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La figura del soccorritore in Italia: le rilevanti responsabilità di chi è senza status-Dott. Emanuele Telesca

 

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- PREMESSA

 

Il seguente articolo ha lo scopo di approfondire le tematiche riguardanti la responsabilità penale e civile del soccorritore, con un necessario preambolo dedicato a tratteggiarne un profilo storico e sociale.

 

Attraverso la lettura della normativa vigente, unita ad un’analisi dello stato dell’arte di dottrina e giurisprudenza in materia, si cercherà di pervenire a conclusioni chiarificatrici in un contesto nel quale, per ora, si “naviga a vista”.

 

1. LA FIGURA DEL SOCCORRITORE

 

La figura del soccorritore, e dell’attività di soccorso extra-ospedaliero, è stata oggetto di rilevanti innovazioni nel corso dell’ultimo ventennio.

 

Lo spartiacque tra passato e presente in questo settore è rappresentato dal D.P.R. del 27 marzo 1992.

 

In questo provvedimento, difatti, viene disegnata la struttura portante del sistema di emergenza sanitaria avente, ex art. 1, “carattere di uniformità in tutto il territorio nazionale”.

 

Le fondamenta sulle quali poggia questa nuova “costruzione” sono individuate dall’art. 2:

 

1. un sistema di allarme sanitario rappresentato, ex art. 3, dal numero unico nazionale 118. Le richieste di emergenza vengono gestite dalle singole centrali operative territorialmente competenti al fine di coordinare ed organizzare gli interventi nell’ambito territoriale di riferimento.

 

Le centrali, operative 24 ore al giorno, sono sotto la responsabilità medico-organizzativa di un medico ospedaliero e si avvalgono delle competenze operative di personale infermieristico appositamente addestrato, nonché di competenze mediche di appoggio (art.4).

 

2. un sistema di accettazione e di emergenza sanitaria, dato da un servizio di pronto soccorso e da un dipartimento di emergenza. Il primo deve assicurare, come statuito al primo comma dell’art. 7, “oltre agli interventi diagnostico-terapeutici di urgenza compatibili con le specialità di cui è dotato, almeno il primo accertamento diagnostico, clinico, strumentale e di laboratorio e gli interventi necessari alla stabilizzazione del paziente, nonché garantire il trasporto protetto”.

 

Il dipartimento di emergenza deve assicurare, oltre alle attività di pronto soccorso, anche interventi diagnostico-terapeutici di emergenza medici, chirurgici, ortopedici, ostetrici e pediatrici, osservazione breve, assistenza cardiologica e rianimatoria (art.8).

 

Come si evince dalla lettura del summenzionato provvedimento, nulla viene statuito riguardo alla figura del soccorritore. La lacuna risulta macroscopica se inserita nella realtà fattuale e quotidiana degli interventi di emergenza ed urgenza extra-ospedalieri, nei quali sono proprio i soccorritori gli attori protagonisti.

 

Le ragioni di tale mancanza possono essere diverse. Una spiegazione è certamente da rintracciarsi nello scarso sviluppo ed interesse avutosi nel corso degli anni nel settore dell’emergenza. Questa affermazione trova, a parere di chi scrive, una validazione storica nelle vicende legate alla gestione dei primi momenti immediatamente seguenti le grandi calamità naturali che colpirono il nostro Paese negli anni precedenti al provvedimento in esame: numerose furono le critiche, ad esempio, per i ritardi nei soccorsi alle popolazioni dell’Irpinia colpite dal terremoto nel 1980 o del Friuli nel 1976. Troppo spesso fu avvertita la mancanza di personale specificatamente addestrato, di strutture d’appoggio, di un organizzazione chiaramente delineata e pronta nel rispondere alle conseguenze di disastri naturali nient’affatto imprevedibili per la conformazione geologica del nostro territorio.

 

Carenza culturale che, al contempo, può essere andata a braccetto con l’interesse politico di demandare alle singole regioni e province autonome, ex art. 12, l’attuazione di quanto disposto dal D.P.R. in esame.

 

Sul punto non possono essere celate le differenze nella qualità del trattamento sanitario fornito lungo tutto il territorio nazionale, con eccellenze mediche sparse “a macchia di leopardo” per la penisola.

 

Criticità che giustificano la convenienza per lo Stato centrale di disciplinare la materia con singole disposizioni quadro e di principi, che saranno le regioni a riempire di contenuto alla luce delle diverse realtà.

 

Si badi bene: la correttezza costituzionale nella tecnica normativa, alla luce dell’art. 117, è inoppugnabile.

 

A preoccupare sono altre valutazioni: una sanità “a macchia di leopardo” contrasta con i principi di eguaglianza formale e sostanziale sanciti dalla stessa Costituzione, portando la nostra Repubblica ed i suoi organi di governo ad eludere l’obbligo di tutelare la salute quale diritto dell’individuo ed interesse della collettività (art. 32 comma 1 Cost).

 

Le linee guida regionali non hanno però, sino ad oggi, saputo tratteggiare distintamente la figura del soccorritore. Queste, difatti, individuano come soccorritore-esecutore colui che ha partecipato agli appositi corsi di formazione erogati da centri a ciò preposti ed autorizzati e che, al termine di tale percorso professionalizzante, abbia conseguito la relativa certificazione.

 

Tale normazione potrebbe essere capace di definire il soccorritore ad contrarium, ossia come quel soggetto dotato di apposita preparazione ed istruzione al fine di poter rispondere alle esigenze di emergenza sanitaria a bordo di appositi mezzi di soccorso di base ed alle “dipendenze” delle singole centrali operative; se non fosse che identica certificazione viene rilasciata a chi frequenti con esito positivo i corsi di preparazione di cui sopra, esulando dallo svolgimento in concreto dell’attività di soccorritore (nelle linee guida regionali si utilizza la definizione omnicomprensiva di “personale laico soccorritore”).

 

Nemmeno può trovarsi un criterio distintivo nell’essere soccorritore professionale, ossia con contratto di lavoro subordinato che lega il lavoratore alle singole associazioni di pronto soccorso o alle diverse centrali operative, o volontario. Ai primi, difatti, non viene riconosciuto per contratto lo status di soccorritore ne, di conseguenza, alcun tipo di indennità per la loro maggior esposizione a rischi biologici, infettivi e, più in generale, lesivi della loro incolumità.

 

In un quadro generale caratterizzato da un cosi evidente vulnus, è forte il bisogno di certezze.

 

Nel momento in cui si scrive possiamo tratteggiare il seguente profilo normativo del soccorritore:

 

· de jure condito il soccorritore rientra nella categoria dell’incaricato di pubblico servizio ex art. 358 c.p. Questi, pur agendo nell'ambito di un'attività disciplinata nelle forme della pubblica funzione, mancano dei poteri tipici di questa, purché non svolgano semplici mansioni di ordine, né prestino opera meramente materiale. Il pubblico servizio è dunque attività di carattere intellettivo, caratterizzata, quanto al contenuto, dalla mancanza dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione, con la quale è solo in rapporto di accessorietà o complementarietà (Cass. Pen., S.U., 27 Marzo 1992, n. 7958);

 

· de jure condendo è da rilevare l’interessante progetto di legge regionale n. 50 del Piemonte del 26 luglio 2010 volto al riconoscimento della figura del soccorritore professionale.

 

Per il soccorritore, dopo aver frequentato e superato positivamente un corso di base ed un più approfondito corso professionale della durata di 500 ore, è ravvisabile un profilo professionale abilitante a svolgere attività di: collaborazione nell'intervento del soccorso sanitario in tutte le fasi del suo svolgimento con particolare riguardo alla messa in sicurezza del luogo dell'evento, conduzione dei mezzi di soccorso sanitario provvisti di segnalatori di allarme acustico e luminosi a luci lampeggianti blu, nonché salvaguardia della sicurezza degli occupanti dei mezzi medesimi, manutenzione dell'efficienza e della sicurezza del veicolo di soccorso affidatogli (art.1).

 

Tale riconoscimento, frutto di un approfondito iter d’apprendimento, garantisce al soccorritore di poter svolgere tutta una serie di attività proprie del soccorso extra-ospedaliero: dalla collaborazione con altri mezzi complementari di soccorso, alla effettuazione di manovre di mobilizzazione, allo svolgimento di funzioni di capo equipaggio; con le necessarie competenze tecniche, cognitive e relazionali (art. 4 ; allegati A – B).

 

Questo progetto di legge regionale è sicuramente un primo passo importante verso il riconoscimento della figura del soccorritore cosi come richiesta da più parti; anche se la distanza che ci separa dagli altri paesi, e dalla tanto citata figura del paramedico, è assai profonda.

 

 

2. RESPONSABILITA’ PENALE DEL SOCCORRITORE

 

Nel trattare della responsabilità penale del soccorritore non è possibile sottrarsi dal valutare i limiti del principio costituzionale, comunque sia precipuo, della responsabilità penale personale ex art. 27 Cost.

 

Nell’ambito del soccorso extra-ospedaliero, che è attività svolta tipicamente in équipe, tale principio deve essere interpretato attentamente.

 

Di base possiamo riconoscere nella colpa l’elemento soggettivo di eventuali reati commessi nello svolgimento di un soccorso extraospedaliero. Tale fattore psicologico, che all’art. 43 c.p. è definito come una azione od omissione non voluta a causa di negligenza, imprudenza, imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, è certamente uno degli elementi caratterizzanti le condotte delittuose nel più vasto ambito medico-sanitario.

 

Negligenza, imprudenza o imperizia. In poche parole: colpa generica. Questa non è fondata su norme (di qualunque rango) positive, ma piuttosto su regole di condotta non scritte e cristallizzate nel tempo.

 

La ratio della scelta effettuata nel Codice Rocco è sintomo di saggezza: gli ambiti ed i settori nei quali si estrinseca l’attività umana sono molteplici e sarebbe impossibile, nonché indesiderabile, che il legislatore intervenga per ognuno di essi con apposite statuizioni. Cosi facendo si lascia spazio all’esperienza stratificatasi nel corso del tempo nel singolo settore d’interesse e, più in generale, nella vita sociale[1].

 

La determinazione delle regole di diligenza, prudenza e perizia non sono lasciate, però, al libero arbitrio del giudice né ai lumi dell’accademico. Come è oramai riconosciuto pacificamente, il riferimento è a quello che si doveva fare in un dato momento: per arrivare a tale risultato si confronterà la condotta tenuta dal soggetto agente nel caso concreto con la condotta che avrebbe tenuto un uomo ideale nelle medesime circostanze di tempo e di luogo. Uomo ideale, si badi bene, da non mitizzare. Caduto lo stantio parametro di riferimento del “buon padre di famiglia”, oggi si fa capo ad una pluralità di modelli legati ai diversi tipi di attività nei quali si suddivide la vita di relazione per poter essere ritagliati sulla persona dell’agente. Avremo quindi il pedone modello, l’automobilista modello, il medico modello, ed anche il soccorritore modello[2].

 

A questi si riconosceranno, come ovvio, le competenze e le conoscenze proprie della categoria di riferimento. Capacità ed abilità superiori del singolo agente rispetto all’agente modello non potranno fondare, in linea di principio, un più elevato dovere di diligenza[3].

 

L’ampia premessa ci permette di analizzare le singole ipotesi di colpa generica legandole alle attività concretamente svolte nel soccorso extraospedaliero.

 

Partiamo dalla negligenza, da intendersi come “una trascuratezza in rapporto ad una regola che prescrive di attivarsi in qualche modo”[4]. Esempio in tal senso può ravvisarsi nella mancata chiamata alla centrale operativa 118 da parte del capo-servizio o di altro membro d’equipaggio, al fine di portare a conoscenza il personale tecnico e sanitario delle condizioni del paziente in carico e ricevere comunicazione circa la destinazione ospedaliera capace di offrire allo stesso le cure più idonee.

 

Si ha imprudenza quando “la regola cautelare richiede di astenersi dall’agire, ovvero di agire osservando determinati accorgimenti, mentre in realtà il soggetto agisce in luogo d’astenersi, ovvero agisce senza le debite cautele”[5]. Le ipotesi sono connesse alla valutazione della sicurezza della scena, primo elemento di ogni servizio di soccorso, cosi come emerge dai protocolli delle singole centrali operative, al fine di garantire la piena sicurezza dell’equipaggio del mezzo di soccorso di base.

 

Infine l’imperizia, che “racchiude in sé sia la negligenza che l’imprudenza, ma con riguardo ad attività cosiddette ‘qualificate’, che richiedono cioè particolari cognizioni tecnico-professionali”[6]. Per un soccorritore è questo il profilo di colpa generica più sensibile, poiché dipendente dalle nozioni acquisite nei corsi propedeutici all’abilitazione di soccorritore-esecutore. Gli esempi non mancano: compressioni toraciche esterne eseguite non sul punto di repere, errato utilizzo dei presidi di mobilizzazione, ecc.

 

La colpa generica, come già emerso in parte sopra, nel settore del soccorso extraospedaliero è contigua alla colpa specifica, ossia la colpa derivante dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

 

Questa “connivenza” è tipica di tutto il settore medico e “paramedico”, in quanto tali attività sono storicamente presidiate da leges artis non scritte, alle quali tutto il personale sanitario deve attenersi.

 

Solamente negli ultimi trent’anni si è avuta la redazione di regole scritte relativa a quest’attività. Si tratta di guidelines di origine statunitense, giunte anche nel nostro paese, volte a standardizzare procedure mediche e parametri[7].

 

Se nell’ambito propriamente medico l’influenza, l’utilità ed i limiti delle linee guida e dei protocolli clinici sono ancora oggetto di accesa discussione[8], dobbiamo invece sottolineare la centralità dei protocolli operativi per l’attività di soccorso. Questi divengono strumento valutativo per gli aspiranti soccorritori, guida durante il servizio in urgenza e parametro per determinare il corretto svolgimento di ogni intervento. Possiamo affermare che nel settore in esame le linee guida raggiungono quegli obiettivi di maggiore uniformità nel trattamento e maggiore certezza nella pratica voluti dai loro creatori[9], rendendo il soccorso extraospedaliero una realtà che si avvicina agli standards più moderni per il proprio settore d’appartenenza.

 

La ragione di questa scelta è comprensibile li dove l’attività di soccorso extraospedaliero viene svolta da personale laico, come sopra accennato, con una formazione basica ed incomparabile con quella dei paramedici (di fatto si tratta di due sistemi sanitari completamente diversi). In tal modo si vuol garantire uno standard d’intervento medio (ritorna, qui, la figura vista sopra del soccorritore modello) che possa fornire certezze alla popolazione e raggiungere gli obiettivi propri del d. P.R. 23 Marzo 1992.

 

La colpa specifica è dunque realtà evidente, e nel corso degli anni diverrà preminente nell’attività del soccorso extra ospedaliero, aprendo squarci di novità importanti in un mondo coperto ancor oggi da regole non scritte. Si può vedere dunque il soccorritore come figura di sanitario nuovo, moderna, rassicurata e fornita di regole proprie e destinate a migliorare costantemente il servizio offerto.

 

 

3. COLPA COSCIENTE, COLPA GRAVE E LAVORO IN EQUIPE

 

Rimanendo ancora nell’ambito della colpa, due “gradazioni” della stessa sembra opportuno menzionare per possibili applicazione nel settore in esame: la colpa cosciente e la colpa grave.

 

La prima è prevista come aggravante del reato all’art. 61 n.3 c.p.: “l’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento”. Si può affermare che tale previsione può trovare spazi nel soccorso extraospedaliero, li dove l’agente “per leggerezza sottovaluta la probabilità del verificarsi dell’evento che ha previsto ovvero sopravvaluta le proprie capacità di evitarlo”. Il legislatore interviene per sottolineare la gravità della condotta di chi agisce senza interrogarsi sui rischi connessi[10]. Ecco che si ritorna alle valutazioni effettuate poco sopra relativamente all’importanza delle guidelines nel soccorso, poiché coscientemente il soccorritore potrà agire ed evitare condotte colpose, consapevole del percorso logico e dei punti da seguire in ogni intervento di urgenza ed emergenza con un grado di “protezione” assai elevato.

 

L’ipotesi della colpa grave è prevista dal codice civile all’articolo 2236. Questo, rubricato “responsabilità del prestatore d’opera”, recita: ”Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”.

 

La controversia circa la sua portata verte su una questione: è applicabile ai fini della responsabilità penale la norma civilistica sopra citata?

 

Alla luce di alcune massime, e non poche sentenze di merito, si individua un orientamento giurisprudenziale contrario all’applicazione della limitazione di responsabilità ex art. 2236 c.c. Questo filone fa leva su tre ordini di argomenti.

 

In primis l’art. 2236 c.c. è applicabile esclusivamente al “ramo civile dell’ordinamento”, disciplinando la materia risarcitoria per responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

 

In secondo luogo applicare quell’articolo all’ambito penale contrasterebbe con il divieto di analogia, tanto per il suo carattere di eccezionalità che per l’assenza di una necessità di interpretazione estensiva, “data la completezza e l’omogeneità della disciplina penale del dolo e della colpa”.

 

Infine, laddove fosse possibile affermare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento, non sarebbe individuabile la “speciale difficoltà tecnica” cardine della colpa grave ex art. 2236 c.c.[11]

 

Altra giurisprudenza ritiene invece applicabile l’elemento della colpa grave nell’ambito penale relativamente alla sola ipotesi della perizia: esclusivamente l’imperizia potrà essere valutata nell’ambito della colpa grave, “per allargare il campo di discrezionalità tecnica del professionista quando si tratti di problemi particolarmente difficili, la cui soluzione implica rischi di insuccesso”[12].

 

Su questa premessa si è venuto a creare, in tempi più recenti, un ulteriore requisito di creazione giurisprudenziale.

 

Il medico (e, più in generale, il professionista sanitario) andrà esente da responsabilità, ancorché il suo comportamento risulti non conforme alle regole di perizia, se dimostri: d’aver rispettato le comuni regole di diligenza e di prudenza; d’aver dovuto cimentarsi con problemi di particolare difficoltà; se l’imperizia non è grave; d’aver agito immediatamente stante la situazione di emergenza (requisito di creazione giurisprudenziale)[13].

 

Comunque si voglia leggere la norma, è indubbia la sua portata relativamente alla divisone del lavoro in ambito medico e sanitario. Il soggetto che si trova ad affrontare un problema tecnico di particolare difficoltà, piuttosto che farsene carico, dovrà richiedere la collaborazione di specialisti del settore.

 

Come da protocolli emanati dalle centrali operative, e come da regole proprie del vivere comune (ecco che ritorna tanto la colpa generica che la colpa specifica), il soccorritore che si trovi di fronte a situazioni complesse ed esorbitanti le proprie competenze e conoscenze dovrà chiedere aiuto e garanzia al personale preposto, evitando inutili rischi ed “assenza di copertura” (esempio sarà, vista la criticità del quadro clinico del paziente, richiedere l’intervento del mezzo di soccorso avanzato o del mezzo infermieristico).

 

Nell’ambito del soccorso extraospedaliero sembra doversi riservare un margine residuale e puramente teorico all’elemento soggettivo del dolo, ossia quando l’evento dannoso o pericoloso è il risultato di un’azione od omissione del soggetto agente prevista e voluta. Vis corpori illata gli esempi non mancherebbero, relegandoli serenamente in un ambito di pura astrazione e teoria. Concedendosi uno spazio di leggerezza, seppure i pazienti possano essere talvolta insopportabili, chi mai cercherebbe volontariamente di provocargli lesioni o, peggio ancora, di ucciderli?

 

Maggiormente verificabili possono essere condotte che, vis animo illata, ledano la sfera morale e d’onore del soggetto passivo. Qualche “parola di troppo” potrebbe essere sufficiente per integrare il reato d’ingiuria ex art. 594 c.p.; altre e diverse condotte sono poi ipotizzabili nell’ambito del delitto di truffa ex art. 640 c.p.

 

A parere di chi scrive si tratta, in ogni caso, di ipotesi scolastiche e che raramente andranno a realizzarsi con protagonisti i soccorritori nell’attività di urgenza ed emergenza.

 

Sulla stessa lunghezza d’onda è il terzo ed ultimo elemento soggettivo del reato, ossia la preterintenzionalità. Questo viene individuato dall’art. 43 c.p. nei casi in cui “dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente”. Il riferimento più diretto è alla previsione del delitto di omicidio preterintenzionale cosi come disciplinato all’art. 584 c.p, che sanziona con la reclusione da dieci a diciotto “chiunque cagioni la morte di un uomo con atti diretti a commettere i delitti di percosse e lesioni personali (artt. 581 e 582 c.p.)”.

 

Come analizzato nei paragrafi precedenti, il soccorritore non affronta in solitudine il servizio di urgenza ed emergenza. Egli è parte di un equipaggio operante su un singolo mezzo di soccorso base, che a sua volta si troverà a cooperare con mezzi di soccorso avanzato (auto medica, auto infermieristica, elisoccorso, ecc.), forze dell’ordine e pubblici ufficiali.

 

La struttura è, quindi, fortemente gerarchizzata e piramidale grazie alla strutturazione emergente dal D.P.R. 27 Marzo 1992. Sul punto è necessario un attento approfondimento.

 

Partendo dall’unità “di base”, nell’ambito di ogni equipaggio di un mezzo di soccorso di base esiste la figura del caposervizio, ossia colui che coordina e “dirige” l’intervento. Nulla quaestio se si trattasse di un ruolo specificatamente delineato e regolamentato, quanto meno nelle linee guida regionali. Invece tale distinzione è posta esclusivamente a fini organizzativi, con un percorso formativo lasciato all’autonomia gestionale delle singole associazioni di pronto soccorso e volontariato.

 

Mancando una disciplina in tal senso cogente e positivizzata, ed essendo i mebri dell’equipaggio muniti delle medesime conoscenze tecniche e sanitarie, risulta operazione ardua imputare al caposervizio una eventuale responsabilità per culpa in eligendo. Nel contesto in esame gli operatori hanno medesime competenze ed identici profili professionali, cosicché la divisione dei compiti risulta essere un fattore volto a favorire la celerità e la sicurezza delle manovre.

 

Più coerente rispetto ai profili sopra delineati diviene l’applicabilità della culpa in vigilando, che nel settore in esame risulta permeare l’intero equipaggio: se le conoscenze sono identiche, tutti avranno un onere di controllo sull’attività svolta dal collega. Ciò non si legga come un controllo asfissiante sul proprio “vicino”: si consideri, piuttosto, come un necessario contraltare e fattore di sicurezza che controbilancia il fattore di rischio proprio della divisione del lavoro[14].

 

Per quanto detto fino ad ora pare un buon modello, a parere di chi scrive, la teoria elaborata da Roxin della distinzione tra doveri comuni e doveri condivisi. Se nella prima categoria rientrano i doveri gravanti su più soggetti, titolari di una posizione di garanzia, nella seconda rientrano i doveri ripartiti secondo esigenze qualitative[15]. Nel soccorso extra-ospedaliero sono maggiori e preminenti i doveri comuni a quelli divisi, con un dovere di controllo da intendere nel senso di un obbligo di verifica della inesistenza di specifiche circostanze di fatto che facciano supporre come altamente probabile il prodursi di una negligenza altrui.

 

Diretta collaborazione, dovere di controllo, medesime conoscenze. Il risultato sarà che, in ogni momento del servizio, un soccorritore dovrà esprimere il proprio dissenso circa lo svolgimento di determinate manovre da parte dei colleghi. La conseguenza, in caso contrario, sarà una valutazione di responsabilità omissiva per il soccorritore rimasto silente (Cass. Pen., Sez. IV, 17 novembre 1999, Zanda, 2001).

 

Quanto sopra non può che trovare applicazione anche nel caso in cui il soccorritore si trovi ad operare con personale altamente qualificato (infermieri e medici), attese le differenze di conoscenza, ruolo e responsabilità. E’ indubbio che il primo, per quelle che sono le proprie competenze e le nozioni acquisite, abbia il dovere di esprimere il proprio dissenso su manovre e trattamenti eseguiti dai secondi sul paziente; detto che, in una simile valutazione “negativa” effettuata dal personale di soccorso sull’agire di medici od infermieri, si tratterà di omissioni ed errori lapalissiani e macroscopici.

 

 

4. LA RESPONSABILITA’ CIVILE DEL SOCCORRITORE: TRA RESPONSABILITA’ AQUILIANA E RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE

 

Venendo ora al tema della responsabilità, e precipuamente a quella civilistica, è indubbio che nella attività di soccorso extra-ospedaliero assurga al ruolo di protagonista la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. La norma prevede quanto segue: ”Qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

 

La responsabilità aquiliana porterà il responsabile, come ovvio, a soddisfare le pretese risarcitorie del danneggiato con tutti i suoi beni presenti e futuri in ragione tanto del danno emergente che del lucro cessante.

 

Al fine di garantire un sereno svolgimento dell’attività di soccorso extraospedaliero, tanto il personale dipendente quanto quello volontario, nello svolgimento delle loro funzioni sono coperti da apposite assicurazioni. Per i primi tale obbligo è statuito dalle norme giuslavoristi che e dai contratti lavorativi; per i secondi esplicita è la disciplina della Legge quadro sul volontariato 266/1991 che, all’art. 4 primo comma, recita :” Le organizzazioni di volontariato debbono assicurare i propri aderenti, che prestano attività di volontariato, contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività stessa, nonché per la responsabilità civile verso i terzi”.

 

Nel settore in discussione la previsione dell’art.2043 c.c. non è sganciabile da quella emergente all’art. 2050 c.c., secondo il quale “chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”.

 

La definizione di attività pericolosa, emergente da appositi disposizioni di legge e, più in definitiva, dalla natura stessa dell’attività capace di probabili danni ai terzi, sarà elemento che il danneggiato dovrà provare in “sfavore” del convenuto per un accertamento finale spettante al giudice (Cass. 7 maggio 2007, n. 10300 e Cass. 5 giugno 2002, n. 8148).[16]

 

Ovviamente il danno lamentato dall’attore dovrà essere una conseguenza propria dell’attività pericolosa, e che quell’attività per sua stessa natura può comportare, legati da un nesso di causalità “civilistico” che più avanti incontreremo (Cass. 17 Dicembre 2009 n. 26516).[17]

 

Quello che sin da ora possiamo dire, emergente dalla lettera dell’articolo in questione, è che il personale dedito al soccorso extraospedaliero sarà esente da responsabilità se dimostri di aver adottato le precauzioni imposte da leggi, ordini e regolamenti (esempio, i protocolli operativi); nonché le normali regole di prudenza e diligenza dettate dalla cognizione tecnica e dalla comune esperienza (da ultimo, Cass. 24 novembre 2003 n. 17851).[18]

 

Senza dimenticare l’ulteriore prova liberatoria fornita dall’evento derivante per causa non imputabile al convenuto o nel caso in cui sia la stessa condotta colposa del paziente danneggiato idonea ad interrompere il nesso causale e a divenire, cosi, produttiva dell’evento lesivo ( Cass. Civ. Sez. III 5 Gennaio 2010 n.25).[19]

 

Più interessante diviene allora, a parere di chi scrive, valutare l’applicabilità al settore in esame del profilo della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.

 

Perno fondamentale sul quale costruire il ragionamento è fornito dal dettato dell’art. 1173 c.c., alla luce del quale le obbligazioni derivano non solo da contratto o da fatto illecito, ma pure da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.

 

In un contesto nel quale tra soccorritore e paziente (e, in ambito ospedaliero, tra medico e paziente) si instaura una relazione di fatto, che comporta una concreta ingerenza del primo nella sfera personale del secondo, pare inappropriata l’identificazione nel più generico neminem laedere[20].

 

Piuttosto tale vincolo, secondo dottrina e giurisprudenza più recente, è fatto capace di far sorgere obbligazioni ex art. 1173 c.c. In tale ambiti si parla della sussistenza di un c.d. “contratto sociale”, confermato anche dalla Suprema Corte, del tutto simile ad un contratto di prestazione d’opera intellettuale, che si instaura anche per prestazione eseguite e per le quali il prestatore non era tenuto (Cass. 29 settembre 2004 n. 19564; Cass. 25 febbraio 2005 n. 4058; Cass. 26 gennaio 2006 n. 1698; Cass. 19 aprile 2006 n. 9085)[21].

 

Questa tesi, oramai “imperante ed incontrastata” (Cass. 16 gennaio 2009 n. 975), denomina tale obbligazione come un “contratto con effetti protettivi nei confronti del terzo” in relazione all’attività del medico sul paziente ed alla luce del rapporto intercorrente tra questi e l’ente ospedaliero (Cass. 13 Aprile 2007 n.8826; Cass. 14 Giugno 2007 n. 13953).[22]

 

Per la natura propria del soccorso extraospedaliero, ricordando le differenze sostanziali che corrono tra la figura del medico e quella del soccorritore, questa impostazione potrebbe essere applicabile.

 

L’attività d’urgenza ed emergenza viene svolta da soggetti ed associazioni connesse da rapporti contrattuali con le diverse centrali operative su base provinciale ed alle regioni. Senza dimenticare lo stretto rapporto, anche solo funzionale, tra quelli e i diversi ospedali presenti sul territorio. Sul punto, più di tante parole, è sufficiente la conclusione a cui è giunta la Cassazione nella già citata sentenza n. 8826 del 13 Aprile 2007. Secondo i Supremi Giudici “l'accettazione del paziente in una struttura (pubblica o privata) deputata a fornire assistenza sanitaria-ospedaliera, ai fini del ricovero, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d'opera atipico di spedalità, essendo essa tenuta ad una prestazione complessa che non si esaurisce nella prestazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche) già prescritte dall'art. 2 L. n. 132 del 1968, ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, e di tutte le attrezzature tecniche necessarie, nonché di quelle lato sensu alberghiere”.

 

Questa impostazione porta a delle conclusioni rilevanti per il settore in esame: la struttura sanitaria (ripetiamo, tanto l’ospedale quanto i deputati organi provinciali e regionali di soccorso) risponderà sia degli esiti dannosi delle condotte attive od omissive dei soccorritori ex art. 1228 c.c., sia per i propri inadempimenti relativamente all’attività svolta ex art. 1218 c.c. (esempio potrà essere la fatiscenza di mezzi, macchinari o strutture).[23]

 

Se poi il rapporto tra soggetto agente (soccorritore / medico) e struttura sia di lavoro subordinato oppure di altra natura, poco cambia: conta che esista un rapporto effettivo e riscontrabile tra questi nell’adempimento dell’obbligazione assunta nei confronti del malato.[24]

 

Ecco allora come le teorizzazioni dottrinali trovano linfa vitale nella pratica: comunque configurabile il rapporto tra medico/soccorritore ed enti pubblici, questo non può essere relativizzato ai soli contraenti. La figura dei “contratti ad effetti protettivi nei confronti dei terzi” prende le mosse da questo assunto e da una interpretazione estensiva del comma secondo dell’art. 1372 c.c., secondo il quale “il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge”. Il soggetto terzo, in tali ambiti, è “qualificato” vista la sua prossimità alla prestazione fornita: il paziente, nel rapporto con il soccorritore, è interessato come e più del “contraente” pubblico alla buona riuscita della prestazione. Cosicché, in caso di danni arrecatigli, non sembra corretto, per un’esigenza di “giustizia sostanziale”, che questi non possa richiedere un risarcimento danni ex art. 1218 c.c.[25]

 

Le conseguenze di una interpretazione della responsabilità del soccorritore come contrattuale emergono anche dal punto di vista probatorio: oltre alla prescrizione del diritto al risarcimento in 10 anni, il paziente dovrà dimostrare esclusivamente l’esistenza del rapporto contrattuale di cui sopra, il danno patito ed il nesso causale tra questo e la condotta di chi lo ha assistito, senza la necessità di enucleare aspetti specifici e tecnici di responsabilità professionale (Cass. S.U. 11 Gennaio 2008 n. 577; Cass. Civ. 19 gennaio 2009 n. 975; Cass. 19 maggio 2004 n. 9471).[26]

 

Sarà invece onere delle deputate strutture regionali e provinciali, nonché dei soccorritori e delle associazioni di appartenenza, dimostrare che non c’è stato alcun inadempimento o che questo è a loro non imputabile o non è stato causa del danno sofferto dall’attore (Cass. 14 Luglio 2004 n. 13066 ; Cass. S.U. 11 Gennaio 2008 n. 577).

 

Azione, omissione e lesione che dovranno essere connessi da un nesso eziologico rilevante per i giudici, secondo un principio di causalità rilevante non solo ai fini penalistici ma anche a quelli civilistici.

 

Dopo anni di differenti opinioni e valutazioni giurisprudenziali, la dottrina più recente, sostenuta da autorevoli massime della Corte di Cassazione (S.U. 11 Gennaio 2008 nn. 576-585), ha finalmente chiarito che non esiste una causalità autonoma del processo civile, quanto una regola normativa generale individuabile negli artt. 40 e 41 c.p. Addirittura, in caso di omissione, la verifica è del tutto identica a quella eseguita in sede penale, con un giudizio controfattuale di tipo prognostico-ipotetico.

 

L’unica differenza nel regime probatorio è riscontrabile, allora, nella richiesta penalistica di una prova “oltre ogni ragionevole dubbio”. In sede civilistica, infatti, la regole è quella della “preponderanza dell’evidenza” o detto “del più probabile che non”; coerente con i differenti valori in gioco in quest’ultima sede che in quell’altra.[27]

 

 

- CONCLUSIONI

 

E’ comprensibile che la presente trattazione possa mettere in allarme, in particolare gli stessi soccorritori. Ampliare la sfera di responsabilità loro, nonché del personale medico e sanitario, è pratica che si è assai diffusa negli ultimi anni. Certamente il clima non è rasserenato dalle notizie allarmistiche riguardanti presunti casi di malasanità strillati quotidianamente dai mass-media.

 

Quello che si è voluto dimostrare è, innanzitutto, la centralità del ruolo svolto dal personale dedito al soccorso extraospedaliero e della necessità, sempre più impellente, del riconoscimento giuridico di uno status di soccorritore.

 

A questo dovrebbe seguire un ampliamento delle competenze date e delle facoltà concesse, anche attraverso una rimodulazione ed approfondimento del percorso formativo. Gli esempi dei nostri vicini europei (Austria e Svizzera su tutti) non mancano.

 

Con una crescita sensibile della figura in esame diverrebbe più coerente, ed accettabile, caricarsi di responsabilità morali, sociali e giuridiche di notevole entità.

 

Un processo attualmente in alto mare, bloccato da veti politici e dalla consapevolezza che il sistema, come attualmente in funzione, permette alle Regioni di risparmiare ingenti somme di denaro per un ambito, quello sanitario, già fonte di salassi per i bilanci pubblici e per i cittadini.

 

Non resta, quindi, che rimanere in attesa di primi provvedimenti di rango regionale in materia che possano aprire la strada per una nuova consapevolezza; senza dimenticare che spesso sono quelle dei soccorritori le prime “facce” del sistema sanitario che l’utente-paziente incontra sul proprio cammino. Rendere questo servizio sempre più professionale è questione affatto secondaria.

 

[1] G. Marinucci, E. Dolcini. Manuale di Diritto Penale. Parte Generale. Giuffrè Editore. 2004. Pagg. 201 ss.

 

[2] Ibidem.

 

[3] Ibidem.

 

[4] Paolo Veneziani. I delitti contro la vita e l’incolumità individuale. Tomo II. I delitti colposi. Cedam. 2003. Pag. 29.

 

[5] Ibidem.

 

[6] Ibidem.

 

[7] Paolo Veneziani. Op. Cit. Pagg. 173 ss.

 

[8] Ibidem.

 

[9] Ibidem.

 

[10] G. Marinucci, E. Dolcini. Manuale di Diritto Penale. Parte Generale. Giuffrè Editore. 2004. Pag. 212.

 

[11] Paolo Veneziani. I delitti contro la vita e l’incolumità individuale. Tomo II. I delitti colposi. Cedam. 2003. Pagg. 327-329.

 

[12] Paolo Veneziani. Op. Cit. Pag. 323.

 

[13] Paolo Veneziani. Op. Cit. Pag. 326.

 

[14] Paolo Veneziani. Op. Cit. Pagg. 199 ss.

 

[15] Paolo Veneziani. Op Cit. Pagg. 209-210.

 

[16] Valentina Trovato. Esercizio di attività pericolosa ed efficacia causale esclusiva. Danno e Responsabilità. 2010. 10, 927.

 

[17] Ibidem.

 

[18] Ibidem.

 

[19] Ibidem.

 

[20] Francesco Agnino. La responsabilità medica: lo stato dell’arte della giurisprudenza tra enforcement del paziente ed oggettivazione della responsabilità sanitaria. Corriere Giur. 2011. 5, 628.

 

[21] Ibidem.

 

[22] Ibidem.

 

[23] Francesco Agnino. Op. Cit.

 

[24] Ibidem.

 

[25] Ibidem.

 

[26] Ibidem.

 

[27] Francesco Agnino. Op. Cit.

 

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