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- È ammessa la motivazione per
relationem nei contratti a tempo determinato escludendo
che “la previsione del termine debba necessariamente
costituire il contenuto di una previsione negoziale
espressa, ma potrà anche risultare in via induttiva
dall’analisi anche di altre parti del testo contrattuale
facendo riferimento all’unica condizione che la
previsione legittimatrice rivesta una qualche forma
documentale”
- L’attendibilità delle causali del
contratto a termine risulta rafforzata laddove contenute
in atti e provvedimenti della pubblica amministrazione,
richiamati per relationem, che siano conoscibili al
lavoratore, in conformità al principio di trasparenza
che informa la P.A.
Dalle sentenze n. 670/11 e n.
671/11, in commento, pronunciate dal Tribunale di Chieti
in materia di legittimità dell’apposizione del termine
nel contratto di lavoro (nel caso di specie stipulato
con la Pubblica Amministrazione) è enucleabile un
principio di significativa importanza: l’effettività
delle ragioni di ordine tecnico, organizzativo,
produttivo, sostitutivo di cui all’art. 1 del D.lgs n.
368/2001, lungi dall’essere garantita solo dal mero dato
formale della rinvenibilità in contratto, costituisce un
reale presidio in tutela del lavoratore, solo laddove ne
sia riscontrata la concreta e verificabile sussistenza.
In altri termini le sentenze in
commento sembrano valorizzare, ai fini della legittimità
della clausola di durata, la possibilità di rinvenire
sostanzialmente l’esistenza delle ragioni di cui
trattasi, ancorchè in modo indiretto, senza tuttavia
svuotare di significato la formale enunciazione delle
causali in contratto.
Venendo ai fatti, il Tribunale si è
pronunciato sul ricorso promosso da due dipendenti
dell’A.T.E.R. (Azienda Territoriale Edilizia
Residenziale) assunti con contratto a tempo determinato
che, affermatane la illegittimità, chiedevano al Giudice
adito, in via principale, di dichiararne la nullità,
nonché dichiarare la persistenza del rapporto di lavoro
e la condanna al pagamento delle differenze retributive
medio tempore maturate; in via subordinata, la condanna
alla reintegra e al risarcimento del danno (invocando
quanto recentemente introdotto con la legge n.
183/2010).
In supporto delle summenzionate
pretese, le parti ricorrenti lamentavano il difetto
della specificazione delle ragioni di ordine “tecnico,
produttivo, organizzativo, sostitutivo” sia in contratto
che in lettera di assunzione, nella disposizione
direttoriale e nelle delibere cui l’Ente rinviava nella
comunicazione di assunzione, nonché lamentavano la
violazione dell’art. 19 del CCNL Federcasa-Aniaca in
quanto il ricorso all’apposizione del termine sarebbe
avvenuto per la copertura di deficit strutturali di
organico; lamentavano, altresì, come la consegna della
lettera di assunzione fosse avvenuta solo
successivamente all’inizio dell’attività lavorativa.
L’Ente pubblico resistente
deduceva, in propria difesa, la piena legittimità delle
ragioni dell’apposizione del termine rinvenibili per
relationem, ovvero evincibili per il tramite di
documenti o testi diversi dal contratto sottoscritto dai
dipendenti ma accessibili dai medesimi e quindi idonei a
render conoscibili i motivi di cui al D.lgs 368/2001.
Il termine apposto ai contratti
oggetto della vertenza, secondo la linea difensiva dei
legali dell’Ater, era da considerarsi pienamente
legittimo, atteso che le cause giustificatrici potevano
agevolmente trovare riscontro negli atti richiamati
nella comunicazione alle controparti (nello specifico
una disposizione direttoriale, una delibera e le note
del Servizio Tecnico, del Servizio Patrimonio, Condomini
e Autogestione, del Servizio Amministrativo). Atti e
documenti che la parte resistente affermava come
perfettamente conosciuti e/o conoscibili dalle
ricorrenti al momento dell’assunzione.
L’Ater deduceva, inoltre, la piena
regolarità di quest’ultima in quanto avvenuta
contestualmente alla presa in servizio (con lettera e
comunicazione intervenute nel rispetto dell’art.9 bis
della legge n.608/2006) e inserimento nei protocolli
aziendali, secondo modalità reputate legittime dalle
rappresentanze sindacali. Infine, veniva dedotta la
naturale risoluzione del rapporto, alla data di
scadenza, verso la quale la ricorrente avrebbe prestato
acquiescenza (desunta da comportamenti quali
l’accettazione della comunicazione della cessazione del
rapporto,la restituzione del tesserino magnetico
aziendale).
Quanto alle pretese di controparte,
l’Ater chiedeva il rigetto del ricorso o, in via
subordinata, la condanna all’indennità nella misura
minima eccependo l’infondatezza della domanda di
reintegra (affermando inoltre l’inequiparabilità della
risoluzione del rapporto al licenziamento e rammentando
la sua natura di ente pubblico economico), nonché della
domanda delle retribuzioni medio tempore maturate.
Il giudice adito ha rigettato in
entrambi i casi i ricorsi e ha condannato le parti
ricorrenti alla refusione integrale delle spese in
favore dell’ Ente resistente.
Nel pronunciarsi, il magistrato,
sotto il profilo della illegittimità formale, ha
constatato come le ragioni giustificatrici fossero
conoscibili all’esito della lettura della summenzionata
disposizione direttoriale, dalla quale emerge che il
Direttore, con apposita delibera, aveva ricevuto mandato
a provvedere alle assunzioni a tempo determinato di
esperti tecnici, amministrativi e contabili allo scopo
di “espletare tutte le attività necessarie per il
conseguimento degli obiettivi dell’Azienda”.
Il giudice rilevava, inoltre, come
per il tramite delle note richiamate dalla summenzionata
delibera emergessero le istanze al C.d.a. promosse da
parte del Servizio Tecnico, del Servizio Patrimonio,
Condomini e Autogestione e da parte del Servizio
Amministrativo di procedere all’assunzione di personale
tecnico, amministrativo, legale e contabile per far
fronte alla necessità di “rimodulazione della pianta
organica” e predisporla per l’espletamento di “tutte le
attività che vengono richieste per il raggiungimento
degli obiettivi” nella prospettiva di “far fronte alla
impossibilità di soddisfare tutte le richiesta fatte ai
Servizi”.
In definitiva, dai documenti
richiamati, il giudice ha ritenuto come fosse agevole
risalire alla necessità temporanea di organico dell’ente
prodromica alla preparazione di un nuovo assetto
organizzativo.
Tutta la documentazione rammentata
è apparsa idonea a scongiurare la configurabilità di una
elusione del D.lgs 368/2001, perché conosciuta e/o
conoscibile (in quanto comunicata alle lavoratrici) e
quindi capace di palesare, anche in sede di verifica, le
causali dell’apposizione del termine.
E’ molto significativo il passaggio
della sentenza in cui il Giudice pone rilievo sul fatto
che le ricorrenti abbiano concentrato la pretesa
essenzialmente sull’aspetto formale dell’apposizione del
termine, riscontrando come “parte ricorrente nulla abbia
dedotto in ordine alla effettività delle ragioni sottese
alla propria assunzione, concentrando le sue doglianze
in ordine ai soli profili formali di illegittimità
formale dell’assunzione per assenza di un idoneo atto
scritto, per genericità e non immediata conoscibilità
delle predette ragioni”, trascurando il dato sostanziale
dell’effettività dell’inserimento all’interno dell’ente,
e della accessibilità della documentazione da cui trarre
riscontro delle causali”
Come noto il Dlgs 368/2001, in
seguito alla modifica apportata dalla L. 247/2007,
afferma il fondamentale principio generale per cui “il
contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a
tempo indeterminato” coerentemente con un preciso modo
di intendere il rapporto lavorativo: un mezzo capace di
garantire al lavoratore dignità, sicurezza e
affermazione sociale solo se proteso alla stabilità.
Una impostazione in armonia con i
principi espressi in preambolo della direttiva CE
1999/70 (cui si deve la stessa normativa nazionale) in
materia di lavoro a tempo determinato, che, appunto,
prevede che “i contratti di lavoro a tempo indeterminato
rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e
contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori
interessati e a migliorare il rendimento”, ma anche che
l'utilizzazione di contratti di lavoro a tempo
determinato, fondata su ragioni oggettive, è un modo di
prevenire gli abusi.
E’ proprio la consapevolezza del
valore sociale della stabilità del lavoro, e quindi
della correlata necessità di arginare l’elusione delle
tutele del lavoratore, la ratio sottesa alle
disposizioni di legge che ammettono l’apposizione di un
termine al rapporto di lavoro solo laddove siano
riscontrate determinate ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo riconducibili
alla attività del datore di lavoro secondo una logica di
“balancing” tra esigenze di impresa e tutela dei diritti
del lavoratore.
La configurazione del termine
contrattuale come meramente derogatorio rispetto ai
criteri generali è un dato del tutto assodato, come del
tutto da condividersi è il principio evidenziato dal
magistrato in sentenza, per cui l’indicazione specifica
delle causali assolve una funzione di tutela e garanzia;
ma è anche vero che lo scopo finale della
puntualizzazione delle medesime è quello di consentire
la verificabilità della sussistenza per prevenire gli
abusi.
In effetti, ai fini della
verificabilità delle causali, è il loro riscontro reale
e non la mera enunciazione formale (o almeno non solo)
quel che la legge, ermeneuticamente, vuole sia
verificato.
Premesso che lo stesso art. 1 del
D.Lgs. 6 settembre 2001 n. 368 considera l’apposizione
del termine ”priva di effetto se non risulta,
direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale
sono specificate le ragioni di cui al comma 1”, il
Giudice nel ritenere legittima la tecnica della relatio
ha espresso, a parere di chi scrive, una importante
affermazione di principio: la tutela del lavoratore
laddove al contratto sia apposto un termine di durata
trova una piena e compiuta garanzia soltanto se il
“sacrificio” della stabilità del lavoro sia
controbilianciato dalla reale ed effettiva, e quindi
sostanziale, sussistenza di esigenze datoriali di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo,
sostitutivo per l’appunto enunciate per iscritto.
Nel riconoscere che le doglianze
delle ricorrenti si sono limitate a rilievi di tipo
meramente formale il Tribunale ha voluto attribuire,
appunto, sostanzialità alla tutela, ponendo attenzione
proprio al rapporto strumentale che sussiste tra forma
scritta e garanzia di verificabilità.
Quanto precede appare tanto più
coerente con gli scopi della normativa nazionale ed
europea come detto orientata alla prevenzione degli
abusi: orbene, come si potrebbe parlare di abuso laddove
il dato reale smentisca il mero dato formale, ancorchè
indispensabile ai fini di una verifica?
Se la legittimità del contratto a
termine si risolvesse nel mero riscontro di enunciazioni
formali, si svuoterebbe la normativa dei reali scopi
finalistici.
Per questo motivo, fermo restando
che la specificazione per iscritto delle causali assume
un ruolo fondamentale in una prospettiva garantista dei
diritti del lavoratore, ammettere la possibilità della
tecnica della relatio, lungi dall’attenuare la tutela,
ne rimarca semplicemente il valore sostanziale.
L’apposizione del termine è
legittima non in quanto risultano per iscritto le
motivazioni, ma in ragione della loro comprovabile e
riscontrabile esistenza, come dichiarate per iscritto
direttamente o evocate indirettamente, purchè siano
conoscibili.
In altri termini, l’effettività
delle causali e la garanzia del lavoratore che ne
consegue operano sul piano della concretezza, non del
mero formalismo: infatti bene potrebbero essere
enunciate in atto scritto, in modo anche preciso e
puntuale, senza che, di esse, vi sia benché minima
traccia in concreto.
In questo modo, e a parer di chi
scrive, nel ricorso alla tecnica della relatio può
leggersi una affermazione del valore sostanziale della
indicazione delle causali che, altrimenti, si
risolverebbe in un mero esercizio di stile, laddove la
legittimità della clausola di durata fosse riconosciuta
in dipendenza della sola specificazione diretta.
La legittimità delle causali
deducibili per relationem non è d’altronde sconosciuta
alla giurisprudenza della Suprema Corte che, ad esempio,
ha riconosciuto come il controllo della connessione tra
la durata temporanea della prestazione, le esigenze
produttive ed organizzative dedotte e l'utilizzazione
del lavoratore, possa essere evinta anche in base agli
accordi collettivi richiamati nel contratto costitutivo
del rapporto, in modo che, in sede di verifica, si possa
appurare che il ricorso al contratto a tempo determinato
sia adeguatamente supportato da esigenze preminenti,
tali da escludere che la soluzione contrattuale scelta
sia dettata piuttosto da intenzioni elusive. (Cass.
Civ., Sez. Lav., n. 10033 del 27.04.2010).
Si aggiunga, alla sentenza che
precede, la n. 2279 del 2010 con la quale la Cassazione
ha precisato che “la specificazione delle ragioni
giustificatrici dell'apposizione del termine al
contratto di lavoro può risultare anche indirettamente
nel contratto stesso e da esso "per relationem" in altri
testi scritti accessibili alle parti, in particolare nel
caso in cui, data la complessità e l'articolazione del
fatto organizzativo, tecnico o produttivo che è alla
base dell'esigenza di assunzioni a termine, questo
risulti analizzato in documenti specificatamente a esso
dedicati per ragioni di gestione consapevole e/o
concordata con i rappresentanti del personale.
Nel caso di specie le tutele del
lavoratore appaiono rispettate, in conformità alla
sentenza testè citata, sulla base del fatto che le
assunzioni sono avvenute in osservanza dei protocolli
aziendali e secondo modalità reputate legittime dalle
rappresentanze sindacali.
In sostanza, se la specificazione
delle ragioni “ha la finalità di assicurare la
trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione
del termine “(Cass. Civ., Sez. Lav., n. 1577 del
26.01.2010), tanto che si può affermare che la forma sia
strumentale alla sostanza, e nel caso di specie alla
accertabilità della loro concretezza, nell’ipotesi in
esame tale finalità appare soddisfatta.
Proprio la trasparenza costituisce
l’ulteriore aspetto posto in rilievo dal magistrato: non
può sfuggire che gli atti da cui emergono le causali
sono posti in essere da un ente pubblico economico
(Ater), tenuto ad informare il proprio operato, per
l’appunto, ai principi di trasparenza che regolano
l’attività della pubblica amministrazione.
Nel contesto ordinamentale
italiano, il summenzionato principio rappresenta una
regola generale che si estende ad ogni determinazione
pubblica e si connette ai principi costituzionali di
buon andamento e imparzialità, sanciti nell’articolo 97
della Carta Costituzionale.
Alla sua stregua deve essere
garantita la conoscibilità dei percorsi decisionali,
ovvero dell’iter logico-giuridico seguito nell’ adottare
ogni atto e provvedimento, espressione del potere
amministrativo.
Trasparenza diviene sinonimo di
accessibilità laddove sia garantito alle parti private,
ai cittadini, di comprendere le decisioni adottate,
rendendo intelligibile il suo operato.
Tornando al caso di specie la
trasparenza, che è sottesa alla specificazione delle
causali del contratto a termine, è stata reputata dal
Giudice, doppiamente garantita sulla base del dato che i
documenti evocati per relationem (determinazione,
delibera e note), e chiamati ad assolvere funzione
verificatrice delle medesime, sono improntati ai
richiamati parametri di pubblicità e conoscibilità.
In definitiva le causali erano
perfettamente accessibili alle parti ricorrenti.
Da quanto precede potrebbe
evincersi un ulteriore corollario: fermo restando gli
obblighi di specificazione delle ragioni che legittimano
l’apposizione del termine, il regime di pubblicità e
trasparenza sotteso all’attivita ammistrativa dello
Stato, aumenta la soglia di attendibilità e genuinità
delle causali laddove queste ultime siano contenute in
atti e provvedimenti della P.A., in quanto conoscibili,
laddove siano richiamati e resi noti al lavoratore
assunto a tempo determinato.
Nel caso in esame, la genuinità
delle causali emerge pienamente dalla natura stessa
delle delibere e delle note, atti contrassegnati, come
giustamente rilevato dal Giudice, da numero di
protocollo e da un formalismo idoneo a render conosciute
e/o conoscibili le medesime e quindi verificabili. |