Asprone Maurizio, Aiello Francesca
Numerose sono le difficoltà
interpretative che si possono ravvisare sia in dottrina
che in giurisprudenza in ordine alla problematica della
delegabiltà degli obblighi in materia di sicurezza sul
lavoro. Questo complicato quadro interpretativo uederiva
dal fatto che non vi era nella legislazione in materia
di sicurezza sul lavoro alcun riferimento che almeno
indirettamente potesse far ritenere consentita la
delega. Nemmeno nel testo originario del D.lgs. n. 626
del 1994 era rinvenibile una norma di questo tipo. Anzi
il fatto che a differenza di precedenti produzioni
legislative non fossero previste contravvenzioni aventi
per soggetti attivi congiuntamente il datore di lavoro e
il dirigente aveva indotto qualcuno a ritener che non
fosse consentito la delega
Nel testo originario del D.lgs. n.
626 del 1994 risultava una scelta del legislatore
diversa da quella precedente. Infatti, mentre in passato
erano configurabili degli obblighi sia a carico del
datore di lavoro che a carico del dirigente, nel testo
originario erano previsti obblighi solo a carico del
datore, senza attuare quella ripartizione
intersoggettiva della responsabilità in materia di
sicurezza.
Quindi, fino al 1996 vi era una
situazione ambigua che, però, venne meno con
l’intervento del D.lgs. n. 242 del 1996, il quale
apportò due modifiche sostanziali.
La prima riguardava l’articolo 1,
co. 4 ter del D.lgs. n. 626 del 1994, che aveva aperto
la strada alla possibilità di riconoscimento di
efficacia della delega: ossia la norma, prevedendo la
non delegabilità di determinati obblighi, aveva
comportato il riconoscimento implicito della rilevanza
della delega per gli obblighi non rientranti fra quelli
non delegabili. Tuttavia il discorso delle delegabilità
restava attagliato al testo dell’articolo che riguardava
esclusivamente gli obblighi previsti dal D.lgs. n. 626
del 1994. Per gli altri obblighi previsti dalle
produzioni legislative precedenti, ritenere consentita
la delega di questi obblighi avrebbe consentito il
trasferimento della responsabilità del delegato.
L’altra modifica riguardava l’art.
2, co. 1 lett. b), con cui si era introdotta una
definizione di datore di lavoro che lasciava anch’essa
lo spazio all’ammissibilità della delega. Infatti, da un
lato, conteneva l’identificazione del responsabile in
colui che era titolare del rapporto di lavoro,
dall’altro, l’espressione “comunque” lasciava intendere
che il datore fosse anche colui che era stato incaricato
ad avere la responsabilità dell’impresa secondo il tipo
e l’organizzazione.
Questo tipo di definizione del
datore era quindi riferibile al soggetto a cui, in base
all’organizzazione dell’impresa, si potesse delegare
l’adempimento di obblighi penalmente rilevanti, gravanti
sul datore di lavoro, e la relativa responsabilità.
Dopo questi interventi normativi
l’ammissibilità della delega era divenuta
incontestabile.
Tuttavia restava un problema di
notevole importanza, ossia quello dell’individuazione
dei requisiti formali e sostanziali della delega.
Detto con altre parole, il quesito
che ancora si poneva era quello di stabilire quando la
delega fosse in grado di trasferire la responsabilità in
capo al delegato e liberare da tale responsabilità il
delegante. Il problema è stato formalmente risolto con
il D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (cd. Testo Unico sulla
sicurezza del lavoro.) Infatti, l’art. 16 del predetto
decreto disciplina la delega di funzioni.
L’articolo, nel suo testo
originario, ha previsto al primo e al secondo comma le
condizioni e i limiti di efficacia della delega1.
La prima condizione richiede che la
delega risulti da atto scritto con data certa2 Si tratta
di un limite formale di notevole importanza. Infatti,
non solo impone la consacrazione del trasferimento delle
responsabilità in uno scritto, ma soprattutto richiede
la data certa. Quest’ultimo requisito della delega è
fondamentale per evitare manovre volte a trasferire su
un capro espiatorio la responsabilità del datore di
lavoro. Infatti, in linea teorica (ma anche pratica), il
datore avrebbe potuto predisporre una delega senza data
da esibire, nel caso di infortunio o ispezione,
successivamente a quei fatti, in modo tale da elidere le
proprie responsabilità trasferendole ad un soggetto al
quale in realtà non erano mai state trasferite.
Questo requisito si coniuga
perfettamente con il disposto del secondo comma
dell’art. 16 che richiede l’adeguata e tempestiva
pubblicità della delega3.
È ovvio che, nel momento in cui
viene data tempestiva pubblicità, venga delimitato il
momento della sua concessione, evitando, quindi, le
manovre poc’anzi indicate.
Occorre, però, sottolineare come la
norma non dica quali siano le modalità per dare certezza
alla data della delega, demandando, quindi, questo
aspetto alla scelta di chi conferisce la delega stessa.
La via maestra è ravvisabile nell’atto notarile, atteso
il valore fide facente che tale atto ha, ma possono
esservi altri sistemi per avere data certa, come quello
dell’invio di un piego raccomandato, per il quale la
data è certa basandosi sulla timbro postale, oppure del
ricorso agli atti notori certificati dal comune o
dall’autorità giudiziaria. E invece non vale a conferire
certezza alla data il ricorso a testimoni, in quanto il
tenore della lett. a) è chiaro sul punto, visto che la
data certa deve risultare sull’atto. Quindi il limite
massimo riconducibile è che la data possa risultare sul
retro del foglio nel quale è consacrato l’atto, come
nell’esempio poc’anzi fatto del piego, ma non certo
ricorrendo a prove non risultanti dall’atto stesso.
Il testo della lett. a) non indica
esplicitamente l’accettazione della delega stessa.
Tuttavia, la natura della delega, atteso il
trasferimento di responsabilità che comporta, richiede
necessariamente l’accettazione da parte del delegato
affinché tale trasferimento possa validamente avvenire.
Ne consegue che l’atto di volontà del delegante deve
essere contestualmente accettato dal delegato perché il
meccanismo di trasferimento delle responsabilità operi
pienamente. È chiaro che con l’accettazione espressa
della delega il delegato dimostra piena consapevolezza
in ordine al trasferimento a suo carico della
responsabilità del delegante.
L’art. 16 alle lettere b), c), d)
contiene requisiti di carattere sostanziale che
costituiscono, in pratica, la consacrazione dei
requisiti individuati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza per la validità della delega.
La lett. b) si incentra sui
“requisiti di professionalità ed esperienza richiesti
dalla specifica natura delle funzioni delegate”. Appare
evidente l’importanza di tale condizione alla luce della
fin troppa ovvia considerazione che se il soggetto è
privo di professionalità non è in grado di svolgere
pienamente le funzioni delegate.
Nell’analisi di questa condizione
richiesta dall’art. 164, occorre distinguere il
requisito di professionalità da quello dell’esperienza,
perché, se è pur vero che la professionalità si accresce
per via dell’esperienza, è altresì vero che potrebbe
essere il primo requisito interpretato nel senso di
“preparazione professionale”. In questo modo il
requisito sarebbe ravvisabile, ad esempio, in un
brillante neo laureato in materia strettamente attinente
alla funzione delegata, che, però, non ha esperienza. Al
contrario, se si fosse preso in considerazione solo il
requisito dell’esperienza, sarebbe stato possibile una
delega ad un soggetto privo di titolo di studio idoneo
ma dotato di grande esperienza nel settore interessato.
La combinazione dei due requisiti nella lett. b)
impedisce che si giunga a situazioni del genere, in
quanto richiede che il soggetto debba avere non solo una
preparazione professionale derivante dagli studi ma
anche l’esperienza derivante dallo svolgimento
dell’attività lavorativa. Questo abbinamento costituisce
una garanzia in ordine al proficuo adempimento dei
compiti delegati.
Ovviamente non basta che il
delegato sia dotato di professionalità ed esperienza
perché occorre, come prevede la lett. c), che abbia
“tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo
richiesti dalla specifica natura delle funzioni
delegate”5. È evidente che un soggetto, pur di alta
professionalità ed esperienza, non dotato di tali poteri
non risulti in grado di adempiere gli obblighi
trasferiti.
Si tratta di obblighi l’adempimento
dei quali è consentito solo qualora l’organizzazione
aziendale sia strutturata in maniera tale da poterli
adempiere sia sotto il profilo professionale che sotto
il profilo del controllo.
Nel concetto di potere di gestione
potrebbe rientrare il potere di spesa, ossia la
possibilità di impiegare somme al fine di affrontare gli
oneri economici che l’adempimento dell’obbligo importa.
L’espressione contenuta nella lett.
c) potrebbe risultare sufficiente per ritenere compreso
nel concetto di potere di gestione il potere di spesa
necessario per acquistare i dispositivi di protezione
individuale.
Per non incorrere in ulteriori
equivoci il legislatore, alla lett. d), ha previsto
espressamente il requisito dell’attribuzione al delegato
della “autonomia di spesa necessaria allo svolgimento
delle funzioni delegate”. In questo modo risulta
evidente che se il delegato non ha il potere di spesa
che gli permetta di adempiere le funzioni oggetto di
delega, la delega non ha efficacia sotto nessun profilo,
tanto meno quello penale.
In conclusione, questi sono
espressamente i requisiti per l’efficacia della delega,
ossia i requisiti che consentono alla delega di
trasferire la responsabilità penale dal delegante al
delegato. Quindi da questo meccanismo risulta evidente
il trasferimento degli obblighi di impedire l’evento di
cui all’art. 40, co. 2, c.p.
Questa realtà normativa deve essere
valutata anche alla luce del terzo comma dell’art. 16,
che prevede un obbligo di vigilanza per il datore “in
ordine al corretto espletamento da parte del delegato
delle funzioni trasferite”. Appare quindi evidente,
anche dal punto di vista dell’art. 16, la differenza tra
gli obblighi di garanzia e di vigilanza, in ordine alla
quale qualcuno in passato ha fatto confusione. Quindi il
datore deve controllare il corretto adempimento, anche
se l’obbligo di garanzia è in capo al delegato.
L’ultima parte del terzo comma
consente tale vigilanza anche attraverso i sistemi di
verifica e controllo di cui all’art. 30, co. 4 del T.U.
Questo comma, con riferimento al modello di
organizzazione dell’azienda (che abbia efficacia
esimente di responsabilità amministrativa), deve
prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione
del modello stesso e “sul mantenimento nel tempo delle
condizioni di idoneità delle misure adottate”.
Quindi, appare chiaro che la delega
non ha efficacia liberatoria totale ma lascia in capo al
datore un obbligo di vigilanza. Si tratta di una scelta
logica per impedire che il ricorso alla delega abbia un
carattere del tutto deresponsabilizzante a favore del
datore.
Quindi un passo in avanti
considerevole era stato fatto. Permaneva però un dubbio,
inerente all’ambito dei soggetti che potevano delegare.
Il testo originario dell’art. 16,
co. 1 consentiva la delega di funzioni solo “da parte
del datore”. Questa previsione portava ad escludere
validità a deleghe poste in essere dal delegato, al fine
di rispettare il principio di legalità, e, quindi, al
fine di non consentire il sorgere di responsabilità
penale al di fuori dei casi tassativamente indicati dal
legislatore.
Per risolvere il problema il
recente D.lgs. 3 agosto 2009 n. 106 ha aggiunto all’art.
16 il comma 3 bis. Tale comma consente al delegato la
possibilità di delegare “specifiche funzioni in materia
di salute e di sicurezza sul lavoro”. Naturalmente anche
in questo caso sono previste delle condizioni.
Innanzitutto è prevista la previa
intesa con il datore di lavoro, ossia il delegante deve,
prima di concedere la delega, ottenere l’assenso del
datore di lavoro. Si tratta di una norma logica in
quanto il titolare dell’obbligo trasferito è all’origine
il delegante, il quale ha incaricato, per l’appunto, il
delegato di adempiere a quell’obbligo. Nel caso in cui
il delegato voglia a sua volta delegare, deve
necessariamente rivolgersi a colui che gli ha conferito
la delega.
Ulteriori condizioni sono quelle
indicate nei commi 1 e 2 dell’art. 16, richiamate dal
comma 3 bis. Infatti, appare evidente che anche la
delega da parte del delegato debba necessariamente
essere caratterizzata da tutti i requisiti necessari per
la validità della delega conferita dal datore di lavoro.
In caso contrario si potrebbe vanificare la volontà del
legislatore di impedire il ricorso a capri espiatori. Si
pensi a come, in assenza di una norma come quella in
esame, il datore di lavoro potrebbe, d’accordo con il
delegato, “scaricare” su un terzo del tutto privo dei
requisiti in questione l’adempimento dell’obbligo,
vanificando lo scopo della previsione dei primi due
commi del’art. 16.
Similmente al terzo comma dell’art.
16, la seconda parte del comma 3 bis prevede in capo al
delegante un obbligo di vigilanza in ordine al corretto
espletamento delle funzioni trasferite, in perfetta
sintonia con quanto stabilito nel comma 3 con
riferimento al datore di lavoro.
Infine, l’ultimo periodo del comma
3 bis, ad ulteriore delimitazione della possibilità in
questione, vieta al soggetto che ha ricevuto dal
delegato (dal datore di lavoro) la delega la possibilità
a sua volta di delegare le funzioni delegate. Lo scopo
della norma è evidente. Si tratta di impedire
stratagemmi che, a mo’ di scatole cinesi, facciano
perdere di vista, con una serie di subdeleghe, chi sia
l’effettivo responsabile. In questo modo, quindi, si
pone un limite chiaro al fine di evitare il fenomeno ora
indicato.
Restano altri problemi inerenti
all’ambito applicativo della norma. Si tratta di
stabilire con precisione a quali obblighi si riferisca
l’art. 16.
Il problema è reso particolarmente
delicato dal fatto che il primo comma dell’articolo in
esame non fornisce alcuna indicazione in ordine agli
obblighi delegabili. Infatti, il tenore letterale
dell’articolo 16 non fornisce appigli per risolvere la
questione in quanto si riferisce genericamente alla
“delega di funzioni da parte del datore di lavoro”.
A causa di questa genericità, varie
possono essere le soluzioni proponibili: la possibilità
di delega di qualsiasi obbligo penalmente sanzionato; la
possibilità di delega esclusivamente degli obblighi in
materia di sicurezza sul lavoro; la possibilità di
delega solo degli obblighi in materia di sicurezza sul
lavoro previsti dal D.lgs. n. 81 del 2008.
La prima soluzione potrebbe trovare
un appiglio nel trovare una qualsiasi norma del sistema
penale che consenta la delega. E’ chiaro che, se anche
in mancanza di una norma come l’art. 16 veniva ritenuta
possibile la delega, a maggior ragione, dal punto di
vista sistematico, la norma contenuta nell’art. 16
risulterebbe applicabile anche agli altri obblighi, per
esempio tributari. Si tratta quindi di un’impostazione
sostenibile ma che, dal punto di vista logico e
sistematico, è contrastata dalla precisa collocazione
normativa dell’art. 16, facente per l’appunto parte del
cd. T.U. in materia di sicurezza sul lavoro. Si tratta
quindi di un’interpretazione che fin dei conti
dilaterebbe l’efficacia della delega a settori non
previsti dal legislatore, con il rischio di ledere il
principio di legalità.
Un’altra interpretazione
dell’ambito applicativo dell’art. 16 può individuare il
novero degli obblighi delegabili a tutti gli obblighi in
materia di sicurezza sul lavoro. Si tratta di
un’impostazione che non denota i problemi di quella
precedente e tiene conto del fatto che nel cd. T.U. non
tutti gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro
sono contemplati.
A questa interpretazione non osta,
come si è detto, il tenore dell’art. 16, che non ricorre
a locuzioni in precedenza spesso usate, del tipo “agli
effetti del presente decreto”. Quindi potrebbe essere
ritenuto applicabile anche agli obblighi non contemplati
nello stesso decreto. Tuttavia è un’interpretazione che
porta con sé il rischio di consentire la delega in
ordine a obblighi non sicuramente riferibili alla
sicurezza sul lavoro.
Infatti, non è escluso che vi possa
essere incertezza in ordine a determinati obblighi,
incertezza, cioè, sul fatto che si riferiscano alla
sicurezza o in più in generale alla pubblica incolumità.
Si pensi ad esempio alle norme di sicurezza delle
centrali nucleari, che attualmente nel nostro Paese non
sono operanti ma lo potrebbero essere in breve.
Questo lascia intendere come non
sia facile discernere le due materie e catalogare i vari
obblighi e come sia necessario un vaglio attento del
singolo obbligo non contenuto nel decreto del 2008.
Se da tale analisi risulta che
almeno in parte l’obbligo concerne la sicurezza sul
lavoro, lo si potrà ritenere delegabile, anche se non si
può nascondere il fatto che il vaglio ultimo spetterà
sempre all’autorità giudiziaria.
Questa considerazione anticipa il
giudizio sulla terza ipotesi interpretativa che vede
limitata l’efficacia dell’art. 16 agli obblighi previsti
nel D.lgs. n. 81 del 2008.
L’assenza di una locuzione simile a
quella contenuta nel D.lgs. n. 626 del 1994, “ai fini
del presente decreto”, appare significativa perché
lascia intendere che la volontà del legislatore sia
quella di ritenere che la norma contenuta nel T.U. valga
per tutte le produzioni normative in materia, quindi
anche per quelle non contenute nel predetto decreto.
Di conseguenza, la tesi che appare
preferibile è quella contemplata nella lettera b) perché
permette un approccio equilibrato, né estensivo, né
irragionevolmente riduttivo.
È ovvio, infatti, che se si negasse
la possibilità di delega di obblighi non contemplati nel
T.U., non si terrebbe in alcun modo conto delle
impellenti esigenze che, già in assenza di una normativa
sul punto, avevano spinto dottrina e giurisprudenza a
ritenere ammissibile la delega e questa considerazione
consente di non ritenere valida l’interpretazione di cui
al n. 3).
1 I criteri di validità attengono
all’effetto costitutivo di responsabilità per il
delegato. Più precisamente tali requisiti avrebbero la
funzione di ricomprendere soggetti originariamente non
qualificati all’interno della struttura dei cd. reati
propri. La delega, in questi termini, verrebbe a
costituire un elemento della fattispecie penale.
2 Con riferimento al requisito ad
substantiam nell’ultimo decennio solo pochissime
sentenze hanno affermato la necessità della forma
scritta. Non sono invece imputabili a questo
orientamento quelle sentenze che hanno dedotto la forma
scritta della delega esclusivamente in relazione alla
natura degli atti da compiere: qualora cioè il delegato
sia chiamato a stipulare contratti scritti (Cass.pen. 30
novembre 1998, in DPL, 1998, 3331) o quando il delegato
debba operare sulla base di un’autorizzazione (come
quella prevista per lo stoccaggio provvisorio e lo
smaltimento di rifiuti tossici e nocivi) rilasciata da
una PA (Cass.pen. 30 settembre 1998, in Riv.Pen. 1999,
484). In tal senso anche: Cass.pen. 6 giugno 2007 n.
32014; Cass.pen. 13 marzo 2003 n. 22931.
3 Pur formalmente non inserita
nelle condizioni di ammissibilità, il mancato rispetto
di tale disposizione sembra dover determinare
l’ineffettività dell’atto di delega. D’accordo sul punto
la giurisprudenza in Cass. pen. 17 maggio 2000, n. 425.
La norma non specifica le modalità di pubblicità, anche
se sembra costituire modalità sufficiente la mera
affissione dell’atto di delega nei locali dell’azienda.
4 Il legislatore non sembra
chiarire del tutto se il criterio della professionalità
si riferisca alle attività delegate in quanto tali o più
semplicemente al loro profilo organizzativo. Sul punto
nemmeno la giurisprudenza ha un orientamento univoco. A
fronte di sentenze in cui si parla espressamente di
idoneità tecnica del delegato (cfr. in particolare Cass.
pen. 9 gennaio 2002 n.478, in MFI, 2005) ve ne sono
altre in cui sembra desumersi elusivamente un idoneità
organizzativa (cfr. in particolare Cass. pen. 3 agosto
2000, n. 8979). Da sottolineare che la diversa
qualificazione del requisito di idoneità sembra anche
incidere sul momento in cui effettuare la valutazione.
Ex post in caso di idoneità organizzativa, ex ante in
caso di idoneità tecnica (cfr. Cass. pen. 26 maggio 2004
n. 28126;). Inoltre sul punto D’ANGELO, Sui compiti
delegabili, quali condizioni e limiti per l’esonero
della colpa? in Ambiente e sicurezza, 2008, n. 3: “non
sembra esserci alcuna ragione per esigere che il
delegato abbia una competenza specialistica differente e
superiore rispetto a quella che il legislatore
presuppone in capo al comune datore laddove, nel
disciplinare l’attività d’impresa, pone delle norme di
comportamento penalmente sanzionati”.
5 Sul punto parte della
giurisprudenza (cfr. in particolare Cass. pen. 12
ottobre 2005 n. 44650) ha affermato ancora più
rigorosamente la necessaria sussistenza in capo al
delegato di un potere di supremazia e di direzione
nell’organizzazione del lavoro, da cui la indelegabilità
a soggetti in funzione sussidiaria, quali i preposti, di
quei compiti affidati dalla legge di dirigenti o
all’imprenditore. Tale opinione, anche in considerazione
del nuovo riferimento normativo, non è tuttavia
pienamente condiviso da RUSSO, La delega di funzioni e
gli obblighi del datore di lavoro non delegabili in
Testo Unico della salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro, TIRABOSCHI, Torino, 2007, 220. Il principio di
effettività non sembra infatti escludere, almeno in
astratto, che un soggetto non ai vertici della linea
gerarchica possa ottenere, nello specifico ambito di
azione, quell’autonomia gestionale e di spesa tale da
convalidare il modello organizzativo risultante dal
sistema delle deleghe. La questione dovrebbe risolversi
sulla base dell’analisi del caso concreto in relazione
cioè agli specifici compiti assegnati e, in negativo, al
loro eventuale imprescindibile collegamento con il ruolo
dirigenziale. |