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- PREMESSA
Il seguente articolo ha lo scopo di
approfondire le tematiche riguardanti la responsabilità
penale e civile del soccorritore, con un necessario
preambolo dedicato a tratteggiarne un profilo storico e
sociale.
Attraverso la lettura della
normativa vigente, unita ad un’analisi dello stato
dell’arte di dottrina e giurisprudenza in materia, si
cercherà di pervenire a conclusioni chiarificatrici in
un contesto nel quale, per ora, si “naviga a vista”.
1. LA FIGURA DEL SOCCORRITORE
La figura del soccorritore, e
dell’attività di soccorso extra-ospedaliero, è stata
oggetto di rilevanti innovazioni nel corso dell’ultimo
ventennio.
Lo spartiacque tra passato e
presente in questo settore è rappresentato dal D.P.R.
del 27 marzo 1992.
In questo provvedimento, difatti,
viene disegnata la struttura portante del sistema di
emergenza sanitaria avente, ex art. 1, “carattere di
uniformità in tutto il territorio nazionale”.
Le fondamenta sulle quali poggia
questa nuova “costruzione” sono individuate dall’art. 2:
1. un sistema di allarme sanitario
rappresentato, ex art. 3, dal numero unico nazionale
118. Le richieste di emergenza vengono gestite dalle
singole centrali operative territorialmente competenti
al fine di coordinare ed organizzare gli interventi
nell’ambito territoriale di riferimento.
Le centrali, operative 24 ore al
giorno, sono sotto la responsabilità
medico-organizzativa di un medico ospedaliero e si
avvalgono delle competenze operative di personale
infermieristico appositamente addestrato, nonché di
competenze mediche di appoggio (art.4).
2. un sistema di accettazione e di
emergenza sanitaria, dato da un servizio di pronto
soccorso e da un dipartimento di emergenza. Il primo
deve assicurare, come statuito al primo comma dell’art.
7, “oltre agli interventi diagnostico-terapeutici di
urgenza compatibili con le specialità di cui è dotato,
almeno il primo accertamento diagnostico, clinico,
strumentale e di laboratorio e gli interventi necessari
alla stabilizzazione del paziente, nonché garantire il
trasporto protetto”.
Il dipartimento di emergenza deve
assicurare, oltre alle attività di pronto soccorso,
anche interventi diagnostico-terapeutici di emergenza
medici, chirurgici, ortopedici, ostetrici e pediatrici,
osservazione breve, assistenza cardiologica e
rianimatoria (art.8).
Come si evince dalla lettura del
summenzionato provvedimento, nulla viene statuito
riguardo alla figura del soccorritore. La lacuna risulta
macroscopica se inserita nella realtà fattuale e
quotidiana degli interventi di emergenza ed urgenza
extra-ospedalieri, nei quali sono proprio i soccorritori
gli attori protagonisti.
Le ragioni di tale mancanza possono
essere diverse. Una spiegazione è certamente da
rintracciarsi nello scarso sviluppo ed interesse avutosi
nel corso degli anni nel settore dell’emergenza. Questa
affermazione trova, a parere di chi scrive, una
validazione storica nelle vicende legate alla gestione
dei primi momenti immediatamente seguenti le grandi
calamità naturali che colpirono il nostro Paese negli
anni precedenti al provvedimento in esame: numerose
furono le critiche, ad esempio, per i ritardi nei
soccorsi alle popolazioni dell’Irpinia colpite dal
terremoto nel 1980 o del Friuli nel 1976. Troppo spesso
fu avvertita la mancanza di personale specificatamente
addestrato, di strutture d’appoggio, di un
organizzazione chiaramente delineata e pronta nel
rispondere alle conseguenze di disastri naturali
nient’affatto imprevedibili per la conformazione
geologica del nostro territorio.
Carenza culturale che, al contempo,
può essere andata a braccetto con l’interesse politico
di demandare alle singole regioni e province autonome,
ex art. 12, l’attuazione di quanto disposto dal D.P.R.
in esame.
Sul punto non possono essere celate
le differenze nella qualità del trattamento sanitario
fornito lungo tutto il territorio nazionale, con
eccellenze mediche sparse “a macchia di leopardo” per la
penisola.
Criticità che giustificano la
convenienza per lo Stato centrale di disciplinare la
materia con singole disposizioni quadro e di principi,
che saranno le regioni a riempire di contenuto alla luce
delle diverse realtà.
Si badi bene: la correttezza
costituzionale nella tecnica normativa, alla luce
dell’art. 117, è inoppugnabile.
A preoccupare sono altre
valutazioni: una sanità “a macchia di leopardo”
contrasta con i principi di eguaglianza formale e
sostanziale sanciti dalla stessa Costituzione, portando
la nostra Repubblica ed i suoi organi di governo ad
eludere l’obbligo di tutelare la salute quale diritto
dell’individuo ed interesse della collettività (art. 32
comma 1 Cost).
Le linee guida regionali non hanno
però, sino ad oggi, saputo tratteggiare distintamente la
figura del soccorritore. Queste, difatti, individuano
come soccorritore-esecutore colui che ha partecipato
agli appositi corsi di formazione erogati da centri a
ciò preposti ed autorizzati e che, al termine di tale
percorso professionalizzante, abbia conseguito la
relativa certificazione.
Tale normazione potrebbe essere
capace di definire il soccorritore ad contrarium, ossia
come quel soggetto dotato di apposita preparazione ed
istruzione al fine di poter rispondere alle esigenze di
emergenza sanitaria a bordo di appositi mezzi di
soccorso di base ed alle “dipendenze” delle singole
centrali operative; se non fosse che identica
certificazione viene rilasciata a chi frequenti con
esito positivo i corsi di preparazione di cui sopra,
esulando dallo svolgimento in concreto dell’attività di
soccorritore (nelle linee guida regionali si utilizza la
definizione omnicomprensiva di “personale laico
soccorritore”).
Nemmeno può trovarsi un criterio
distintivo nell’essere soccorritore professionale, ossia
con contratto di lavoro subordinato che lega il
lavoratore alle singole associazioni di pronto soccorso
o alle diverse centrali operative, o volontario. Ai
primi, difatti, non viene riconosciuto per contratto lo
status di soccorritore ne, di conseguenza, alcun tipo di
indennità per la loro maggior esposizione a rischi
biologici, infettivi e, più in generale, lesivi della
loro incolumità.
In un quadro generale
caratterizzato da un cosi evidente vulnus, è forte il
bisogno di certezze.
Nel momento in cui si scrive
possiamo tratteggiare il seguente profilo normativo del
soccorritore:
· de jure condito il soccorritore
rientra nella categoria dell’incaricato di pubblico
servizio ex art. 358 c.p. Questi, pur agendo nell'ambito
di un'attività disciplinata nelle forme della pubblica
funzione, mancano dei poteri tipici di questa, purché
non svolgano semplici mansioni di ordine, né prestino
opera meramente materiale. Il pubblico servizio è dunque
attività di carattere intellettivo, caratterizzata,
quanto al contenuto, dalla mancanza dei poteri
autoritativi e certificativi propri della pubblica
funzione, con la quale è solo in rapporto di
accessorietà o complementarietà (Cass. Pen., S.U., 27
Marzo 1992, n. 7958);
· de jure condendo è da rilevare
l’interessante progetto di legge regionale n. 50 del
Piemonte del 26 luglio 2010 volto al riconoscimento
della figura del soccorritore professionale.
Per il soccorritore, dopo aver
frequentato e superato positivamente un corso di base ed
un più approfondito corso professionale della durata di
500 ore, è ravvisabile un profilo professionale
abilitante a svolgere attività di: collaborazione
nell'intervento del soccorso sanitario in tutte le fasi
del suo svolgimento con particolare riguardo alla messa
in sicurezza del luogo dell'evento, conduzione dei mezzi
di soccorso sanitario provvisti di segnalatori di
allarme acustico e luminosi a luci lampeggianti blu,
nonché salvaguardia della sicurezza degli occupanti dei
mezzi medesimi, manutenzione dell'efficienza e della
sicurezza del veicolo di soccorso affidatogli (art.1).
Tale riconoscimento, frutto di un
approfondito iter d’apprendimento, garantisce al
soccorritore di poter svolgere tutta una serie di
attività proprie del soccorso extra-ospedaliero: dalla
collaborazione con altri mezzi complementari di
soccorso, alla effettuazione di manovre di
mobilizzazione, allo svolgimento di funzioni di capo
equipaggio; con le necessarie competenze tecniche,
cognitive e relazionali (art. 4 ; allegati A – B).
Questo progetto di legge regionale
è sicuramente un primo passo importante verso il
riconoscimento della figura del soccorritore cosi come
richiesta da più parti; anche se la distanza che ci
separa dagli altri paesi, e dalla tanto citata figura
del paramedico, è assai profonda.
2. RESPONSABILITA’ PENALE DEL
SOCCORRITORE
Nel trattare della responsabilità
penale del soccorritore non è possibile sottrarsi dal
valutare i limiti del principio costituzionale, comunque
sia precipuo, della responsabilità penale personale ex
art. 27 Cost.
Nell’ambito del soccorso
extra-ospedaliero, che è attività svolta tipicamente in
équipe, tale principio deve essere interpretato
attentamente.
Di base possiamo riconoscere nella
colpa l’elemento soggettivo di eventuali reati commessi
nello svolgimento di un soccorso extraospedaliero. Tale
fattore psicologico, che all’art. 43 c.p. è definito
come una azione od omissione non voluta a causa di
negligenza, imprudenza, imperizia o per inosservanza di
leggi, regolamenti, ordini o discipline, è certamente
uno degli elementi caratterizzanti le condotte
delittuose nel più vasto ambito medico-sanitario.
Negligenza, imprudenza o imperizia.
In poche parole: colpa generica. Questa non è fondata su
norme (di qualunque rango) positive, ma piuttosto su
regole di condotta non scritte e cristallizzate nel
tempo.
La ratio della scelta effettuata
nel Codice Rocco è sintomo di saggezza: gli ambiti ed i
settori nei quali si estrinseca l’attività umana sono
molteplici e sarebbe impossibile, nonché indesiderabile,
che il legislatore intervenga per ognuno di essi con
apposite statuizioni. Cosi facendo si lascia spazio
all’esperienza stratificatasi nel corso del tempo nel
singolo settore d’interesse e, più in generale, nella
vita sociale[1].
La determinazione delle regole di
diligenza, prudenza e perizia non sono lasciate, però,
al libero arbitrio del giudice né ai lumi
dell’accademico. Come è oramai riconosciuto
pacificamente, il riferimento è a quello che si doveva
fare in un dato momento: per arrivare a tale risultato
si confronterà la condotta tenuta dal soggetto agente
nel caso concreto con la condotta che avrebbe tenuto un
uomo ideale nelle medesime circostanze di tempo e di
luogo. Uomo ideale, si badi bene, da non mitizzare.
Caduto lo stantio parametro di riferimento del “buon
padre di famiglia”, oggi si fa capo ad una pluralità di
modelli legati ai diversi tipi di attività nei quali si
suddivide la vita di relazione per poter essere
ritagliati sulla persona dell’agente. Avremo quindi il
pedone modello, l’automobilista modello, il medico
modello, ed anche il soccorritore modello[2].
A questi si riconosceranno, come
ovvio, le competenze e le conoscenze proprie della
categoria di riferimento. Capacità ed abilità superiori
del singolo agente rispetto all’agente modello non
potranno fondare, in linea di principio, un più elevato
dovere di diligenza[3].
L’ampia premessa ci permette di
analizzare le singole ipotesi di colpa generica
legandole alle attività concretamente svolte nel
soccorso extraospedaliero.
Partiamo dalla negligenza, da
intendersi come “una trascuratezza in rapporto ad una
regola che prescrive di attivarsi in qualche modo”[4].
Esempio in tal senso può ravvisarsi nella mancata
chiamata alla centrale operativa 118 da parte del
capo-servizio o di altro membro d’equipaggio, al fine di
portare a conoscenza il personale tecnico e sanitario
delle condizioni del paziente in carico e ricevere
comunicazione circa la destinazione ospedaliera capace
di offrire allo stesso le cure più idonee.
Si ha imprudenza quando “la regola
cautelare richiede di astenersi dall’agire, ovvero di
agire osservando determinati accorgimenti, mentre in
realtà il soggetto agisce in luogo d’astenersi, ovvero
agisce senza le debite cautele”[5]. Le ipotesi sono
connesse alla valutazione della sicurezza della scena,
primo elemento di ogni servizio di soccorso, cosi come
emerge dai protocolli delle singole centrali operative,
al fine di garantire la piena sicurezza dell’equipaggio
del mezzo di soccorso di base.
Infine l’imperizia, che “racchiude
in sé sia la negligenza che l’imprudenza, ma con
riguardo ad attività cosiddette ‘qualificate’, che
richiedono cioè particolari cognizioni
tecnico-professionali”[6]. Per un soccorritore è questo
il profilo di colpa generica più sensibile, poiché
dipendente dalle nozioni acquisite nei corsi
propedeutici all’abilitazione di soccorritore-esecutore.
Gli esempi non mancano: compressioni toraciche esterne
eseguite non sul punto di repere, errato utilizzo dei
presidi di mobilizzazione, ecc.
La colpa generica, come già emerso
in parte sopra, nel settore del soccorso
extraospedaliero è contigua alla colpa specifica, ossia
la colpa derivante dall’inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline.
Questa “connivenza” è tipica di
tutto il settore medico e “paramedico”, in quanto tali
attività sono storicamente presidiate da leges artis non
scritte, alle quali tutto il personale sanitario deve
attenersi.
Solamente negli ultimi trent’anni
si è avuta la redazione di regole scritte relativa a
quest’attività. Si tratta di guidelines di origine
statunitense, giunte anche nel nostro paese, volte a
standardizzare procedure mediche e parametri[7].
Se nell’ambito propriamente medico
l’influenza, l’utilità ed i limiti delle linee guida e
dei protocolli clinici sono ancora oggetto di accesa
discussione[8], dobbiamo invece sottolineare la
centralità dei protocolli operativi per l’attività di
soccorso. Questi divengono strumento valutativo per gli
aspiranti soccorritori, guida durante il servizio in
urgenza e parametro per determinare il corretto
svolgimento di ogni intervento. Possiamo affermare che
nel settore in esame le linee guida raggiungono quegli
obiettivi di maggiore uniformità nel trattamento e
maggiore certezza nella pratica voluti dai loro
creatori[9], rendendo il soccorso extraospedaliero una
realtà che si avvicina agli standards più moderni per il
proprio settore d’appartenenza.
La ragione di questa scelta è
comprensibile li dove l’attività di soccorso
extraospedaliero viene svolta da personale laico, come
sopra accennato, con una formazione basica ed
incomparabile con quella dei paramedici (di fatto si
tratta di due sistemi sanitari completamente diversi).
In tal modo si vuol garantire uno standard d’intervento
medio (ritorna, qui, la figura vista sopra del
soccorritore modello) che possa fornire certezze alla
popolazione e raggiungere gli obiettivi propri del d.
P.R. 23 Marzo 1992.
La colpa specifica è dunque realtà
evidente, e nel corso degli anni diverrà preminente
nell’attività del soccorso extra ospedaliero, aprendo
squarci di novità importanti in un mondo coperto ancor
oggi da regole non scritte. Si può vedere dunque il
soccorritore come figura di sanitario nuovo, moderna,
rassicurata e fornita di regole proprie e destinate a
migliorare costantemente il servizio offerto.
3. COLPA COSCIENTE, COLPA GRAVE E
LAVORO IN EQUIPE
Rimanendo ancora nell’ambito della
colpa, due “gradazioni” della stessa sembra opportuno
menzionare per possibili applicazione nel settore in
esame: la colpa cosciente e la colpa grave.
La prima è prevista come aggravante
del reato all’art. 61 n.3 c.p.: “l’avere, nei delitti
colposi, agito nonostante la previsione dell’evento”. Si
può affermare che tale previsione può trovare spazi nel
soccorso extraospedaliero, li dove l’agente “per
leggerezza sottovaluta la probabilità del verificarsi
dell’evento che ha previsto ovvero sopravvaluta le
proprie capacità di evitarlo”. Il legislatore interviene
per sottolineare la gravità della condotta di chi agisce
senza interrogarsi sui rischi connessi[10]. Ecco che si
ritorna alle valutazioni effettuate poco sopra
relativamente all’importanza delle guidelines nel
soccorso, poiché coscientemente il soccorritore potrà
agire ed evitare condotte colpose, consapevole del
percorso logico e dei punti da seguire in ogni
intervento di urgenza ed emergenza con un grado di
“protezione” assai elevato.
L’ipotesi della colpa grave è
prevista dal codice civile all’articolo 2236. Questo,
rubricato “responsabilità del prestatore d’opera”,
recita: ”Se la prestazione implica la soluzione di
problemi tecnici di particolare difficoltà, il
prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in
caso di dolo o colpa grave”.
La controversia circa la sua
portata verte su una questione: è applicabile ai fini
della responsabilità penale la norma civilistica sopra
citata?
Alla luce di alcune massime, e non
poche sentenze di merito, si individua un orientamento
giurisprudenziale contrario all’applicazione della
limitazione di responsabilità ex art. 2236 c.c. Questo
filone fa leva su tre ordini di argomenti.
In primis l’art. 2236 c.c. è
applicabile esclusivamente al “ramo civile
dell’ordinamento”, disciplinando la materia risarcitoria
per responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
In secondo luogo applicare
quell’articolo all’ambito penale contrasterebbe con il
divieto di analogia, tanto per il suo carattere di
eccezionalità che per l’assenza di una necessità di
interpretazione estensiva, “data la completezza e
l’omogeneità della disciplina penale del dolo e della
colpa”.
Infine, laddove fosse possibile
affermare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento,
non sarebbe individuabile la “speciale difficoltà
tecnica” cardine della colpa grave ex art. 2236 c.c.[11]
Altra giurisprudenza ritiene invece
applicabile l’elemento della colpa grave nell’ambito
penale relativamente alla sola ipotesi della perizia:
esclusivamente l’imperizia potrà essere valutata
nell’ambito della colpa grave, “per allargare il campo
di discrezionalità tecnica del professionista quando si
tratti di problemi particolarmente difficili, la cui
soluzione implica rischi di insuccesso”[12].
Su questa premessa si è venuto a
creare, in tempi più recenti, un ulteriore requisito di
creazione giurisprudenziale.
Il medico (e, più in generale, il
professionista sanitario) andrà esente da
responsabilità, ancorché il suo comportamento risulti
non conforme alle regole di perizia, se dimostri: d’aver
rispettato le comuni regole di diligenza e di prudenza;
d’aver dovuto cimentarsi con problemi di particolare
difficoltà; se l’imperizia non è grave; d’aver agito
immediatamente stante la situazione di emergenza
(requisito di creazione giurisprudenziale)[13].
Comunque si voglia leggere la
norma, è indubbia la sua portata relativamente alla
divisone del lavoro in ambito medico e sanitario. Il
soggetto che si trova ad affrontare un problema tecnico
di particolare difficoltà, piuttosto che farsene carico,
dovrà richiedere la collaborazione di specialisti del
settore.
Come da protocolli emanati dalle
centrali operative, e come da regole proprie del vivere
comune (ecco che ritorna tanto la colpa generica che la
colpa specifica), il soccorritore che si trovi di fronte
a situazioni complesse ed esorbitanti le proprie
competenze e conoscenze dovrà chiedere aiuto e garanzia
al personale preposto, evitando inutili rischi ed
“assenza di copertura” (esempio sarà, vista la criticità
del quadro clinico del paziente, richiedere l’intervento
del mezzo di soccorso avanzato o del mezzo
infermieristico).
Nell’ambito del soccorso
extraospedaliero sembra doversi riservare un margine
residuale e puramente teorico all’elemento soggettivo
del dolo, ossia quando l’evento dannoso o pericoloso è
il risultato di un’azione od omissione del soggetto
agente prevista e voluta. Vis corpori illata gli esempi
non mancherebbero, relegandoli serenamente in un ambito
di pura astrazione e teoria. Concedendosi uno spazio di
leggerezza, seppure i pazienti possano essere talvolta
insopportabili, chi mai cercherebbe volontariamente di
provocargli lesioni o, peggio ancora, di ucciderli?
Maggiormente verificabili possono
essere condotte che, vis animo illata, ledano la sfera
morale e d’onore del soggetto passivo. Qualche “parola
di troppo” potrebbe essere sufficiente per integrare il
reato d’ingiuria ex art. 594 c.p.; altre e diverse
condotte sono poi ipotizzabili nell’ambito del delitto
di truffa ex art. 640 c.p.
A parere di chi scrive si tratta,
in ogni caso, di ipotesi scolastiche e che raramente
andranno a realizzarsi con protagonisti i soccorritori
nell’attività di urgenza ed emergenza.
Sulla stessa lunghezza d’onda è il
terzo ed ultimo elemento soggettivo del reato, ossia la
preterintenzionalità. Questo viene individuato dall’art.
43 c.p. nei casi in cui “dall’azione od omissione deriva
un evento dannoso o pericoloso più grave di quello
voluto dall’agente”. Il riferimento più diretto è alla
previsione del delitto di omicidio preterintenzionale
cosi come disciplinato all’art. 584 c.p, che sanziona
con la reclusione da dieci a diciotto “chiunque cagioni
la morte di un uomo con atti diretti a commettere i
delitti di percosse e lesioni personali (artt. 581 e 582
c.p.)”.
Come analizzato nei paragrafi
precedenti, il soccorritore non affronta in solitudine
il servizio di urgenza ed emergenza. Egli è parte di un
equipaggio operante su un singolo mezzo di soccorso
base, che a sua volta si troverà a cooperare con mezzi
di soccorso avanzato (auto medica, auto infermieristica,
elisoccorso, ecc.), forze dell’ordine e pubblici
ufficiali.
La struttura è, quindi, fortemente
gerarchizzata e piramidale grazie alla strutturazione
emergente dal D.P.R. 27 Marzo 1992. Sul punto è
necessario un attento approfondimento.
Partendo dall’unità “di base”,
nell’ambito di ogni equipaggio di un mezzo di soccorso
di base esiste la figura del caposervizio, ossia colui
che coordina e “dirige” l’intervento. Nulla quaestio se
si trattasse di un ruolo specificatamente delineato e
regolamentato, quanto meno nelle linee guida regionali.
Invece tale distinzione è posta esclusivamente a fini
organizzativi, con un percorso formativo lasciato
all’autonomia gestionale delle singole associazioni di
pronto soccorso e volontariato.
Mancando una disciplina in tal
senso cogente e positivizzata, ed essendo i mebri
dell’equipaggio muniti delle medesime conoscenze
tecniche e sanitarie, risulta operazione ardua imputare
al caposervizio una eventuale responsabilità per culpa
in eligendo. Nel contesto in esame gli operatori hanno
medesime competenze ed identici profili professionali,
cosicché la divisione dei compiti risulta essere un
fattore volto a favorire la celerità e la sicurezza
delle manovre.
Più coerente rispetto ai profili
sopra delineati diviene l’applicabilità della culpa in
vigilando, che nel settore in esame risulta permeare
l’intero equipaggio: se le conoscenze sono identiche,
tutti avranno un onere di controllo sull’attività svolta
dal collega. Ciò non si legga come un controllo
asfissiante sul proprio “vicino”: si consideri,
piuttosto, come un necessario contraltare e fattore di
sicurezza che controbilancia il fattore di rischio
proprio della divisione del lavoro[14].
Per quanto detto fino ad ora pare
un buon modello, a parere di chi scrive, la teoria
elaborata da Roxin della distinzione tra doveri comuni e
doveri condivisi. Se nella prima categoria rientrano i
doveri gravanti su più soggetti, titolari di una
posizione di garanzia, nella seconda rientrano i doveri
ripartiti secondo esigenze qualitative[15]. Nel soccorso
extra-ospedaliero sono maggiori e preminenti i doveri
comuni a quelli divisi, con un dovere di controllo da
intendere nel senso di un obbligo di verifica della
inesistenza di specifiche circostanze di fatto che
facciano supporre come altamente probabile il prodursi
di una negligenza altrui.
Diretta collaborazione, dovere di
controllo, medesime conoscenze. Il risultato sarà che,
in ogni momento del servizio, un soccorritore dovrà
esprimere il proprio dissenso circa lo svolgimento di
determinate manovre da parte dei colleghi. La
conseguenza, in caso contrario, sarà una valutazione di
responsabilità omissiva per il soccorritore rimasto
silente (Cass. Pen., Sez. IV, 17 novembre 1999, Zanda,
2001).
Quanto sopra non può che trovare
applicazione anche nel caso in cui il soccorritore si
trovi ad operare con personale altamente qualificato
(infermieri e medici), attese le differenze di
conoscenza, ruolo e responsabilità. E’ indubbio che il
primo, per quelle che sono le proprie competenze e le
nozioni acquisite, abbia il dovere di esprimere il
proprio dissenso su manovre e trattamenti eseguiti dai
secondi sul paziente; detto che, in una simile
valutazione “negativa” effettuata dal personale di
soccorso sull’agire di medici od infermieri, si tratterà
di omissioni ed errori lapalissiani e macroscopici.
4. LA RESPONSABILITA’ CIVILE DEL
SOCCORRITORE: TRA RESPONSABILITA’ AQUILIANA E
RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE
Venendo ora al tema della
responsabilità, e precipuamente a quella civilistica, è
indubbio che nella attività di soccorso
extra-ospedaliero assurga al ruolo di protagonista la
responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. La
norma prevede quanto segue: ”Qualunque fatto doloso, o
colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga
colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
La responsabilità aquiliana porterà
il responsabile, come ovvio, a soddisfare le pretese
risarcitorie del danneggiato con tutti i suoi beni
presenti e futuri in ragione tanto del danno emergente
che del lucro cessante.
Al fine di garantire un sereno
svolgimento dell’attività di soccorso extraospedaliero,
tanto il personale dipendente quanto quello volontario,
nello svolgimento delle loro funzioni sono coperti da
apposite assicurazioni. Per i primi tale obbligo è
statuito dalle norme giuslavoristi che e dai contratti
lavorativi; per i secondi esplicita è la disciplina
della Legge quadro sul volontariato 266/1991 che,
all’art. 4 primo comma, recita :” Le organizzazioni di
volontariato debbono assicurare i propri aderenti, che
prestano attività di volontariato, contro gli infortuni
e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività
stessa, nonché per la responsabilità civile verso i
terzi”.
Nel settore in discussione la
previsione dell’art.2043 c.c. non è sganciabile da
quella emergente all’art. 2050 c.c., secondo il quale
“chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di
un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura
dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non
prova di avere adottato tutte le misure idonee ad
evitare il danno”.
La definizione di attività
pericolosa, emergente da appositi disposizioni di legge
e, più in definitiva, dalla natura stessa dell’attività
capace di probabili danni ai terzi, sarà elemento che il
danneggiato dovrà provare in “sfavore” del convenuto per
un accertamento finale spettante al giudice (Cass. 7
maggio 2007, n. 10300 e Cass. 5 giugno 2002, n.
8148).[16]
Ovviamente il danno lamentato
dall’attore dovrà essere una conseguenza propria
dell’attività pericolosa, e che quell’attività per sua
stessa natura può comportare, legati da un nesso di
causalità “civilistico” che più avanti incontreremo
(Cass. 17 Dicembre 2009 n. 26516).[17]
Quello che sin da ora possiamo
dire, emergente dalla lettera dell’articolo in
questione, è che il personale dedito al soccorso
extraospedaliero sarà esente da responsabilità se
dimostri di aver adottato le precauzioni imposte da
leggi, ordini e regolamenti (esempio, i protocolli
operativi); nonché le normali regole di prudenza e
diligenza dettate dalla cognizione tecnica e dalla
comune esperienza (da ultimo, Cass. 24 novembre 2003 n.
17851).[18]
Senza dimenticare l’ulteriore prova
liberatoria fornita dall’evento derivante per causa non
imputabile al convenuto o nel caso in cui sia la stessa
condotta colposa del paziente danneggiato idonea ad
interrompere il nesso causale e a divenire, cosi,
produttiva dell’evento lesivo ( Cass. Civ. Sez. III 5
Gennaio 2010 n.25).[19]
Più interessante diviene allora, a
parere di chi scrive, valutare l’applicabilità al
settore in esame del profilo della responsabilità
contrattuale ex art. 1218 c.c.
Perno fondamentale sul quale
costruire il ragionamento è fornito dal dettato
dell’art. 1173 c.c., alla luce del quale le obbligazioni
derivano non solo da contratto o da fatto illecito, ma
pure da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in
conformità dell’ordinamento giuridico.
In un contesto nel quale tra
soccorritore e paziente (e, in ambito ospedaliero, tra
medico e paziente) si instaura una relazione di fatto,
che comporta una concreta ingerenza del primo nella
sfera personale del secondo, pare inappropriata
l’identificazione nel più generico neminem laedere[20].
Piuttosto tale vincolo, secondo
dottrina e giurisprudenza più recente, è fatto capace di
far sorgere obbligazioni ex art. 1173 c.c. In tale
ambiti si parla della sussistenza di un c.d. “contratto
sociale”, confermato anche dalla Suprema Corte, del
tutto simile ad un contratto di prestazione d’opera
intellettuale, che si instaura anche per prestazione
eseguite e per le quali il prestatore non era tenuto
(Cass. 29 settembre 2004 n. 19564; Cass. 25 febbraio
2005 n. 4058; Cass. 26 gennaio 2006 n. 1698; Cass. 19
aprile 2006 n. 9085)[21].
Questa tesi, oramai “imperante ed
incontrastata” (Cass. 16 gennaio 2009 n. 975), denomina
tale obbligazione come un “contratto con effetti
protettivi nei confronti del terzo” in relazione
all’attività del medico sul paziente ed alla luce del
rapporto intercorrente tra questi e l’ente ospedaliero
(Cass. 13 Aprile 2007 n.8826; Cass. 14 Giugno 2007 n.
13953).[22]
Per la natura propria del soccorso
extraospedaliero, ricordando le differenze sostanziali
che corrono tra la figura del medico e quella del
soccorritore, questa impostazione potrebbe essere
applicabile.
L’attività d’urgenza ed emergenza
viene svolta da soggetti ed associazioni connesse da
rapporti contrattuali con le diverse centrali operative
su base provinciale ed alle regioni. Senza dimenticare
lo stretto rapporto, anche solo funzionale, tra quelli e
i diversi ospedali presenti sul territorio. Sul punto,
più di tante parole, è sufficiente la conclusione a cui
è giunta la Cassazione nella già citata sentenza n. 8826
del 13 Aprile 2007. Secondo i Supremi Giudici
“l'accettazione del paziente in una struttura (pubblica
o privata) deputata a fornire assistenza
sanitaria-ospedaliera, ai fini del ricovero, comporta la
conclusione di un contratto di prestazione d'opera
atipico di spedalità, essendo essa tenuta ad una
prestazione complessa che non si esaurisce nella
prestazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche
(generali e specialistiche) già prescritte dall'art. 2
L. n. 132 del 1968, ma si estende ad una serie di altre
prestazioni, quali la messa a disposizione di personale
medico ausiliario e di personale paramedico, di
medicinali, e di tutte le attrezzature tecniche
necessarie, nonché di quelle lato sensu alberghiere”.
Questa impostazione porta a delle
conclusioni rilevanti per il settore in esame: la
struttura sanitaria (ripetiamo, tanto l’ospedale quanto
i deputati organi provinciali e regionali di soccorso)
risponderà sia degli esiti dannosi delle condotte attive
od omissive dei soccorritori ex art. 1228 c.c., sia per
i propri inadempimenti relativamente all’attività svolta
ex art. 1218 c.c. (esempio potrà essere la fatiscenza di
mezzi, macchinari o strutture).[23]
Se poi il rapporto tra soggetto
agente (soccorritore / medico) e struttura sia di lavoro
subordinato oppure di altra natura, poco cambia: conta
che esista un rapporto effettivo e riscontrabile tra
questi nell’adempimento dell’obbligazione assunta nei
confronti del malato.[24]
Ecco allora come le teorizzazioni
dottrinali trovano linfa vitale nella pratica: comunque
configurabile il rapporto tra medico/soccorritore ed
enti pubblici, questo non può essere relativizzato ai
soli contraenti. La figura dei “contratti ad effetti
protettivi nei confronti dei terzi” prende le mosse da
questo assunto e da una interpretazione estensiva del
comma secondo dell’art. 1372 c.c., secondo il quale “il
contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei
casi previsti dalla legge”. Il soggetto terzo, in tali
ambiti, è “qualificato” vista la sua prossimità alla
prestazione fornita: il paziente, nel rapporto con il
soccorritore, è interessato come e più del “contraente”
pubblico alla buona riuscita della prestazione.
Cosicché, in caso di danni arrecatigli, non sembra
corretto, per un’esigenza di “giustizia sostanziale”,
che questi non possa richiedere un risarcimento danni ex
art. 1218 c.c.[25]
Le conseguenze di una
interpretazione della responsabilità del soccorritore
come contrattuale emergono anche dal punto di vista
probatorio: oltre alla prescrizione del diritto al
risarcimento in 10 anni, il paziente dovrà dimostrare
esclusivamente l’esistenza del rapporto contrattuale di
cui sopra, il danno patito ed il nesso causale tra
questo e la condotta di chi lo ha assistito, senza la
necessità di enucleare aspetti specifici e tecnici di
responsabilità professionale (Cass. S.U. 11 Gennaio 2008
n. 577; Cass. Civ. 19 gennaio 2009 n. 975; Cass. 19
maggio 2004 n. 9471).[26]
Sarà invece onere delle deputate
strutture regionali e provinciali, nonché dei
soccorritori e delle associazioni di appartenenza,
dimostrare che non c’è stato alcun inadempimento o che
questo è a loro non imputabile o non è stato causa del
danno sofferto dall’attore (Cass. 14 Luglio 2004 n.
13066 ; Cass. S.U. 11 Gennaio 2008 n. 577).
Azione, omissione e lesione che
dovranno essere connessi da un nesso eziologico
rilevante per i giudici, secondo un principio di
causalità rilevante non solo ai fini penalistici ma
anche a quelli civilistici.
Dopo anni di differenti opinioni e
valutazioni giurisprudenziali, la dottrina più recente,
sostenuta da autorevoli massime della Corte di
Cassazione (S.U. 11 Gennaio 2008 nn. 576-585), ha
finalmente chiarito che non esiste una causalità
autonoma del processo civile, quanto una regola
normativa generale individuabile negli artt. 40 e 41
c.p. Addirittura, in caso di omissione, la verifica è
del tutto identica a quella eseguita in sede penale, con
un giudizio controfattuale di tipo
prognostico-ipotetico.
L’unica differenza nel regime
probatorio è riscontrabile, allora, nella richiesta
penalistica di una prova “oltre ogni ragionevole
dubbio”. In sede civilistica, infatti, la regole è
quella della “preponderanza dell’evidenza” o detto “del
più probabile che non”; coerente con i differenti valori
in gioco in quest’ultima sede che in quell’altra.[27]
- CONCLUSIONI
E’ comprensibile che la presente
trattazione possa mettere in allarme, in particolare gli
stessi soccorritori. Ampliare la sfera di responsabilità
loro, nonché del personale medico e sanitario, è pratica
che si è assai diffusa negli ultimi anni. Certamente il
clima non è rasserenato dalle notizie allarmistiche
riguardanti presunti casi di malasanità strillati
quotidianamente dai mass-media.
Quello che si è voluto dimostrare
è, innanzitutto, la centralità del ruolo svolto dal
personale dedito al soccorso extraospedaliero e della
necessità, sempre più impellente, del riconoscimento
giuridico di uno status di soccorritore.
A questo dovrebbe seguire un
ampliamento delle competenze date e delle facoltà
concesse, anche attraverso una rimodulazione ed
approfondimento del percorso formativo. Gli esempi dei
nostri vicini europei (Austria e Svizzera su tutti) non
mancano.
Con una crescita sensibile della
figura in esame diverrebbe più coerente, ed accettabile,
caricarsi di responsabilità morali, sociali e giuridiche
di notevole entità.
Un processo attualmente in alto
mare, bloccato da veti politici e dalla consapevolezza
che il sistema, come attualmente in funzione, permette
alle Regioni di risparmiare ingenti somme di denaro per
un ambito, quello sanitario, già fonte di salassi per i
bilanci pubblici e per i cittadini.
Non resta, quindi, che rimanere in
attesa di primi provvedimenti di rango regionale in
materia che possano aprire la strada per una nuova
consapevolezza; senza dimenticare che spesso sono quelle
dei soccorritori le prime “facce” del sistema sanitario
che l’utente-paziente incontra sul proprio cammino.
Rendere questo servizio sempre più professionale è
questione affatto secondaria.
[1] G. Marinucci, E. Dolcini.
Manuale di Diritto Penale. Parte Generale. Giuffrè
Editore. 2004. Pagg. 201 ss.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Paolo Veneziani. I delitti
contro la vita e l’incolumità individuale. Tomo II. I
delitti colposi. Cedam. 2003. Pag. 29.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
[7] Paolo Veneziani.
Op. Cit. Pagg. 173 ss.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] G. Marinucci, E. Dolcini.
Manuale di Diritto Penale. Parte Generale. Giuffrè
Editore. 2004. Pag. 212.
[11] Paolo Veneziani. I delitti
contro la vita e l’incolumità individuale. Tomo II. I
delitti colposi. Cedam. 2003. Pagg. 327-329.
[12] Paolo Veneziani. Op. Cit. Pag.
323.
[13] Paolo Veneziani. Op. Cit. Pag.
326.
[14] Paolo Veneziani. Op. Cit.
Pagg. 199 ss.
[15] Paolo Veneziani. Op Cit. Pagg.
209-210.
[16] Valentina Trovato. Esercizio
di attività pericolosa ed efficacia causale esclusiva.
Danno e Responsabilità. 2010. 10, 927.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] Ibidem.
[20] Francesco Agnino. La
responsabilità medica: lo stato dell’arte della
giurisprudenza tra enforcement del paziente ed
oggettivazione della responsabilità sanitaria. Corriere
Giur. 2011. 5, 628.
[21] Ibidem.
[22] Ibidem.
[23] Francesco Agnino. Op. Cit.
[24] Ibidem.
[25] Ibidem.
[26] Ibidem.
[27] Francesco Agnino. Op. Cit. |