di Emilio Barucci
In questo periodo stanno succedendo
cose strane. L’euro è sull’orlo del baratro, il governo
e il Parlamento sono ai minimi termini quanto a
credibilità e capacità di agire, confindustria si scopre
movimentista: invoca le dimissioni del governo (di
centrodestra) e proclama di voler ‘‘salvare il paese’’.
Bene, di fronte al disastro, una presa di coscienza da
parte della classe imprenditoriale rappresenta
sicuramente un fatto positivo.
Gli industriali sostengono che
‘‘l’Italia non è un paese in liquidazione’’. In effetti
è vero, ha ancora una struttura industriale forte che a
livello europeo si colloca solo dietro la Germania per
capacità di esportare. Si tratta di un’anima operosa
fatta di piccole imprese ma anche di qualche migliaio di
medie-grandi imprese che hanno pienamente accettato la
sfida della concorrenza internazionale. Se la classe
imprenditoriale italiana intende essere parte attiva di
un’operazione salvataggio deve però anche assumersi le
proprie responsabilità per come sono andate le cose. Tre
sono le questioni cui deve rispondere.
In primo luogo non si può invocare
l’intervento della politica a piacimento secondo il
motto ‘‘poco Stato se le cose vanno bene, intervento
dello Stato se le cose vanno male con una
socializzazione delle perdite’’. Per capirsi, non si può
invocare un processo di liberalizzazioni e di
privatizzazioni per poi chiedere l’intervento pubblico
nelle infrastrutture (senza metterci un euro) e per
garantire il credito in situazioni di difficoltà
(andando ben aldilà dei meriti del privato). Occorre
uscire dagli equivoci e riprogettare istituzioni di
governo dell’economia coerenti, e non aggiustarsele a
piacimento.
In secondo luogo, le forze
imprenditoriali si sono fatte suggestionare a lungo dal
progetto politico delle forze di centrodestra che si è
contraddistinto per una totale inazione sul fronte dello
sviluppo del paese, deregolamentazione selvaggia,
crescita della diseguaglianza e distruzione delle
istituzioni. Solo ora ci si rende conto che questo
progetto politico ha massacrato il paese? Confindustria
sembra oramai cosciente dell’errore di valutazione, ha
addirittura aperto sulla patrimoniale, aspettiamo
proposte concrete anche sulla lotta all’evasione e sulle
politiche dei redditi.
In terzo luogo occorre che le forze
vive del paese – come gli imprenditori - facciano la
loro parte. Gli imprenditori devono tornare a fare il
loro mestiere, cioè investire, rischiare in proprio
cercando di agganciare la parte più dinamica della
domanda dei mercati internazionali. Per fare questo
occorrono soprattutto investimenti che siano in grado di
rilanciare la produttività dell’economia. Negli ultimi
venti anni –come documentato ampiamente su questa
rivista - questo non è successo, la quota degli
investimenti delle imprese è diminuita stabilmente, i
profitti non reinvestiti sono cresciuti, l’indebitamento
è cresciuto, le imprese hanno rincorso la rendita (nei
servizi) o hanno risposto alla concorrenza dei paesi
emergenti sfruttando il basso costo del lavoro. Una
strategia miope che ha fatto sì che il manifatturiero
vitale si stia contraendo a vista d’occhio.
Insomma, la campanella è suonata
per tutti. E’ finito il tempo in cui si diceva che
andava tutto bene perché abbiamo tanti telefonini e che
bastava tagliare il carico fiscale e deregolamentare il
mercato del lavoro per rilanciare l’economia, occorre
che ognuno torni a fare il proprio mestiere all’interno
di un quadro di regole certe e coerenti. Se così stanno
le cose, solo assumendosi le proprie responsabilità sul
recente passato, le forze imprenditoriali potranno
essere credibili uscendo dalla vana retorica sulla
strategia per la crescita di cui francamente non se ne
può più. |