante proprio nella prestazione
dell’opera puramente creativa, a significare la
peculiarità che si ravvisa nell’apporto offerto
dall’intelligenza e dalla cultura del professionista
medesimo”[5].
Nel dettaglio, elementi
qualificanti della stessa sono:
a) la prestazione di un’opera
intellettuale, improntata oltre che ai generali canoni
di diligenza e prudenza, alle specifiche regole o c.d.
leges artis del settore di riferimento del
professionista (c.d. perizia);
b) la (tendenziale) autonomia e
discrezionalità (specialiter tecnica) riconosciuta al
professionista nell’esecuzione della prestazione, anche
ove si inserisca in un rapporto di lavoro subordinato
(su tutti l’esempio del medico dipendente dell’ente
ospedaliero)[6];
…omissis…
[1] Parte del presente saggio è
tratto da CHINÈ-ZOPPINI, Manuale di diritto civile,
Collana I Manuali Superiori di ALPA-GAROFOLI, Roma,
2010.
[2] In dottrina si è coniato il
termine di «diligenza determinativa», cfr. MENGONI,
Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi
(Studio critico), in Riv. dir. comm., 1954, I, 199 ss.
[3] Cfr. BIANCA, La responsabilità,
Milano, 1994, 28; v. anche CATTANEO, La responsabilità
del professionista, Milano, 1958, 72.
[4] Precisa, in tal senso, Cass.,
sez. II, 9 novembre 1982 n. 5885, in Giust. civ. Mass.,
1982, fasc. 10-11, che “in tema di responsabilità
professionale, l’inadempimento […] và valutato alla
stregua del dovere di diligenza che in tale materia
prescinde dal criterio generale della diligenza del buon
padre di famiglia e si adegua, invece, alla natura
dell’attività esercitata. Consegue che l’imperizia
professionale presenta un contenuto variabile, da
accertare in relazione ad ogni singola fattispecie,
rapportando la condotta effettivamente tenuta dal
prestatore alla natura e specie dell’incarico
professionale ed alle circostanze concrete in cui la
prestazione deve svolgersi e valutando detta condotta
attraverso l’esame nel suo complesso dell’attività
prestata dal professionista”. Così in dottrina, RODOTÀ,
Obbligazioni, in Enc. dir., Milano, 1969, 539 e ss,
chiarisce che, pur essendo il concetto di diligenza un
criterio obiettivo, va visto ed interpretato nell’ottica
del particolare rapporto, in funzione della sua
specialità e della natura dell’attività esercitata.
[5] CATTANEO, op. cit., 70.
[6] Chiarisce, sul punto, CdA
Milano 27 marzo1981 che “Accordi, o istruzioni del
cliente in tale ipotesi possono assumere rilevanza
sempre che nel corso dell’esecuzione dell’attività non
vengano, da parte del professionista, riconosciuti come
controproducenti, non rispondenti alla realtà obiettiva,
inidonei per il raggiungimento del risultato sperato e
contrari alle regole dell’arte e ai principi etici”. |