La
manovra realizzata con i decreti legge 98 e 138
del 2011 prevede interventi di riduzione
dell’indebitamento netto del valore complessivo
di 28 miliardi nel 2012, di 54 miliardi nel 2013
e di 60 miliardi nel 2014. Questi ingenti
importi vanno ad aggiungersi ai 25 miliardi
previsti per ciascuno degli anni 2012 e 2013 dal
dl 78 del 2010.
In sostanza, nel biennio 2010-2011 il Governo ha
previsto incrementi di imposte e riduzioni di
spesa medi annuali per circa 60 miliardi nel
triennio 2012-2014. Sono numeri impressionanti
e senza precedenti nella storia della finanza
pubblica italiana. Ci si aspetterebbe che
manovre di questa dimensione fossero pensate e
gestite in modo da prevedere, per quanto
possibile,una trasparente ed equa distribuzione
dei sacrifici fra tutti i cittadini. Questo,
invece, non è avvenuto.
Contributi di solidarietà e specchietti per
le allodole
Dopo la presentazione della prima versione del
decreto legge 138, le discussioni nella politica
e sui media si sono concentrate quasi
esclusivamente sul c.d. contributo di
solidarietà, ovvero un incremento di carico
fiscale su una percentuale modesta di
contribuenti, il cui gettito (probabilmente
sovrastimato) era comunque pari ad una
percentuale irrisoria della manovra complessiva.
Il contributo di solidarietà è stato poi
azzerato, ma non sono affatto state riviste, e
neppure messe in discussione, le parti più
inique e ingiuste della manovra. Da questo punto
di vista si può ben dire che il contributo di
solidarietà ha lavorato come una sorta di
specchietto per le allodole, distraendo
l’attenzione dai punti veramente importanti del
decreto.
Considerando insieme (com’è giusto fare, perché
si tratta in realtà di una manovra unica durata
3 mesi) i decreti 98 e 138 del 2011, va
ricordato che essi prevedono che le maggiori
entrate, sia quelle tributarie sia quelle
realizzate attraverso il cosiddetto riordino
della spesa assistenziale di cui parleremo tra
breve, rappresentino non meno di una percentuale
compresa tra il 65 e il 73% della manovra
complessiva nel triennio 2012-2014. In realtà,
questa percentuale potrebbe a salire fino a più
del 75% nel 2012 perché i tagli agli enti locali
nel decreto 138 non sono stati realizzati come
riduzioni dei trasferimenti, ma invece come vere
e proprie riduzioni di spesa obbligatorie cui
gli enti locali potranno (e dovranno) fare
fronte con incrementi del prelievo fiscale (in
particolare, delle addizionali regionali e
comunali all’Irpef) se non vogliono pregiudicare
il livello dei servizi.
Tabella 1: composizione della manovra estiva
(ddl 98 e 138/2011) di correzione
dell’indebitamento netto rispetto ai tendenziali
a legislazione vigente.
Discutere dell’equità e dell’efficienza della
manovra significa quindi discutere
principalmente degli interventi dal lato delle
entrate.
Le verità nascoste
Per quanto riguarda le maggiori entrate “pure”
(cioè valutate non considerando né la delega
assistenziale e neppure l’aumento delle
addizionali locali), in ciascun anno, al netto
dei proventi (molto incerti) della lotta
all’evasione, che rappresentano tra il 15 e il
20% del totale, l’incremento dell’imposizione
indiretta (soprattutto IVA e accise, in misura
inferiore i giochi) è solo leggermente superiore
a quello delle imposte dirette, sui profitti e
sulle rendite finanziarie, e dell’imposta di
bollo (assimilabile ad un’imposta sul
patrimonio). Se ci si fermasse a questo stadio
di analisi, apparirebbe criticabile la scarsa
quota di gettito di tipo patrimoniale e
l’affidamento troppo elevato ad imposte
indirette, che per loro natura sono regressive,
nonché l’aleatorietà delle stime relative
all’evasione fiscale, ma tutto sommato il
profilo distributivo della manovra potrebbe
risultare accettabile.
Ma è proprio analizzando la natura del recupero
di gettito derivante dalla cosiddetta “delega
assistenziale” che si scoprono le maggiori
iniquità. L’intervento di riordino della spesa
sociale e assistenziale, già previsto nel del
98/2011, è stato anticipato e rimodulato nel
decreto 138/2011 e dovrebbe produrre risparmi
crescenti nel tempo: 4 miliardi nel 2012, 16 nel
2013, 20 nel 2014. Il decreto 138/2011 anticipa
la clausola di salvaguardia già prevista dal
decreto 98/2011, ovvero il taglio lineare dei
(cosiddetti) regimi di agevolazione fiscale del
5 e del 20 per cento rispettivamente al 2012 e
al 2013 nel caso l’intervento legislativo non
abbia luogo o sia insufficiente rispetto agli
importi sopra ricordati. Infine,sempre per
questo caso, il decreto aggiunge un’ulteriore
clausola di salvaguardia (che può operare
insieme con la precedente) ovvero la
rimodulazione delle aliquote dell’IVA e delle
accise
Il primo aspetto da notare riguarda la
composizione della manovra. Il complesso della
spesa sociale di competenza statale ammonta a
circa 30 miliardi di euro, di cui 16 di
prestazioni agli invalidi civili, 9 tra assegni
familiari e prestazioni per la maternità e i
residui 5 suddivisi tra assegni sociali ed
integrazioni al minimo. Considerando le numerose
“strette” che vi sono già state sulle “false
invalidità” negli anni passati, è del tutto
improbabile che da questo insieme di spese
possano essere trovati risparmi per più di
qualche miliardo di euro, a fronte dei 16
miliardi di risparmi da raggiungere entro il
2013 e dei 20 previsti per il 2014. Ciò a meno
di non voler sostanzialmente azzerare
l’intervento sociale e assistenziale nel nostro
Paese.
Anche l’altra possibilità prevista dal dl
138/2011, ovvero di ricorrere ad ulteriori
aumenti dell’aliquota IVA (in particolare di
quella ordinaria) e delle accise appare oggi
insufficiente, considerato che la manovra le
aumenta già in misura consistente. Ne segue che
buona parte, se non la totalità dell’intervento
sarà in realtà affidato alla revisione dei
cosiddetti regimi di agevolazione fiscale. La
(furba) scelta terminologica ha una valenza
profondamente mistificante: dietro il termine
agevolazione fiscale si potrebbe essere indotti
a credere che vi siano chissà quali ingiuste
prebende (“gli aiuti a chi guida il Suv” per
usare un’espressione del Ministro Tremonti).
Niente di più falso: le agevolazioni fiscali
incluse nell’allegato C-bis del decreto 98/2011
sono, per la stragrande maggioranza, strumenti
finalizzati ad aumentare l’equità verticale ed
orizzontale del nostro sistema fiscale. Per
rendersene conto, basti considerare la tipologia
di queste cosiddette agevolazioni che emerge
dallo stesso allegato, e su cui, dunque,
scatteranno i tagli lineari in caso di totale (o
parziale) mancata riforma della spesa
assistenziale (si veda la Tabella 2).
Tabella 2: composizione delle agevolazioni
fiscali (allegato C-bis decreto 98/2011)
Le agevolazioni sono in realtà le detrazioni per
lavoro dipendente e per pensioni, le detrazioni
per carichi familiari, le aliquote Iva ridotte
per beni a largo consumo, ovvero un insieme di
disposizioni la cui presenza è motivata da
esigenze di equità, verticale e orizzontale, di
discriminazione qualitativa dei redditi nonché
di equilibrio del sistema fiscale. E’ proprio il
più che probabile intervento su queste misure
che dà il segno profondamente ingiusto e
regressivo di questa manovra.
Un’alternativa
Nella situazione di emergenza appare ancor meno
comprensibile che il Governo abbia voluto
escludere qualsiasi forma di tassazione
patrimoniale con riferimento, in primo luogo, ai
beni immobili. Come già sottolineato, è oggi
disponibile una quantità notevole di
informazioni (raccolte nella banca dati
dell’OMI, Osservatorio del mercato immobiliare
dell’Agenzia del territorio) che consentono di
ricostruire con esattezza il valore di mercato
dei beni immobili e, quindi, la differenza tra
tale valore e quello, normalmente inferiore,
delle rendite catastali. Recenti resoconti
giornalistici riferiscono che la perdita di
gettito attualmente causata da questa
differenza, oltre che dalla sciagurata (seppure
non priva di un consenso bipartisan) esclusione
della prima casa dall’Ici, sarebbe stata stimata
dallo stesso Ministero in un ammontare annuo di
62 miliardi di euro, di cui circa la metà di
imposte dirette (Irpef e Ires), 25 miliardi di
Ici e la parte restante di imposte indirette sui
trasferimenti1.
Un simile importo consentirebbe, da un lato, di
modulare la revisione, ad esempio esentando
ampie fasce della popolazione i cui immobili
hanno un valore di mercato inferiore a quello
medio del contesto di riferimento e, dall’altro
lato, di ridurre o financo di azzerare i tagli
lineari delle agevolazioni fiscali. A parità di
entità della manovra, si rimedierebbe in misura
significativa alle sue iniquità.
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