I
dati recentemente diffusi dalla SVIMEZ nel suo
Rapporto annuale ci possono aiutare a capire
come questa crisi abbia impattato sui diversi
strati sociali e sui territori del Paese. Si
tratta di informazioni molto utili anche alla
luce della manovra che il Governo ha
recentemente varato di cui è importante valutare
l’equità e la sostenibilità economica e sociale.
Nel corso del 2011, la crisi che ha colpito il
sistema finanziario mondiale, divenuta
particolarmente acuta con riferimento al debito
sovrano di alcuni paesi dell’Euro-zone, si è
trasmessa all’economia reale. Il progressivo
peggioramento delle condizioni macroeconomiche
ha determinato, recentemente, una generale
revisione al ribasso delle stime di crescita del
Pil. La SVIMEZ, congiuntamente all’IRPET, stima
che nel 2011 il PIL Italiano dovrebbe aumentare
dello 0,6%, valore inferiore a quelli previsti
dal Fondo Monetario per gli altri maggiori paesi
europei: Germania: +2,7%, Francia: +1,7%,
Spagna: +0,8%. Per quanto riguarda il contributo
offerto dalle varie componenti della domanda
aggregata alla dinamica complessiva del PIL
nazionale, il sostegno proveniente dall’export,
così come già verificatosi nella prima parte
dell’anno, dovrebbe risultare preponderante,
nonostante gli scambi a scala globale si valuti
aumentino, nell’anno in corso, del 7%, ovvero
poco meno della metà del progresso registrato
nel 2010 (14,4%). E’ questo un indizio piuttosto
preciso di come le altre due principali
componenti della domanda - consumi e
investimenti, sostanzialmente determinate dalle
condizioni interne al sistema economico
nazionale - siano decisamente “ferme” in tutto
il Paese. A livello territoriale, le tendenze
delineate risultano più nette in virtù della
diversa composizione dell’economia che vi è tra
le due principali macro-aree del Paese
(Centro-Nord e Mezzogiorno). Le previsioni
realizzate dai due Istituti indicano, sempre per
il 2011, una crescita del Pil pari allo 0,8% nel
Centro-Nord e dello 0,1% nel Sud. La differenza
è essenzialmente da attribuire al fatto che, in
presenza di un grado di apertura sull’estero
nelle regioni centrosettentrionali (24,5%) di
entità più che tripla rispetto al corrispondente
dato meridionale (7,6%, al netto dei prodotti
energetici), è la prima area a trarre beneficio
in misura assai maggiore da una congiuntura
determinata in larga parte dalla componente
estera. Ma l’aspetto per certi versi più
preoccupante è che le stime relative al 2011, al
di là dello loro minore o maggiore accuratezza,
fanno seguito ad un 2010, segnato da una ripresa
dell’attività economica, nel quale il
differenziale di crescita tra le due macro-aree
è risultato ancora maggiore, e pari per
l’esattezza a 1,5 punti percentuali
(Centro-Nord: +1,7%; Sud: +0,2%). E’ su questa
situazione di crescita relativamente minore, e
in particolare prossima allo zero nel Sud, che
si innestano le tre manovre avviate dal Governo
tra il maggio 2010 e il ferragosto 2011.
A partire dal giugno di quest’anno, i crescenti
timori sulla tenuta dei conti pubblici hanno
indotto il Governo a varare in tempi ravvicinati
due manovre correttive (dl 98/2011, dl
138/2011), i cui effetti si aggiungono a quella
approvata nel 2010 (dl 78/2010), con l’obiettivo
di pervenire ad un sostanziale azzeramento del
deficit nel 2013. L’entità complessiva delle tre
manovre correttive, tra minore spese e maggiori
entrate, è imponente venendosi a commisurare in
quasi 80 mld. di euro, e dovrebbe garantire il
raggiungimento dell’obiettivo di finanza
pubblica1. Nella tabella sottostante
è riportata una stima di come la manovra si
ripartisce territorialmente. Come si può
osservare, l’incidenza percentuale della manovra
sul Pil è, in tutti e tre gli anni considerati,
superiore nel Sud. Questo effetto è
riconducibile al fatto che, in base alle nostre
valutazioni, l’importo complessivo delle tre
manovre dovrebbe essere composto per una quota
di poco superiore al 50% da maggiori entrate e
per la parte restante da riduzioni di spese.
Ora, mentre la entrate tendono, ad eccezione del
2011, a ripartirsi in maniera proporzionale al
peso di ciascuna area sul PIL nazionale, le
spese, essendo più legate ai bisogni dei
cittadini, tendono a suddividersi in base alla
quota della popolazione. Quest’ultima, nel Sud
(34,6%), è maggiore del peso che la medesima
area ha sul Pil (23,6%), determinando, così, lo
“squilibrio” sopra richiamato nella
distribuzione territoriale degli effetti
cumulati delle tre manovre. In particolare, ciò
risulta particolarmente vero all’interno di una
manovra (complessiva) di finanza pubblica dove
le minori spese riguardano, per oltre il 40%,
tagli ai consumi collettivi (sanità, istruzione,
ecc.) che sono tra le variabili più direttamente
correlate alla localizzazione della popolazione.
In definitiva, l’impatto cumulato delle tre
manovre, sebbene improcrastinabili, incide nel
Sud per oltre il 6% del Pil a fronte del 4,7%
nel Centro-Nord; l’effetto recessivo implicito
nella manovra è quindi comparativamente maggiore
nelle regioni meridionali. Poiché attualmente
l’unica componente della domanda che appare
tirare è, come visto, quella estera,
strutturalmente debole nel Mezzogiorno, lo
scenario che va delineandosi è tale da
determinare un allargamento del divario di
crescita a sfavore del Sud, area che già adesso
è a crescita “zero”. Ma vi è di più. In questo
contesto, è lo stesso saggio di crescita del PIL
nazionale ad essere frenato. Ciò dipende
dall’assenza di una azione in grado attivare il
potenziale di crescita del Paese, che noi
continuiamo a ritenere sia presente soprattutto
al Sud. La mancanza di una politica per il
denominatore del rapporto debito/PIL,
sintetizzabile nell’assenza di interventi volti
a salvaguardare la dinamica degli investimenti,
rappresenta l’elemento di maggiore
preoccupazione. Occorre chiedersi come mai,
neanche in una fase così difficile non si è
riusciti a incidere significativamente sulle
pensioni di anzianità (concentrate per due terzi
nelle regioni del Nord) mentre, oltre al taglio
delle risorse del FAS (Fondo Aree
Sottoutilizzate), si rischia di bloccare gli
investimenti, sia quelli che dipendono
dall’attività economica, per via di aspettative
negative, che quelli decisi dall’operatore
pubblico. L’irrigidimento del Patto di Stabilità
Interno senza distinzione tra spese correnti e
in conto capitale (i.e. per lo sviluppo) rischia
di pregiudicare non solo, nel Sud, gli
investimenti ordinari ma anche lo stesso
co-finanziamento nazionale dei Fondi comunitari.
Esiste dunque un rischio concreto che, come
avvenuto in Grecia, gli effetti del risanamento
possano essere in parte azzerati da una spirale
di recessione che, partendo dal Sud, può
condizionare il risultato complessivo italiano.
La lettura della situazione economica del Sud ci
aiuta a capire i rischi di un impianto di
politica economica che non riesce a tenere
insieme, in un quadro di equità, l’obiettivo di
riduzione del deficit con quello di rilanciare
la crescita.
Tabella: Impatto manovre per aree regionali
1. Si ricorda che, nel 2010, il rapporto
defcit/pil si è attestato al 4,6%. In valore
assoluto, l’indebitamento netto è risultato pari
a circa 71 mld. di euro.
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