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La motivazione per relationem nei contratti a tempo determinato stipulati con la Pubblica AmministrazioneTribunale di Chieti, Sezione Lavoro, sentenze nn. 670 e 671 del 6.07.2011- Fasciano Claudio , Passarelli Pierpaolo

 

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- È ammessa la motivazione per relationem nei contratti a tempo determinato escludendo che “la previsione del termine debba necessariamente costituire il contenuto di una previsione negoziale espressa, ma potrà anche risultare in via induttiva dall’analisi anche di altre parti del testo contrattuale facendo riferimento all’unica condizione che la previsione legittimatrice rivesta una qualche forma documentale”

 

- L’attendibilità delle causali del contratto a termine risulta rafforzata laddove contenute in atti e provvedimenti della pubblica amministrazione, richiamati per relationem, che siano conoscibili al lavoratore, in conformità al principio di trasparenza che informa la P.A.

 

Dalle sentenze n. 670/11 e n. 671/11, in commento, pronunciate dal Tribunale di Chieti in materia di legittimità dell’apposizione del termine nel contratto di lavoro (nel caso di specie stipulato con la Pubblica Amministrazione) è enucleabile un principio di significativa importanza: l’effettività delle ragioni di ordine tecnico, organizzativo, produttivo, sostitutivo di cui all’art. 1 del D.lgs n. 368/2001, lungi dall’essere garantita solo dal mero dato formale della rinvenibilità in contratto, costituisce un reale presidio in tutela del lavoratore, solo laddove ne sia riscontrata la concreta e verificabile sussistenza.

 

In altri termini le sentenze in commento sembrano valorizzare, ai fini della legittimità della clausola di durata, la possibilità di rinvenire sostanzialmente l’esistenza delle ragioni di cui trattasi, ancorchè in modo indiretto, senza tuttavia svuotare di significato la formale enunciazione delle causali in contratto.

 

Venendo ai fatti, il Tribunale si è pronunciato sul ricorso promosso da due dipendenti dell’A.T.E.R. (Azienda Territoriale Edilizia Residenziale) assunti con contratto a tempo determinato che, affermatane la illegittimità, chiedevano al Giudice adito, in via principale, di dichiararne la nullità, nonché dichiarare la persistenza del rapporto di lavoro e la condanna al pagamento delle differenze retributive medio tempore maturate; in via subordinata, la condanna alla reintegra e al risarcimento del danno (invocando quanto recentemente introdotto con la legge n. 183/2010).

 

In supporto delle summenzionate pretese, le parti ricorrenti lamentavano il difetto della specificazione delle ragioni di ordine “tecnico, produttivo, organizzativo, sostitutivo” sia in contratto che in lettera di assunzione, nella disposizione direttoriale e nelle delibere cui l’Ente rinviava nella comunicazione di assunzione, nonché lamentavano la violazione dell’art. 19 del CCNL Federcasa-Aniaca in quanto il ricorso all’apposizione del termine sarebbe avvenuto per la copertura di deficit strutturali di organico; lamentavano, altresì, come la consegna della lettera di assunzione fosse avvenuta solo successivamente all’inizio dell’attività lavorativa.

 

L’Ente pubblico resistente deduceva, in propria difesa, la piena legittimità delle ragioni dell’apposizione del termine rinvenibili per relationem, ovvero evincibili per il tramite di documenti o testi diversi dal contratto sottoscritto dai dipendenti ma accessibili dai medesimi e quindi idonei a render conoscibili i motivi di cui al D.lgs 368/2001.

 

Il termine apposto ai contratti oggetto della vertenza, secondo la linea difensiva dei legali dell’Ater, era da considerarsi pienamente legittimo, atteso che le cause giustificatrici potevano agevolmente trovare riscontro negli atti richiamati nella comunicazione alle controparti (nello specifico una disposizione direttoriale, una delibera e le note del Servizio Tecnico, del Servizio Patrimonio, Condomini e Autogestione, del Servizio Amministrativo). Atti e documenti che la parte resistente affermava come perfettamente conosciuti e/o conoscibili dalle ricorrenti al momento dell’assunzione.

 

L’Ater deduceva, inoltre, la piena regolarità di quest’ultima in quanto avvenuta contestualmente alla presa in servizio (con lettera e comunicazione intervenute nel rispetto dell’art.9 bis della legge n.608/2006) e inserimento nei protocolli aziendali, secondo modalità reputate legittime dalle rappresentanze sindacali. Infine, veniva dedotta la naturale risoluzione del rapporto, alla data di scadenza, verso la quale la ricorrente avrebbe prestato acquiescenza (desunta da comportamenti quali l’accettazione della comunicazione della cessazione del rapporto,la restituzione del tesserino magnetico aziendale).

 

Quanto alle pretese di controparte, l’Ater chiedeva il rigetto del ricorso o, in via subordinata, la condanna all’indennità nella misura minima eccependo l’infondatezza della domanda di reintegra (affermando inoltre l’inequiparabilità della risoluzione del rapporto al licenziamento e rammentando la sua natura di ente pubblico economico), nonché della domanda delle retribuzioni medio tempore maturate.

 

Il giudice adito ha rigettato in entrambi i casi i ricorsi e ha condannato le parti ricorrenti alla refusione integrale delle spese in favore dell’ Ente resistente.

 

Nel pronunciarsi, il magistrato, sotto il profilo della illegittimità formale, ha constatato come le ragioni giustificatrici fossero conoscibili all’esito della lettura della summenzionata disposizione direttoriale, dalla quale emerge che il Direttore, con apposita delibera, aveva ricevuto mandato a provvedere alle assunzioni a tempo determinato di esperti tecnici, amministrativi e contabili allo scopo di “espletare tutte le attività necessarie per il conseguimento degli obiettivi dell’Azienda”.

 

Il giudice rilevava, inoltre, come per il tramite delle note richiamate dalla summenzionata delibera emergessero le istanze al C.d.a. promosse da parte del Servizio Tecnico, del Servizio Patrimonio, Condomini e Autogestione e da parte del Servizio Amministrativo di procedere all’assunzione di personale tecnico, amministrativo, legale e contabile per far fronte alla necessità di “rimodulazione della pianta organica” e predisporla per l’espletamento di “tutte le attività che vengono richieste per il raggiungimento degli obiettivi” nella prospettiva di “far fronte alla impossibilità di soddisfare tutte le richiesta fatte ai Servizi”.

 

In definitiva, dai documenti richiamati, il giudice ha ritenuto come fosse agevole risalire alla necessità temporanea di organico dell’ente prodromica alla preparazione di un nuovo assetto organizzativo.

 

Tutta la documentazione rammentata è apparsa idonea a scongiurare la configurabilità di una elusione del D.lgs 368/2001, perché conosciuta e/o conoscibile (in quanto comunicata alle lavoratrici) e quindi capace di palesare, anche in sede di verifica, le causali dell’apposizione del termine.

 

E’ molto significativo il passaggio della sentenza in cui il Giudice pone rilievo sul fatto che le ricorrenti abbiano concentrato la pretesa essenzialmente sull’aspetto formale dell’apposizione del termine, riscontrando come “parte ricorrente nulla abbia dedotto in ordine alla effettività delle ragioni sottese alla propria assunzione, concentrando le sue doglianze in ordine ai soli profili formali di illegittimità formale dell’assunzione per assenza di un idoneo atto scritto, per genericità e non immediata conoscibilità delle predette ragioni”, trascurando il dato sostanziale dell’effettività dell’inserimento all’interno dell’ente, e della accessibilità della documentazione da cui trarre riscontro delle causali”

 

Come noto il Dlgs 368/2001, in seguito alla modifica apportata dalla L. 247/2007, afferma il fondamentale principio generale per cui “il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato” coerentemente con un preciso modo di intendere il rapporto lavorativo: un mezzo capace di garantire al lavoratore dignità, sicurezza e affermazione sociale solo se proteso alla stabilità.

 

Una impostazione in armonia con i principi espressi in preambolo della direttiva CE 1999/70 (cui si deve la stessa normativa nazionale) in materia di lavoro a tempo determinato, che, appunto, prevede che “i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento”, ma anche che l'utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato, fondata su ragioni oggettive, è un modo di prevenire gli abusi.

 

E’ proprio la consapevolezza del valore sociale della stabilità del lavoro, e quindi della correlata necessità di arginare l’elusione delle tutele del lavoratore, la ratio sottesa alle disposizioni di legge che ammettono l’apposizione di un termine al rapporto di lavoro solo laddove siano riscontrate determinate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo riconducibili alla attività del datore di lavoro secondo una logica di “balancing” tra esigenze di impresa e tutela dei diritti del lavoratore.

 

La configurazione del termine contrattuale come meramente derogatorio rispetto ai criteri generali è un dato del tutto assodato, come del tutto da condividersi è il principio evidenziato dal magistrato in sentenza, per cui l’indicazione specifica delle causali assolve una funzione di tutela e garanzia; ma è anche vero che lo scopo finale della puntualizzazione delle medesime è quello di consentire la verificabilità della sussistenza per prevenire gli abusi.

 

In effetti, ai fini della verificabilità delle causali, è il loro riscontro reale e non la mera enunciazione formale (o almeno non solo) quel che la legge, ermeneuticamente, vuole sia verificato.

 

Premesso che lo stesso art. 1 del D.Lgs. 6 settembre 2001 n. 368 considera l’apposizione del termine ”priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1”, il Giudice nel ritenere legittima la tecnica della relatio ha espresso, a parere di chi scrive, una importante affermazione di principio: la tutela del lavoratore laddove al contratto sia apposto un termine di durata trova una piena e compiuta garanzia soltanto se il “sacrificio” della stabilità del lavoro sia controbilianciato dalla reale ed effettiva, e quindi sostanziale, sussistenza di esigenze datoriali di carattere tecnico, produttivo, organizzativo, sostitutivo per l’appunto enunciate per iscritto.

 

Nel riconoscere che le doglianze delle ricorrenti si sono limitate a rilievi di tipo meramente formale il Tribunale ha voluto attribuire, appunto, sostanzialità alla tutela, ponendo attenzione proprio al rapporto strumentale che sussiste tra forma scritta e garanzia di verificabilità.

 

Quanto precede appare tanto più coerente con gli scopi della normativa nazionale ed europea come detto orientata alla prevenzione degli abusi: orbene, come si potrebbe parlare di abuso laddove il dato reale smentisca il mero dato formale, ancorchè indispensabile ai fini di una verifica?

 

Se la legittimità del contratto a termine si risolvesse nel mero riscontro di enunciazioni formali, si svuoterebbe la normativa dei reali scopi finalistici.

 

Per questo motivo, fermo restando che la specificazione per iscritto delle causali assume un ruolo fondamentale in una prospettiva garantista dei diritti del lavoratore, ammettere la possibilità della tecnica della relatio, lungi dall’attenuare la tutela, ne rimarca semplicemente il valore sostanziale.

 

L’apposizione del termine è legittima non in quanto risultano per iscritto le motivazioni, ma in ragione della loro comprovabile e riscontrabile esistenza, come dichiarate per iscritto direttamente o evocate indirettamente, purchè siano conoscibili.

 

In altri termini, l’effettività delle causali e la garanzia del lavoratore che ne consegue operano sul piano della concretezza, non del mero formalismo: infatti bene potrebbero essere enunciate in atto scritto, in modo anche preciso e puntuale, senza che, di esse, vi sia benché minima traccia in concreto.

 

In questo modo, e a parer di chi scrive, nel ricorso alla tecnica della relatio può leggersi una affermazione del valore sostanziale della indicazione delle causali che, altrimenti, si risolverebbe in un mero esercizio di stile, laddove la legittimità della clausola di durata fosse riconosciuta in dipendenza della sola specificazione diretta.

 

La legittimità delle causali deducibili per relationem non è d’altronde sconosciuta alla giurisprudenza della Suprema Corte che, ad esempio, ha riconosciuto come il controllo della connessione tra la durata temporanea della prestazione, le esigenze produttive ed organizzative dedotte e l'utilizzazione del lavoratore, possa essere evinta anche in base agli accordi collettivi richiamati nel contratto costitutivo del rapporto, in modo che, in sede di verifica, si possa appurare che il ricorso al contratto a tempo determinato sia adeguatamente supportato da esigenze preminenti, tali da escludere che la soluzione contrattuale scelta sia dettata piuttosto da intenzioni elusive. (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 10033 del 27.04.2010).

 

Si aggiunga, alla sentenza che precede, la n. 2279 del 2010 con la quale la Cassazione ha precisato che “la specificazione delle ragioni giustificatrici dell'apposizione del termine al contratto di lavoro può risultare anche indirettamente nel contratto stesso e da esso "per relationem" in altri testi scritti accessibili alle parti, in particolare nel caso in cui, data la complessità e l'articolazione del fatto organizzativo, tecnico o produttivo che è alla base dell'esigenza di assunzioni a termine, questo risulti analizzato in documenti specificatamente a esso dedicati per ragioni di gestione consapevole e/o concordata con i rappresentanti del personale.

 

Nel caso di specie le tutele del lavoratore appaiono rispettate, in conformità alla sentenza testè citata, sulla base del fatto che le assunzioni sono avvenute in osservanza dei protocolli aziendali e secondo modalità reputate legittime dalle rappresentanze sindacali.

 

In sostanza, se la specificazione delle ragioni “ha la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine “(Cass. Civ., Sez. Lav., n. 1577 del 26.01.2010), tanto che si può affermare che la forma sia strumentale alla sostanza, e nel caso di specie alla accertabilità della loro concretezza, nell’ipotesi in esame tale finalità appare soddisfatta.

 

Proprio la trasparenza costituisce l’ulteriore aspetto posto in rilievo dal magistrato: non può sfuggire che gli atti da cui emergono le causali sono posti in essere da un ente pubblico economico (Ater), tenuto ad informare il proprio operato, per l’appunto, ai principi di trasparenza che regolano l’attività della pubblica amministrazione.

 

Nel contesto ordinamentale italiano, il summenzionato principio rappresenta una regola generale che si estende ad ogni determinazione pubblica e si connette ai principi costituzionali di buon andamento e imparzialità, sanciti nell’articolo 97 della Carta Costituzionale.

 

Alla sua stregua deve essere garantita la conoscibilità dei percorsi decisionali, ovvero dell’iter logico-giuridico seguito nell’ adottare ogni atto e provvedimento, espressione del potere amministrativo.

 

Trasparenza diviene sinonimo di accessibilità laddove sia garantito alle parti private, ai cittadini, di comprendere le decisioni adottate, rendendo intelligibile il suo operato.

 

Tornando al caso di specie la trasparenza, che è sottesa alla specificazione delle causali del contratto a termine, è stata reputata dal Giudice, doppiamente garantita sulla base del dato che i documenti evocati per relationem (determinazione, delibera e note), e chiamati ad assolvere funzione verificatrice delle medesime, sono improntati ai richiamati parametri di pubblicità e conoscibilità.

 

In definitiva le causali erano perfettamente accessibili alle parti ricorrenti.

 

Da quanto precede potrebbe evincersi un ulteriore corollario: fermo restando gli obblighi di specificazione delle ragioni che legittimano l’apposizione del termine, il regime di pubblicità e trasparenza sotteso all’attivita ammistrativa dello Stato, aumenta la soglia di attendibilità e genuinità delle causali laddove queste ultime siano contenute in atti e provvedimenti della P.A., in quanto conoscibili, laddove siano richiamati e resi noti al lavoratore assunto a tempo determinato.

 

Nel caso in esame, la genuinità delle causali emerge pienamente dalla natura stessa delle delibere e delle note, atti contrassegnati, come giustamente rilevato dal Giudice, da numero di protocollo e da un formalismo idoneo a render conosciute e/o conoscibili le medesime e quindi verificabili.

 

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