“Ci sono delle epoche nella storia
in cui si può
andare avanti soltanto tornando
indietro”
(P. Gentile)
Sommario: 1. Dalle Province
autarchiche alle Province Regionali – 2. Il
consolidamento normativo della Provincia Regionale - 3.
La natura giuridica della Provincia Regionale - 4.
L’inquadramento comunitario e costituzionale della
Provincia Regionale - 5. I Liberi Consorzi di Comuni -
6. Profili d’incostituzionalità della Provincia
Regionale - 7. Il rischio di un neocentralismo regionale
- 8. Considerazioni finali.
La soppressione, a tutti i costi,
dell’ente intermedio sembra essere diventato il
“biglietto da visita” di buona parte delle forze
politiche. Non importa fare un’attenta analisi
costi-benefici, così come non importa simulare un
ipotesi di scenario credibile del nuovo assetto
istituzionale delle autonomie locali. Ciò che preme alla
classe politica del momento è riuscire a dare una
risposta immediata al sentimento di antipolitica che
interessa una consistente fetta dell’opinione pubblica.
E così il Governo Berlusconi,
dall’improvvisato, discutibilissimo e poi stralciato
art. 15 del D.L. n. 138 del 13/08/2011, come convertito
nella legge n. 148 del 14/09/2011, è passato alla rapida
approvazione di un disegno di legge costituzionale1
che, in luogo della semplice riduzione delle Province
sulla base di criteri quantitativi (popolazione ed
estensione territoriale), preferisce tranciare, con
l’autorevolezza di cui è dotata una spada
costituzionale, l’esistenza medesima dell’ente
intermedio, espungendolo alla radice, cioè dalla
Costituzione.
La scelta del DDL costituzionale
per intervenire sugli assetti dell’articolazione
repubblicana appare decisamente più saggia rispetto al
temerario percorso della decretazione d’urgenza, ma le
riserve sul merito della riforma rimangono integre e
meritevoli di essere partecipate alla riflessione e al
dibattito non solo del mondo politico. Se non altro,
così condividendo le sagge parole del Presidente della
Repubblica, perchè bisogna “andarci piano” con le
modifiche alla Costituzione.
Se, i tempi tecnici previsti per
una modifica costituzionale sono ben noti, tanto da far
dubitare alcuni commentatori sulla serietà del percorso
intrapreso, in alcune Regioni a Statuto speciale come la
Sicilia, la nuova ipotesi di lavoro varata dal Consiglio
dei Ministri nella seduta dell’8/09/2011, non frena la
decisione del Governatore Lombardo di perseguire
comunque il proprio obiettivo politico-programmatico nel
sostituire le attuali “Province Regionali” con i Liberi
Consorzi di Comuni previsti dall’art. 15 dello Statuto
siciliano.
Né, tanto meno, la volontà di
sottoporre uno specifico articolato di disposizioni per
realizzare la citata riforma in seno alla prossima legge
finanziaria regionale per l’anno 2012, risulta
rallentata dalla previsione contenuta nel citato DDL
costituzionale che, all’art 3, comma 6, così prevede:
“Le disposizioni di cui alla presente legge
costituzionale si applicano alle Province delle Regioni
a statuto speciale, fatta eccezione per quelle autonome
di Trento e di Bolzano”. Infatti un autorevole
rappresentante del Governo Lombardo non esita ad
affermare che “Per la Regione Siciliana il disegno di
legge costituzionale che prevede la soppressione delle
Province è superfluo, perché ancora una volta lo Statuto
siciliano è antesignano delle linee evolutive
dell’assetto amministrativo dello Stato, Già 64 anni fa
ipotizzava un modello di organizzazione dell’ente
intermedio, qual è quello dei liberi consorzi di
Comuni”2. Dello stesso avviso sembra essere lo stesso
Governatore Raffaele Lombardo che in occasione della
recente visita del Presidente della Repubblica a Palermo
si esprime in questi termini: “Ho illustrato al Capo
dello Stato il disegno di legge per la costituzione dei
liberi consorzi di Comuni, così come prevede l’art. 15
del nostro Statuto speciale che non contempla le
Province”3.
Dando per buono che il
Governatore Lombardo riesca a convincere i novanta
inquilini dell’Assemblea Regionale Siciliana, rimane il
dubbio sulla compatibilità degli effetti dei due disegni
di riforma delle autonomie locali, atteso che, ad oggi,
solo quello (costituzionale) approvato dal Consiglio dei
Ministri è noto. In disparte, ogni ulteriore riflessione
sulla bontà di chi eccepisce che per la modifica degli
Statuti speciali possa essere seguito il diverso
procedimento previsto dagli Statuti medesimi,
considerato che “…gli statuti stessi, altro non sono che
leggi costituzionali, pertanto incapaci di resistere a
leggi costituzionali successive, adottate attraverso la
procedura dell’art. 138 Cost.” 4.
Invero, mentre non è revocabile in
dubbio che la soppressione o la riduzione delle
Province, così come risultava concepita originariamente
dall’art. 15 del citato D.L. n. 138, non può interessare
le Regioni ad autonomia speciale5, con l’adozione di un
percorso legislativo di rango costituzionale, il
differenziato livello di autonomia riconosciuto alle
medesime Regioni anche nei confronti degli Enti locali,
sembra perdere consistenza, cedendo di fronte
all’esigenza di garantire il rispetto di quei “principi
di sistema” contenuti nella Costituzione.
Ora, mentre il tema dei rapporti
tra Regioni ad autonomia speciale ed enti locali, anche
con particolare riferimento all’ipotesi di soppressione
delle Province prevista dal citato DDL costituzionale
merita uno specifico approfondimento, la riflessione che
ci accingiamo a fare (ovviamente senza alcuna pretesa di
esaustività) concerne il quadro ordinamentale siciliano
nella prospettiva di riforma delle Autonomie locali
annunciate dal Governatore Lombardo.
Cercheremo quindi di mettere in
evidenza la lenta ma progressiva evoluzione della
Provincia in Sicilia, la cui identificazione passa
dall’elenco delle spese allocate in bilancio sotto il
regime del TULCP del 1934, all’attribuzione di funzioni
proprie con la L.r. n. 9/86, al riconoscimento di ente
esponenziale d’interessi sovraccomunali con la L.r. n.
10/2000 ed, infine, al consolidamento di ente intermedio
con la L.r. n. 30/2000.
1. Dalle Province autarchiche
alle Province Regionali
A differenza dei Comuni, che godono
indubbiamente di una tradizione identitaria ben più
salda e radicata rispetto agli altri livelli
istituzionali, le Province sono, almeno nella fase
originaria, una creazione dello Stato, sulla scia del
modello francese dei Dipartimenti. La nascita di tali
Enti nell’ordinamento italiano risale alla fase storica
preunitaria, essendo, in particolare, previsti
dall’ordinamento degli enti locali del Regno di
Sardegna.
Con la spedizione dei Mille e con
la dittatura garibaldina viene esteso anche in Sicilia
l’ordinamento degli Enti locali del Regno di Sardegna,
regolato dalla legge Rattazzi n. 3702 del 23/10/1859, in
forza della quale la Provincia viene dotata di autonomia
amministrativa e di rappresentanza elettiva6. Fino agli
anni ’90 del secolo XX la Provincia rimane l’ente
designato da tale legge, poi trasfuso nella legge
comunale e provinciale del 18657 e consolidato nella
legge del 1881, dalla quale è stato ripreso, quasi del
tutto immutato, nei successivi Testi Unici.
La configurazione chiara e
definitiva della Provincia, come vero e proprio ente di
governo locale, avviene con la legge Crispi del 1888 e
successivo Testo Unico del 1889. In questo testo la
Provincia effettivamente si configura come ente locale
perché si separa definitivamente dalla Prefettura, così
perdendo “…la sua originaria prevalente matrice di
circoscrizione dell’amministrazione decentrata del
ministero dell’Interno per assumere la natura essenziale
di ente espressivo di una delle dimensioni del sistema
dell’autonomia locale tracciato dalla Costituzione”8.
Con l’avvento del ventennio
fascista, oltre ad aumentare i controlli delle Province
e sostituire al “sistema elettivo per la costituzione
dell’Amministrazione, il sistema della nomina
governativa”, se ne riorganizzano le funzioni in materia
di sanità e igiene, opere pubbliche, educazione
nazionale, assistenza e beneficienza.
Dal 1945 al 1947 la Provincia viene
amministrata da un delegato del Governo centrale. Con
l’entrata in vigore dello Statuto siciliano le vecchie
Province autarchiche sono formalmente soppresse e poste
in “amministrazione straordinaria”, sotto la guida di un
delegato del Governo regionale coadiuvato da una
consulta, fino alla effettiva creazione dei Liberi
Consorzi tra Comuni (art. 266 dell’O.R.E.L.).
L’art. 15 dello Statuto siciliano -
approvato con D.L. 15/05/1946 n. 455, convertito in
legge costituzionale 26/02/1948 n. 2 – così recita: “Le
circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici
che ne derivano sono soppressi nell’ambito della Regione
siciliana. L’ordinamento degli enti locali si basa nella
Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi
comunali, dotati della più ampia autonomia
amministrativa e finanziaria. Nel quadro di tali
principi spetta alla Regione la legislazione esclusiva e
la esecuzione diretta in materia di circoscrizione,
ordinamento e controllo degli enti locali”. Ovviamente,
come è stato opportunamente affermato, “Si tratta di una
manifestazione di desiderio, la soppressione degli
organi statali e (almeno parte) degli enti pubblici di
dimensione provinciale compete allo Stato e non alla
Regione: ma è significativa della volontà della Regione
di sostituire un proprio apparato periferico a quello
statale preesistente (prefetture, provveditorati agli
studi, uffici del genio civile, intendenze di finanza
etc.)”9.
La storia delle Province Regionali
in Sicilia nasce invece nel 1955 allorquando, in
applicazione del citato art. 15 dello Statuto siciliano
viene adottato con Decreto Legislativo Presidenziale n.
6 del 29/10/1955 l’Ordinamento amministrativo degli Enti
locali nella Regione Siciliana (O.R.E.L.), poi
confermato dalla legge L.r. n. 16 del 15/03/1963. E’
nell’art. 17 del citato O.R.E.L. che il legislatore
introduce per la prima volta il termine “Provincia
Regionale”. Detto articolo, poi soppresso dall’art. 61
della L.r. n. 9/86, così dispone: “I Liberi Consorzi
costituiti a norma dei precedenti articoli attuano il
decentramento dell’Amministrazione regionale a mezzo dei
loro organi; svolgono le funzioni amministrative
delegate dalla Regione, nonché i compiti ed i servizi
demandati dallo Stato. Con la legge che ne approva lo
Statuto, il Libero Consorzio assume la denominazione di
Provincia regionale contraddistinta col nome del Comune
dove ha sede l’Amministrazione consortile”.
Invero, dal testo della norma non
si comprendono le ragioni per le quali il legislatore ha
inteso assegnare ai costituendi Liberi Consorzi di
Comuni la denominazione di “Provincia Regionale”.
Riferiscono i “bene informati” che il recupero del
termine “Provincia” è apparso necessario per non essere
esclusi dai trasferimenti che lo Stato riconosceva
solamente a Comuni e Province. L’estensione “Regionale”
fu invece utilizzata sia per differenziare le nuove
Province dai soppressi Enti autarchici provinciali, sia
per attuare il disegno ordinamentale previsto dallo
Statuto, attraverso il trasferimento di funzioni e
servizi dalla Regione al nuovo Ente.
Tale previsione statutaria rimane
inattuata per lungo tempo, e la fase di transizione,
dura quasi vent’anni, fin tanto che l’Assemblea
Regionale Siciliana non decide di intervenire con una
specifica legge di attuazione della previsione
statutaria contenuta nell’art. 15. Tuttavia, detta fase
non è caratterizzata da immobilismo istituzionale anzi,
alle “amministrazioni straordinarie” delle Province, la
Regione assicura l’elezione degli organi di governo
attraverso l’applicazione delle medesime norme già
contenute nell’art. 25 della legge n. 16 del 07/02/1957.
L’O.R.E.L., all’art. 25, infatti, testualmente dispone
che “Le norme della presente legge sono applicabili
anche per le elezioni degli organi dell’amministrazione
straordinaria prevista dall’art. 266 del decreto
legislativo presidenziale 29/10/1955, n. 6”.
Nel 1961 la Provincia nasce quindi
come entità istituzionale con una sua struttura
amministrativa e di governo dotata di un Consiglio
Provinciale eletto col sistema di secondo grado, cioè
dai Consigli dei Comuni che ne fanno parte, che a sua
volta elegge il Presidente della Provincia e la Giunta
provinciale. Nel 1970 viene altresì introdotto il
sistema di democrazia diretta per l’elezione dei
rappresentanti del Consiglio Provinciale.
In questo modo, alla Provincia del
vecchio ordinamento, pur in regime di “amministrazione
straordinaria” viene riconosciuta dalla Corte
Costituzionale la necessaria autorevolezza istituzionale
di ente territoriale10 fino alla data di creazione dei
Liberi Consorzi di Comuni.
Attraverso il varo della L.r. n. 9
del 06/03/1986, che ha un vero e proprio carattere
esaustivo ed abrogativo della pregressa legislazione
contenuta nell’O.R.E.L., il legislatore siciliano, in un
solo colpo, avvia le procedure per la costituzione dei
Liberi Consorzi di Comuni denominandoli “Province
Regionali”. L’art. 3 di detta legge, riprendendo quanto
già previsto dall’art. 17 dell’O.R.E.L., infatti così
recita: “L’amministrazione locale territoriale nella
Regione siciliana è articolata, in comuni ed in liberi
consorzi di comuni denominati <<province regionali>>”.
Dal successivo art. 4, comma 1, inizia l’inversione dei
termini, dando priorità solamente alla denominazione
“Provincia Regionale”. I successivi articoli
individuano, infatti, le modalità di istituzione della
“Provincia Regionale” (art. 5), le funzioni fondamentali
(artt. 4, 8, 9, 10, 12, 13 e 14), l’assetto
organizzativo (artt. 22 e seguenti), gli assetti
finanziari e patrimoniali (artt. 48, 51, 52 e 53). In
sostanza, mentre nell’art. 3 il Libero Consorzio di
Comuni rappresenta il soggetto e la “Provincia
Regionale” il complemento, a partire dall’art. 4 la
“Provincia Regionale” diventa il soggetto e del Libero
Consorzio di Comuni non si parla più.
L’Assemblea Regionale Siciliana,
con l’approvazione della successiva L.r. n. 17 del
12/08/1989, all’art. 1, costituisce quindi “Le province
regionali di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna,
Messina, Palermo, Ragusa e Trapani, risultanti
dall’aggregazione in liberi consorzi dei comuni
residenti nell’ambito territoriale delle disciolte
province, già gestite dalle amministrazioni
straordinarie provinciali, e con i medesimi capoluoghi”.
2. Il consolidamento normativo
della Provincia Regionale
Come già detto, la Provincia
Regionale nasce terminologicamente all’art. 17
dell’O.R.E.L. ed istituzionalmente con la L.r. n. 9/86,
ma la saldatura dell’Ente avviene attraverso un
precipitato di norme interne ed esterne all’ordinamento
regionale, che mira da una parte a trasferire funzioni e
competenze, dall’altra a creare una rete di natura
comunitaria e costituzionale fondata sui principi di
autonomia, decentramento e sussidiarietà. Diversi
fattori hanno quindi contribuito a far emergere e
consolidare il volto della Provincia Regionale, che
rappresentano altrettante tappe dell’evoluzione
dell’ordinamento degli enti locali.
La L.r. n. 22 del 09/05/86 sul
“Riordino dei servizi e delle attività
socio-assistenziali in Sicilia”, approvata dall’A.R.S.
lo stesso anno della L.r. n. 9/86, all’art. 49,
individua una specifica attribuzione delle Province
Regionali. Ma le competenze più specifiche affidate alla
Provincia Regionale nell’ambito delle politiche
socio-assistenziali sono contenute nell’art. 12 della
L.r. n. 33 del 23/05/91. In forza di tale disposizione,
compete alla Provincia Regionale provvedere alla
assistenza dei ciechi e dei sordomuti rieducabili,
curando anche il mantenimento degli stessi presso
appositi istituti per ciechi e per sordomuti ai fini
dell'assolvimento dell' obbligo scolastico, della
formazione ed istruzione professionale e, se richiesto e
sussistendo lo stato di povertà, del conseguimento di
altro titolo di istruzione media di secondo grado,
musicale, artistica ed universitaria.
Con le disposizioni di cui agli
articoli 1 e 2 della L.r. n. 34 del 05/09/1990, le
Province Regionali acquisiscono ulteriori competenze nel
settore scolastico con particolare riferimento alle
istituzioni scolastiche regionali, eccezion fatta per il
personale.
Con la L.r. n. 48 del 11/12/91
vengono introdotte nell’ordinamento regionale alcune
discipline contenute nella L. n. 142/90 su “Ordinamento
delle autonomie locali”, in materia di statuti,
regolamenti, servizi pubblici, forme associative ecc....
Il legislatore regionale estende alle Province Regionali
tali istituti facendo salve le disposizioni già
contenute nella L.r. n. 9/86.
Con la L.r. n. 25 del 01/09/93
vengono individuate alcune specifiche attività in
materia di smaltimento dei rifiuti solidi che le
Province Regionali dovranno obbligatoriamente svolgere.
Nella stessa seduta del 01/09/93,
con la L.r. n. 26, l’A.R.S. introduce nel sistema di
governo delle Province Regionali l’elezione diretta del
Presidente della Provincia, così uniformandosi al
sistema elettorale che un anno prima era stato adottato
per i Comuni attraverso la L.r. n. 7/92. L’elezione
diretta del Presidente della Provincia rappresente un
ulteriore momento di passaggio importante e positivo,
determinando una maggiore “visibilità” dell’Ente,
caratterizzato da un più forte legame con i cittadini e
da un suo maggiore radicamento territoriale.
Anche a seguito della sentenza
della Corte Costituzionale n. 408 del 15/12/1998 che
respinge il ricorso della Regione Siciliana avverso la
legge n. 59/97, il legislatore regionale, con la L.r. n.
10 del 15/05/2000, si adegua al processo in atto di
decentramento amministrativo (a Costituzione invariata)
promosso dalle leggi “Bassanini” e, all’art. 31,
rubricato “Ripartizione delle competenze tra Regione ed
enti locali” così dispone: “In armonia con il principio
di sussidiarietà e con i principi enunciati
dall'articolo 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59, tutte
le funzioni amministrative che non richiedono l'unitario
esercizio a livello regionale sono conferite agli enti
locali”. Il comma 2 dell’art. 32 così recita: “Ai comuni
e alle province sono affidate competenze complete ed
integrali”. Il comma 5 del medesimo articolo si spinge
ancora oltre, introducendo gli articoli 117, commi 1 e
2, e 118, comma 1, della Costituzione per attribuire
autorevolezza ordinamentale alla volontà della Regione
di organizzare l’esercizio delle funzioni amministrative
a livello locale attraverso i Comuni e le Province.
La “benedizione” di ente
territoriale arriva alla Provincia Regionale con l’art.
33 della medesima L.r. n. 10 del 15/05/2000. L’articolo
33, rubricato “Funzioni e compiti amministrativi della
provincia regionale”, introduce quel concetto di “area
vasta” di cui si parla solamente nel Disegno di
legge-delega - Codice delle Autonomie Locali – approvato
dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 15/07/2009
ed ancora impantanato nelle aule parlamentari. Il 1°
comma, infatti, così dispone: “La provincia regionale,
oltre a quanto già specificamente previsto dalle leggi
regionali, esercita le funzioni ed i compiti
amministrativi di interesse provinciale qualora
riguardino vaste zone intercomunali o l'intero
territorio provinciale, salvo quanto espressamente
attribuito dalla legge regionale ad altri soggetti
pubblici”. Nel 2° comma si conferma il valore della
“programmazione economico-sociale” e della
“pianificazione territoriale” contenuto nelle
disposizioni di cui agli articoli 9,10, 11 e 12 della
L.r. n. 9/86. In coerenza con tale nuovo disegno
istituzionale viene detto che “La scala provinciale
permette di determinare su di una scala locale (quale
quella della piccola e media impresa e dei distretti
industriali, entrambi spina dorsale dell’economia
italiana) l’insieme delle reti senza però staccarsi
dalla scala nazionale e sovranazionale”11 e che “La
Provincia rappresenta un elemento essenziale nel più
generale sistema della programmazione perché partecipa
alla programmazione regionale, perché ha il compito di
predisporre piani di sviluppo socioeconomico e perché ha
il controllo degli strumenti di pianificazione dei
comuni, ponendo per essi le premesse concrete per una
reciproca armonizzazione, senza incidere, direttamente e
in forma particolare, sul contenuto pianificatorio dei
singoli Comuni”12.
Nello stesso anno il legislatore
regionale, adeguandosi alla riforma delle Autonomie
locali di cui al D.lgs. n. 265/99, introduce
espressamente il principio di sussidiarietà, nelle due
versioni (verticale ed orizzontale), attraverso la L.r.
n. 30 del 23/12/2000. L’art. 2, rubricato “Principio di
sussidiarietà” così dispone: “I comuni e le province
sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite
loro con legge dello Stato e della Regione, secondo il
principio di sussidiarietà. I comuni e le province
svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività
che possono essere adeguatamente esercitate
dall'autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro
formazioni sociali”. Tale principio, ora di rango
costituzionale (art. 118), introdotto nell’ordinamento
siciliano, non distribuisce direttamente le competenze,
ma indica la regola cui la Regione deve ispirarsi per la
loro allocazione. In tal modo, la sussidiarietà in senso
verticale, così configurata, diventa anche per la
Regione Siciliana, il principio informatore dei rapporti
tra i diversi livelli di governo, sostituendosi al
precedente modello a “cascata”13. Da questo momento,
“Dovranno essere regolati i rapporti tra la Regione e
gli enti locali, visto che la nuova amministrazione
dovrà essere essenzialmente locale a meno che ci siano
ragioni che rendano più congruo ed efficiente la
collocazione di una funzione amministrativa ad un
superiore livello territoriale di governo”14.
All’art. 35 della L.r. n.
10/2000, poi modificato dall’art. 22 della L.r. n.
2/2002, viene prevista l’adozione di appositi decreti
del Presidente della Regione, previo parere della
Conferenza Regione-autonomie locali, della Commissione
affari istituzionali e della Commissione bilancio
dell'Assemblea regionale siciliana, per l’individuazione
dei procedimenti di competenza rispettivamente delle
Province Regionali e dei Comuni. In tale contesto,
l’Unione Regionale Province Siciliane (U.R.P.S.)15
propone alla Regione Siciliana la sottoscrizione di un
protocollo d’intesa finalizzato ad una migliore
attuazione del titolo IV della L.r. n. 10/2000 per
l’individuazione delle funzioni amministrative e servizi
da trasferire alle Province ed ai Comuni e per
l’attuazione dell’art. 7 del D.lgs. n. 112/98. Tale
proposta, nonostante i solleciti periodicamente
formalizzati dall’Unione Regionale delle Province
Siciliane16, è rimasta però lettera morta.
Significativa è altresì la
legge finanziaria n. 388 del 23/12/2000, applicabile in
Sicilia in quanto norma di contenimento della spesa
pubblica17, che all’art. 52 attribuisce alla Provincia
il compito di coordinare il processo associativo dei
comuni imposto dall’operazione di trasferimento in
attuazione della L. n. 59/97, attribuendo in via
interinale alla Provincia stessa le funzioni e i compiti
destinati ai Comuni in attesa della loro aggregazione
associativa.
Con l’art. 34 della L.r. n. 5/2005,
il legislatore siciliano prevede anche per le Province
Regionali la facoltà di consorziarsi al fine di
usufruire del 5% delle risorse a ciò annualmente
destinate per la gestione di politiche comuni
d’interesse sovra provinciale. Si tratta di una
disposizione che può attivare sinergie
interistituzionali di notevole rilievo18, ma ad oggi non
risulta che la stessa abbia trovato applicazione.
Più recentemente, la competenza
della Provincia Regionale viene estesa anche alla
materia dei rifiuti. L’art. 3 della L.r. n. 9 del
14/04/2010 è infatti tutto dedicato alle funzioni
esercitate dalla Provincia in aggiunta a quelle già
previste dall’art. 197 del D.lgs. n. 152/2006.
Non va omessa la considerazione che
“La dimensione territoriale provinciale si è via via
caratterizzata pure come la sede ordinaria a livello
locale di una serie di organizzazioni sociali,
economiche e politiche, che hanno considerato questo
ambito come quello più appropriato per legare le
rispettive funzioni settoriali (pubbliche e private)
alla comunità ivi residente (v. camere di commercio,
associazioni sindacali e industriali, partiti politici e
in molti casi anche diocesi)”19.
Tra le ragioni di questa crescita
della Provincia Regionale si può rilevare come la fine
del mito della Regione imprenditrice e pianificatrice
abbia richiesto un ambito intermedio tra Comuni e
Regione, necessario per rispondere alle funzioni di area
vasta e per la gestione ottimale di reti di servizi e,
in quest’ottica, vanno considerati, non solo i compiti
di programmazione della Provincia, ma soprattutto alcune
funzioni che la L.r. n. 9/86 assegna alle Province
Regionali nei confronti dei Comuni.
3. La natura giuridica della
Provincia Regionale
Le argomentazioni fin qui
illustrate ci consentono di fare alcune prime
valutazioni. Del modello consortile (rectius,
associativo), a parte la fase costitutiva, mediante
libera scelta deliberata dai Consigli comunali anche per
il tramite dell’istituto del silenzio assenso, viene
mutuato dalla L.r. n. 9/86 solamente l’inattuata
“gestione comune” (art. 13) alla quale, peraltro, non
viene riconosciuta personalità giuridica. L’Assessorato
Reg.le agli Enti locali commenta così tale previsione
normativa: “Mediante tale figura si procede alla
costituzione di organi intercomunali allo scopo di
svolgere congiuntamente servizi, di predisporre ed
adottare unitariamente piani intercomunali, di disporre
congiuntamente di beni e di utilizzare strutture
tecniche particolari. Lo strumento materiale normativo è
il regolamento, deliberato dai consigli comunali e
provinciali interessati a maggioranza assoluta dei
componenti in carica”20. Inoltre, il successivo art. 16,
che disciplina la costituzione obbligatoria di gestioni
comuni per l’esercizio delle funzioni relative al
perseguimento di determinati obiettivi, potrebbe
presentare profili d’incostituzionalità per l'evidente
lesione dell’autonomia riconosciuta ai Comuni
soprattutto dopo la riforma del Titolo V° della
Costituzione.
In sostanza, il legislatore
siciliano formalmente costituisce i Liberi Consorzi di
Comuni per avere la copertura dello Statuto ma, nella
sostanza del disegno normativo, e nella pratica
istituzionale, crea l’ente intermedio Provincia, che è
tutt’altro che una semplice denominazione del Libero
Consorzio di Comuni.
Invero, non si è in presenza solo
di norme auto qualificanti, che notoriamente non sono
determinanti ai fini della natura giuridica dell’ente21,
per il semplice fatto che il testo della L.r. n. 9/86
contiene tutti gli indicatori sintomatici e tipici
dell’ente territoriale. E’ infatti presente nel Titolo
III° la disciplina delle funzioni fondamentali della
Provincia Regionale, sia quelle di programmazione
socio-economica e pianificazione territoriale che quelle
prettamente amministrative previste dall’art. 13. Un
altro importante indicatore della natura giuridica si
rinviene nell’ultimo comma del medesimo art. 13,
allorquando viene previsto che la Provincia Regionale
svolge, altresì, le attribuzioni delle soppresse
amministrazioni provinciali, così ereditando funzioni
della Provincia autarchica alla quale, come già detto,
la Corte Costituzionale riconosce la natura di ente
territoriale. Il Titolo V° è invece dedicato
all’autorganizzazione dell’ente, alla potestà
regolamentare ed all’articolazione degli organi di
governo (Consiglio, Giunta e Presidente). Ancora, nel
Titolo VII° viene previsto che la Provincia Regionale
assume le funzioni e il relativo personale sia delle
Comunità Montane che dei Consorzi di Bonifica22. Infine,
l’art. 59 istituisce la Conferenza delle autonomie
locali della quale fanno obbligatoriamente parte Sindaci
e Vice Sindaci e capi-gruppo consiliari dei Comuni
nonché Presidenti, Vice-Presidenti e Capi-gruppo
consiliari delle Province Regionali.
Dalla lettura della L.r. n. 9/86 e
dal precipitato normativo sopra illustrato, non sembra
revocabile in dubbio che la volontà del legislatore
regionale sia quella di dotare l’ordinamento regionale
di un ente territoriale che esercita funzioni intermedie
a quelle della Regione e dei Comuni e che rappresenta
direttamente gli interessi generali di una comunità
stanziata su un territorio provinciale. Un progetto,
evidentemente, ben più ambizioso dei Liberi Consorzi di
Comuni. Infatti, mentre il Libero Consorzio di Comuni ha
tradizionalmente, ma anche secondo la previsione di cui
all’art. 13 del D.L. del Presidente della Regione n. 6
del 29/10/1955, “…natura di ente pubblico non
territoriale, dotato di autonomia amministrativa e
finanziaria”, la Provincia Regionale è, anche per
espressa volontà del legislatore (art. 4, comma 3, L.r.
n. 9/86) un ente pubblico territoriale che realizza
l’autogoverno della comunità consortile e sovrintende,
nel quadro della programmazione regionale, all’ordinato
sviluppo economico e sociale della comunità medesima.
Nella medesima disposizione normativa viene altresì
espressamente sancito il principio che la Provincia
Regionale è titolare di funzioni proprie ed esercita le
funzioni delegate dallo Stato o dalla Regione.
Pertanto, il profilo che emerge da
queste argomentazioni riguarda la configurazione della
Provincia Regionale come comunità territoriale sia sotto
l’aspetto formale che sostanziale, ossia legato ad un
substrato socio-politico di appartenenza collettiva
unitaria, con una precisa identità, come del resto
dimostrano le ricerche estese dal Censis, dall’Istat e
dal Formez a tutte le Province d’Italia.
Non appare azzardato sostenere che
la L.r. n. 9/86, pur essendo collocata nel sistema delle
fonti tra le leggi ordinarie, ha una valenza
costituzionale (rectius, "supernorma") perché attua, per
la prima volta in Sicilia, il principio di autonomia di
cui all’art. 5 della Costituzione, ponendo al centro
della disciplina gli interessi delle comunità
provinciali di riferimento, che fungono anche da
parametro di un’azione amministrativa che, in quanto
autonoma, deve essere anche responsabile.
La Provincia Regionale costituisce
quindi un ente territoriale con competenze
potenzialmente rappresentative della generalità23 degli
interessi sociali, economici e culturali delle comunità
amministrate24, cioè legati alla pluralità degli
interessi propri della collettività rappresentata.
Secondo alcuni attenti osservatori del sistema delle
autonomie locali in Sicilia, “Questo ente rappresenta il
risultato dello sforzo di conciliare l’esigenza di
semplificazione, unificazione ed articolazione dei
poteri locali sulla base del principio: un territorio,
un governo”25. L’ente territoriale può infatti definirsi
un portatore sano di "autonomia locale" nel “senso della
portata del principio di autonomia, che viene inteso
sempre più come un riconoscimento di effettive
responsabilità, come uno spazio di autogoverno
riconosciuto alle istituzioni rappresentative delle
collettività locali di diverso livello: e questo senso
dell’autonomia ha sempre più un contenuto complessivo
che comprende anzitutto l’autonomia normativa, ossia la
capacità di darsi regole proprie sia statutarie che
regolamentari, e poi comprende la dimensione
organizzativa, la dimensione amministrativa e la
dimensione finanziaria”26.
Per completezza, va aggiunto che il
ruolo della Provincia Regionale, come ente di governo
territoriale rappresentativo della propria collettività,
muta fortemente a seconda che si tratti di Province
operanti in territori caratterizzati dalla presenza di
una pluralità di Comuni medio-piccoli e Province
operanti in territori metropolitani. Mentre le Province
operanti in territori caratterizzati da Comuni
medio-piccoli possono svolgere compiti effettivi di
coordinamento, pianificazione e di programmazione, le
Province stanziati in territori metropolitani, dove c'è
una presenza determinante di un Comune capoluogo che
risulta incomparabilmente più grande in termini di mezzi
amministrativi e finanziari rispetto all'ente
intermedio, non riescono ad emergere come enti di
programmazione e di coordinamento generale. Il
legislatore siciliano è ben consapevole di questa
situazione, e proprio perchè intende valorizzare la
Provincia Regionale, introduce agli artt. 19, 20 e 21
della L.r. n. 9/86, la disciplina sulle Aree
metropolitane, normativa che ha trovato anche il
conforto della Corte Costituzionale27.
Su questo specifico tema,
nonostante la dottrina sembra non dividersi nel
sostenere che "Dove c'è l'area metropolitana non c'è la
Provincia, c'è un ente che prende il posto della
Provincia, ha una configurazione strutturale e funzioni
diverse e prende il posto anche, in certi limiti, dei
Comuni inseriti nell'area"28 , la classe politica
siciliana preferisce ancora lasciare inalterato
l'attuale sistema istituzionale ed inattuata la
previsione normativa in questione.
4. L’inquadramento comunitario e
costituzionale della Provincia Regionale
L’organizzazione territoriale degli
Stati Europei affonda le sue radici nella tradizione
medievale, così come questa è risultata modificata dalla
rivoluzione francese del 1789 e dalla disciplina che nel
dicembre di quell’anno venne dettata per i dipartimenti
e i comuni francesi, ma il vero processo di
contaminazione istituzionale nei Paesi Europei inizia
nell’immediato dopoguerra nell’ambito del Consiglio
d’Europa.
Il processo d’integrazione europea
rappresenta per tutti i Paesi aderenti un indiscusso
strumento di promozione ed impulso dello sviluppo
economico regionale e locale, in particolare attraverso
l’utilizzazione dei fondi strutturali. In tale contesto,
forme di federalismo, ovvero di regionalismo, si sono
consolidate anche in quei Paesi con una radicata
tradizione unitaria come la Francia, “affermandosi
attraverso un processo di riforme costituzionali in cui
il decentramento e la sussidiarietà diventano elementi
caratterizzanti dell’organizzazione statale” 29.
Il binomio autonomia-uniformità
rappresenta il punto di riferimento di ogni analisi che
voglia affrontare l’attuale ruolo delle autonomie locali
nel processo di integrazione europea. La valorizzazione
degli enti rappresentativi delle collettività
territoriali avviene nell’ambito del Consiglio d’Europa
del 1949 e, solo successivamente, nell’ambito del
processo di integrazione comunitaria accelerato dal
Trattato di Maastrict del 1992. In tale contesto, “Gli
enti locali, infatti, non sono stati visti solo dal
punto di vista istituzionale, ma anche dal punto di
vista funzionale, in connessione con l’affermazione del
principio di sussidiarietà” 30.
L’Unione Europea spinge sul
principio di sussidiarietà, già individuato come cardine
dell’ordinamento giuridico comunitario all’art. 5 del
Trattato CE, e promuove la sottoscrizione della Carta
europea delle autonomie locali, firmata a Strasburgo il
15 ottobre 1985, ratificata dall’ordinamento interno con
la legge n. 439 del 30/12/1989. In base all’art. 4.3
della Carta europea delle autonomie locali, “L’esercizio
delle responsabilità pubbliche deve, in linea di
massima, incombere di preferenza sulle autorità più
vicine ai cittadini. L’assegnazione di una
responsabilità ad un’altra autorità deve tener conto
dell’ampiezza e della natura del compito e delle
esigenze di efficacia e di economia”. Nel preambolo
della medesima Carta viene affermato che “le
collettività locali costituiscono uno dei principali
fondamenti di un regime democratico”. Tutto ciò, però,
richiede “l’esistenza di collettività locali dotate di
organi decisionali democraticamente costituiti, che
beneficino di una vasta autonomia per quanto riguarda le
loro competenze, le modalità d’esercizio delle stesse,
ed i mezzi necessari all’espletamento dei loro compiti
istituzionali” 31.
Pertanto, e coerentemente con
l’impostazione che si ricava dall’ordinamento
comunitario, gli enti locali sono intesi quali primi
garanti dei principi di democrazia e di tutela dei
diritti fondamentali della persona che ispirano la
stessa Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Orbene, guardando oltre l’ortus
conclusus del nostro ordinamento possiamo evidenziare
che “esiste un presupposto comune quando si ragiona di
autonomie locali, inteso come valore coessenziale per
ogni democrazia” 32 o come è stato detto “faccia interna
della sovranità”33. Infatti, se mettiamo a confronto il
modello di governance delineato dalla nostra
Costituzione con gli altri Paesi dell’Unione Europea34
si scopre che su 25 Stati 17 hanno tre livelli di
governo: Regioni, Province e Comuni; 5 ne hanno solo
due: province e Comuni; solo due Stati non hanno le
Province, Cipro e Lussemburgo. L’Italia ha 104 Province,
la Germania ne ha 439, l’Inghilterra 133, la Francia
100, la Spagna 52, con competenze diversa ma tutte con
il medesimo distintivo del governo di area vasta.
C'è chi ritiene che a differenza
dell’Italia, “In Europa forse non solo sono più chiare
le funzioni ma è diversa l’articolazione dei poteri ed è
consolidata la consapevolezza dell’importanza di un
governo intermedio” 35. Tuttavia, nel nostro
ordinamento, la Costituzione repubblicana segna un salto
di qualità prevedendo un’ampia tutela delle autonomie
territoriali che coinvolge anche le Province. All’art. 5
viene infatti previsto che “la Repubblica, una e
indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali;
attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio
decentramento amministrativo; adegua i principi ed i
metodi della sua legislazione alle esigenze
dell’autonomia e del decentramento”. Pertanto, “Dalla
garanzia del principio autonomistico sopra esposto
discende, anzitutto, il riconoscimento della capacità
delle collettività locali di darsi un proprio indirizzo
politico amministrativo, anche diverso da quello del
governo nazionale” 36 e regionale. La Costituzione mette
quindi in rilievo la posizione della Provincia come ente
rappresentativo della collettività locale, come ente
autonomo territoriale, accanto agli altri enti cui si
distribuisce l’esercizio della sovranità popolare e si
organizza il pluralismo politico-amministrativo.
L’attuale art. 114 della
Costituzione, come riformato con la legge cost. n.
3/2001, equipara il rango costituzionale di Regioni,
Province, Città metropolitane e Comuni, che insieme allo
Stato, costituiscono la Repubblica, ed espressamente al
comma 2 prevede che “…le Provincie…sono enti autonomi
con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi
fissati dalla Costituzione”. Insomma, “la pari dignità
politico costituzionale si traduce qui in una parità di
regime giuridico di tutti gli enti del governo
territoriale, tutti definiti nel loro contesto
ordinamentale, tanto sul versante organizzativo che su
quello funzionale, dai principi della Costituzione”37.
Una profonda modifica che incide
anche sull’ordinamento siciliano è poi quella prevista
dall’art. 119 della Costituzione. Tale articolo
stabilisce chiaramente che le “Province…hanno autonomia
finanziaria di entrata e di spesa…Le Province hanno
risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed
entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo
i principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al
gettito di tributi erariali riferibili al loro
territorio”.
La recente legge delega in materia
di federalismo fiscale n. 42 del 05/05/2009 costituisce
l’attuazione del citato art. 119 Cost., assicurando
autonomia di entrata e di spesa di Comuni, Province,
Città metropolitane e Regioni, garantendo i principi di
solidarietà e di coesione sociale in maniera da
sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo,
il criterio della spesa storica e di garantire la loro
massima responsabilizzazione e l’effettività e la
trasparenza del controllo democratico nei confronti
degli eletti.
L’art. 11 di tale legge, rubricato
“Principi e criteri direttivi concernenti il
finanziamento delle funzioni di comuni, province e città
metropolitane” prevede il finanziamento delle funzioni
fondamentali anche delle Province. Su questa
architettura istituzionale, la cui applicabilità nelle
Regioni a Statuto speciale è circoscritta agli articoli
15, 22 e 2738, si dovrebbe quindi realizzare il
principio costituzionale dell’autonomia finanziaria,
contenuto nell’art. 119 della Costituzione, di ciascun
soggetto territoriale del sistema, fondata su risorse
proprie, compartecipazioni ed eventuali riequilibri
perequativi. Sulle norme del federalismo fiscale trova
consacrazione il nesso inscindibile tra assetto delle
competenze amministrative e assetto delle risorse
finanziarie, nella prospettiva di una piena
valorizzazione dell’autonomia finanziaria delle Province
Regionali. In tale contesto, fermo restando le
prerogative riconosciuto nello Statuto agli articoli 36
e 38, “anche per le Regioni speciali appare ineludibile
l’applicazione del criterio dei costi standard,
superando la logica dei trasferimenti legati ai costi
storici o a <<contrattazioni>> nell’ambito della
definizione delle norme d’attuazione o delle leggi
finanziarie annuali, in modo che – pur salvaguardando le
maggiori sfere di autonomia e di funzioni riconosciute –
non ci si discosti da un’impostazione di sistema che
deve sostanzialmente fondarsi su principi comuni e sulla
ratio delle pari opportunità, di cui l’art. 119 è
inequivocabilmente espressione, anche a tutela della
coesione nazionale”39.
6. Profili d’incostituzionalità
delle Provincie Regionali
Se si analizza la questione delle
Province Regionali sotto l’aspetto squisitamente
costituzionale nascono spontanei alcuni dubbi in ordine
alla conformità statutaria, ovvero costituzionale, del
disegno ordinamentale contenuto nella L.r. n. 9/86.
Per quanto concerne i Liberi
Consorzi di Comuni, “Lo Statuto non ci dice nulla
rinviando alla fantasia dei politici e degli
amministratori, alla loro capacità di produrre idee,
programmi di azione, nuovi moduli operativi” 40. E così,
il legislatore siciliano con la L.r. n. 9/86, facendo un
uso temerario della discrezionalità di cui gode,
raggiunge due obiettivi: a) l’istituzione formale dei
Liberi Consorzi di Comuni; b) la costituzione delle
Provincie Regionali quali enti territoriali.
Non sembra irragionevole, in questa
sede, affermare che la L.r. n. 9/86 è un atto di
mechanè41 del legislatore regionale che, in un
determinato contesto storico e politico, preferisce
istituire l’ente territoriale Provincia, dribblando
l’art. 15 dello Statuto, essendo quest’ultimo soggetto
alla procedura di revisione aggravata richiesta
dall’art. 138 della Costituzione, attesa la nota natura
costituzionale dello stesso. Sarebbe stato, infatti, più
conforme alla lettera dello Statuto e, probabilmente più
opportuno, incardinare le Province in sede di Statuto,
anche in sanatoria, cioè a seguito dell’approvazione
della L.r. n. 9/86.
Ora, se non è dubitabile che una
previsione normativa dello Statuto siciliano possa
essere censurata dalla Corte Costituzionale, come si
dirà più avanti, a fortiori sono potenzialmente
denunciabili per incostituzionalità le norme di
attuazione degli Statuti delle Regioni a Statuto
speciale, le quali, sotto questo profilo, sono ritenute
sullo stesso piano delle leggi statali42 e ciò ancorché
le norme di attuazione degli Statuti speciali si ritiene
operino ad un livello superiore a quello della legge
statale43.
Per quanto poi concerne la natura
ed il contenuto delle norme di attuazione, va rilevato
che la giurisprudenza della Corte costituzionale44 ha
precisato come queste non siano da qualificare alla
stregua di norme di mera esecuzione dello Statuto
regionale, come se si trattasse di semplici regolamenti
esecutivi. Al contrario, esse possono contenere norme
primarie, ancorché di “attuazione” degli Statuti, e
quindi rivestono carattere legislativo. Da tale
carattere discende la necessità che il loro contenuto
non sia in contrasto né con la Costituzione, e neppure
con lo Statuto speciale, ma debbono, semmai, essere “in
aderenza” al medesimo. Il concetto di “aderenza” può
essere poi sottoposto al controllo della Corte
Costituzionale proprio con riferimento al contenuto
delle norme di attuazione e cioè verificando se le
stesse siano contrarie o meno allo Statuto.
Corollario di questo ragionamento è
che la L.r. n. 9/86, pur essendo una legge di rango
superiore a quello ordinario, in quanto attuativa di una
previsione dello Statuto siciliano, ben può essere
modificata e/o integrata dal legislatore regionale in
qualsiasi momento.
C’è però da dire che l’evoluzione
del quadro ordinamentale comunitario e costituzionale,
come sopra illustrato, se per un verso ha reso
decisamente più sopportabile l’eventuale
incostituzionalità di cui è, verosimilmente, affetta la
L.r. n. 9/86, dall’altro ha creato una rete di
protezione costituzionale attorno all’ente territoriale
“Provincia Regionale”45. Si potrebbe quindi sostenere
che la L.r. n. 9/86, più che una norma di attuazione
contra statutum o anche apparentemente secundum legem,
sia qualificabile praeter legem.
Tuttavia, la Corte
costituzionale, sempre nella citata decisione n.
20/195646, si è posta il problema delle norme di
attuazione praeter legem, o anche apparentemente
secundum legem, risolvendolo testualmente come segue:
“Se poi le norme di attuazione siano praeter legem, nel
senso che abbiano integrato le disposizioni statutarie
od abbiano aggiunto ad esse qualche cosa che le medesime
non contenevano, bisogna vedere se queste integrazioni
od aggiunte concordino innanzi tutto con le disposizioni
statutarie e col fondamentale principio dell'autonomia
della Regione, e se inoltre sia giustificata la loro
emanazione dalla finalità dell'attuazione dello Statuto.
Laddove, infine, si tratti di norme secundum legem, è
ovvio che se esse, nel loro effettivo contenuto e nella
loro portata, mantengano questo carattere, non è a
parlarsi di illegittimità costituzionale, ma sarebbe pur
sempre da dichiararsene la illegittimità nel caso che
esse, sotto l'apparenza di norme secundum legem,
sostanzialmente non avessero tal carattere, ponendosi in
contrasto con le disposizioni statutarie e non essendo
dettate dalla necessità di dare attuazione a queste
disposizioni”.
La L.r. n. 9/86, attuativa
dell’art. 15 dello Statuto siciliano, appare quindi,
prima facie, “contra statutum” poiché, in luogo di
Liberi Consorzi di Comuni - enti pubblici non
territoriali dotati di autonomia amministrativa e
finanziaria – sono stati istituiti enti territoriali
dotati non solo di autonomia amministrativa e
finanziaria ma anche di autonomia politica. Essa quindi
ha ampliato decisamente la sfera di autonomia regionale,
ma ciò ha fatto vulnerando non solo la lettera, quanto e
soprattutto lo spirito della disposizione costituzionale
statutaria, che fonda il proprio modello di
organizzazione istituzionale delle Autonomie locali sui
Comuni e su articolazioni degli stessi quali sono i
Liberi Consorzi di Comuni, senza alcuna intenzione di
alterarne il disegno ordinamentale. La Corte
Costituzionale, in proposito, ha sempre affermato che
“la capacità additiva si esprime pur sempre nell’ambito
dello spirito dello Statuto e delle sue finalità e –
come s’è pure rilevato – nel rispetto dei principi
costituzionali” .47
Lo Statuto speciale siciliano (come
gli altri del resto), è una norma di rango
costituzionale (art. 116, comma 1, Cost.) approvata e
modificabile secondo il procedimento speciale di cui
all’articolo 138 Cost.48. Non sarebbe quindi ammissibile
che una fonte di rango subordinato, qual'è la norma di
attuazione n. 9/86, possa modificare una normativa di
rango costituzionale.
A giustificazione della
legittimità costituzionale della L.r. n. 9/86 neppure
potrebbe invocarsi una sorta di tacita consuetudine
ovvero di convalescenza per decorso del tempo. Si
tratterebbe infatti, in ambedue i casi, di istituti o
fonti di integrazioni sconosciute al livello di norme
costituzionali e comunque inammissibili in un sistema a
costituzione rigida.
In altri termini non
sembrerebbe possibile sostenere che la sussistenza delle
Province Regionali per oltre 25 anni costituirebbe di
per sé una riprova della sua costituzionalità. Infatti
non può ritenersi che la permanenza di una norma
nell’ordinamento, per un periodo più o meno lungo,
costituisca garanzia di costituzionalità, come
dimostrano gli esempi dei Consigli comunali e
provinciali in tema di contenzioso elettorale
amministrativo (Corte Cost. n. 93/1965), dei Consigli di
prefettura (Corte Cost. n. 55/1966) o, ancora, delle
giunte provinciali amministrative (Corte Cost. n.
30/1967).
5. I Liberi Consorzi di Comuni
La mal digerita Provincia
Regionale voluta dalla L.r. n. 9/86, in presenza di
avversità atmosferiche come quelle che caratterizzano il
clima delle politiche pubbliche da qualche anno a questa
parte, ha ri-animato l’idea di riprendere testualmente
l’originaria disposizione normativa contenuta nell’art.
15 dello Statuto siciliano, sostituendo le attuali
Province Regionali con, i mai istituiti, Liberi Consorzi
di Comuni.
Il modello dei Liberi Consorzi di
Comuni non risulta normato se non attraverso l'impropria
disciplina contenuta nella L.r. n. 9/86. Tuttavia,
l'ordinamento conosce già tale istituto sia per quanto
concerne i Consorzi di enti locali su base volontaria
che quelli obbligatori disegnati direttamente dal
legislatore per la gestione associati di funzioni e/o di
servizi.
Il Consorzio di enti locali su base
volontaria, previsto dall'art. 31 del D.lgs. n. 267/2000
e per l'ordinamento siciliano dall'art. 25 della L. n.
142/90 recepito con modifiche con l’art. 1, comma 1,
lett. e), della L.r. n. 48/91, è definito come un ente
non territoriale dotato di personalità giuridica, avente
natura associativa e strumentale rispetto agli enti che
vi partecipano49. L’ente consortile costituisce una
entità soggettiva autonoma e distinta dai singoli Comuni
che ne fanno parte, sicchè ogni attività svolta dai
propri organi va imputata esclusivamente all’ente che
essi rappresentano e non ai vari soggetti che di questo
fanno parte e che hanno contribuito a costituire,
pertanto “l’ente consorziale gode di propria
soggettività” .50
La fattispecie del consorzio
obbligatorio è quella, ad esempio, prevista per la
gestione integrata dei servizi idrici ed ambientali
connessi al ciclo dei rifiuti. Una fattispecie di
consorzio obbligatorio è anche quella prevista in
Sicilia per la gestione delle Aree di Sviluppo
Industriale51.
La caratteristica comune a tutti i
consorzi, sia volontari che obbligatori, è quella di non
poter contare sulla rete di protezione costituzionale,
invece prevista per gli enti locali, in quanto
sprovvisti del requisito dell'autonomia politica sotteso
allo status di ente di governo territoriale. Infatti,
“Il Consorzio d’ambito (quantunque composto dai Comuni
rientranti nell’A.T.O.) non può essere annoverato tra
gli enti dotati di <<autonomia>> costituzionalmente
protetta”.52 Per l’esatto contrario si registra un
precedente giurisprudenziale secondo cui “gli enti
locali non possono farsi rientrare nel concetto di enti
pubblici regionali o vigilati dalla Regione, trattandosi
di enti autonomi che nella legislazione regionale
vengono generalmente indicati come <<enti locali
territoriali>>” 53
In attesa di un nuovo intervento
attuativo dell’art. 15 dello Statuto siciliano, il
Libero Consorzio di Comuni, secondo l’attuale quadro
legislativo e giurisprudenziale, può definirsi, sia
sotto l’aspetto letterale, che strutturale e funzionale,
un ente pubblico non territoriale, dotato di autonomia
amministrativa e finanziaria al quale la legge affida
l’esercizio di funzioni istituzionali orbitanti
nell’area delle autonomie locali.
Sul piano della coerenza con il
quadro istituzionale ed ordinamentale non può non
rilevarsi la contraddizione che emergerebbe
dall'introduzione dei Liberi Consorzi di Comuni. Tale
modello organizzativo è infatti riconducibile al
consorzio di funzioni, svolgendo esso funzioni
istituzionali precipue degli enti locali trasferitegli
dalla legge di attuazione dell’art. 15 dello Statuto
siciliano ed essendo sostanzialmente un soggetto
collettivo coincidente con l’insieme dei Comuni
consorziati. Tuttavia, gli enti locali devono rispettare
i termini previsti dall'art. 2, comma 186, lettera e)
della legge n. 191/2009 che prescrive la soppressione
dei consorzi di funzioni tra gli enti locali. L'art. 16,
comma 28, del D.L. n. 138/2011, convertito nella legge
n. 148/2011, prevede altresì che, al fine di verificare
il perseguimento degli obiettivi di semplificazione e di
riduzione delle spese da parte degli enti locali, sia il
Prefetto ad accertare l'eventuale inadempimento entro i
termini stabiliti ed a comminare il commissariamento
secondo le procedure di cui all'art. 8, commi 1,2,3 e 5
della L. n. 131/2003.
Orbene, trattandosi di un consorzio
di Comuni reso obbligatorio da una legge regionale,
questo sarebbe esonerato dal citato obbligo di
soppressione, come opportunamente previsto dall’art. 2,
comma 28 della L. n. 244/2008, tuttavia la
contraddizione sotto il profilo strutturale e funzionale
rimane. In sostanza, si pensa di introdurre
nell’ordinamento siciliano una modalità organizzativa in
controtendenza rispetto all’orientamento che si registra
da qualche anno nell’ordinamento statale, che tende alla
semplificazione amministrativa e alla soppressione di
tutti gli enti di livello provinciale satellitari a
Comuni, Province e Regioni.
Sotto il profilo della governance,
appare evidente che il sistema è annoverabile tra quelli
di 2° grado, atteso che il Consorzio è formato dai
Comuni che, invece, essendo enti di governo locale
godono di un rapporto di fiducia diretta ed esponenziale
con le comunità amministrate. E, in questa prospettiva,
non desta alcuna meraviglia che gli organi di governo
del Consorzio siano espressione dei Comuni consorziati e
non della società civile. Infatti, “Il carattere
rappresentativo ed elettivo degli organi di governo
degli enti territoriali è strumento essenziale
dell’autonomia, cui hanno riguardo gli artt. 5 e 128
della Costituzione”. Non può ritenersi, invero, che quei
principi non possano osservarsi, anche in caso di
elezioni di secondo grado e, conseguentemente, non può
escludersi la possibilità di siffatte elezioni, che, del
resto sono prevedute dalla Costituzione proprio per la
più alta carica dello Stato (art. 83)54.
Se però, un siffatto sistema di
governance non presenta alcun vizio di costituzionalità,
essendo potenzialmente possibile, sul piano funzionale e
della coerenza istituzionale i rilievi sono numerosi.
Infatti l’impatto sull’ordinamento locale dopo 25 anni
di sedimentazione di un modello fondato sulle Province
Regionali sarebbe traumatico. In disparte il fatto che
l’abolizione degli organi elettivi delle attuali
Province Regionali produrrebbe risparmi assai limitati e
costituirebbe solamente un pericoloso vulnus per la
legittimazione democratica delle istituzioni locali; nei
Liberi Consorzi di Comuni verrebbe azzerato il confronto
tra le forze politiche, essendo rappresentate solo
quelle di appartenenza dei sindaci e venendo a mancare
il luogo principale di tale confronto a livello
territoriale: il Consiglio Provinciale. Del resto, “E’
difficilmente negabile che la scelta popolare diretta
del Capo dell’esecutivo non mediata dai partiti…instaura
circuiti di legittimazione e di responsabilità politica
in qualche misura autonomi, e quindi conduce ad una più
marcata personalizzazione della politica ed alla
valorizzazione del ruolo delle istituzioni a scapito di
quello delle forze politiche”55. Ancora, sull’importanza
della funzione elettiva degli organi della Provincia, è
stato già detto che “Matura quindi la natura di ente
elettivo rappresentativo, perché ci si convince sempre
più che non c’è capacità di governo senza rappresentanza
eletta, senza rendere conto agli elettori di come si
governa”56. Il modello elettivo del sistema di
governance di qualsiasi organizzazione pubblica ha
refluenze anche sul grado di partecipazione del
cittadino al processo di costruzione della decisione
pubblica locale. Il ruolo della partecipazione dei
cittadini alle articolazioni territoriali del potere
pubblico può subire oscillazioni in relazione al
concreto riparto di competenze stabilito, “ma deve,
(ovunque) mantenere il medesimo significato e la
medesima <<dignità>>”57.
In teoria, è anche possibile
immaginare un sistema di “enti intermedi” costituiti da
Consorzi di Comuni, con i medesimi Uffici delle
soppresse Province Regionali, atteso che forme di
coordinamento intercomunale sono state sperimentate in
quelle realtà che per l’assenza di un livello intermedio
tra i Comuni e la Regione (o lo Stato) affidano ai
“consorzi di comuni” i compiti di gestione di aree
territoriali che comprendono diversi municipi (i
syndicats de comune in Lussemburgo), ma l’esperienza
(almeno quella siciliana) ci dice che mettere d’accordo
tra loro 20 o 100 Comuni della stessa area per
esercitare insieme delle funzioni è assai complicato, e
non è detto costi meno che mantenere tali funzioni in
capo ad enti territoriali autonomi come le attuali
Province Regionali. Infatti “i modelli associativi sopra
descritti non risolvono sempre in modo convincente la
questione fondamentale dei rapporti tra l’Ente
associativo e le rispettive rappresentanze locali,
soprattutto in sede di adozione delle scelte di
governo”58. Basti pensare alla recentissima esperienza
dei consorzi e società d'ambito per la gestione
integrata dei rifiuti che in Sicilia ha già maturato un
debito di oltre un milione di euro, per il quale il
Governo regionale è ancora impegnato ad accendere uno
specifico mutuo bancario.
In realtà un livello istituzionale
intermedio alla cui cura sono (o saranno) affidati
fondamentali funzioni amministrative di area vasta come
quelle sopra illustrate, al di là della denominazione,
non può essere configurato sulla base di una sorta di
modello consortile di Comuni, ma come un vero e proprio
ente autonomo di governo della comunità provinciale,
“…in grado di effettuare scelte politico-amminstrative
legate realmente ad una visione unitaria del territorio
provinciale, e non frutto di mere mediazioni tra i
(sindaci dei) comuni ricompresi nella provincia”59,
anche perché, il Libero Consorzio di Comuni rimane pur
sempre un diverso modo di essere dei Comuni.
Secondo questo ragionamento è
quindi da respingere l’ipotesi, da taluni profilata, di
una possibile (ri)configurazione della Provincia
Regionale quale livello istituzionale a carattere
prevalentemente consortile, con rappresentanza di
secondo grado, atteso che la perdita dello status di
ente territoriale inciderebbe inevitabilmente sul
principio di autonomia previsto dall’art. 5 della
Costituzione. Si tratta, pertanto, di un ente
costituzionalmente garantito, che andrebbe sottratto
alla disponibilità anche del legislatore siciliano.
La semplificazione amministrativa,
il cui percorso è stato avviato nelle finanziarie degli
ultimi anni anche dal legislatore siciliano, non può
consistere nel riconoscimento di una valenza consortile
del livello intermedio, in sostituzione delle ordinarie
forme dell’associazionismo locale, che rappresentano
invece l’approdo naturale della ricerca dell’adeguatezza
da parte degli enti di base per l’esercizio delle
funzioni amministrative loro attribuite.
Orbene, se è vero che per definire
la natura, (più o meno necessaria) della forma
consortile o associativa si deve guardare non tanto
all’esistenza o meno di una previsione costituzionale
che ne indichi la necessarietà, quanto alla funzione
servente o meno dell’ente ad un interesse
costituzionalmente protetto, è anche vero che una
visione priva di pregiudizio ed aperta laicamente al
confronto porta certamente a sposare più la tesi di chi
ritiene indispensabile un adeguamento dell’attuale
architettura istituzionale con particolare riferimento
al sistema di riparto delle Autonomie locali, avendo
però presente un avvertenza metodologica: “La
dimensione, i confini sono qualche cosa di adattabile
nel tempo, senza che però questo significhi
stravolgimento, o messa in discussione, o crisi
permanente, o incertezza sul ruolo e sull’importanza del
governo locale”60.
Un’ipotesi di riforma del settore
deve quindi tenere conto del profilo necessariamente
organizzativo e funzionale di siffatta prospettiva, pena
lo scontrarsi con organizzazioni obsolete e non in grado
di fornire servizi efficienti.
6. La bussola costituzionale per
l’introduzione dei Liberi Consorzi di Comuni
Nulla vieta, comunque, alla Regione
Siciliana di ri-disciplinare le autonomi territoriali, e
per fare questo deve necessariamente partire da quanto
prevede lo Statuto e quindi dal più volte citato art.
15. Ma l’avvertenza è d’obbligo quando si tratta di
ordinamenti giuridici a fini generali (dunque politici)
in grado di definire un proprio indirizzo politico anche
diverso rispetto a quello regionale.
Infatti se sulle Province
Regionali, come configurate dalla L.r. n. 9/86, incombe
lo spettro dell’incostituzionalità per i motivi sopra
illustrati, non è così semplice ipotizzare
l’introduzione, sic et simpliciter, dei Liberi Consorzi
di Comuni senza rischiare d’incorrere nei medesimi
rischi d’incostituzionalità. Ma poiché non si conosce il
progetto di sviluppo attuativo di detti Consorzi61, il
riferimento normativo dal quale partire rimane quello
della previsione di cui all’art. 15 dello Statuto
siciliano, salvo ritornare sull’argomento non appena si
conoscerà ufficialmente l’eventuale disegno di legge.
Anche se datato e, verosimilmente
superato dal nuovo quadro istituzionale in materia di
autonomie locali, appare azzardato sostenere che l’art.
15 dello Statuto siciliano è incostituzionale. Come
affermato dalla Corte Costituzionale62 un istituto
disciplinato da uno Statuto regionale, approvato con
legge costituzionale, per definizione non può essere di
per sé contrastante con la Costituzione, ma ciò non
toglie che anche la legge costituzionale (come lo
Statuto speciale regionale) possa essere soggetta al
sindacato di legittimità costituzionale63. Condivisibile
è pertanto l’affermazione, recentemente sostenuta in
dottrina, secondo cui, “Chi ritiene i liberi consorzi
comunali incostituzionali dovrebbe giocoforza allora
ritenere di trovarsi di fronte ad una norma
costituzionale incostituzionale, nonostante nessuno
finora l’abbia dichiarata tale (com’è successo, per
altre disposizioni statutarie, quali ad esempio quelle
sull’Alta Corte siciliana)”64. Pertanto, l’art. 15, come
del resto tutti gli altri articoli che compongono lo
Statuto siciliano, è costituzionalmente legittimo fino a
prova contraria, cioè fino a quando la Corte
Costituzionale non dovesse dichiararne l’illegittimità
come ha già fatto, nel tempo, per altre disposizioni.
Corollario di questa affermazione è
che il legislatore regionale è abilitato ad intervenire
sulla legge che ha dato attuazione alla previsione dello
Statuto contenuta nell’art. 15, cioè sulla L.r. n. 9/86.
In questa prospettiva però, una rigorosa proposta di
modifica della L.r. n. 9/86, ancorchè istitutiva solo
formalmente dei Liberi Consorzi, deve muoversi
guardando, come stella polare, al citato principio
autonomistico di cui all’art. 5 della Costituzione
nonché a quelli espressi nell’art. 118 Cost, come
recepiti dalla L.r. n. 10/2000, con particolare
riferimento al principio di sussidiarietà verticale.
Infatti, lo Statuto siciliano, pur
anteriore alla Costituzione, prevede similmente
(articolo 14, comma 1) che la competenza legislativa
primaria si esercita nei limiti delle leggi
costituzionali dello Stato. Non si è mai dubitato quindi
che la competenza primaria della Regione siciliana
dovesse osservare i principi della Costituzione65, così
come anche i principi fondamentali delle leggi di
riforma economico-sociale66. Peraltro, pur nel mutato
assetto, la Corte non ha mancato di sottolineare come,
“nel nuovo assetto costituzionale scaturito dalla
riforma, allo Stato sia pur sempre riservata,
nell’ordinamento generale della Repubblica, una
posizione peculiare desumibile non solo dalla
proclamazione di principio di cui all’articolo 5 della
Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di
un’istanza unitaria, manifestata dal richiamo al
rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali, come limiti di tutte le potestà
legislative (articolo 117, primo comma) e dal
riconoscimento dell’esigenza di tutelare l’unità
giuridica ed economica dell’ordinamento stesso (articolo
120, secondo comma). E tale istanza postula
necessariamente che nel sistema esista un soggetto – lo
Stato, avente il compito di assicurarne il pieno
soddisfacimento” 67.
In tale contesto andrebbe altresì
garantito il principio “troppe volte accantonato, della
necessaria aderenza dell’ente ad una comunità di
base”68. In disparte ogni ulteriore considerazione in
ordine alla evidente difficoltà di sconvolgere un
assetto consolidato di rapporti non solo burocratici tra
i diversi livelli di governo che gravitano sul medesimo
territorio, con il rischio più che fondato di un
accentramento regionale in contrasto con le previsioni
di cui all’art. 5 della Costituzione.
Inoltre, in riferimento alle
problematiche rilevate e di non agevole soluzione, che
emergono anche dal nuovo Titolo V°, e con riferimento
alla questione in esame, sembra opportuno chiedersi, in
primo luogo, se, a fronte, dell’ampliamento delle
competenze legislative regionali derivante dalla
attribuzione di competenza generale residuale, non debba
contrapporsi, anche per le Regioni a Statuto speciale,
la riserva di legislazione esclusiva a favore dello
Stato così come elencata all’articolo 117 secondo comma.
Al riguardo, la Corte Costituzionale ha pronunciato
alcune decisioni in cui si afferma che il nuovo Titolo V
non si applica alle Regioni a Statuto speciale, se non
nelle parti che prevedono forme di autonomie più ampie
rispetto a quelle già attribuite69.
Con particolare riferimento alla
materia dell’ordinamento degli enti locali nelle Regioni
a Statuto speciale, la Corte Costituzionale nella sua
giurisprudenza70 ha ammesso che il legislatore
regionale possa (nei differenziati ambiti lasciati dalle
disposizioni costituzionali o statutarie), in presenza
di esigenze di carattere generale, articolare
diversamente i poteri di amministrazione locale, con il
limite della permanenza di almeno una sfera adeguata di
funzioni. In particolare, la medesima Corte71 ha
affermato che una disposizione come quella di cui
all’art. 5 della Costituzione certamente impegna la
Repubblica, e anche quindi le Regioni ad autonomia
speciale, a riconoscere e a promuovere le autonomie, ed
ha anche aggiunto che le leggi regionali possono bensì
regolare l’autonomia degli enti locali, ma mai
comprimere fino a negarla. Analogamente, si è ritenuto
doveroso il “coinvolgimento degli enti locali
infraregionali alle determinazioni regionali di
ordinamento”, in considerazione “dell’originaria
posizione di autonomia ad essi riconosciuta”72.
Ciò significa che la Regione
Siciliana non è vincolata all’osservanza di una
specifico modello istituzionale analogo alla
legislazione statale per disciplinare l’assetto degli
Enti locali ma, come già affermato per la consorella
Regione Friuli-Venezia-Giulia, “deve rispettare il
principio autonomistico o – meglio ancora – tramite le
sue autonome determinazioni <<deve favorire la piena
realizzazione dell’autonomia degli enti locali>>” 73,
utilizzando il criterio storico per la ricostruzione del
concetto di autonomia provinciale per “quel nucleo
fondamentale delle libertà locali che emerge da una
lunga tradizione e dallo svolgimento che esso ebbe
durante il regime democratico”74. Peraltro è da
respingere la “definizione stipulativa” secondo cui
l’autonomia della Regione Siciliana ricomprende solo
tutto ciò che deve essere garantito nei confronti delle
potestà spettanti ai livelli di governo superiori, ma
non tutto ciò che permette di comprimere l’autonomia del
livello di governo inferiore.
E poiché gli enti espressione di
“autonomia” sono quelli che consentono di partecipare
alla adozione di decisioni, incidendo nei processi di
deliberazione pubblica che li riguardano, un’ipotesi di
riforma che vedrebbe espunte dall’ordinamento degli enti
locali siciliani le attuali Province Regionali, intese
quali enti di governo territoriale, troverebbe
verosimilmente un ostacolo nell’art. 5 della
Costituzione. Infatti, la citata sent. n. 83 della Corte
Costituzionale è in grado di offrire un ulteriore
elemento di riflessione sul punto. In essa si afferma
che “la garanzia delle comunità territoriali minori non
può subire, nel suo nucleo essenziale, significative
alterazioni quando, anziché il sistema della autonomie
ordinarie, venga in considerazione quello delle
autonomie speciali ove sono presenti competenze
regionali (e provinciali) esclusive”.
Appare evidente la necessità,
contenuta nel disegno costituzionale, di non consentire
ad una parte dell’ordinamento (Regioni a Statuto
speciale) di concretizzare attraverso l’uso autonomo
della legislazione esclusiva, lesioni ai “principi di
sistema”.
In tale contesto, importanti
pronunciamenti, anche se sul piano più istituzionale che
legislativo, si registrano con l’Intesa
Interistituzionale formalizzata a Cagliari il 20/03/2003
tra tutte le Regioni a Statuto speciale e Province
autonome con le rappresentanze degli enti locali dei
rispettivi territori che è finalizzata a sancire
un’interpretazione di favor per Comuni e Province in
ordine all’estensione della garanzie di maggiore
autonomia previste dal nuovo quadro costituzionale, e
con alcuni ordini del giorno approvati al Senato il
27/05/2003 contestualmente all’approvazione della L.
cost. n. 3/2001 a beneficio degli enti locali ricompresi
nelle Regioni a Statuto speciale, “tenendo conto che le
autonomie più a rischio non dispongono di forme di
garanzia ad hoc, quale l’accesso alla Corte
Costituzionale, previste invece in altri ordinamenti
(come Germania e Spagna) e postulate, tra l’altro, in
documenti sovranazionali di particolare rilievo, come la
Carta europea dell’autonomia locale del 1985”75.
7. Il rischio di un neocentralismo
regionale
A parte l’ultimo intervento
legislativo a favore delle Province Regionali previsto
dalla L.r. n. 9/2010, si registra nell’ultimo decennio
un’inversione di tendenza volta non solo a non
riconoscere alle Province Regionali quanto prescritto e
prefigurato dalle su citate normative, ma a depotenziare
il livello intermedio del sistema delle Autonomie locali
a favore di un policentrismo favorito dalla moda delle
privatizzazioni formali, da facili esternalizzazioni di
servizi e, soprattutto, da un più che fondato rischio di
un neocentralismo regionale.
E’ un fenomeno diffuso tra le
Regioni a Statuto speciale in cui l’autonomia normativa
in materia rappresenta un’arma a doppio taglio per gli
Enti locali. Nel senso che gli Enti locali sono fin
troppo spesso dipendenti dalla volontà legislativa delle
Regioni di riferimento che, come nel caso siciliano,
possono rappresentare modelli d’innovazione
istituzionale in un determinato momento storico76, così
come possono perdere, con un solo tratto di legge, il
proprio status in altri momenti storici77. Una visione
regionocentrica è tutt’altro che minoritaria,
soprattutto dopo l’approvazione della legge
costituzionale n. 2/93 che, com’è noto, ha stabilito che
in tutte le Regioni a Statuto speciale, l’ordinamento e
le funzioni degli enti locali debba dipendere da
decisioni legislative delle medesime Regioni. Basti
pensare, da ultimo, alla difficoltà di dar vita
nell’ordinamento siciliano, al consiglio delle autonomie
previsto dall’art. 123 della Costituzione, mentre
continua a prevalere una vecchia concezione di
Conferenza Regione-Autonomie locali gestita dalla
medesima Regione, in cui gli enti locali finiscono per
essere meri interlocutori.
Non c’è nessuna ragione perché la
provincia Regionale non debba diventare pienamente un
ente di governo territoriale, “né tanto meno alcuna
ragione per cui debba sopravvivere la supremazia
regionale nelle forme del passato”78.
Da più parti tale rischio risulta
paventato e scongiurato. Diffuse sono le osservazioni di
studiosi ed addetti ai lavori: “L’apertura immediata di
una tavolo istituzionale, anche rivalorizzando la
<<Conferenza Regione-Autonomie Locali>>, potrà impedire
che al centralismo dello Stato si sostituisca il
centralismo di una Regione tuttofare, che ancora
elargisce persino i contributi ai Comuni per le feste
paesane e li elargisce ad personam”79. Peraltro, c'è
anche chi sostiene che, “la semplificazione strutturale
regionale ed il decentramento o meglio valorizzazione
delle autonomie locali sono contraddetti da iniziative
legislative contrarie (cfr. la normativa emanata in tema
di riforma del turismo: legge regionale 15 settembre
2005, n. 10 e successive modifiche) nonché da
esternalizzazioni varie di funzioni e servizi con la
costituzione di società partecipate”80. D'altra parte,
“Questo è il compito e il dovere di ogni legislazione
regionale: realizzare un efficiente sistema delle
autonomie locali al servizio dello sviluppo economico,
sociale e civile e non un neocentralismo regionale”81.
Inoltre, il nuovo contesto
istituzionale caratterizzato dall'attuazione dell'art.
119 della Costituzione porta ad affermare che,
“L’effetto naturale del federalismo fiscale è quello di
favorire una naturale processo di riunificazione delle
competenze in capo al soggetto che meglio è in grado di
disciplinarle, amministrarle e gestirle. Il rischio di
un neo centralismo regionale deve quindi essere evitato
proprio per massimizzare il circuito virtuoso che il
federalismo fiscale può avviare” 82. Quindi, “niente
decentramenti fittizi, virtuali, o viziati già sul
nascere, ma deleghe reali, per esorcizzare ed
allontanare il rischio di un centralismo regionale che
si sostituisca al vecchio centralismo statale”83.
8. Considerazioni finali
Secondo un’indagine condotta
nell’anno 2008 dalla Facoltà di Economia Giorgio Fuà
dell’Università Politecnica delle Marche circa il 95%
degli italiani ritiene che comunque le cose non possono
restare come sono attualmente nell’architettura degli
enti locali. La “saggezza popolare”, prima di passare
alla tentazione populistica che troppo felicemente si
sposa con la politica delle emozioni84 (abolizione
delle Province 50% circa), suggerisce una chiara
redistribuzione razionale delle funzioni tra la galassia
di enti pubblici a rilevanza locale (80%) accompagnata
da una riduzione del numero dei consiglieri regionali,
provinciale e comunali (77%).
Si potrebbe quindi cominciare da
questi suggerimenti, aggiungendo l’accorpamento delle
competenze in capo alle Province Regionali, ancora oggi
sparpagliate tra ambiti territoriali e consorzi vari che
non hanno una diretta legittimazione democratica e la
sostituzione delle Province Regionali di Palermo,
Messina e Catania con le Aree Metropolitane, la cui
istituzione risulta arenatasi per volontà esclusivamente
politica. Per non parlare poi della possibilità che
“siano proprio le Province gli enti naturalmente
destinati ad accompagnare il disegno di fusione dei
piccoli comuni, avviato dalla manovra estiva 2011”85.
D’altra parte “le dinamiche sociali ed economiche
impongono una istituzione a maglie territoriali e di
bacino dei servizi ben più ampio di quelle esercitabili
a livello comunale”86. In questa prospettiva va
certamente condivisa l’affermazione di chi ritiene che
un’operazione di questo tipo “sarebbe un bel segnale di
razionalità democratica da poter lanciare per restituire
maggior fiducia tra cittadini e ceto
politico-istituzionale locale, il quale, in molti casi,
non è apparso migliore di quello nazionale”87.
Come ha recentemente e
autorevolmente affermato il Prof. Valerio Onida (già
Presidente della Corte Costituzionale), “sono lontani i
tempi in cui si diceva che le Province servivano solo
per strade, manicomi e assistenza agli illegittimi”88.
Invero, “Intervenire sull’organizzazione della pubblica
amministrazione a soli fini di risparmio può determinare
effetti collaterali indesiderati e, soprattutto, rischia
di sottovalutare i maggiori effetti benefici anche in
termini di risparmio che possono provenire da una
riorganizzazione della pubblica amministrazione che
presti più attenzione all’efficacia e all’efficienza
delle azioni e gestioni, valutando nel merito e da un
punto di vista qualitativo l’utilità di certi enti”89.
Peraltro, “Non si può cambiare la Costituzione ad ogni
campagna elettorale, vanificando con continui
ripensamenti un percorso su cui l’intero Paese si è
indirizzato, facendo delle Province un presidio
fondamentale della Repubblica delle Autonomie”90.
Ancora, “Pensare di far cassa con
una misura di questo tipo sembra solamente una
concessione alla <<pancia>> degli elettori…un consiglio
provinciale ed un presidente della provincia (tra
l’altro eletto direttamente) è, al di là delle
argomentazioni populistiche e demagogiche, sottoposto ad
un controllo essenziale in democrazia, quello
rappresentato dalla scadenza elettorale; la nomina in
un’autorità d’ambito, no”91. E comunque, “Una provincia
rimane una provincia, anche se la si degrada, le si
cambia il nome e la si imputa ad altri”92 .
Inoltre, lo scenario in cui operano
gli enti locali è quello del federalismo fiscale come
attuato anche dal D.lgs. n. 216/2010 che, in materia di
costi e fabbisogni standard di Comuni, Città
Metropolitane e Province, all’art. 5 prescrive la
redazione di specifici questionari, pena il taglio di
tutti i trasferimenti finanziari. In questo quadro, la
riduzione decisa di tutti gli enti pubblici a valenza
regionale e locale sparsi sul territorio d’ambito
provinciale in uno al potenziamento della Provincia
Regionale, rappresenta una prospettiva necessaria per
l’effettivo sviluppo della sussidiarietà verticale.
Perché il sistema regga e mantenga
il necessario rapporto di coerenza con il quadro
comunitario e costituzionale sopra illustrato è
necessario che ci si convinca sul fatto che un’adeguata
e funzionale riforma del sistema delle autonomie locali
non può che passare dalla valorizzazione piena e
compiuta degli enti locali a partire dalla Provincia
Regionale. Una nuova Provincia Regionale potrà
rappresentare uno snodo essenziale anche del rapporto
con le Autonomie Funzionali e con gli Enti di tendenza,
a cominciare dalla Camera di Commercio, dall’Università,
dagli Enti Fieristici, dai Consorzi tematici, dai Gruppi
di Azione Locale (G.A.L.), dalle Associazioni di
categoria datoriali, dalle forse sociali, dagli ordini
professionali ecc… Soggetti che – sottolinea De Rita93
– guarda caso hanno tutti una connotazione provinciale,
e che, se vogliono crescere e fare politica di area
vasta, non possono fare riferimento né ai Comuni né alla
Regione Siciliana. Del resto, se non ci fosse stata, ad
esempio, la Provincia Reg.le di Enna sarebbe mai nata
l’Università Kore94?
La futura Provincia Regionale “sarà
sempre meno ente intermedio e sempre più livello di
governo strutturato per la pianificazione e la
programmazione di area vasta, regista di sviluppo
locale, artefice e perno di quelle politiche
territoriali che, in Europa, da tempo hanno saputo
creare condizioni di ripresa produttiva, di salvaguardia
e valorizzazione dei distretti industriali, non limitati
dal confine di un Comune né tali da compromettere
l’autonomia di quest’ultimi”95. Peraltro, la Provincia
Regionale nei confronti della Regione Siciliana, “…può
essere determinante per affrontare finalmente il
problema del decentramento dell’ente regionale,
immaginato anche in Costituzione essenzialmente come
soggetto di legislazione, programmazione e
coordinamento, più che di amministrazione attiva, e che
invece nei fatti ha alimentato la progressiva
costruzione di un apparato amministrativo spesso
elefantiaco, burocraticamente simile al modello statale,
cui si aggiunge una miriade di enti o società
strumentali regionali, con una forte propensione
all’accentramento e alla considerazione degli enti
locali più come soggetti dipendenti, che non dotati di
un’autonomia effettiva”96.
Dunque, più che avventurarsi in un
percorso costituzionalmente accidentato, quale potrebbe
essere quello di introdurre a freddo nell’ordinamento
regionale i Liberi Consorzi di Comuni, una scelta più
saggia di politica istituzionale richiederebbe una sede
di sperimentazione di più avanzate forme di autonomia
locale, in cui la visione di una Provincia Regionale più
“forte”97 , risponderebbe con nuovi e più ampie
competenze alla <<domanda>> di un ente territoriale che,
come abbiamo visto, non solo esiste, ma di cui si sente
un crescente bisogno.
E tuttavia, per evitare di
potenziare una Provincia Regionale, le cui fondamenta
rimangono strutturalmente deboli per le motivazioni di
carattere costituzionale sopra illustrate (paragrafo 6),
nel contesto di un nuovo e compiuto disegno
istituzionale del sistema delle autonomie locali in
Sicilia non rimane altra strada che la revisione dello
Statuto Speciale a partire proprio dall’art. 15.
(*) Relazione al 3° Corso di
formazione residenziale per Giovani Amministratori sul
tema “Aspettando il Federalismo in Sicilia: quale
modello di ente locale e di amministratore disegna”
promosso dall’Associazione Siciliana Amministratori Enti
Locali (ASAEL) il 30/09 e 01/10/2011, Campofelice di
Roccella (PA).
1 In data 13/09/2011 il disegno di
legge costituzionale recante “Soppressione di enti
intermedi” è stato trasmesso dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri al Presidente della Conferenza
delle Regioni e delle Province autonome per
l’acquisizione del parere della Conferenza Unificata.
2 Assessore al Bilancio Prof.
Gaetano Armao in “Province, la Sicilia avrà una sua
legge”, a cura di Giuseppina Varsalona, Giornale di
Sicilia pag. 3 del 09/09/2011.
3 Governatore della Regione
Siciliana Raffaele Lombardo in “Presidente, voglio
abolire le Province”, a cura di Lillo Miceli, La
Sicilia, 10/09/2011.
4 Tania Groppi, “Soppressione delle
Province e nuovo Titolo V”, Federalismi.it, 05/08/2009.
5 Sulla questione si consenta il
rinvio a: Massimo Greco “La soppressione delle Province
in territorio siciliano”, su AmbienteDiritto.it –
Rivista giuridica pubblicata sul web all’indirizzo
www.ambientediritto.it, 24/08/2011; su “Persona e Danno”
– Rivista giuridica elettronica, pubblicata sul web
all’indirizzo www.personaedanno.it, 24/08/2011; su
Lexambiente – Rivista giuridica sull’ambiente pubblicata
su internet all’indirizzo www.lexambiente.it,
25/08/2011; sul portale dell’Associazione Siciliana
Amministratori Enti Locali (ASAEL) pubblicato su
internet all’indirizzo www.asael.pa.it, 25/08/2011;
sull’Organo d’informazione dell’Unione Regionale delle
Province Siciliane, pubblicato sul web all’indirizzo
www.urps.it, 29/08/2011; su Diritto & Diritti – Rivista
giuridica elettronica, pubblicata su internet
all’indirizzo http://WWW.diritto.it, ISSN 1127-8579,
01/09/2011; in Osservatorio Giuridico “La Previdenza”,
pubblicato su internet all’indirizzo
www.laprevidenza.it, 10/09/2011.
6 Sia pure limitata sul piano della
partecipazione dal suffragio elettorale ristretto, le
nuove Amministrazioni sono costituite da un Consiglio
deliberante (in base alla popolazione) e da una
Deputazione come organo esecutivo (composta inizialmente
da 5 membri, in seguito ampliata a 10) e da un
Presidente – governatore le cui funzioni erano assunte
dal prefetto pro-tempore, finchè con la riforma Crispi
del 1889 anche questa figura-chiave diventerà elettiva.
7 La legge provinciale e comunale
del 1865 stabiliva, al primo articolo, che “Il Regno si
divide in Province, Circondari, mandamenti e Comuni”.
8 Corte Cost. sent. n. 230/2001.
9 Guido Corso in “L’alba della
Sicilia”, Sellerio editore, Palermo, 1996.
10 La natura di Ente territoriale
della Provincia siciliana, anche in regime di
“amministrazione straordinaria”, è stata affermata dalla
Corte Costituzionale con sent. n.96/1968.
11 Giuseppe Bettoni, Università di
Parigi VIII, “La nuova frontiera della pianificazione”,
Il Sole 24Ore, 1999.
12 Il Sole 24Ore a commento di
Consiglio di Stato, sent. n. 1493/2000.
13 F. Staderini, Diritto degli Enti
Locali, Cedam 2001.
14 Giovanni Pitruzzella, “La
Consulta vigili sulle riforme”, Giornale di Sicilia,
22/06/2002.
15 Si veda l’articolo a firma del
Direttore dell’URPS On. Miche Mongiovì pubblicato nel
Bollettino della medesima Unione il 31/05/2005.
16 Tra i tanti si veda “Va
Auspicata una intensa collaborazione con la regione per
una migliore funzionalità degli enti locali” a cura del
Direttore dell’U.R.P.S. Michele Mongiovì, Bollettino
dell’U.R.P.S. del 23/02/2008.
17 Tar Catania, sez. I° sent. n.
1629/2007.
18 Per un commento sulla novella
disposizione si rinvia a Salvo Fleres, “Consorzio Fra
Province del Sud Est”, La Sicilia, 31/05/2005.
19 Gian Candido De Martin, “Un Ente
strategico, ancorchè misconosciuto: la Provincia”,
Amministrazione in Cammino.it, 08/05/2009.
20 Circolare Assessorato Reg.le
degli Enti locali 07/08/1986 n. 44.
21 Secondo un orientamento ormai
pacifico, sia in dottrina (Dauno Trebastoni,
“Identificazione degli enti pubblici e relativa
disciplina”, Giustizia-Amministrativa.it, 07/05/2007)
che in giurisprudenza (Corte Cost. 7/04/1988 n. 396), la
natura giuridica di un ente è quella che, al di là della
definizione normativa, possa comunque essere ritenuta
tale, nel senso che le definizioni non vincolano
l’interprete, il quale dovrà determinare la natura
dell’ente indipendentemente dalla sua denominazione, per
cui la stessa qualificazione esplicita è irrilevante se
in contrasto con l’effettiva natura.
22 A differenza delle Comunità
montane, la soppressione dei Consorzi di Bonifica non è
mai avvenuta. Questi ultimi mantengono la natura di
Enti sottoposti a controllo e vigilanza della Regione in
attesa di una riforma tanto annunciata quanto elusa.
23 Secondo una prospettiva più
ampia, generale è la competenza non circoscritta perché
volta ad assolvere tutti i compiti necessari per il
soddisfacimento degli interessi di comunità (Pier luigi
Portaluri, “Appunti su alcune premesse costituzionali
dell’esperienza di normazione federalista”,
Giustizia-amministrativa.it, 16/03/2011.
24 Sulla natura giuridica di ente
territoriale si è espressa positivamente la Corte dei
Conti a Sezioni riunite, 22/12/1997, n. 82, riconoscendo
tale status alle Province.
25 Salvatore Alesci, “La
Programmazione come strumento di politica di sviluppo
negli ambiti provinciali”, Il bollettino dell’URPS,
28/02/1998.
26 Gian Candido De Martin, Atti del
seminario su “La legge 265/99 di riforma delle Autonomie
locali: l’adeguamento degli stauti delle Province”,
Villa Umbra, 05/11/1999, Pila (Perugia).
27Corte Cost. sent. n. 286/1997.
28 Vincenzo Cerulli Irelli, "La
Provincia tra il vecchio e il nuovo ordinamento, Le
Province, gennaio-febbraio 2008.
29 Beniamino Caravita di Toritto e
Luisa Casetti, “Il rafforzamento della democrazia
regionale nell’Unione Europea”, Federalimi.it,
27/05/2004.
30 Tommaso F. Giupponi,
“Amministrazione locale comparata ed ordinamento
dell’Unione Europea”, Bologna Center, 2005.
31 Giubboni, 2005.
32 Giorgia Pavani e Lucio Pegoraro,
“Municipi d’occidente”, Donzelli Editore, Roma 2006.
33 G. Berti, sub art. 5, in G.
Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione,
Bologna Roma, 1975.
34 Si vedano i dati Eurostat
aggiornati al 2007 e pubblicati nel volume di Astrid
“Semplificare l’Italia. Stato, Regioni, Enti locali”, a
cura di F. Bassanini e L. Castelli.
35 Luigi Albino Lucifora, “A che
servono le Province”, “Catania, Provincia
Euromediterranea”, 2000.
36 Aldo Loiodice, “Ridefinizione
del ruolo delle province nel sistema degli enti locali”,
Federalismi.it, 11/09/2009.
37 Vincenzo Cerulli Irelli, “La
Provincia nell’attuazione e nel completamento del nuovo
ordinamento costituzionale”.
38 Si veda Corte Cost. n. 201/2010.
39 Gian Candido De Martin, “I nodi
per attuare (correttamente) una riforma di sistema
incompiuta”, Amministrazione in Cammino, 10/10/2008.
40 Giovanni Pitruzzella in “L’alba
della Sicilia”, Sellerio editore, Palermo, 1996.
41 Una mechanè (mēkhanē) era una
sorta di gru usata nel teatro greco, in particolare nel
V e IV secolo a.C. Composto da bracci di legno e da un
sistema di pulegge, questo marchingegno teatrale era
usato per sollevare in aria gli attori, simulandone il
volo. Era sicuramente in grado di sollevare almeno due
persone e trasportarli nel mezzo dell'orchestra, oppure
sopra la skené. Proprio per questo motivo, la mechanè
era spesso usata per simulare l'intervento di un dio
sulla scena, da cui l'espressione latina Deus ex machina
("Dio dalla macchina") (Wikipedia).
42 Corte Cost. 14 luglio 1956 nn.
14, 15, 16; 16 luglio 1956 n. 20; 19 luglio 1956 n. 22;
26 gennaio 1957 n. 15; 18 maggio 1959 n. 30, etc.
43 Corte Cost. 18 maggio 1959 n.
30, Corte Cost. n. 13/1974.
44 Corte Cost. Sent. n. 20/1956.
45 La consapevolezza di un mutato
quadro ordinamentale rispetto alla previsione dei Liberi
Consorzi di Comuni contenuta nell’art. 15 dello Statuto
si evince dalla Circolare applicativa della L.r. n. 9/86
emanata dall’Assessorato Reg.le agli Enti locali che
così recita: “La nuova provincia conserva la
connotazione associativa dei comuni, ma rimarca
necessariamente, in linea con l’evoluzione dottrinaria
di interpretazione dei principi costituzionali circa
l’ordinamento degli enti locali e l’attuazione dello
stato sociale, le componenti essenziali del territorio e
di polo di direzione (che comporta l’individuazione
fisica del centro operativo: il capoluogo) per lo
sviluppo economico-sociale delle comunità che racchiude,
per la formazione ed attuazione della programmazione
regionale, per la razionale organizzazione delle
strutture dei servizi e per l’attuazione del
decentramento regionale ed anche statale”.
46 Confermata da ultimo con sent.
n. 353/2001.
47 Corte Cost. nn. 212/1984,
213/1998.
48 v. per la Sicilia l’art. 41 ter
dello Statuto, aggiunto dall’art. 1 della L. Cost. 31
gennaio 2001 n. 2.
49 Si veda “L’ordinamento degli
enti locali, IPSOA, II° ed..
50 Tar Lombardia, sent. n.
644/1993.
51 Per un approfondimento specifico
si consenta il rinvio a Massimo Greco, “Il recesso di un
Comune siciliano dal Consorzio Area di Sviluppo
Industriale in attesa dell’annunciata riforma”, su
“Norma”, quotidiano d’informazione giuridica, pubblicato
su internet all’indirizzo
http://www.norma.dbi.it/index.jsp, 14/09/2010; su
Lexambiente – Rivista giuridica sull’ambiente pubblicata
su internet all’indirizzo www.lexambiente.it,
27/09/2010; su “Persona e Danno” – Rivista giuridica
elettronica, pubblicata su internet all’indirizzo
www.personaedanno.it, 13/10/2010; su Diritto & Diritti –
Rivista giuridica elettronica, pubblicata su internet
all’indirizzo http://WWW.diritto.it., ISSN 1127-8579,
14/10/2010.
52 Tar Palermo, sez. I, 04/07/2008,
n. 881.
53 Tar Palermo, sez. I, 29/01/1996,
n. 28.
54 Corte Cost. sent. n. 96/68.
55 Giovanni Pitruzzella, “Se il
Presidente val meno di un Sindaco”, Cronache
Parlamentari, gennaio/2000.
56 Giuseppe Campos venuti,
Relazione all’Assemblea Nazionale dell’U.P.I. sul tema
“Identità e ruolo della Provincia nel sistema delle
autonomie”, Palazzo Doria Pamphili, Roma 6-7/10/1994.
57 Simone Pajno, “L’adeguamento
automatico degli Statuti speciali”, Federalismi.it, n.
23/2008.
58 Marco Mordenti e Pasquale Monea,
“Le unioni di Comuni, dall’unità d’Italia alla manovra
di ferragosto”, LexiItalia, n. 9/2011.
59 Gian Candido De Martin, “Un Ente
strategico, ancorchè misconosciuto: la Provincia”,
Amministrazione in Cammino.it, 08/05/2009.
60 Francesco Meloni, Relazione
all’Assemblea Nazionale dell’U.P.I. sul tema “Identità e
ruolo della Provincia nel sistema delle autonomie”,
Palazzo Doria Pamphili, Roma 6-7/10/1994.
61 Ad oggi non risulta depositato
il disegno di legge annunciato dal Governatore
Lombardo, mentre risultano presentate all’A.R.S. due
distinte ipotesi di legge a firma dell'On. Barbagallo e
dell’On. Speziale.
62 Corte Costituzionale 27 maggio
1961, n. 8.
63 Corte Cost. n. 38/1957 sull’Alta
Corte siciliana e n. 6/1970 sulla responsabilità penale
avanti all’Alta Corte del Presidente della Regione.
64 Salatore Curreri, “Sì dallo
Statuto ai Liberi Consorzi tra Comuni”, Giornale Di
Sicilia, 22/11/2010.
65 Corte Cost.
sent. nn. 66/1964, 115/1972.
66 Corte Cost.
sent. nn. 545/1989, 4/2000, 314/2003.
67 Corte Cost., sent. n. 274/2003.
68 Aldo Loiodice, “Ridefinizione
del ruolo delle province nel sistema degli enti locali”,
Federalismi.it, 11/09/2009.
69 Corte Cost. ord. n. 377/2002,
decisioni nn. 408/2002, 533/2002, 48/2003, 103/2003.
70 Corte Cost.
sent. nn. 378/2000, 286/97, 83/97.
71 Corte Cost.
sent. n. 83/97.
72 Corte Cost.
sent. n. 229/2001.
73 Corte Cost.
sent. n. 238/2007.
74 Corte Cost. sent. n. 52/1969.
75 Gian Candido De Martin, “Le
garanzie per gli Enti Locali nelle Regioni a Statuto
speciale”, dispensa per la S.S.P.A.L.
76 In più occasioni la L.r. n. 9/86
è stata indicata come una legge innovativa ed
anticipatrice di nuovi scenari istituzionali nel campo
delle Autonomie locali.
77 E’ nota infatti la posizione del
Governatore Lombardo della Regione Siciliana di
modificare la L.r. n. 9/86 restituendo le funzioni
amministrative ai Liberi Consorzi di Comuni in
attuazione dell’art. 15 dello Statuto siciliano.
78 Omar Chessa, “L’Autonomia locale
nelle regioni speciali. Dalla clausola di adeguamento
automatico alle prospettive di riforma”, Diritto@Storia,
n. 7/2008.
79 Salvatore Currao, “Il ruolo
della Provincia Regionale nel nuovo assetto dei poteri
locali a seguito della riforma del Titolo V° della
Costituzione”, LexItalia.it, n. 12/2003.
80 C. Sirna, A. Sirna e M. Sirna,
“Assetto locale in Sicilia, espletamento dei servizi
fondamentali e art. 97 della Costituzione. Obiettivi da
perseguire. Riflessioni”, Diritto.it, 25/06/2009.
81 Lorenzo Ria, “Il ruolo della
Provincia nel processo di riforma dello Stato”,
Giust.it, n. 6/2003.
82 Carlo Rapicavoli, “La
soppressione delle Province nella manovra estiva –
Decreto legge 13/08/2011 n. 138.
83 Angelo Brocato, “La devoluzione
delle Province” L’Euromediterraneo, febbraio-marzo 2003,
Palermo.
84 Delors, 1996.
85 Luigi Oliveri, “Abolire le
Province? Si risparmia poco”, Lavoce.info, 26/07/2011.
86 Armando Sarti, “Province,
calamita per i sindaci”, Il Sole 24Ore, 28/12/1998.
87 Carlo Carboni, “Province,
l’occasione dei tagli”, Il Sole 24Ore, 10/10/2008.
88 Cfr. Valerio Onida, “Le Province
sono davvero inutili o è la retorica
dell’antipolitica?”, Corriere della Sera, 23/07/2011.
89 Fabio Giglioni, “Il taglio degli
enti pubblici. Commento all’art. 1, c. 31, DL n. 138 del
2011”, Federalismi.it, n. 16/2011
90 Carlo Rapicavoli, “Il ruolo
delle Province in Italia – Il dibattito sulla loro
abolizione: motivazioni fondate o mera speculazione
politica?”, Diritto.it, 29/12/2008.
91 Federica Fabrizzi, “Quando lo
slogan prevale: brevi considerazioni sulla riduzione
delle province”, Federalismi.it, 19/08/2011.
92 Francesco Clementi, “Metà organi
di governo, metà special districts”, Il Sole 24Ore,
09/09/2011.
93 Giuseppe De Rita, “Le Province
sono l’istituzione cardine dello sviluppo”, Le Province,
luglio-agosto 2007.
94 La Libera Università Kore è
infatti nata dall’iniziativa della Provincia di
promuovere corsi universitari decentrati attraverso la
costituzione del Consorzio Ennese Universitario,
deliberato dal Consiglio Provinciale di Enna il
21/06/1995.
95 Silvano Moffa, “Della Provincia
non si può fare a meno”, Alleanzanazionale.it, 23/07/99.
96 Gian Candido De Martin, “La
nuova provincia per semplificare e potenziare
l’amministrazione locale”, Amministrazione in cammino.it,
97 Riccardo Carpino, “Le Province:
percezione sociale, ruolo e prospettive”, Federalismi.it,
06/02/2008.
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