Autore: Daniele Minussi
Elenco dei capitoli
Note
Nel nostro Paese la rilevanza del
fenomeno delle edificazioni abusive ha imposto al
legislatore una speciale attenzione per risolvere un
duplice problema. Da un lato quello di scoraggiare
l'attività abusiva di edificazione, sanzionando gli
speculatori, dall'altro di come eventualmente pervenire
ad un recupero, ove possibile, di quanto edificato,
cogliendo quantomeno l'opportunità per le casse
pubbliche di giovarsi di entrate straordinarie.
Una prima risposta alle predette
questioni venne tentata con l'emanazione della Legge 28
febbraio 1985, n. 47 , entrata in vigore il successivo
17 marzo.
La nuova normativa conobbe una
nutrita serie di modificazioni (cfr. in tal senso il
D.L. 23 aprile 1985, n. 146 (convertito nella Legge 21
giugno 1985, n. 298 ) e il D.L. 20 novembre 1985, n. 656
(convertito nella Legge 24 dicembre 1985, n. 780).
Anche il Governo emanò in materia
ulteriori innovazioni attraverso il ricorso alla
decretazione di urgenza: si pensi ai D.L. 28 marzo 1986,
n. 76; D.L. 30 settembre 1986, n. 605; D.L. 9 dicembre
1986, n. 823; D.L. 9 marzo 1987, n. 71; D.L. 8 maggio
1987, n. 178; D.L. 9 luglio 1987, n. 264; D.L. 4
settembre 1987, n. 367; D.L. 7 novembre 1987, n. 458
tutti non convertiti in legge da parte del Parlamento.
E' importante sottolineare
l'intervento della Giudice delle leggi (Corte Cost.,
302/88 ) che si pronunziò nel senso dell'illegittimità
del reiterato ricorso allo strumento del decreto legge,
il che indusse in qualche misura le Camere ad approvare
la Legge 13 marzo 1988, n. 68 per il cui tramite venne
convertito, sia pure con modifiche, il D.L. 12 gennaio
1988, n. 2.
Punti qualificanti della disciplina
della legge del 1985 (avente ad oggetto, tra le altre
cose, la disciplina le procedure di sanatoria delle
opere abusivamente realizzate fino al giorno 1 ottobre
1983), possono essere considerati la precisazione circa
l'attività di vigilanza sull'edificazione; la
predisposizione di un sistema sanzionatorio rigoroso in
relazione agli illeciti, con la previsione di una
generale possibilità di una sanatoria per gli abusi
meramente formali; l'introduzione di procedure
semplificate per la formazione di strumenti urbanistici
(con particolare riferimento alle opere interne agli
edifici, non più soggette nè a concessione nè ad
autorizzazione). Venne inoltre previsto il rilascio da
parte del Comune del certificato di destinazione
urbanistica attestante la situazione giuridica
urbanistica dei suoli, con specifico riferimento alle
prescrizioni relative all'attitudine edificatoria dei
medesimi.
Per quanto attiene all' impatto
della nuova normativa sull' attività negoziale, occorre
rammentare i seguenti aspetti:
previsione della nullità per
gli atti di trasferimento a titolo oneroso della
proprietà e di altri diritti reali (ad eccezione
dell'atto costitutivo di servitù) relativi a terreni
privi di allegazione del certificato di destinazione
urbanistica;
previsione della nullità degli
atti trasferimento a titolo oneroso della proprietà e di
altri diritti reali relativi a fabbricati non contenenti
le menzioni relative alla disciplina urbanistica.
Successivamente la Legge 8 giugno 1990, n. 142 (ora
abrogata dal D. Lgs. 267/00 ), mediante la quale sono
stati introdotti nuovi principi dell'ordinamento dei
Comuni e delle Province, venne a porre importanti novità
concernenti le competenze degli enti locali in materia
di gestione del territorio e di urbanistica. Tra esse
vanno ricordate l'introduzione del piano territoriale di
coordinamento di competenza della Provincia,
l'individuazione della città metropolitana quale nuovo
organo di governo delle aree urbane (cui sono tra
l'altro attribuite le competenze dell'accordo di
programmazione quale istituto, con precise possibilità
di incidenza sugli strumenti urbanistici, per la
realizzazione di interventi che richiedono l'azione
integrata di una pluralità di soggetti pubblici).
Nel frattempo la disciplina
temporanea delle ipotesi di formazione di
silenzio-assenso per le concessioni edilizie che, come
abbiamo visto, venne introdotto dalla Legge 94/82 fino
al 31 dicembre 1984, venne successivamente prorogata,
per il tramite di reiterati interventi fino alla data
del 31 dicembre 1991.
Da ultimo, con la legge 17 febbraio
1992, n. 179 venne addirittura disposta l'eliminazione
di ogni termine.La Legge 4 dicembre 1993, n. 493 stabilì
un procedimento più macchinoso. Quando l'Amministrazione
fosse rimasta silente a fronte delle richieste del
cittadino, si sarebbe attivato un controllo sostitutivo
da parte della regione. Ad esso avrebbe potuto fare
seguito la nomina di un commissario ad acta presso il
Comune inadempiente, commissario che avrebbe
successivamente dovuto provvedere all'emanazione
dell'atto. Lo strumento normativo certamente ebbe ad
appesantire la procedura. Ecco allora che il legislatore
venne, con singolare pendolarismo, a reintrodurre
nuovamente per il tramite del D.L. 26 luglio 1994, n.
468 la procedura del silenzio-assenso.Successivamente,
con il D.L. 27 marzo 1995, n. 88 , la disciplina ha
conosciuto l'ennesima inversione di rotta, con il
ritorno ad un sistema simile a quello già disciplinato
nella Legge 493/93 . Questa impostazione venne ribadita
dalla Legge 23 dicembre 1996, n. 662 .
Attraverso la decretazione di
urgenza succedutasi a decorrere dal D.L. 468/94 erano
state apportate significative innovazioni al regime
delle trasformazioni edilizie ed urbanistiche del
territorio fra le quali vanno ricordate:
l'inserimento della mancata
adozione degli strumenti urbanistici generali fra le
cause di scioglimento dei Consigli comunali previste
dall'art. 39 della Legge 142/90 (ora abrogata dal D.
Lgs. 267/00 ) e attualmente dall'art.141 D. Lgs. 267/00;
la previsione dell'approvazione
tacita degli strumenti urbanistici generali, da parte
della Regione (o degli enti da essa delegati), per
l'infruttuoso decorso del termine fissato dalla legge
per l'approvazione esplicita;
la soppressione del regime
autorizzatorio per gli interventi edilizi e la
sottoposizione di una serie di essi alla c.d. DIA, vale
a dire la denuncia di inizio dell'attività (prevista
dall'art.19 della Legge 241/90 ) accompagnata da una
relazione tecnica di asseverazione di un professionista
abilitato. Con la L.122/10, in sede di conversione del
D.L. 78/10 la disciplina della DIA è stata
rivoluzionata. Al posto della stessa è stata introdotta
la c.d. SCIA (cioè la "Segnalazione di inizio di
attività"). Essa sostituisce ogni autorizzazione il cui
rilascio dipenda esclusivamente da accertamento di
requisiti di carattere tecnico. La SCIA non puà essere
utilizzata in presenza di vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali.
Tuttavia la Corte Costituzionale
con la sentenza 360/96 affermò nettamente
l'incompatibilità rispetto all'art. 77 della Cost. della
prassi consistente nella costante reiterazione dei
decreti-legge.Il Giudice delle Leggi pertanto escluse
che in caso di mancata conversione il Governo potesse
riprodurre, con un nuovo decreto, il contenuto normativo
dell'intero testo o di singole disposizioni del decreto
non convertito, nei casi in cui il nuovo provvedimento
non risultasse fondato su autonomi (e pur sempre
straordinari) motivi di necessità ed urgenza, motivi
che, in ogni caso, non avrebbero potuto essere
ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla
mancata conversione del precedente decreto.Qualsiasi
ulteriore intervento normativo del governo, quindi, non
avrebbe potuto porsi in un rapporto di continuità
sostanziale con il decreto non convertito, dovendo
risultare caratterizzato da contenuti sostanzialmente
diversi, ovvero da nuovi presupposti giustificativi di
natura straordinaria. Decaduto così il D.L. 24 settembre
1996, n. 495 , la Legge 23 dicembre 1996, n. 662 ,
collegata alla finanziaria per il 1997, oltre a
specificare ulteriormente la disciplina del condono
delle costruzioni abusive, ha costituito l'occasione per
ribadire le norme procedurali già poste in materia di
rilascio della concessione edilizia e per modificare il
procedimento di denuncia dell'inizio di attività, che
non sostituisce più il regime autorizzatorio, piuttosto
affiancandosi a questo.
Sono stati espressamente fatti
salvi gli effetti delle precedenti disposizioni.
Nell'elaborare il c.d. "nuovo
condono edilizio", introdotto inizialmente con il D.L.
26 luglio 1994, n. 468 , quantomeno il legislatore
mostrò di tener conto dell'esperienza già fatta nel
1985, ponendo quale condizione per la regolarizzazione
dell'immobile da sanare, non solo le somme a titolo di
oblazione, bensì anche la corresponsione degli oneri
concessori.Il D.L. 468/94 , per la parte riguardante il
condono, venne inizialmente reiterato con i DD.LL.
551/94 e 649/94. In seguito la relativa normativa fu
trasfusa nell'art. 39 della Legge 23 dicembre 1994, n.
724 (Corte Cost., 416/95 ) nota1. Alcuni aspetti hanno
rinvenuto la loro disciplina in successivi provvedimenti
normativi (cfr. DD.LL. 24/95,88/95,193/95,310/95,400/95,
498/95,30/96,154/96,285/96,388/96,495/96) e nell'art. 2
commi 37-59, della Legge 23 dicembre 1996, n. 662 .
Per le linee guida dell'intervento
è stata presa a riferimento la disciplina già contenuta
nei capi IV e V della Legge 47/85 , in relazione alla
quale sono state comunque apportate rilevanti modifiche.
La sanabilità è riferita:
alle opere ultimate ovvero
sospese in forza di un provvedimento amministrativo o
giudiziale entro il 31 dicembre 1993;
alle opere aventi dimensioni
non eccedenti una volumetria pari a 750 metri cubi
(ovvero ad ampliamenti di misura non superiore a 750
metri cubi o al 30% dell'opera legittima ampliata);
ai casi in cui la presentazione
della domanda di sanatoria venga fatta entro il termine
del 31 marzo 1995. Occorre rilevare, in relazione al
punto 2 che precede che, in concreto, sono suscettibili
di essere sanati anche edifici di notevoli dimensioni
per il tramite della presentazione di più domande
provenienti da soggetti diversi, ciascuno per quanto
attiene alla parte di immobile di spettanza.
La legge prevede il perfezionamento
di una fattispecie di silenzio assenso, in base alla
quale la sanatoria si perfeziona (sempre che l'oblazione
dovuta sia determinata correttamente e ne sia stato
corrisposto integralmente l'importo unitamente a quello
concernente il contributo concessorio) con il decorso
del termine di un anno, elevato a due anni per i Comuni
con popolazione superiore a 500.000 abitanti. Tale
termine decorre dal 1° gennaio 1997.
La disciplina del nuovo condono è
stata comunque posta in correlazione a quella
concernente i particolari vincoli che possono sussistere
relativamente alla tutela paesaggistica, idrogeologica,
dei parchi naturali . Nelle zone soggette a tali vincoli
non vige il principio del silenzio-assenso, dovendo
piuttosto applicarsi l'opposta regola del
silenzio-rifiuto ogniqualvolta l'autorità preposta alla
tutela del vincolo sia stata richiesta dell'emissione
del prescritto parere. Ciò anche in esito all'entrata in
vigore della Legge 14 maggio 2005, n.80 (che ha
convertito con modificazioni il D.L. 14 marzo 2005 n. 35
), il cui art. 3 al comma n. 6 ter ha modificato l'art.
20 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 .
Di particolare interesse si
manifestano le conseguenze, di cui si dirà partitamente,
relative alla negoziazione delle edificazioni abusive
ovvero alla carente allegazione all'atto di
trasferimento della proprietà del bene del certificato
di destinazione urbanistica.
Note
nota1
La Corte Costituzionale con
sentenza 416/95 ha avuto occasione di precisare i limiti
di costituzionalità delle sanatorie in materia edilizia.
Essa ha avuto modo di precisare che l'art. 39 della
Legge 724/94 è legittimo poiché rappresenta una risposta
"del tutto eccezionale", che soddisfa "straordinarie
ragioni finanziarie e di recupero della base
impositiva", ponendo rimedio a un fenomeno diffuso reso
possibile dalla insufficiente "incisività e tempestività
dell'azione di controllo e di repressione degli Enti
locali e delle Regioni". La Corte, però, ha
parallelamente avvertito che "ben diversa sarebbe la
situazione in caso di reiterazione di una norma del
genere e soprattutto di ulteriore e persistente
spostamento dei termini temporali di riferimento del
commesso abusivismo edilizio". In tal caso ben altre
sarebbero "le valutazioni sul piano della
ragionevolezza, venendo meno il carattere eccezionale,
con le peculiari caratteristiche della singolarità e
ulteriore irripetibilità": più ancora della rinuncia a
reprimere e sanzionare i comportamenti illeciti, sarebbe
imperdonabile, infatti, la rinuncia "alla tutela del
territorio e dell'ambiente in cui vive l'uomo".
Circolare N.4/E, Decreto-legge
del 31 maggio 2010 n. 78, Commento alle novità fiscali,
primi chiarimenti
Autore: Redazione WikiJus I
OGGETTO: Decreto-legge del 31
maggio 2010 n. 78, convertito dalla legge 30 luglio
2010, n. 122. Commento alle novità fiscali -Primi
chiarimenti
PREMESSA
La presente circolare fornisce i
primi chiarimenti in ordine alle disposizioni di
carattere fiscale contenute nel decreto legge 31 maggio
2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122 (d’ora innanzi decreto) col
proposito di illustrarne il contenuto complessivo e
favorirne la corretta applicazione da parte degli
uffici.
Ulteriori problematiche
interpretative ed applicative relative a specifiche
disposizioni saranno oggetto di successivi documenti di
prassi.
1. Interventi in materia
previdenziale (articolo 12, comma 10)
L’art. 12, comma 10, D.L. n.
78/2010 prevede che con “Con effetto sulle anzianità
contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011,
per i lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche inserite nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto
nazionale di statistica (Istat) ai sensi del comma 3
dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, per i
quali il computo dei trattamenti di fine servizio,
comunque denominati, in riferimento alle predette
anzianità contributive non è già regolato in base a
quanto previsto dall’art. 2120 del codice civile in
materia di trattamento di fine rapporto, il computo dei
predetti trattamenti di fine servizio si effettua
secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del
codice civile, con applicazione dell’aliquota del 6,91
per cento”.
L’articolo in esame pertanto
prevede che, a partire dalle anzianità contributive
maturate dal 1° gennaio 2011, il computo dei trattamenti
di fine servizio del personale dipendente dalle
amministrazioni pubbliche, che non sia già sottoposto al
regime TFR, si effettui secondo le regole di cui
all’art. 2120 c.c. concernente il trattamento di fine
rapporto.
L’ambito oggettivo di applicazione
dell’art. 12, comma 10, in commento è costituito
esclusivamente dal “computo dei predetti trattamenti di
fine servizio”; le nuove regole pertanto non mutano il
trattamento fiscale delle prestazioni in esame, che
resta disciplinato dalle disposizioni contenute
nell’art. 19, comma 2 bis, del D.P.R. 22/12/1986, n.
917, concernenti la tassazione per i TFS.
2. Partecipazione dei comuni
all’attività di accertamento tributario e contributivo
(articolo 18)
Nell’ottica di rafforzamento
dell’attività di contrasto all’evasione fiscale,
l’articolo 18 del decreto modifica la disciplina
relativa alla partecipazione dei Comuni all’attività di
accertamento, attraverso un duplice intervento
sull’articolo 1 del decreto legge 30 settembre 2005, n.
203 -recante la disciplina della “Partecipazione dei
comuni al contrasto all’evasione fiscale” -e
sull’articolo 44 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 –
relativo alla “Partecipazione dei comuni
all’accertamento”.
Per espressa previsione della
disposizione in commento, una delle modalità attraverso
cui i Comuni partecipano all’attività di accertamento
consiste nella segnalazione all’Agenzia delle entrate,
alla Guardia di finanza e all’INPS degli elementi utili
ad integrare i dati contenuti nelle dichiarazioni
presentate dai contribuenti, per la determinazione di
maggiori imponibili fiscali e contributivi (comma 2).
Per agevolare tale forma di
collaborazione, per i Comuni con popolazione superiore a
cinquemila abitanti che non vi abbiano già provveduto è
stato introdotto l’obbligo di costituire il Consiglio
tributario con regolamento del Consiglio comunale ed
entro il termine di 90 giorni dall’entrata in vigore del
decreto (comma 2, lettera a)).
Diversamente, per i Comuni con
popolazione inferiore a cinquemila abitanti che non
siano già dotati del Consiglio tributario, è stato
introdotto l’obbligo di riunirsi in consorzio (da
costituire secondo le disposizioni di cui al d.lgs. 18
agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), ai fini della
successiva istituzione del Consiglio tributario (comma
2, lettera b)). La relativa convenzione, unitamente allo
statuto del consorzio, deve essere adottata dai
rispettivi Consigli comunali per l’approvazione entro il
termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del
decreto.
Con specifico riferimento alle
modifiche apportate alla disciplina prevista
dall’articolo 44 del d.P.R. n. 600 del 1973, l’articolo
18 del decreto abroga i commi quinto, sesto e settimo
dell’articolo 44, contenenti la disciplina relativa alle
“proposte di aumento” presentate dai Comuni, e il
successivo articolo 45, istitutivo della commissione per
l’esame delle proposte presentate dal Comune (comma 4,
lettere d) ed e)).
Per effetto delle modifiche
apportate dal decreto, ai sensi del novellato art. 44:
l’Agenzia delle entrate mette a
disposizione dei Comuni le dichiarazioni dei
contribuenti persone fisiche in essi residenti;
prima di emettere avvisi di
accertamento sintetico (di cui all’articolo 38, quarto
comma e seguenti del d.P.R. n. 600 del 1973) gli uffici
inviano una segnalazione ai Comuni di domicilio fiscale
dei soggetti passivi affinchè i medesimi Comuni, entro
60 giorni da quello del ricevimento della segnalazione,
comunichino ogni elemento in loro possesso utile alla
determinazione del reddito complessivo.
Il Comune di domicilio fiscale del
contribuente (o il consorzio al quale lo stesso
partecipa) è tenuto a segnalare all’ufficio fiscale
qualsiasi integrazione degli elementi contenuti nelle
predette dichiarazioni presentate dalle persone fisiche,
indicando dati, fatti ed elementi rilevanti e fornendo
ogni idonea documentazione atta a comprovarla.
Nel caso di omissione della
dichiarazione, al Comune è riconosciuta la facoltà di
segnalare dati, fatti ed elementi rilevanti, quando
siano provati da idonea documentazione.
Il decreto, inoltre, modifica in
parte l’articolo 1, comma 1, del d.l. n. 203 del 2005,
prevedendo l’innalzamento al 33 per cento dell’ammontare
della quota (originariamente pari al 30 per cento)
spettante ai Comuni che contribuiscano all’accertamento
medesimo (comma 5, lettera a)). Tale quota è
determinata, per espressa previsione, sulla base delle
maggiori somme relative a tributi statali riscosse a
titolo definitivo, nonché delle sanzioni civili
applicate sui maggiori contributi riscossi a titolo
definitivo, a seguito dell’intervento del Comune che
abbia contribuito all’accertamento stesso. I tributi su
cui calcolare tale quota, nonché le relative modalità di
attribuzione, sono individuati con decreto del Ministero
dell’economia e delle finanze, di concerto con il
Ministero del lavoro e delle politiche sociali e
d’intesa con la Conferenza Unificata, entro 30 giorni
dalla data di entrata in vigore del decreto (comma 7).
Specularmente, è previsto il
medesimo innalzamento della quota percentuale da
riconoscere ai Comuni con riferimento all’attività di
vigilanza effettuata nei confronti delle persone fisiche
che hanno chiesto l’iscrizione nell’anagrafe degli
italiani residenti all’estero a far corso dal 1° gennaio
2006, ai sensi dell’articolo 83, comma 17, del d.l. 25
giugno 2008, n. 112 (convertito, con modificazioni,
dalla l. 6 agosto 2008, n. 133) (comma 6).
Il comma 5, lettera b riformula
l’articolo 1, comma 2, del d.l. n. 203 del 2005, al fine
di richiamare la partecipazione dell’INPS e della
Conferenza Unificata (in luogo della Conferenza
Stato-città ed autonomia locali) alla individuazione
delle modalità tecniche di accesso alle banche dati e di
trasmissione delle copie delle dichiarazioni ai Comuni,
nonché per inserire il riferimento della partecipazione
dei Comuni anche all’accertamento contributivo.
È fatto salvo, comunque, il
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate
del 3 dicembre 2007, con cui sono state individuate le
“Modalità di partecipazione dei comuni all’attività di
accertamento, ai sensi dell’articolo 1 del d.l. 30
settembre 2005, n. 203 (…)”, con riferimento alle
disposizioni relative alle modalità tecniche di accesso
dei Comuni alle banche dati e alle dichiarazioni
relative ai contribuenti ai Comuni, alle modalità di
partecipazione degli stessi all’accertamento fiscale e
contributivo ed alle caratteristiche e modalità di invio
delle segnalazioni (comma 8).
Coerentemente con l’introduzione
delle nuove modalità di partecipazione e di scambio dei
dati con i Comuni per l’accertamento fiscale e
contributivo, è abrogata la previsione secondo cui il
Dipartimento delle finanze era tenuto a fornire, con
cadenza semestrale, l’elenco delle iscrizioni a ruolo
delle somme derivanti da accertamenti cui i Comuni
abbiano contribuito (comma 5, lettera c)).
Infine, vengono fissati due
rilevanti criteri di ripartizione della quota spettante
ai Comuni che abbiano contribuito all’accertamento
(comma 9).
È, infatti, previsto che gli
importi riconosciuti ai Comuni a titolo di
partecipazione all’accertamento sono calcolati al netto
delle somme spettanti all’Unione europea e ad altri
enti. Inoltre, sulle quote delle maggiori somme in
questione, che lo Stato trasferisce alle Regioni a
statuto ordinario, a quelle a statuto speciale e alle
province autonome di Trento e di Bolzano, spetta ai
predetti enti riconoscere ai Comuni le somme dovute a
titolo di partecipazione all’accertamento.
3. Aggiornamento del catasto
(articolo 19)
L’articolo 19 del decreto,
modificato dalla legge di conversione, dispone
l’attivazione dell’Anagrafe Immobiliare Integrata,
costituita e gestita dall’Agenzia del territorio, a
decorrere dalla data del 1° gennaio 2011 al fine di
contrastare l’evasione fiscale e contributiva che si
realizza nell’occultamento dell’effettiva consistenza
catastale degli immobili oggetto di imposizione.
Rinviando ai chiarimenti forniti
dall’Agenzia del territorio in merito alla nuova
disciplina con le circolari n. 3/T del 10 agosto 2010 e
n. 2/T del 9 luglio 2010, per ciò che in questa sede
rileva, l’articolo 19, comma 15, introduce uno specifico
trattamento sanzionatorio con riferimento alla mancata o
erronea indicazione dei dati catastali degli immobili
nelle richiesta di registrazione di contratti, scritti o
verbali, di locazione o affitto di beni immobili
esistenti sul territorio dello Stato e relative
cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite.
In particolare, la mancata o errata
indicazione dei dati catastali è considerata fatto
rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta di
registro ed è punita con la sanzione prevista
dall’articolo 69 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Tale disposizione -volta a colpire
l’omissione della richiesta di registrazione degli atti
e dei fatti rilevanti ai fini dell’applicazione
dell’imposta ovvero l’omessa presentazione delle denunce
degli eventi successivi alla registrazione -prevede
l’applicazione della sanzione amministrativa dal 120 al
240 per cento dell’imposta dovuta.
La nuova previsione sanzionatoria
si applica per le violazioni compiute a decorrere dal 1°
luglio 2010.
4. Comunicazioni telematiche alla
Agenzia delle Entrate (articolo 21)
Nell’ambito delle disposizioni
dirette a rafforzare gli strumenti a disposizione
dell’Amministrazione finanziaria per il contrasto e la
prevenzione dei comportamenti fraudolenti in materia di
IVA, l’articolo 21 del decreto introduce l’obbligo, a
decorrere dal 2011, di comunicazione telematica delle
operazioni rilevanti ai fini IVA, di importo pari o
superiore a 3.000 euro.
La limitazione dell’obbligo di tale
comunicazione alle sole cessioni e prestazioni di
importo unitario superiore a 3.000 euro consente di
circoscrivere gli adempimenti ad una ristretta platea
dei titolari di partita IVA, escludendo quei
contribuenti di minori dimensioni per i quali gli oneri
connessi all’adempimento dell’obbligo in questione
appaiono non proporzionati alla finalità della
disposizione.
Relativamente alle sanzioni
previste per gli inadempimenti, la norma in commento
stabilisce che l’omissione o l’incompleta trasmissione
dei dati richiesti determina l’applicazione della
sanzione amministrativa di cui all’articolo 11 del
d.lgs. n. 471 del 1997 (da un minimo di 258 euro ad un
massimo di 2.065 euro).
Al riguardo, si fa presente che con
il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle
entrate del 22 dicembre 2010 sono stati individuati i
soggetti obbligati a tale comunicazione, gli elementi e
i dati da comunicare, nonché le modalità di
effettuazione della comunicazione.
5. Aggiornamento dell’accertamento
sintetico (articolo 22)
L’articolo 22 del decreto riscrive
l’articolo 38 -commi quarto, quinto, sesto, settimo e
ottavo -del d.P.R. n. 600 del 1973 che disciplina le
modalità con cui l’Amministrazione finanziaria procede
alla determinazione sintetica del reddito in base ad
elementi e circostanze di fatto presuntivi di una
capacità reddituale netta superiore a quella
effettivamente dichiarata (cd. redditometro).
Tali modifiche tengono conto del
dichiarato obiettivo di adeguare l’accertamento basato
sulla capacità di spesa del contribuente al nuovo
contesto socio-economico, rendendolo più efficiente e
dotandolo, nel contempo, di maggiori garanzie per il
contribuente stesso.
Le modifiche in parola innovano
profondamente l’istituto dell’accertamento sintetico,
quale importante strumento di contrasto alla evasione
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, con la
conseguenza che la lista degli elementi indicativi di
capacità contributiva messi a base della determinazione
sintetica del reddito complessivo deve essere adeguata
ai nuovi consumi e alle nuove abitudini economiche dei
contribuenti.
Si riportano, qui di seguito, le
novità introdotte dalla riforma al citato articolo 38:
la determinazione sintetica del
reddito avviene mediante la presunzione che le spese
sostenute dal contribuente nel periodo d’imposta siano
state finanziate con redditi posseduti nel periodo
medesimo, ferma restando la possibilità, per il
contribuente, di provare che le spese sono state
effettuate con altri mezzi (ad esempio, con redditi
esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di
imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione
della base imponibile) (quarto comma);
a tale presunzione si affianca
l’accertamento “da redditometro”, ossia quello basato
sul contenuto induttivo di elementi indicativi di
capacità contributiva individuati con decreto
ministeriale di prossima pubblicazione attraverso
l’analisi di campioni significativi di contribuenti,
differenziati in funzione del nucleo familiare e
dell’area territoriale di appartenenza. Anche in questa
ipotesi resta ferma, a favore del contribuente, la
possibilità di prova contraria (quinto comma);
nell’accertamento di cui ai
precedenti commi, la determinazione sintetica del
reddito complessivo è ammessa a condizione che il
reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un
quinto quello dichiarato (cd. clausola di garanzia che,
prima della riforma, era pari ad un quarto) (sesto
comma);
in linea con le disposizioni
contenute nella legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto
dei diritti del contribuente), l’ufficio finanziario che
procede all’accertamento sintetico del reddito
complessivo ha l’obbligo di invitare il contribuente a
comparire -di persona o a mezzo di rappresentante -per
fornire eventuali elementi di prova a proprio favore, e
solo successivamente, di avviare il procedimento di
accertamento con adesione (settimo comma);
dal reddito complessivo
determinato sinteticamente sono deducibili i soli oneri
previsti dall’articolo 10 del T.U.I.R., ferma restando
la spettanza delle detrazioni d’imposta relative ad
oneri per i quali le stesse competono (ottavo comma).
Per effetto delle modifiche recate
dall’articolo 22, è venuta meno la previsione secondo
cui per poter procedere con l’accertamento sintetico era
necessario che il superamento della soglia si
verificasse per due o più periodi d’imposta, anche non
consecutivi. Ne consegue che il nuovo accertamento
sintetico può essere applicato in relazione a ciascuna
annualità per la quale il reddito dichiarato non risulti
in linea con quello presunto.
Si precisa, tuttavia, che le nuove
disposizioni in commento hanno effetto per gli
accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine
di dichiarazione non era ancora scaduto alla data di
entrata in vigore del decreto.
Considerata la rilevanza delle
modifiche normative in esame, si rinvia ai futuri
chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate.
6. Contrasto al fenomeno delle
imprese “apri e chiudi” e Contrasto al fenomeno delle
imprese in perdita “sistemica” (articoli 23 e 24)
Gli articoli 23 e 24 del decreto
rispondono alla esigenza di monitorare in modo
sistematico, nell’ambito dell’attività di controllo,
quelle situazioni a più elevato rischio di evasione, tra
le quali rientrano le imprese cosiddette “apri e chiudi”
(ossia quelle imprese che cessano l’attività entro un
anno dalla data di inizio della stessa), nonché le
imprese in perdita “sistemica”.
Per questa loro peculiarità, tali
imprese sono inserite ex lege nella selezione delle
posizioni da sottoporre a controllo da parte
dell’Agenzia delle entrate, della Guardia di Finanza e
dell’INPS, atteso che, dall’esperienza dei controlli
fiscali, a questa categoria di contribuenti sono stati
spesso associati comportamenti fraudolenti sia di natura
fiscale (false fatturazioni e frodi carosello) che
contributiva.
Si evidenzia, tra l’altro, che la
disposizione di cui all’art. 23 in esame fa riferimento
alle sole imprese (a prescindere dalla natura giuridica
delle stesse) e non ai professionisti, nonché ad un
periodo di tempo che non è l’anno di imposta ma l’anno
solare.
La disposizione contenuta nel comma
1 dell’articolo 24 del decreto si riferisce, nello
specifico, alle imprese che si dichiarano in perdita, ai
fini delle imposte sui redditi, per più annualità e per
le quali il rischio di evasione è del tutto evidente,
atteso che perdite reiterate esulano da ogni logica
imprenditoriale e depongono per un posizionamento fuori
mercato che, ove persistente, non giustifica la
sopravvivenza dell’impresa stessa.
Ai fini del monitoraggio, la norma
esclude espressamente le perdite fiscali determinate da
compensi erogati ad amministratori e soci, trattandosi
di componenti reddituali tassati in capo ai percettori.
La norma non individua un periodo
temporale minimo trascorso il quale la perdita può
definirsi “sistemica”; pertanto, la perdita fiscale che
si protrae per almeno due esercizi consecutivi sarà
sufficiente, in assenza di deliberazioni sociali di
aumenti di capitale a titolo oneroso, di importo almeno
pari alle perdite fiscali stesse, a legittimare
l’attività di accertamento da parte degli Organi di
controllo.
Il 2 comma dell’articolo 24 del
decreto – anche al fine di armonizzare l’attività
sinergica tra Agenzie delle entrate e Guardia di finanza
nell’ambito dell’attività di monitoraggio in esame –
prevede coordinati piani di intervento annuali elaborati
sulla base di analisi di rischio a livello locale nei
confronti dei contribuenti non soggetti agli studi di
settore né a tutoraggio che, proprio a causa della
reiterata esposizione di perdite fiscali, presentano un
rischio di evasione complessiva particolarmente elevato.
Al riguardo, si rappresenta che la
programmazione di controlli fiscali delle imprese in
perdita prevista dalla norma in esame è in linea con
quanto ribadito negli ultimi anni, sia dalla prassi
amministrativa dell’Agenzia delle entrate (cfr.,
circolari n. 20/E del 16 aprile 2010 e n. 13/E del 9
aprile 2009), che dalla giurisprudenza di legittimità
(cfr., Corte di Cassazione, sentenze n. 24436 del 2
ottobre 2008 e n. 21536 del 15 ottobre 2007).
Sulla individuazione dei criteri
selettivi da utilizzare per scegliere i soggetti da
sottoporre a vigilanza fiscale – che dovranno
rappresentare almeno un quinto della platea degli
interessati – nonché per l’approfondimento di altri
aspetti operativi della norma, si rinvia a successivi
documenti ufficiali dell’Agenzia delle entrate.
7. Contrasto di interessi (articolo
25)
L’articolo 25 del decreto prevede
l’assoggettamento a ritenuta d’acconto, ai fini
dell’imposta sul reddito dei percipienti, dei compensi
corrisposti mediante bonifici bancari o postali, quale
modalità obbligatoria di pagamento per beneficiare di
oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione
d’imposta.
Trattasi, nello specifico, delle
spese di intervento di recupero del patrimonio edilizio,
ai sensi dell’articolo 1, della legge 27 dicembre 1997,
n. 449 e successive modificazioni, nonché delle spese
per interventi di risparmio energetico, di cui
all’articolo 1, commi 344, 345, 346 e 347, della legge
27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni.
Come precisato nel provvedimento
del 30 giugno 2010 del Direttore dell’Agenzia delle
entrate, le banche e le Poste Italiane S.p.A. che
ricevono i bonifici disposti per le spese citate
operano, all’atto dell’accredito dei pagamenti, la
ritenuta del 10 per cento a titolo di acconto
dell’imposta sul reddito dovuta dai eneficiari, con
obbligo di rivalsa.
Il versamento delle ritenute deve
essere effettuato secondo le ordinarie modalità di cui
all’articolo 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, entro
il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è stata
effettuata la ritenuta.
Con la risoluzione n. 65/E del 30
giugno 2010 e la successiva circolare n. 40/E del 28
luglio 2010, cui si rinvia, l’Agenzia delle entrate ha
fornito le istruzioni operative in merito alla corretta
applicazione delle richiamate disposizioni.
8. Adeguamento alle direttive OCSE
in materia di documentazione dei prezzi di trasferimento
(articolo 26)
L’articolo 26 del decreto introduce
misure finalizzate a incrementare l’efficacia
dell’azione di controllo dell’Amministrazione
finanziaria sulle operazioni rientranti nella disciplina
sui prezzi di trasferimento di cui all’articolo 110,
comma 7, del TUIR (transfer pricing).
Tale intervento è finalizzato
all’adeguamento della normativa nazionale alle
disposizioni emanate dall’OCSE ed a Codice di condotta
UE in materia di documentazione dei prezzi di
trasferimento, nonché ai principi di collaborazione e
buona fede tra contribuenti ed Amministrazione
finanziaria fissati nell’articolo 10 dello Statuto dei
diritti del contribuente.
In particolare, l’articolo 26
introduce dopo il comma 2-bis, dell’articolo 1 del
d.lgs. n. 471 del 1997, il comma 2-ter con il quale
viene esclusa l’applicazione della sanzione prevista dal
comma 2, dell’articolo 1 del d.lgs. n. 471 del 1997, in
materia di dichiarazione infedele, al verificarsi delle
condizioni ivi indicate.
In altri termini, la novella
normativa attribuisce alle imprese la possibilità di
usufruire di un regime di esonero dalle sanzioni per
infedeltà delle dichiarazioni fiscali, qualora le stesse
offrano la propria collaborazione al fine di consentire
all’Amministrazione finanziaria di determinare la loro
effettiva capacità contributiva.
In particolare, le imprese possono
consegnare all’Amministrazione finanziaria, in sede di
controllo, una documentazione idonea a consentire agli
accertatori il riscontro della conformità al valore
normale dei prezzi di trasferimento praticati.
In generale, si tratta di
documentazione finalizzata a consentire il riscontro
della conformità dei prezzi di trasferimento praticati
al principio del valore normale.
Così operando, l’Amministrazione
finanziaria può disporre, in sede di verifica delle
operazioni di transfer pricing, della documentazione
necessaria a verificare la corrispondenza dei prezzi
determinati tra imprese associate multinazionali con
quelli praticati in regime di libera concorrenza.
La tipologia documentale prevista
dalla disposizione in esame è stata individuata con
provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate
del 29 settembre 2010 (prot. n. 2010/137654), in
conformità con i contenuti del codice di condotta sulla
documentazione dei prezzi di trasferimento per le
imprese associate nell’Unione europea.
In particolare, nel citato
documento direttoriale sono stati forniti precisi
chiarimenti sia in merito alla “idoneità” della
documentazione da esibire in sede di controllo, che in
ordine alle modalità e termini di presentazione, al
competente Ufficio finanziario e prima dell’avvio del
procedimento di accertamento, della comunicazione
attestante il possesso della documentazione richiesta.
Ne consegue che, in caso di
accesso, ispezione, verifica o altra attività
istruttoria, in assenza di detta comunicazione, è
preclusa la possibilità per il contribuente di fruire
del regime di favore previsto dalla disposizione in
commento.
La norma prevede inoltre che, in
sede di prima applicazione delle nuove disposizioni, i
termini per la presentazione della comunicazione, per i
periodi d’imposta anteriori a quello in corso alla data
di entrata in vigore del decreto, sono fissati in 90
giorni dalla pubblicazione del provvedimento del
Direttore dell’Agenzia delle entrate.
La circolare n. 58/E del 15
dicembre 2010 ha fornito chiarimenti sulla corretta
applicazione della disposizione in esame.
9. Adeguamento alla normativa
europea in materia di operazioni intracomunitarie ai
fini del contrasto delle frodi (articolo 27)
L’articolo 27 del decreto, in linea
con le raccomandazioni espresse dalla Commissione
europea in materia di contrasto alle frodi IVA,
subordina -attraverso l’integrazione dell’articolo 35
del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 -la possibilità di
effettuare operazioni intracomunitarie alla preventiva
autorizzazione da parte dell’Amministrazione
finanziaria.
Nello specifico, nel comma 2 del
citato articolo 35 è stata aggiunta la lettera e-bis, in
base alla quale all’atto della presentazione del modello
per l’attribuzione della partita IVA, all’operatore
economico viene chiesto di specificare se intende
effettuare operazioni intracomunitarie.
Sempre all’articolo 35 sono stati
aggiunti:
il comma 7-bis con cui viene
previsto che, entro 30 giorni dalla data di attribuzione
del numero di partita IVA, l’ufficio finanziario può
emettere un provvedimento di diniego
il comma 7-ter, che rinvia ad
un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle
entrate il compito di individuare le modalità di diniego
dell’autorizzazione o di revoca di quella
precedentemente concessa.
La possibilità di effettuare
operazioni intracomunitarie è subordinata ad una volontà
espressa manifestata dal contribuente nella
dichiarazione di inizio attività ovvero in un momento
successivo rispetto all’inizio dell’attività, mediante
apposita istanza da presentare direttamente ad un
ufficio dell’Agenzia delle entrate -e alla mancata
emanazione, entro 30 giorni dalla ricezione della
dichiarazione di volontà, del provvedimento di diniego
emesso dall’ufficio finanziario.
Al riguardo, si evidenzia che la
norma non prevede un provvedimento autorizzativo
espresso; opera quindi il meccanismo del
silenzio-assenso.
Durante questi 30 giorni
l’operatore economico può effettuare solo operazioni
interne, non possedendo la soggettività attiva e passiva
per effettuare operazioni intracomunitarie e non
essendo, peraltro, incluso nell’archivio della banca
dati VIES (VAT Information Exchange System).
Una volta trascorsi i 30 giorni,
qualora non sia stato emanato un espresso e motivato
provvedimento di diniego, il contribuente viene inserito
nel citato archivio IES.
Da ultimo la novella introduce,
sempre all’articolo 35 del d.P.R. n. 633 del 1972, il
comma 15-quater che, per quanto riguarda le partite IVA
già attribuite in Italia in data antecedente all’entrata
in vigore delle nuove norme, demanda ad un provvedimento
del Direttore dell’Agenzia delle entrate la definizione
dei criteri e delle modalità per la loro esposizione nel
sistema comunitario VIES.
In attuazione di quanto disposto
dai commi 7-ter e 15-quater dell’articolo 35 del d.P.R.
n. 633/72, così come modificato dall’articolo 27 del
d.l. n. 78 del 2010, con i provvedimenti n. 2010/188376
e prot. n. 2010/188381 sono state stabilite,
rispettivamente, le modalità di diniego o revoca
dell’autorizzazione ad effettuare operazioni
intracomunitarie ad esito delle verifiche svolte
dall’Agenzia nonché i criteri e le modalità di
inclusione delle partite IVA nella banca dati dei
soggetti passivi che effettuano operazioni
intracomunitarie.
L’argomento sarà oggetto di
ulteriori chiarimenti da parte dell’Agenzia delle
entrate.
10. Incrocio tra le basi dati
dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate per contrastare
la microevasione diffusa (articolo 28)
L’articolo 28 del decreto prevede
che l’Agenzia delle entrate esegua specifici controlli
sui soggetti che, pur essendo titolari presso l’INPS di
una posizione contributiva quali lavoratori dipendenti,
risultano non aver mai dichiarato il relativo reddito;
analoga previsione opera qualora risulti che non siano
state effettuate da parte del datore di lavoro le
ritenute d’imposta previste dalla vigente normativa.
L’incrocio di tali dati è volto a contrastare una
microevasione diffusa sul territorio, mediante il
potenziamento dell’attività di controllo automatizzata,
attribuita ad apposite articolazioni dell’Agenzia delle
entrate, con competenza in tutto o parte del territorio
nazionale, che dovranno essere individuate mediante
regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle
entrate di cui all’articolo 71 del d.lgs. 30 luglio1999,
n. 300.
L’articolo in parola modifica,
peraltro, l’articolo 4 e l’articolo 10 del d.lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, che disciplinano rispettivamente
la competenza per territorio delle Commissioni
tributarie e le parti del processo tributario. Il
novellato articolo 4, comma 1, prevede che, in caso di
controversia “proposta nei confronti di un centro di
servizio o altre articolazioni dell’Agenzia delle
entrate…”, è competente la Commissione tributaria
provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio
al quale spettano le attribuzioni sul tributo
controverso. In tale evenienza, ai sensi del successivo
articolo 10 del d.lgs. n. 546 del 1992, è parte del
processo di fronte alla Commissione tributaria l’ufficio
al quale spettano le attribuzioni sul rapporto
controverso.
11. Concentrazione della
riscossione nell’accertamento (articolo 29)
L’articolo 29 del decreto contiene
tutta una serie di disposizioni volte a potenziare
l’attività di riscossione.
In particolare, il comma 1
disciplina i nuovi contenuti degli avvisi di
accertamento relativi alle imposte sul reddito, all’IVA
e all’IRAP dei connessi provvedimenti di irrogazione
sanzioni, funzionali all’attività di riscossione.
A tal riguardo, la lettera a)
prevede che i citati atti, notificati a partire dal 1°
luglio 2011 e concernenti i periodi di imposta in corso
alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, debbano
contenere anche l’intimazione ad adempiere entro il
termine di presentazione del ricorso:
all’obbligo di pagamento dei
tributi indicati negli avvisi di accertamento ovvero
qualora il contribuente
presenti ricorso, degli importi determinabili ai sensi
dell’articolo 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602,
ossia “la metà degli ammontari corrispondenti agli
imponibili o ai maggiori imponibili accertati”.
Qualora i tributi dovuti in base
all’accertamento vengano rideterminati, gli atti
successivi -da notificare anche mediante raccomandata
con avviso di ricevimento -devono contenere
l’intimazione di pagamento. Tale disposizione si applica
anche in caso di accertamento con adesione -quando non
sia versata anche una sola delle rate successive alla
prima -ovvero quando a seguito di una sentenza della
Commissione tributaria provinciale o regionale il
tributo sia dovuto nella misura stabilita dall’articolo
68 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 19 del d.lgs. 18
dicembre 1997, n. 472. In tale evenienza il pagamento
deve avvenire entro 60 giorni dal ricevimento della
raccomandata.
Ai sensi del disposto della lettera
b), gli accertamenti in parola divengono esecutivi una
volta trascorsi 60 giorni dalla notifica e devono
espressamente contenere l’avvertimento che, decorsi 30
giorni dal termine ultimo per il pagamento -in deroga
alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo -la
riscossione delle somme richieste è affidata all’agente
della riscossione anche a fini dell’esecuzione forzata.
Le modalità di riscossione saranno determinate con
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate
di concerto con il Ragioniere generale dello Stato.
In caso di fondato pericolo per la
riscossione, la lettera c) prevede poi riproducendo il
disposto dell’articolo 15-bis del d.P.R. n. 602 del 1973
relativo all’iscrizione nei ruoli straordinari -che,
decorsi sessanta giorni dalla notifica degli atti di cui
alla lettera a), la riscossione delle somme dovute per
il loro intero ammontare, comprensive di interessi e
sanzioni, può essere affidata agli agenti della
riscossione anche prima dei termini fissati dalle
lettere a) e b). Anche in questo caso, quindi, gli
accertamenti divengono esecutivi dopo 60 giorni dalla
notifica; pertanto l’agente della riscossione non può
procedere ad esecuzione forzata prima di tale termine.
Le lettere d) ed e) dispongono che
l’ufficio competente, anche su richiesta dell’Agente per
la riscossione, deve fornire tutti gli elementi utili al
potenziamento dell’attività di riscossione, compresi
quelli acquisiti in fase di accertamento.
L’agente della riscossione, senza
la preventiva notifica della cartella di pagamento,
sulla base dello stesso accertamento che costituisce
titolo esecutivo, procede all’espropriazione forzata con
le stesse modalità previste per i tributi iscritti a
ruolo, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo
a quello di notifica dell’accertamento. Trascorso un
anno dalla notifica dell’accertamento, si applicano le
disposizioni dell’articolo 50 del d.P.R. n. 602 del
1973, secondo cui l’agente della riscossione ha
l’obbligo di notificare al debitore un avviso che
contiene l’intimazione ad effettuare, entro 5 giorni, il
pagamento delle somme risultanti dall’atto di
accertamento.
A partire dal giorno successivo al
termine ultimo per la presentazione del ricorso, le
somme dovute sono maggiorate degli interessi di mora,
calcolati dal giorno successivo a quello di notifica
dell’atto. All’agente per la riscossione spetta l’aggio,
interamente a carico del debitore, e il rimborso delle
spese di esecuzione, così come previsto dall’articolo 17
del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112.
Al fine di coordinare le
disposizioni già vigenti con le nuove norme, la lettera
g) dispone che i riferimenti al ruolo e alla cartella di
pagamento contenuti in norme vigenti si intendono
effettuati agli atti di accertamento in parola. L’Agente
della riscossione, solo dopo l’affidamento del carico,
può concedere la dilazione di pagamento prevista
dall’articolo 19 del d.P.R. n. 602 del 1973.
Nel caso in cui sia presentato
ricorso avverso l’atto di accertamento, si rende
applicabile l’articolo 39 del d.P.R. n. 602 del 1973,
che prevede la facoltà per l’ufficio delle entrate di
sospendere in tutto o in parte il ruolo fino alla
sentenza della Commissione tributaria provinciale.
La lettera h) prevede, infine, che
con regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 17,
comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 siano
razionalizzate, in armonia con le nuove procedure,
quelle di riscossione coattiva delle somme dovute anche
a seguito dell’attività di liquidazione, controllo e
accertamento sia ai fini delle imposte sui redditi e sul
valore aggiunto che ai fini degli altri tributi
amministrativi dall’Agenzia delle Entrate e delle altre
entrate che si riscuotono mediante ruolo.
Il comma 2 dell’articolo 29
modifica il primo comma dell’articolo 182-ter del Regio
decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito L.F.)
prevedendo che in sede di transazione fiscale le
ritenute d’imposta effettuate e non versate possano
essere solo oggetto di dilazione e non di falcidia.
Il medesimo comma interviene anche
sul comma 6 del citato articolo 182-ter e, ponendo fine
ad una situazione di incertezza, dispone che la proposta
di transazione fiscale presentata nell’ambito delle
trattative che precedono la stipula dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti (disciplinato dall’articolo
182-bis) deve essere corredata dalla documentazione
prevista dall’articolo 161 della L.F. che, a sua volta,
disciplina il concordato preventivo. Alla proposta di
transazione deve, inoltre, essere allegata una
dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal
legale rappresentante, che la documentazione prevista
dal citato articolo 161 rappresenta fedelmente ed
integralmente la situazione dell’impresa, con
particolare riguardo alle poste attive del patrimonio.
Tale obbligo è volto alla tutela dei terzi, ai quali
l’accordo di ristrutturazione formatosi con procedura
stragiudiziale offre minori garanzie rispetto al
concordato preventivo che si svolge sotto il controllo
degli organi giudiziali.
Viene, infine, inserito
nell’articolo 182-ter un ultimo comma che prevede, per
le sole ipotesi di transazione fiscale conclusa
nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei
debiti, la revoca di diritto della transazione nel caso
in cui il debitore non esegua integralmente, entro 90
giorni dalle scadenze previste, pagamenti dovuti alle
Agenzie fiscali ed agli enti gestori di forme di
previdenza e assistenza obbligatorie.
La disposizione di cui al comma 3
dell’articolo 29 prevede che l’agente della riscossione,
al quale venga comunicata una proposta di concordato
fallimentare, deve trasmetterla tempestivamente
all’Agenzia delle entrate avvalendosi di ogni mezzo
idoneo anche in deroga ai tempi ed alle modalità di cui
all’art. 36 del D. Lgs. 112 del 1999, e può approvare la
proposta in sede di votazione ai sensi dell’art. 127 del
R.D. 267 del 1942, solo previa espressa autorizzazione
di quest’ultima.
La norma recata dal comma 4
dell’articolo 29 riformula l’articolo 11 del d.lgs. 10
marzo 2000, n. 74, che disciplina il reato di
sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
La novellata norma prevede, al
comma 1, che sia punito con la reclusione da sei mesi a
quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento
delle imposte sul reddito e IVA, alieni simultaneamente
o compia altri atti fraudolenti sui propri beni o su
beni altrui, tali da rendere in tutto o in parte
inefficace la procedura di riscossione coattiva delle
imposte. Se l’ammontare delle imposte, interessi e
sanzioni è superiore a 200.000 euro, è prevista una
aggravante (reclusione da un anno a sei anni).
Il successivo comma 2 riconduce al
reato in questione -e, quindi, alla medesima pena -anche
la condotta di chi, nell’ambito della transazione
fiscale, al fine di ottenere per sé o per altri il
riconoscimento di un debito tributario di minore
importo, indica nella documentazione presentata elementi
passivi fittizi oppure espone elementi attivi in misura
inferiore al reale, per un ammontare complessivo
superiore a 50.000 euro (soglia di punibilità così
individuata, in considerazione del fatto che la
sottovalutazione del patrimonio, nell’ambito di
procedure concorsuali o comunque preconcorsuali,
equivale alla sottrazione di un importo pari alle somme
destinate al pagamento delle imposte dovute e dei
relativi accessori). Anche per questo reato è prevista
una aggravante specifica qualora il falso riguardi
l’indicazione di elementi attivi in misura inferiore al
reale o di elementi passivi fittizi per un ammontare
complessivo superiore a 200.000 euro (reclusione da un
anno a sei anni).
Rispetto al testo precedentemente
in vigore, pertanto, la riformulazione dell’articolo 11
riduce la soglia di punibilità, fissandola a 50.000
euro, introduce uno specifico reato in caso di
transazione fiscale, volto a punire comportamenti
fraudolenti e prevede, nel contempo, una specifica
aggravante sia nel caso di sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte, che nel caso di presentazione
di falsa documentazione nell’ambito della transazione
fiscale.
Il comma 5 dell’articolo 29
modifica l’articolo 27, comma 7, del d.l. 29 novembre
2008, n. 185, che, in relazione agli importi iscritti a
ruolo, prevedeva a favore dell’Agente della riscossione,
senza bisogno di annotazione o altra formalità, la
conservazione della validità e del grado delle misure
cautelari adottate dopo la notifica del provvedimento
“con il quale vengono accertati di maggiori tributi”. La
modifica in parola estende tale automatismo anche quando
le misure cautelari sono adottate in base al processo
verbale di constatazione, al provvedimento di
irrogazione della sanzione oppure all’atto di
contestazione.
Il successivo comma 6 prevede che
il curatore fallimentare, entro i 15 giorni successivi
all’accettazione della nomina, comunichi all’Agenzia
delle entrate, ai sensi dell’articolo 9 del d.l. 31
gennaio 2007, n. 7, i dati relativi al fallimento,
necessari per l’eventuale procedura d’insinuazione nel
passivo fallimentare.
Il comma 7, infine, estende
l’ipotesi di circostanze aggravanti del reato di
corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio,
previste dall’articolo 319-bis del codice penale, al
caso di omesso o ritardato pagamento o rimborso di
tributi da parte di pubblico ufficiale.
Lo stesso comma, infine, per
deflazionare il contenzioso e favorire l’uso di
strumenti volti ad una definizione concordata della
pretesa tributaria -che spesso necessita di valutazioni
complesse basate su mezzi di prova che soffrono di
particolari limitazioni -circoscrive la responsabilità
dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte
dei Conti in materia di contabilità pubblica (articolo
1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20) alla
sola ipotesi di dolo, con riguardo alle valutazioni di
diritto o di fatto effettuate ai fini della definizione
del contesto mediante transazione fiscale (articolo
182-ter della L.F.), di accertamento con adesione
(d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218) e di conciliazione
giudiziale (articolo 48 del d.lgs. n. 546 del 1992),
lasciando, peraltro, invariata la responsabilità
amministrativa.
12. Preclusione alla
autocompensazione in presenza di debito su ruoli
definitivi (articolo 31)
Il comma 1 dell’articolo 31 del
decreto pone un limite alla compensazione dei crediti
relativi alle imposte erariali prevista dall’articolo
17, comma 1, del d.lgs. n. 241 del 1997, precludendo al
contribuente la possibilità esercitarla in presenza di
debiti per imposte erariali e relativi accessori
iscritti a ruolo, se di importo superiore a 1.500 euro e
per i quali sia scaduto il termine di pagamento.
La preclusione vale anche per le
cartelle già notificate nel 2010 e, comunque, per tutte
quelle il cui termine di pagamento sia già scaduto
anteriormente al primo gennaio 2011.
La compensazione è, dunque, ancora
possibile solo entro 60 giorni dalla notifica della
cartella, ovvero qualora il pagamento dei ruoli sia
eseguito tempestivamente.
L’indebita compensazione è punita
con una sanzione pari al 50 per cento degli importi
iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi
accessori e per i quali è scaduto il termine di
pagamento e non può, comunque, superare il limite del 50
per cento dell’ammontare indebitamente compensato. La
sanzione per indebita compensazione non può essere
applicata finché sulla iscrizione a ruolo penda
contestazione in sede giurisdizionale o amministrativa.
In tale evenienza i termini per applicare la sanzione
decorrono dal giorno successivo alla definizione della
contestazione.
Nelle ipotesi in cui
sull’iscrizione a ruolo penda contestazione, la
decorrenza dei termini decadenziali per la notificazione
dell’atto di contestazione decorre dal giorno successivo
alla data della definizione della contestazione
medesima.
Coerentemente con la stessa ratio
della disposizione, la quale è stata introdotta al
precipuo fine di contrastare le compensazioni immediate
da parte di chi, pur disponendo di un credito erariale,
sia nel contempo debitore di somme iscritte a ruolo per
debiti erariali e relativi accessori, a volte di
considerevole ammontare e risalenti nel tempo,
costringendo spesso gli organi della riscossione a
defatiganti attività esecutive spesso vanificate da
deliberate spoliazioni preventive del proprio
patrimonio, la disposizione va interpretata nel senso
che al contribuente titolare di crediti di importo
superiore a quello iscritto a ruolo, non è consentito
effettuare alcuna compensazione se non assolve,
preventivamente, l’intero debito per il quale è scaduto
il termine di pagamento, unitamente con i relativi
accessori.
La disposizione, pertanto,
configura un obbligo di preventiva estinzione dei debiti
iscritti a ruolo e non una “riserva indisponibile” del
credito pari all’ammontare di tali debiti.
La disposizione chiarisce, poi, che
la compensazione è vietata fino a concorrenza
dell’importo dei debiti iscritti a ruolo per imposte
erariali e relativi accessori (per i quali è scaduto il
termine di pagamento).
Quanto ai tributi cui fa
riferimento, devono intendersi, ad esempio, le imposte
dirette, l’imposta sul valore aggiunto ed le altre
imposte indirette, con esclusione, quindi, dei tributi
locali e dei contributi di qualsiasi natura.
La disposizione in esame ammette,
poi, il pagamento, anche parziale, delle somme iscritte
a ruolo per imposte erariali e relativi accessori
mediante la compensazione dei crediti relativi a dette
imposte, secondo modalità che saranno stabilite con
apposito decreto del Ministero dell’Economia e delle
finanze.
Prevede, inoltre, che nell’ambito
delle attività di controllo dell’Agenzia delle entrate
sia assicurata la vigilanza sull’osservanza del previsto
divieto di compensazione.
13. Stock options ed emolumenti
variabili a dirigenti e collaboratori del settore
finanziario (articolo 33)
L’art. 33 del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122, ha introdotto per i
dirigenti e i collaboratori di imprese che operano nel
settore finanziario un’aliquota addizionale del 10% su
specifici compensi.
L’addizionale, in particolare, si
applica agli emolumenti variabili, corrisposti sotto
forma di bonus e stock options, per la parte degli
stessi che eccede il triplo della parte fissa della
retribuzione.
L’intervento normativo si ricollega
alle decisioni assunte in sede di G-20 volte ad
eliminare gli effetti distorsivi prodotti sul sistema
finanziario e sull’economia mondiale dai premi erogati
sotto forma di bonus e stock options legati agli
andamenti del mercato.
13.1 Ambito di applicazione
dell’aliquota addizionale: individuazione del Settore
finanziario
In mancanza di una espressa
definizione di “settore finanziario” da parte della
norma in esame, si ritiene che questo vada individuato
nelle banche e negli altri enti finanziari, nonché negli
enti e nelle altre società la cui attività consista in
via esclusiva o prevalente nell’assunzione di
partecipazioni.
Sono quindi comprese nell’ambito
applicativo della norma le banche nonché, ad esempio, le
società di gestione (Sgr), le società di intermediazione
mobiliare (Sim), gli intermediari finanziari, gli
istituti che svolgono attività di emissione di moneta
elettronica, le società esercenti le attività
finanziarie indicate nell’art. 59, comma 1, lettera b),
del Testo Unico Bancario, le holding che assumono e/o
gestiscono partecipazioni in società finanziarie,
creditizie o industriali.
13.2 Dipendenti e collaboratori
soggetti a prelievo
L’addizionale trova applicazione
nei confronti dei dipendenti che rivestono la qualifica
di dirigenti e dei collaboratori che operano nel
settore. Il riferimento ad una specifica categoria di
lavoratori subordinati, tra quelle menzionate dall’art.
2095 c.c. che indica accanto ai dirigenti, i quadri, gli
impiegati e gli operai comporta che il requisito di
appartenenza alla categoria, il cui ruolo in linea
generale è caratterizzato da un elevato grado di
professionalità, autonomia e potere decisionale, non
essendo oggetto di specifica previsione normativa, è
demandato al contratto di lavoro. La disposizione,
inoltre, è rivolta ai titolari di rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa, sul
presupposto che anche a tali figure possa essere
attribuita un elevato grado di autonomia e potere
decisionale come si evince dalla relazione illustrativa
al decreto che menziona tra i destinatari della norma
gli amministratori di società.
La finalità della norma, tesa a
assoggettare al prelievo aggiuntivo un particolare
settore di attività ritenuto responsabile della recente
crisi economico finanziaria, porta inoltre a ritenere
che siano soggetti al prelievo dell’addizionale anche i
dirigenti del settore bancario e finanziario che
prestano la loro attività lavorativa all’estero, per i
quali, ai fini dell’applicazione dell’aliquota
addizionale del 10 per cento, occorrerà tener conto
della retribuzione effettiva prevista dal contratto di
lavoro, a prescindere dai criteri convenzionali di
determinazione del relativo reddito da lavoro dipendente
dettati dall’art. 51, comma 8-bis), del TUIR
13.3 Retribuzione imponibile
Presupposto per l’applicazione
dell’aliquota addizionale è l’articolazione della
retribuzione in una parte fissa e in una parte
variabile, atteso che la base imponibile
dell’addizionale è stabilita nella quota della
retribuzione variabile che eccede il triplo di quella
fissa annua.
Ai fini di tale rapporto, i
compensi da assoggettare all’aliquota addizionale devono
essere individuati sulla base delle pattuizioni
contrattuali senza tener conto, pertanto, della
rilevanza fiscale delle varie componenti retributive né
del criterio temporale di individuazione del momento
impositivo. In particolare, occorre considerare le
componenti retributive fisse previste dal contratto di
lavoro o di collaborazione (al lordo quindi delle
ritenute fiscali e previdenziali) e raffrontarle con la
retribuzione variabile maturata per il medesimo anno.
L’eventuale importo da assoggettare
al prelievo aggiuntivo andrà quindi individuato a
prescindere da eventuali rateazioni del premio di
erogazione dello stesso dovendo ritenersi applicabile
l’addizionale nell’ipotesi in cui, sommando i premi che
maturano nel periodo d’imposta, risulti superato il
triplo della retribuzione fissa prevista per il medesimo
periodo, fermo restando che l’applicazione del prelievo
sarà effettuata al momento della erogazione del premio.
Per quanto concerne gli emolumenti
premiali erogati anziché in denaro sottoforma di stock
options si ritiene che tra questi ultimi, attesa la
formulazione generica della norma, rientrino tutte le
forme di incentivazione realizzate con azioni, le quali
rileveranno in ragione del loro valore normale,
individuato ai sensi dell’articolo 9 del TUIR, alla data
in cui vengono assegnate al dirigente o al
collaboratore, al netto delle somme da questi
corrisposte.
13.4 Modalità applicative
dell’addizionale
L’aliquota addizionale,
disciplinata da una norma autonoma, non è inserita tra
le aliquote IRPEF previste dal TUIR essendo rivolta
soltanto ad alcune categorie di contribuenti e non alla
generalità; si configura, pertanto, come un prelievo
d’imposta indipendente dall’IRPEF anche se ne mutua la
disciplina per quanto concerne l’accertamento, la
riscossione, le sanzioni e il contenzioso.
Trattandosi di una tassazione
aggiuntiva ma distinta dall’applicazione dell’IRPEF
ordinaria, l’addizionale, in particolare:
non concorre all’importo sul
quale possono essere fatte valere le eventuali
detrazioni d’imposta;
non rileva nella determinazione
dell’aliquota media da applicare ai fini della
tassazione separata;
non deve essere considerata
nell’imposta italiana che costituisce il limite entro
cui può essere attribuito il credito d’imposta per
l’imposta pagata all’estero.
In ragione del rinvio alle modalità
applicative dell’IRPEF, l’addizionale può essere oggetto
di compensazione sia interna che esterna.
Ai sensi dell’art. 33 del decreto
legge in commento, l’addizionale è trattenuta dal
sostituto d’imposta al momento di erogazione dei bonus e
delle stock options, ed è da questi versata utilizzando
i codici tributo istituiti con Risoluzione 4 gennaio
2011, n. 1/E.
Nel rispetto del principio di
cassa, che regola il momento impositivo per la categoria
del reddito di lavoro dipendente e assimilato, il
prelievo deve essere operato al momento dell’erogazione
della parte di premio che eccede il triplo della
retribuzione fissa; tale condizione, qualora non sia
riscontrabile al momento della corresponsione, andrà
verificata al momento del conguaglio ed in tale sede
andrà applicata l’addizionale.
Qualora i premi siano rateizzati in
più periodi d’imposta, l’addizionale troverà
applicazione nel momento in cui, tenuto conto delle
precedenti corresponsioni, si verificherà il superamento
del limite previsto dalla norma. La parte fissa della
retribuzione di riferimento sarà sempre quella
contrattuale dell’anno di maturazione del premio stesso.
Nell’ipotesi in cui il datore di
lavoro sia un soggetto estero, non tenuto agli obblighi
di sostituzione in Italia, sarà il lavoratore dipendente
residente che dovrà determinare e versare la maggiore
imposta con le medesime modalità di versamento
dell’IRPEF.
13.5 Decorrenza
L’articolo 56, comma 1 del decreto
legge n. 78, prevede che lo stesso entra in vigore il
giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale
avvenuta il 31 maggio 2010. Pertanto, il maggior
prelievo troverà applicazione sui compensi variabili
corrisposti a partire dalla predetta data, anche se
maturati in anni precedenti.
14. Obbligo per i non residenti di
indicazione del codice fiscale per l’apertura di
rapporti con operatori finanziari (Articolo 34)
L’articolo 34 del decreto modifica
l’articolo 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605, che
individua gli atti in cui deve essere indicato il codice
fiscale. Come si evince dalla relazione illustrativa,
con la novella in commento si sono volute superare le
difficoltà connesse all’acquisizione dei dati relativi
ai rapporti finanziari continuativi dei clienti non
residenti e privi di codice fiscale, così da rendere più
facilmente accertabili le violazioni fiscali da parte
degli stessi o di terzi.
A tal fine è stata introdotta nel
citato articolo 6, al comma 1, la lettera gquinquies)
che dispone l’obbligo di indicare il codice fiscale
anche su “atti o negozi delle società e degli enti di
cui all’articolo 32, primo comma, numero 7), del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 600”, ossia delle banche, Poste
Italiane S.p.A, intermediari finanziari, imprese di
investimento, organismi di investimento collettivo del
risparmio, società di gestione del risparmio e società
fiduciarie, “conclusi con i clienti per conto proprio
ovvero per conto o a nome di terzi clienti, riguardanti
l’apertura o la chiusura di qualsiasi rapporto
continuativo”.
Le persone fisiche non residenti in
Italia prive del codice fiscale, possono chiederne
l’attribuzione alla rappresentanza diplomatico-consolare
italiana nel Paese di residenza, presentando la domanda
(modello AA4/7) personalmente o a mezzo di persona
delegata (cfr. decreto ministeriale 17 maggio 2001, n.
281; circolari n. 7/E del 22 febbraio 2010; n. 40/E del
9 settembre 2004; n. 30/E del 12 aprile 2002; n. 74/E
del 2 agosto 2001); in alternativa, possono presentare
la domanda ad un qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle
Entrate. All’atto della presentazione della domanda, il
richiedente deve esibire un documento di identità
valido; in caso di delega, la persona delegata deve
esibire un proprio documento di identità e la copia del
documento di identità del richiedente, entrambi in corso
di validità.
I soggetti diversi dalle persone
fisiche non obbligati alla dichiarazione di inizio
attività IVA, possono richiedere il codice fiscale
presentando il Modello AA5/6 ad un qualsiasi ufficio
dell’Agenzia delle entrate, direttamente (in duplice
esemplare, anche tramite persona delegata) o tramite
raccomandata (in unico esemplare, allegando copia di un
documento di identità valido del rappresentante).
Si rammenta inoltre che per
“rapporto continuativo” si intendono i “rapporti
finanziari caratterizzati, in generale, da un unico
rapporto di durata, rientrante nell’esercizio
dell’attività istituzionale dell’operatore finanziario,
che possa dar luogo a più operazioni di versamento,
prelievo o trasferimento di denaro o di altri valori”
(cfr. circolare n. 42/E del 24 settembre 2009 che rinvia
alla circolare n. 18/E del 4 aprile 2007). L’elenco di
tali rapporti è riportato nella tabella “allegato 1” al
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate
del 29 febbraio 2008. Sono, invece, escluse dal novero
dei rapporti continuativi le operazioni “extra conto”,
ossia “quelle effettuate per cassa (cd. operazioni allo
sportello) contro presentazione di denaro contante o
assegni, senza transito in un qualsiasi rapporto” (cfr.
citata circolare n. 42/E del 2009).
15. Razionalizzazione
dell’accertamento nei confronti dei soggetti che
aderiscono al consolidato nazionale (Articolo 35)
Il comma 1 dell’articolo 35
inserisce nel d.P.R. n. 600 del 1973 l’articolo 40bis.
La norma, nell’ottica di migliorare
l’efficienza dell’azione amministrativa nonché garantire
una maggiore tutela del diritto di difesa dei
contribuenti sottoposti a controllo nell’ambito del
consolidato nazionale di cui agli articoli 117 e
seguenti del TUIR, introduce alcune novità per quel che
concerne il procedimento di accertamento.
Di seguito si commentano le
principali novità.
Al controllo delle dichiarazioni
proprie presentate dalle società consolidate e dalla
consolidante, nonché alle relative rettifiche, è
preposto, ai fini IRES, l’ufficio dell’Agenzia delle
entrate competente alla data in cui è stata presentata
la dichiarazione (comma 1).
Le rettifiche del reddito
complessivo proprio di ciascun soggetto che partecipa al
consolidato, la conseguente maggiore imposta accertata
riferita al reddito complessivo globale e le relative
sanzioni sono operate mediante l’emanazione di un atto
unico da notificare sia alla consolidata che alla
consolidante (comma 2).
Tale disposizione, eliminando il
meccanismo del doppio livello accertativo (disciplinato
dall’articolo 17 del decreto ministeriale 09 giugno 2004
che, ai sensi dei commi 3 e 4 dell’articolo 35 del
decreto, è abrogato con effetto dal 1° gennaio 2011),
consente ad entrambi i soggetti coinvolti
nell’accertamento di partecipare sin dall’inizio alle
diverse fasi del procedimento.
La norma, inoltre, introduce sul
piano processuale un’ipotesi di litisconsorzio
necessario tra la società consolidata e la consolidante.
In tal guisa, la definizione dell’atto unico in sede
contenziosa produce i suoi effetti in modo univoco nei
confronti di entrambi i soggetti, evitando il formarsi
di giudicati contrastanti. Inoltre, il pagamento delle
somme scaturenti dall’atto unico estingue l’obbligazione
sia se effettuato dalla consolidata che dalla
consolidante.
Dal 1° gennaio 2011, la
consolidante può chiedere che le perdite di periodo del
consolidato non utilizzate vengano computate in
diminuzione dei maggiori imponibili, accertati a seguito
dalle rettifiche del reddito complessivo proprio di
ciascun soggetto che partecipa al consolidato e fino a
concorrenza del loro importo. A tal fine, la
consolidante dovrà presentare un’apposita istanza,
all’ufficio competente ad emanare l’atto unico di
accertamento, entro il termine per la proposizione del
ricorso (comma 3).
Con tale previsione, il legislatore
ha inteso eliminare la compensazione “automatica” del
maggior reddito complessivo globale accertato con le
perdite del consolidato non utilizzate -così come
disciplinata dal comma 2, secondo periodo, dell’articolo
9 del citato decreto ministeriale 09 giugno 2004, che,
giusto quanto disposto dal comma 3 dell’articolo 35 del
decreto, è abrogato con l’entrata in vigore
dell’articolo 40-bis del d.P.R. n. 600 del 1973
-subordinandola alla presentazione di una apposita
istanza.
La presentazione di tale istanza
sospende il termine per l’impugnazione dell’atto, sia
per la consolidata che per la consolidante, per un
periodo di 60 giorni.
Entro i successivi 60 giorni dalla
presentazione dell’istanza, l’ufficio -previo riscontro
dell’utilizzabilità delle perdite -procede al ricalcolo
dell’eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi
e delle sanzioni correlate e comunica l’esito alla
consolidata ed alla consolidante.
Con provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate del 29 ottobre 2010, prot. n.
2010/154309 -previsto dal comma 3 dell’articolo 35 -è
stato approvato il modello per la presentazione della
predetta istanza, le modalità di presentazione
(esclusivamente per via telematica direttamente dai
contribuenti abilitati ad Entratel o Fisconline, ovvero
mediante soggetti incaricati di cui ai commi 2-bis e 3
dell’articolo 3 del d.P.R. n. 322 del 1998) e le
conseguenti attività dell’ufficio competente.
In particolare, il provvedimento
suddetto specifica che “per perdite di periodo del
consolidato” che possono essere richieste in diminuzione
dei maggiori imponibili “devono intendersi sia le
perdite relative al periodo d’imposta oggetto di
rettifica, sia quelle ancora utilizzabili alla data di
chiusura dello stesso ai sensi dell’art. 84 del TUIR…
scomputando prioritariamente le perdite relative al
periodo d’imposta oggetto di rettifica”.
Inoltre, il provvedimento precisa
quali siano le perdite che si considerano già utilizzate
al momento di presentazione dell’istanza, e,
conseguentemente, non più usufruibili da parte della
consolidante.
Le perdite richieste in diminuzione
mediante la presentazione del modello non sono più nella
disponibilità della consolidante.
Le attività di controllo della
dichiarazione dei redditi del consolidato e le relative
rettifiche, diverse da quelle conseguenti la rettifica
delle singole dichiarazioni delle consolidate e della
consolidante, sono attribuite all’ufficio dell’Agenzia
delle entrate competente nei confronti della società
consolidante alla data in cui è stata presentata la
dichiarazione (comma 4).
Fino alla scadenza del termine di
decadenza stabilito nell’articolo 43 del d.P.R. n. 600
del 1973, l’accertamento del reddito complessivo globale
può essere integrato o modificato in aumento, mediante
la notificazione di nuovi avvisi, in base agli esiti dei
controlli previsti dai precedenti commi (comma 5). Il
comma 2 dell’articolo 35 del decreto, in conseguenza di
quanto previsto dal citato articolo 40-bis del d.P.R. n.
600 del 1973, inserisce nel d.lgs. n. 218 del 1997
l’articolo 9-bis, apportando importanti novità in tema
di accertamento con adesione qualora a prendere parte al
procedimento siano soggetti aderenti al consolidato
nazionale.
In particolare, il nuovo articolo
9-bis dispone che:
al procedimento di accertamento
con adesione avente ad oggetto le rettifiche delle
singole dichiarazioni di ciascuna consolidata (previste
dal comma 2 dell’articolo 40-bis del d.P.R. n. 600 del
1973) partecipano sia la consolidante che la consolidata
interessata dalle rettifiche, innanzi all’ufficio
dell’Agenzia delle entrate competente alla data in cui è
stata presentata la dichiarazione. L’atto di adesione,
sottoscritto anche da una sola di esse, si perfeziona
qualora gli adempimenti di cui all’articolo 9 del d.lgs.
n. 218 del 1997 (ovvero, il versamento delle somme
dovute in base all’atto di adesione o il versamento
della prima rata con la prestazione della garanzia, nei
termini e secondo le modalità di cui all’articolo 8 del
medesimo d.lgs.) siano posti in essere anche da parte di
uno solo dei predetti soggetti (comma 1);
specularmente a quanto disposto
dal comma 2 dell’articolo 40-bis, anche in fase di
adesione la consolidante ha la facoltà di chiedere che
siano computate, in diminuzione dei maggiori imponibili,
le perdite di periodo del consolidato non utilizzate,
fino a concorrenza del loro importo (comma 2).
Il medesimo comma 2 detta la
disciplina anche per le ipotesi di adesione all’invito a
comparire e di adesione ai verbali di constatazione,
previste, rispettivamente, dagli articoli 5, comma
1-bis, e 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997. In entrambi i
casi, alla prescritta comunicazione di adesione deve
essere allegata l’istanza cartacea, presentata in ogni
caso in via telematica, per l’eventuale compensazione
con le perdite del consolidato non utilizzate, prevista
dal comma 3 dell’articolo 40-bis del d.P.R. n. 600 del
1973.
Con il citato provvedimento del
Direttore dell’Agenzia delle entrate del 29 ottobre 2010
– cui si rinvia -sono stati delineati i tempi, le
modalità di presentazione, nonché le conseguenti
attività dell’ufficio nell’ipotesi in cui l’istanza per
il computo in diminuzione delle perdite sia presentata
nel corso del procedimento di accertamento con adesione,
ovvero di adesione ai sensi degli articoli 5, comma
1-bis, e 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997.
Il comma 4 dell’articolo 35,
infine, fissa l’entrata in vigore delle disposizioni di
cui ai commi precedenti al 1° gennaio 2011, le quali si
applicano con riferimento ai periodi di imposta per i
quali, alla predetta data, sono ancora pendenti i
termini per l’accertamento di cui all’articolo 43 del
d.P.R. n. 600 del 1973.
16. Disposizioni antifrode
(Articolo 36)
L’articolo 36 del decreto apporta
significative modifiche al d.lgs. 21 novembre 2007, n.
231.
In primo luogo, il comma 1, lettera
a), aggiunge i commi 7-bis, 7-ter e 7-quater
all’articolo 28 del citato d.lgs. n. 231.
L’articolo 7-bis, al fine di
contrastare quei Paesi nei quali è maggiore il rischio
di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo e non
vi è un adeguato scambio di informazioni anche in
materia fiscale, prevede che il Ministro dell’economia e
delle finanze, con proprio decreto e sentito il Comitato
di sicurezza finanziaria, provveda alla loro
individuazione in una apposita lista.
Conseguentemente, il successivo
articolo 7-ter dispone che i soggetti sottoposti agli
obblighi di cui al d.lgs. n. 231 del 2007 in materia di
antiriciclaggio (e, precisamente, gli enti e le persone
di cui agli articoli 10, comma 2, ad esclusione della
lettera g), 11, 12, 13 e 14, comma 1, lettere a), b), c)
ed f) del medesimo d.lgs.) dovranno astenersi
dall’instaurare un rapporto continuativo, eseguire
operazioni o prestazioni professionali ovvero vi
dovranno porre fine se già in essere, di cui siano parte
direttamente o indirettamente società fiduciarie, trust,
società anonime o controllate attraverso azioni al
portatore che hanno sede nei Paesi individuati con il
predetto decreto.
Trattasi, ad esempio, delle diverse
società di gestione operanti nel mercato finanziario,
nonché delle società che svolgono attività -subordinate
al possesso di licenze, autorizzazioni, iscrizioni in
albi o registri -di commercio e mediazione, compresa
l’esportazione e l’importazione di oro e di oggetti
preziosi, di fabbricazione, di esercizio di case d’asta
o gallerie d’arte, etc…(articolo 10, comma 2); degli
intermediari finanziari e degli altri soggetti esercenti
attività finanziaria (articolo 11); dei professionisti,
ossia i soggetti iscritti nell’albo dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili, nell’albo dei
consulenti del lavoro, i notai e gli avvocati e degli
altri soggetti (articolo 12); dei revisori contabili
(articolo 13), nonché degli altri soggetti di cui
all’articolo 14, comma 1, lettere a), b), c) ed f),
ossia delle società di recupero crediti per conto terzi,
di custodia e di trasporto di denaro contante, titoli o
valori, delle agenzie di affari in mediazione
immobiliare.
L’applicazione di tali misure è,
altresì, prevista nei confronti di ulteriori entità
giuridiche altrimenti denominate aventi sede nei Paesi
sopra individuati di cui non è possibile identificare il
titolare effettivo e verificarne l’identità.
L’articolo 7-quater, infine,
prevede che con il medesimo decreto di cui al comma
7-bis verranno stabilite anche le modalità applicative
ed il termine degli adempimenti di cui al comma 7-ter.
La successiva lettera b) aggiunge
un ulteriore periodo all’articolo 41, primo comma, del
d.lgs. n. 231 del 2007, in tema di segnalazione di
operazioni sospette.
Più precisamente, nell’intento di
individuare le operazioni a rischio riciclaggio, il
legislatore introduce un nuovo “elemento di sospetto”
costituito dal ricorso “frequente o ingiustificato” ad
operazioni in contante, anche se di importo inferiore al
limite previsto dall’articolo 49 del già citato d.lgs.
n. 231 del 2007 (ovvero, la soglia di 5.000 euro, così
come modificata dall’articolo 20, comma 1, del decreto),
ed, in particolare, il prelievo o il versamento in
contante con intermediari finanziari di importo pari o
superiore a 15.000 euro.
In presenza di operazioni compiute
con le predette modalità, i soggetti sopra indicati
hanno l’obbligo di inviare una segnalazione alla UIF
(Unità di Informazione Finanziaria).
Il Ministero dell’Economia e delle
Finanze con la circolare dell’11 ottobre 2010, prot. n.
297944, ha fornito chiarimenti sulla corretta
applicazione della disposizione per quanto riguarda gli
obblighi di segnalazione alla UIF (Unità di Informazione
Finanziaria) da parte dei soggetti indicati negli
articoli 10, comma 2, 11, 12, 13 e 14, del d.lgs. n. 231
del 2007, in presenza di operazioni compiute con le
predette modalità.
In particolare, il documento di
prassi precisa che “la mera ricorrenza dell’indicatore
di cui all'articolo 36 del decreto legge 78/2010 non è
motivo di per sé sufficiente per la segnalazione di
operazioni sospette, per la quale rimane quindi
indispensabile una valutazione complessiva fondata su
una serie di elementi sia di natura oggettiva che
soggettiva”.
La lettera c) dell’articolo 36 in
commento inserisce il comma 1-ter all’articolo 57 del
d.lgs. n. 231 del 2007, al fine di disciplinare il
regime sanzionatorio applicabile nell’ipotesi di
violazione dell’articolo 28 comma 7-ter del medesimo
decreto, prevedendo un inasprimento delle pene
pecuniarie al crescere dell’importo delle operazioni
effettuate.
In particolare, si applicano le
sanzioni nelle seguenti misure:
5.000 euro per operazioni di
importo fino a 50.000 euro;
dal 10 al 40 per cento
dell’importo dell’operazione qualora la stessa sia
superiore a 50.000 euro;
da 25.000 a 250.000 euro nel
caso in cui l’importo dell’operazione non sia
determinato o determinabile.
17. Disposizioni antiriciclaggio
(articolo 37)
In ossequio al principio di
trasparenza del sistema economico-finanziario,
l’articolo 37 del decreto detta le disposizioni atte ad
assicurare la compiuta conoscenza degli operatori
economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi
black list (di cui al decreto del Ministro delle finanze
4 maggio 1999 e al decreto del Ministro dell’economia e
delle finanze 21 novembre 2001) ammessi a partecipare
alle procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture ai sensi del
d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
A tal fine, la norma introduce al
comma 1 l’obbligo del rilascio di un’autorizzazione
preventiva da parte del Ministero dell’economia e delle
finanze, secondo le modalità che verranno stabilite con
successivo decreto del Ministro stesso entro 30 giorni
dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Il rilascio di tale autorizzazione
è subordinato alla previa individuazione dell’operatore
economico, individuale o collettivo, mediante la
comunicazione dei dati che identificano gli effettivi
titolari delle partecipazioni societarie -anche per il
tramite di società controllanti e per il tramite di
società fiduciarie -nonché alla identificazione del
sistema di amministrazione, del nominativo degli
amministratori e del possesso dei requisiti di
eleggibilità previsti dalla normativa italiana. Ciò
anche in deroga ad accordi bilaterali siglati con
l’Italia che consentano la partecipazione alle procedure
per l’aggiudicazione dei contratti di cui al d.lgs. n.
163 del 2006, a condizioni di parità e reciprocità.
Il comma 2 della disposizione in
commento prevede che il Ministro dell’economia e delle
finanze, con proprio decreto, possa escludere tale
obbligo nei confronti di alcuni dei Paesi suddetti,
ovvero di settori di attività svolte negli stessi,
oppure estendere l’obbligo anche a Paesi cosiddetti non
black list nonché a specifici settori di attività e a
particolari tipologie di soggetti, al fine di prevenire
fenomeni a particolare rischio di frode fiscale.
18. Altre disposizioni in materia
tributaria (Articolo 38)
L’articolo 38 del decreto dispone,
ai commi 1, 2 e 3, che gli enti erogatori di prestazioni
sociali agevolate, comprese quelle erogate nell’ambito
delle prestazioni del diritto allo studio universitario,
a seguito della presentazione di dichiarazione
sostitutiva di cui all’articolo 4 del d.lgs. 31 marzo
1998, n. 109, comunicano all’INPS, nel rispetto delle
norme a tutela della privacy, i dati dei soggetti
fruitori delle prestazioni medesime. Tali dati sono
nome, cognome, luogo e data di nascita e codice fiscale.
Le comunicazioni in parola sono
effettuate in modalità telematica, secondo le
indicazioni dell’INPS, sulla base di direttive del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali; dette
informazioni alimentano il Sistema informativo dei
servizi sociali, di cui all’articolo 21 della l. 8
novembre 2000, n. 328.
Al fine di far emergere eventuali
abusi nella fruizione delle prestazioni sociali
agevolate è previsto che Agenzia delle entrate ed INPS
si scambino ogni informazione necessaria, previa stipula
di apposita convenzione, nel rispetto delle disposizioni
in materia di protezione dei dati personali.
L’INPS, sulla base di informazioni
trasmesse telematicamente dall’Agenzia delle entrate è,
quindi, in grado di individuare i soggetti che, in
ragione del maggior reddito accertato in via definitiva,
hanno fruito indebitamente, in tutto o in parte, delle
prestazioni in argomento.
In tale eventualità, oltre alla
restituzione del beneficio indebitamente fruito, è
prevista una sanzione da 500 a 5.000 euro, applicata
dall’INPS in forza dei poteri e secondo le modalità
previste dalle norme vigenti.
Le medesime sanzioni si applicano
nei confronti di coloro per i quali si accerti, sulla
base dello scambio di informazioni tra l’INPS e
l’Agenzia delle entrate, uno scostamento tra reddito
dichiarato ai fini fiscali e reddito indicato nella
dichiarazione sostitutiva unica di cui all’articolo 4
del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 109, qualora tale
scostamento abbia consentito l’accesso alle prestazioni
agevolate in rassegna.
Il comma 4 dell’articolo 38 in
commento mira a razionalizzare la materia delle
notifiche fiscali. In particolare, la lettera a) elimina
all’articolo 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, il
riferimento alle articolazioni interne
all’Amministrazione finanziaria interessate da riforme
che ne hanno mutato la competenza per materia, nonché la
competenza territoriale.
Con la medesima disposizione
vengono inoltre ridefinite le modalità di comunicazione
all’Agenzia delle entrate, da parte del contribuente,
del domicilio diverso dalla residenza -eletto ai fini
della notificazione degli atti e degli avvisi che lo
riguardano. Le nuove modalità, prevedono esclusivamente
la comunicazione:
mediante lettera raccomandata
con avviso di ricevimento indirizzata al competente
ufficio;
in via telematica, con modalità
stabilite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia
delle entrate.
La comunicazione non può più essere
presentata tramite la dichiarazione annuale.
La nuova forma di comunicazione
consente di individuare con certezza la decorrenza della
variazione di domicilio, che ha effetto, ai sensi
dell’articolo 60, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del
1973, dal trentesimo giorno successivo a quello della
data di ricevimento della raccomandata con avviso di
ricevimento ovvero della comunicazione telematica.
Si osserva, inoltre, che il terzo
comma dell’articolo 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 non
rinvia più, nella nuova formulazione, all’articolo 36
del medesimo decreto -abrogato dall’articolo 37 della l.
24 novembre 2000, n. 340 -ma agli articoli 35 e 35-ter
del d.P.R. n. 633 del 1972, relativi alla dichiarazione
di inizio attività, variazione dati o cessazione
attività ai fini IVA, ed al modello attualmente previsto
per la domanda di attribuzione del numero di codice
fiscale da parte dei soggetti, diversi dalle persone
fisiche, non obbligati alla dichiarazione di inizio
attività IVA., né al modello relativo alla
identificazione diretta ai fini IVA di soggetti non
residenti.
La lettera b) dello stesso comma 4
in commento modifica, a sua volta, l’articolo 26 del
d.P.R. n. 602 del 1973, che, nella nuova formulazione,
consente che la cartella sia notificata con le modalità
di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta
elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli
elenchi a tal fine previsti dalla legge, consultabili
anche telematicamente, dagli agenti della riscossione. È
esclusa, in questo caso, l’applicazione dell’articolo
149-bis del codice di procedura civile, che disciplina
la notificazione a mezzo posta elettronica eseguita
dall’ufficiale giudiziario.
La nuova previsione consente,
pertanto, l’utilizzo della posta elettronica, altrimenti
inibito per effetto dell’esclusione di cui all’articolo
48, comma 2, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice
dell’amministrazione digitale).
La norma autorizza, altresì, gli
Agenti della riscossione alla consultazione degli
elenchi degli indirizzi di posta elettronica certificata
(ad esempio quelli di cui all’articolo 16, commi 6 e 7,
del d.l. n. 185 del 2008).
Il comma 5 della disposizione in
esame prevede che il Ministero dell’economia e delle
finanze, le Agenzie fiscali e gli enti previdenziali,
assistenziali e assicurativi, al fine di potenziare ed
estendere i servizi telematici, possano definire termini
e modalità per l’utilizzo esclusivo dei propri servizi
telematici ovvero della posta elettronica certificata,
anche a mezzo di intermediari abilitati, per la
presentazione da parte degli interessati di denunce,
istanze, atti e garanzie fideiussorie, per l’esecuzione
di versamenti fiscali, contributivi, previdenziali,
assistenziali e assicurativi, nonché per la richiesta di
attestazioni e certificazioni.
I citati enti ed amministrazioni
definiscono l’utilizzo dei servizi telematici o della
posta certificata anche per gli atti, comunicazioni o
servizi dagli stessi resi.
La disposizione consente di ridurre
l’accesso fisico del cittadino presso i pubblici uffici
e favorisce la dematerializzazione degli archivi,
nell’ambito di un più diretto rapporto fra cittadini e
pubblica amministrazione improntato a criteri di
efficacia, efficienza ed economicità.
Nella richiesta e nella ricezione
degli atti tramite i servizi telematici in parola i
cittadini possono avvalersi degli intermediari abilitati
alla trasmissione telematica, ferma restando, in ogni
caso, la possibilità di utilizzare le modalità
tradizionali da parte delle fasce più deboli.
La norma demanda ad un
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate
la definizione degli atti per i quali la registrazione
prevista per legge è sostituita da una denuncia
esclusivamente telematica di una delle parti, la quale
assume qualità di fatto ai sensi dell’articolo 2704,
primo comma, del codice civile.
L’ultimo periodo del comma 5 eleva
da 30 a 60 giorni, decorrenti dalla presentazione del
modello unico informatico, il termine entro cui
l’ufficio, una volta controllata la regolarità
dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte ai
sensi dell’articolo 3-ter, comma 1, del d.lgs. 18
dicembre 1992, n. 463, notifica avviso di liquidazione
per l’integrazione dell’imposta versata, qualora, sulla
base degli elementi desumibili dall’atto, risulti dovuta
una maggiore imposta.
Il comma 6, primo paragrafo,
dell’articolo 38 prevede che l’Amministrazione
finanziaria consenta a chiunque di verificare, con
apposito servizio di libero accesso, l’esistenza e la
corrispondenza tra il codice fiscale e i dati anagrafici
disponibili in Anagrafe Tributaria.
Il secondo paragrafo prevede che
l’Amministrazione finanziaria, al fine di favorire la
qualità delle informazioni presso la Pubblica
Amministrazione, renda accessibili il codice fiscale
registrato in Anagrafe Tributaria e i dati anagrafici ad
esso correlati:
alle pubbliche amministrazioni
di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo
2001, n. 165;
alle società interamente
partecipate da enti pubblici o con prevalente capitale
pubblico inserite nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto
Nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi dell’articolo
1, comma 5, della l. 30 dicembre 2004, n. 311;
ai concessionari e gestori di
pubblici servizi;
ai privati che cooperano con le
attività dell’Amministrazione finanziaria.
L’accesso ai dati disponibili in
Anagrafe Tributaria è subordinato alla stipula di
apposita convenzione.
L’articolo 38, comma 7, prevede una
modalità agevolata di effettuazione del conguaglio
fiscale, a favore di coloro che percepiscano un redditi
di pensione non superiori ad euro 18.000, nel caso in
cui la relativa imposta risultante dal conguaglio di
fine anno sia di importo complessivamente superiore a
100 euro.
In presenza delle condizioni
richieste, le imposte dovute sono prelevate dal
sostituto d’imposta in un numero massimo di undici rate
a partire dal mese successivo a quello in cui è
effettuato il conguaglio, in deroga alla regola generale
prevista dall’articolo 23, comma 3, del d. P.R. n. 600
del 1973.
La rateizzazione del pagamento non
comporta l’applicazione degli interessi.
La norma, riferita ai soli redditi
da pensione di ammontare annuo non superiore a 18.000
euro, si prefigge, dunque, il chiaro intento di favorire
i pensionati più deboli per i quali il debito d’imposta
derivante dal conguaglio potrebbe risultare
particolarmente oneroso, prevedendo la dilazione nel
pagamento delle imposte dovute e l’eliminazione dal
carico impositivo degli interessi.
L’ente pensionistico, pertanto,
verificando sulla base delle informazioni messe a
disposizione dal Casellario Centrale Pensioni che il
reddito da pensione annuo è di importo non superiore a
18.000 euro, opera le ritenute in 11 rate a partire dal
mese successivo a quello in cui ha effettuato il
conguaglio e non oltre quello per il quale sono versate
le ritenute per il mese di dicembre, se l’imposta dovuta
risulta di importo superiore a 100 euro.
Per i soggetti che percepiscono più
trattamenti pensionistici dal medesimo sostituto
d’imposta, quest’ultimo deve tener conto dell’imposta
complessivamente dovuta in relazione a tutti i
trattamenti pensionistici che eroga. Nel caso in cui
l’imposta non possa essere trattenuta per incapienza del
rateo di pensione, tornano applicabili le disposizioni
dell’articolo 23, comma 3, del dpr n. 600 del 1972 che
regolano tale ipotesi. In particolare il pensionato, che
non abbia fornito al sostituto d’imposta la provvista,
potrà o chiedere che la ritenuta sia operata sulle rate
successive a quella in cui si è verificata l’incapienza,
con applicazione degli interessi dello 0,50 per cento
mensile, ovvero versare entro il 15 gennaio dell’anno
successivo l’ammontare che non è stato trattenuto La
disposizione, in assenza di specifici termini di
decorrenza risulta applicabile a partire dal conguaglio
di fine anno relativo al periodo d’imposta 2010.
Il comma 10 della disposizione in
esame consente alle società che, in virtù dell’articolo
3, comma 24, lettera b), del d.l. n. 203 del 2005,
risultino cessionarie di rami d’azienda relativi alle
attività svolte in regime di concessione per conto degli
enti locali, di richiedere ai medesimi enti i dati e le
notizie relative ai beni dei contribuenti iscritti a
ruolo. Tali dati, strettamente necessari per la
riscossione dei ruoli in carico alle predette società
cessionarie, possono essere forniti dagli enti locali
tramite accesso al sistema informativo del Ministero
dell’economia e delle finanze.
La disposizione rileva ai fini e
per gli effetti dell’articolo 19, comma 2, lettera d),
del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112, ai sensi del quale
costituiscono causa di perdita del diritto al discarico
il mancato svolgimento dell’azione esecutiva su tutti i
beni del contribuente la cui esistenza, al momento del
pignoramento, risultava dal sistema informativo del
Ministero dell’economia e delle finanze, a meno che i
beni pignorati non fossero di valore pari al doppio del
credito iscritto a ruolo, nonché sui nuovi beni la cui
esistenza è stata comunicata dall’ufficio ai sensi del
comma 4 del medesimo articolo 19.
Il comma 11 dell’articolo 38
ricomprende l’esercizio di attività previdenziali e
assistenziali da parte di enti privati di previdenza
obbligatoria fra le attività non aventi natura
commerciale ai sensi dell’articolo 74, comma 2, lettera
b), del TUIR. La previsione in commento estende, quindi,
l’ambito applicativo della norma citata che, nella
precedente formulazione, limitava l’esclusione della
natura commerciale alle sole attività previdenziali,
assistenziali e sanitarie esercitate da enti pubblici
istituiti esclusivamente a tal fine, comprese le Aziende
sanitarie locali.
È previsto, inoltre, che gli
apporti effettuati da enti pubblici e privati di
previdenza obbligatoria, costituiti da una pluralità di
immobili prevalentemente locati al momento dell’apporto,
sono soggetti alle previsioni dell’articolo 8, comma
1-bis, del d.l. 25 settembre 2001, n. 351, con
conseguente applicazione delle imposte indirette in
misura fissa.
Il comma 12 dell’articolo 38 in
commento stabilisce che i termini di decadenza per
l’iscrizione a ruolo dei crediti degli enti pubblici
previdenziali, di cui all’articolo 25 del d.lgs. 26
febbraio 1999, n. 46, non si applicano, limitatamente al
periodo compreso tra il 1° gennaio 2010 e il 31 dicembre
2012, ai contributi non versati e agli accertamenti
notificati successivamente alla data del 1° gennaio
2004, dall’Ente creditore.
Si evidenzia che, ai sensi del
citato articolo 25, i contributi o premi dovuti agli
enti pubblici previdenziali sono iscritti in ruoli resi
esecutivi, a pena di decadenza:
per i contributi o premi non
versati dal debitore, entro il 31 dicembre dell’anno
successivo al termine fissato per il versamento; in caso
di denuncia o comunicazione tardiva o di riconoscimento
del debito, tale termine decorre dalla data di
conoscenza, da parte dell’ente;
per i contributi o premi dovuti
in forza di accertamenti effettuati dagli uffici, entro
il 31 dicembre dell’anno successivo alla data di
notifica del provvedimento ovvero, per quelli sottoposti
a gravame giudiziario, entro il 31 dicembre dell'anno
successivo a quello in cui il provvedimento è divenuto
definitivo.
Il comma 13 della disposizione in
esame prevede l’esclusione dagli obblighi dichiarativi
di cui all’articolo 4 del d.l. 28 giugno 1990, n. 167
(modulo RW della dichiarazione del redditi), in capo:
alle persone fisiche che
prestano lavoro all’estero per lo Stato italiano, per
una sua suddivisione politica o amministrativa o per un
suo ente locale, e le persone fisiche che lavorano
all’estero presso organizzazioni internazionali cui
aderisce, l’Italia la cui residenza fiscale in Italia
sia determinata, in deroga agli ordinari criteri
previsti dal TUIR, in base ad accordi internazionali
ratificati. Tale esonero si applica limitatamente al
periodo di tempo in cui l’attività lavorativa è svolta
all’estero;
ai soggetti residenti in Italia
che prestano la propria attività lavorativa in via
continuativa all’estero in zone di frontiera ed in altri
Paesi limitrofi, con riferimento agli investimenti e
alle attività estere di natura finanziaria detenute nel
Paese in cui svolgono la propria attività lavorativa.
Beneficiano dell’esclusione in
parola i dipendenti di ruolo pubblici che risiedono
all’estero per motivi di lavoro, per i quali sia
prevista la notifica alle autorità locali ai sensi delle
convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e
sulle relazioni consolari e che, in virtù dell’articolo
1, comma 9, lettera b), della l. 27 ottobre 1988, n.
470, mantengono ai fini fiscali la residenza in Italia.
La disposizione si applica,
altresì, a quei soggetti che prestano la propria
attività lavorativa all’estero presso organizzazioni
internazionali cui aderisce l’Italia, vale a dire i
lavoratori presso organizzazioni internazionali (ad
esempio ONU, NATO, Unione europea, OCSE). La residenza
fiscale di tali soggetti è fissata, in base agli accordi
internazionali che riconoscono particolari privilegi e
immunità alle organizzazioni internazionali, nello Stato
di provenienza, indipendentemente dai requisiti indicati
nella normativa interna di ciascuno Stato.
L’esonero dall’obbligo di
compilazione del modulo RW della dichiarazione annuale
dei redditi è giustificato, per esigenze di
semplificazione degli adempimenti tributari, fintanto
che i predetti soggetti prestano la propria attività
all’estero e viene meno al rientro in Italia, qualora
questi mantengano, per qualsiasi motivo, gli
investimenti o le attività all’estero.
La disposizione esonera
dall’obbligo dichiarativo anche i frontalieri,
limitatamente agli investimenti e alle attività estere
di natura finanziaria detenute nel Paese in cui svolgono
la propria attività lavorativa.
Il comma 13-sexies dell’articolo 38
in commento dispone l’esonero delle società a prevalente
partecipazione pubblica, che esercitano l’attività di
accertamento e di riscossione dei tributi e di altre
entrate delle Province e dei Comuni, dal rispetto dei
requisiti di capitalizzazione minimi previsti per
l’iscrizione all’albo di cui di cui all’articolo 53,
comma 1, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
Il comma 13-septies della
disposizione in esame modifica l’articolo 2, comma 1,
del d.P.R. 21 dicembre 1996, n. 696, recante operazioni
non soggette all’obbligo di certificazione. Nella nuova
formulazione, l’esonero da tale obbligo è esteso alle
prestazioni di servizi effettuate dalle imprese di cui
all’articolo 23, del d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261,
attraverso la rete degli uffici postali e filatelici,
dei punti di accesso e degli altri centri di lavorazione
postale cui ha accesso il pubblico, nonché quelle rese
al domicilio del cliente tramite gli addetti al
recapito. Attualmente, le prestazioni di servizi in
rassegna sono rese dalla società Poste Italiane S.p.A.,
esercente il servizio universale di cui all’articolo 3
del citato d.lgs. n. 261.
19. Regime fiscale di attrazione
europea (Articolo 41)
Con l’articolo 41 del decreto legge
31 maggio 2010, n. 78 viene introdotto nell’ordinamento
tributario domestico un regime che favorisce, come si
legge nella relazione illustrativa al decreto, “la
circolazione di sottosistemi giuridici all’interno
dell’Unione Europea”. Si tratta di una disposizione
volta ad incoraggiare le imprese europee ad
intraprendere nuove iniziative in Italia, consentendo
loro di scegliere uno tra i regimi fiscali vigenti negli
altri Stati membri dell’Unione.
Più precisamente, la norma consente
alle imprese estere residenti in uno Stato membro
dell’Unione Europea, che intendono avviare nuove
attività economiche in Italia, di chiedere
l’applicazione della normativa tributaria vigente in un
qualunque altro Stato membro in luogo di quella
italiana.
Tale opzione è preclusa ai soggetti
che risultano avere residenza fiscale in Italia.
L’accordo di ruling concluso rimane in vigore per tre
periodi d’imposta.
Il regime impositivo che l’impresa
estera può scegliere di sostituire è quello riferito
alla “normativa tributaria statale italiana”; in altri
termini, restano escluse dall’ambito di applicazione
della norma in commento le imposte locali di competenza,
ad esempio, di Comuni, Province e Regioni.
Al fine di attrarre realmente nuovi
investimenti di soggetti esteri nel nostro Paese,
mediante l’avvio di ulteriori iniziative imprenditoriali
rispetto a quelle già esistenti in Italia, il comma
1-bis della norma in esame subordina la facoltà di
essere assoggettati ad un regime fiscale “alternativo”
al rispetto di due condizioni. In particolare, il
legislatore ha previsto che la disposizione possa
generare un concreto impulso positivo sulla vigente
economia nazionale, circoscrivendone il campo di
applicazione alle attività economiche che:
a) non risultino già esistenti alla
data del 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del
decreto legge);
b) siano effettivamente esercitate
nel territorio dello Stato italiano.
Per poter beneficiare del regime
fiscale prescelto e consentire all’Amministrazione
finanziaria di verificare anche la sussistenza dei
suddetti requisiti, i soggetti interessati devono
presentare apposita istanza di interpello secondo la
procedura di cui all’articolo 8 del decreto legge 30
settembre 2003, n. 269.
Occorre evidenziare, inoltre, che
il regime fiscale facoltativo introdotto dal citato
articolo 41 viene concesso non solo alle imprese estere
che decidono di svolgere una nuova attività economica
nel nostro Paese ma anche ai loro dipendenti e
collaboratori.
L’ultimo comma dell’articolo 41,
infine, delega a un decreto di natura non regolamentare
del Ministero dell’economia e delle finanze tutte le
necessarie disposizioni attuative del regime ivi
previsto.
Tale decreto provvederà, pertanto,
a disciplinare sia gli aspetti sostanziali sia quelli
procedurali non espressamente regolati dalla norma in
commento.
20. Reti di imprese (Articolo 42)
La disciplina sulle reti d’impresa
è stata originariamente introdotta dall’articolo 3,
commi da 4-ter a 4-quinquies, del decreto-legge 10
febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla
legge 9 aprile 2009, n. 33. L’articolo 42 del decreto
interviene in materia:
sul piano civilistico, con i
commi 2-bis e 2-ter, che sostituiscono rispettivamente i
commi 4-ter e 4-quater dell’articolo 3 del decreto legge
n. 5 del 2009, di tal che la principale fonte normativa
regolatrice dell’autonomia privata in materia deve
continuare a ravvisarsi nel novellato articolo 3 da
ultimo citato e nelle norme ivi richiamate;
sul piano fiscale, con i
successivi commi da 2-quater a 2-septies, che
istituiscono, in favore delle imprese che sottoscrivono
o che aderiscono a un contratto di rete, una misura
agevolativa a carattere temporaneo, subordinata
all’autorizzazione della Commissione europea.
Il comma 2 dell’articolo 42
dispone, inoltre, che alle reti di impresa, riconosciute
in base alle previsioni dei commi successivi, “competono
vantaggi fiscali, amministrativi e finanziari, nonché la
possibilità di stipulare convenzioni con l’A.B.I. nei
termini definiti con decreto del Ministro dell’economia
e delle finanze”.
Al riguardo si segnala che con
decisione C(2010)8939 def. del 26 gennaio 2011 la
Commissione europea ha ritenuto che la misura in favore
delle reti di imprese non costituisce aiuto di Stato ai
sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea.
20.1 Elementi principali del
contratto di rete
Per quanto di più immediato
interesse ai fini della misura agevolativa, è opportuno
evidenziare che elemento essenziale del contratto di
rete disciplinato dal comma 4-ter dell’articolo 3 del
decreto-legge n. 5 del 2009 è il “programma comune di
rete”, sulla base del quale gli imprenditori si
obbligano a “collaborare in forme e ambiti
predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie
imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni
di natura industriale commerciale tecnica o tecnologica
ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività
rientranti nell’oggetto della propria impresa” per
perseguire lo scopo di “accrescere, individualmente e
collettivamente, la propria capacità innovativa e la
propria competitività sul mercato”.
Il contratto di rete, inoltre, “può
anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale
comune e la nomina di un organo comune incaricato di
gestire, in nome e per conto dei partecipanti,
l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi
dello stesso”.
La norma in commento, innovando
rispetto alla previgente disciplina, stabilisce quindi
che l’istituzione del fondo patrimoniale comune e la
nomina dell’organo comune non costituiscono elementi
essenziali ai fini della configurabilità del contratto
di rete.
Il medesimo comma 4-ter,
nell’indicare analiticamente il contenuto del contratto
di rete, annovera alla lettera c)“la definizione di un
programma di rete, che contenga l’enunciazione dei
diritti e degli obblighi assunti da ciascun
partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo
comune e, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo
patrimoniale comune, la misura e i criteri di
valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali
contributi successivi che ciascun partecipante si
obbliga a versare al fondo nonché le regole di gestione
del fondo medesimo; se consentito dal programma,
l’esecuzione del conferimento può avvenire anche
mediante apporto di un patrimonio destinato costituito
ai sensi dell’articolo 2447-bis, primo comma, lettera
a), del codice civile. … ;”.
20.2 Agevolazione fiscale per utili
accantonati e investiti
L’agevolazione è prevista in favore
delle imprese che sottoscrivono o aderiscono a un
contratto di rete e consiste in un regime di sospensione
di imposta di cui possono fruire gli utili d’esercizio
accantonati ad apposita riserva e destinati alla
realizzazione di investimenti previsti dal programma
comune, preventivamente asseverato. Detto beneficio
spetta a condizione che le somme accantonate siano
destinate al fondo patrimoniale comune o al patrimonio
destinato all’affare per realizzare entro l’esercizio
successivo gli investimenti previsti dal programma di
rete.
In merito alla determinazione
dell’importo agevolabile viene stabilito, altresì, che
gli utili che non concorrono alla formazione del reddito
non possono eccedere, in ogni caso, il limite di euro
1.000.000 per ciascuna impresa, nonché per ciascun
periodo d’imposta in cui è consentito l’accesso
all’agevolazione, fermo restando il limite stabilito dal
comma 2-quinquies pari a 20 milioni di euro per l’anno
2011 e 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e
2013.
Il regime di sospensione di imposta
cessa, e quindi gli utili accantonati concorrono alla
formazione del reddito, nell’esercizio in cui la riserva
è utilizzata per scopi diversi dalla copertura di
perdite di esercizio ovvero in cui viene meno l’adesione
al contratto di rete.
Il beneficio fiscale in commento
opera esclusivamente in sede di versamento del saldo
delle imposte sui redditi dovute per il periodo di
imposta relativo all’esercizio cui si riferiscono gli
utili destinati al fondo patrimoniale comune o al
patrimonio destinato all’affare. Per il periodo
d’imposta successivo, l’acconto delle imposte dirette è
calcolato assumendo come imposta del periodo precedente
quella che si sarebbe applicata in mancanza delle
previsioni di cui al comma 2-quater.
L’agevolazione spetta
esclusivamente ai fini delle imposte sui redditi e non
opera ai fini dell’IRAP.
Sotto il profilo temporale si
rileva che l’agevolazione opera fino al periodo
d'imposta in corso al 31 dicembre 2012. In proposito si
sottolinea che il comma 2septies dell’articolo 42
subordina l’operatività della norma in commento
all’autorizzazione della Commissione europea, ai sensi
dell’articolo 108, par. 3, del TFUE (c.d. clausola di
stand still).
Si evidenzia infine che l’adesione
al contratto di rete non comporta l’estinzione, né la
modificazione della soggettività tributaria delle
imprese che aderiscono all’accordo in questione, né
l’attribuzione di soggettività tributaria alla rete
risultante dal contratto stesso.
20.3 Disposizioni di attuazione e
controlli
Le norme in esame demandano a
successivi atti la definizione di taluni aspetti
procedimentali e attuativi del regime agevolativo.
Il comma 2-quater dell’articolo 42
stabilisce che il programma comune di rete deve essere
“preventivamente asseverato”. L’asseverazione comporta
la previa verifica della sussistenza nel caso specifico
degli elementi propri del contratto di rete e dei
relativi requisiti di partecipazione in capo alle
imprese che lo hanno sottoscritto. L’asseverazione è
rilasciata da “organismi espressione
dell’associazionismo imprenditoriale muniti dei
requisiti previsti con decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze, ovvero, in via
sussidiaria, da organismi pubblici individuati con il
medesimo decreto”.
Il successivo comma 2-sexies
demanda a un provvedimento del Direttore dell’Agenzia
delle entrate, da adottare entro 90 giorni dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione,
l’individuazione di “criteri e modalità di attuazione
dell’agevolazione”, anche ai fini del rispetto del
limite degli stanziamenti, stabiliti in misura pari a 20
milioni di euro per il 2011 e di 14 milioni di euro per
ciascuno degli anni 2012 e 2013 dal comma 2-quinquies.
La norma dispone infine che
l’Agenzia delle Entrate, avvalendosi dei propri poteri
di accertamento e di controllo, “vigila sui contratti di
rete e sulla realizzazione degli investimenti che hanno
dato accesso all’agevolazione, revocando i benefici
indebitamente fruiti” (articolo 42, comma 2-quater).
21. Agevolazioni per il rientro in
Italia di ricercatori e docenti (articolo 44)
L’art. 44 ha previsto
un’agevolazione fiscale ai fini IRPEF e IRAP per
incentivare i ricercatori e i docenti residenti
all’estero ad esercitare in Italia la loro attività.
La disposizione riproduce
sostanzialmente l’agevolazione prevista dall’art. 17,
comma 1, del DL n. 185/2008 (conv. L. n. 2/2009) e, come
spiegato dalla relazione illustrativa, ne costituisce
una estensione temporale.
Il richiamato articolo 17 del D.L.
n. 185 trova applicazione fino al periodo d’imposta 2015
in quanto favorisce il rientro dei docenti e ricercatori
residenti all’estero che vengono a svolgere l’attività
in Italia e acquistano e mantengono la residenza in
Italia, nell’arco dei cinque anni successivi a quello di
entrata in vigore del decreto stesso, ed è applicabile
nel periodo d’imposta in cui il ricercatore o il docente
diviene fiscalmente residente in Italia e nei due
periodi d’imposta successivi.
La nuova disposizione estende
l’agevolazione fino al 31 dicembre 2017; si applica,
infatti, ai docenti o ricercatori che vengono a svolgere
attività in Italia e assumono qui la residenza nel
periodo compreso tra la data di entrata in vigore del
provvedimento (31 maggio 2010) e i cinque anni solari
successivi (31 dicembre 2015) ed è, anche essa,
applicabile nel periodo d’imposta in cui il ricercatore
acquista la residenza e nei due periodi d’imposta
successivi.
Si ricorda che il beneficio
consiste, ai fini IRPEF, nella esclusione dal reddito di
lavoro dipendente (o dal reddito assimilato a quello di
lavoro dipendente) e di lavoro autonomo del novanta per
cento dei compensi percepiti da detti soggetti in
relazione all’attività di ricerca.
Ai fini IRAP detti compensi non
concorrono alla formazione della base imponibile del
ricercatore, se si tratta di un lavoratore autonomo,
oppure del sostituto che eroga i compensi, nel caso
questi si riferiscano a redditi di lavoro dipendente o
assimilato.
Il ricercatore può prestare
l’attività a favore di Università o altri centri di
ricerca pubblici e privati, nonché di imprese o enti
che, in ragione della peculiarità del settore economico
in cui operano, dispongano di strutture organizzative
finalizzate alla ricerca.
L’agevolazione trova applicazione
nei confronti dei ricercatori o docenti che si trovano
nelle seguenti condizioni:
siano in possesso di un titolo
di studio universitario o ad esso equiparato;
non siano occasionalmente
residenti all’estero;
abbiano svolto documentata
attività di ricerca o docenza all’estero presso centri
di ricerca pubblici o privati o università per almeno
due anni continuativi;
acquistino e mantengano la
residenza fiscale in Italia per tutto il periodo in cui
usufruiscono dell’agevolazione.
Per quanto riguarda gli altri
profili applicativi dell’art. 44 del D.L in commento si
rinvia ai precedenti documenti di prassi e in
particolare ai chiarimenti forniti in materia dalla
circolare 22 dell’08/06/2004, illustrativa di analoga
disposizione recata dall’art. 3 del DL n. 269/2003
(conv. L. n. 326/2003).
22. Disposizioni in materia di
procedure concorsuali (Articolo 48)
L’articolo 48 introduce alcune
disposizioni nel Regio decreto del 16 marzo 1942, n.
267, recante la disciplina del fallimento, del
concordato preventivo e della liquidazione coatta
amministrativa (di seguito L.F.), volte ad agevolare il
risanamento della crisi d’impresa che precede il
fallimento.
Al fine di favorire e promuovere
l’erogazione di nuovi finanziamenti alle imprese in
difficoltà da parte sia di intermediari bancari e
finanziari che, ove l’impresa sia esercitata in forma
societaria, dei soci, nel concordato preventivo e negli
accordi di ristrutturazione dei debiti è stata
espressamente disposta la prededucibilità di alcune
specifiche categorie di crediti.
Nello specifico, il comma 1 della
disposizione in commento introduce nella L.F.,
successivamente all’articolo 182-ter, relativo alla
“Transazione fiscale”, l’articolo 182-quater,
contenente, per l’appunto, “Disposizioni in tema di
prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo,
negli accordi di ristrutturazione dei debiti”.
La norma intende tutelare i crediti
derivanti da finanziamenti effettuati in qualsiasi forma
da banche ed intermediari, iscritti negli elenchi di cui
agli articoli 106 e 107 del d.lgs. del 1° settembre
1993, n. 385 (c.d. Testo unico delle leggi in materia
bancaria e creditizia nella formulazione precedente alle
modifiche introdotte dal D. Lgs. 13 agosto 2010, n.
141), erogati in esecuzione di un concordato preventivo,
ai sensi degli articoli 160 e seguenti, ovvero di un
accordo di ristrutturazione dei debiti, omologato ai
sensi dell’articolo 182-bis, riconoscendo che tali
crediti siano considerati prededucibili, ai sensi
dell’articolo 111.
A norma del primo comma del citato
articolo 111 “le somme ricavate dalla liquidazione
dell’attivo sono erogate nel seguente ordine:
per il pagamento dei crediti
prededucibili;
per il pagamento dei crediti
ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo
l’ordine assegnato dalla legge;
per il pagamento dei creditori
chirografari, in proporzione dell’ammontare del credito
per cui ciascuno di essi fu ammesso, compresi i
creditori indicati al n. 2, qualora non sia stata ancora
realizzata la garanzia, ovvero per la parte per cui
rimasero non soddisfatti da questa”.
Ai fini procedurali, infatti, si
devono considerare prededucibili ai sensi dell’articolo
111 della L.F. sia i crediti previsti da una specifica
disposizione di legge che quelli sorti in occasione o in
funzione di procedure concorsuali, tenendo in
considerazione che i medesimi devono essere soddisfatti
in via prioritaria con l’utilizzo delle somme realizzate
a seguito della liquidazione dell’attivo.
Sono, inoltre, prededucibili i
crediti derivanti da finanziamenti effettuati dai
predetti soggetti nella fase precedente il deposito
della domanda di ammissione alla procedura di concordato
preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo
di ristrutturazione dei debiti.
In quest’ultima ipotesi, i suddetti
finanziamenti dovranno essere previsti dal piano di cui
all’articolo 160, con cui l’imprenditore propone ai
creditori un concordato preventivo, o dall’accordo di
ristrutturazione dei debiti.
Ulteriore condizione richiesta è
che la prededuzione dei menzionati crediti sia
espressamente disposta nel provvedimento con cui il
Tribunale accoglie la domanda di ammissione al
concordato preventivo, ovvero con cui l’accordo sia
omologato.
In deroga a quanto previsto dagli
articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, la
prededucibilità di cui al comma 1 dell’articolo
182-quater, trova applicazione anche per i crediti
derivanti dai finanziamenti effettuati dai soci, fino a
concorrenza dell'ottanta per cento del loro ammontare.
In particolare, l’articolo 2467 del
codice civile prevede la “postergazione” dei
finanziamenti dei soci a favore della società, rispetto
alla soddisfazione degli altri creditori. Analoga
previsione è contenuta nell’articolo 2497-quinquies del
codice civile (che fa riferimento al citato articolo
2467) con riguardo ai finanziamenti effettuati a favore
della società da chi esercita attività di direzione e
coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad
essa sottoposti.
Sono, infine, prededucibili i
compensi spettanti al professionista incaricato di
predisporre la relazione che attesti la veridicità dei
dati aziendali e la fattibilità del piano, nel caso del
concordato preventivo (ai sensi dell’articolo 161, terzo
comma, della L.F.), ovvero la relazione sull’attuabilità
dell’accordo, nel caso della ristrutturazione dei debiti
(ex articolo 182-bis, primo comma, della L.F.). Occorre,
tuttavia, che a tal riguardo vi sia una esplicita
previsione nel provvedimento con cui il tribunale
accoglie la domanda di ammissione al concordato
preventivo ovvero con cui l’accordo sia omologato.
Ai sensi dell’articolo 177 della
L.F. “(…) i creditori muniti di privilegio, pegno o
ipoteca (…) non hanno diritto al voto se non rinunciano
in tutto od in parte al diritto di prelazione”.
Pertanto, i creditori sopra menzionati sono esclusi dal
voto e dal computo delle maggioranze richieste per
l’approvazione del concordato, ai sensi dell’articolo
177, nonché dal computo della percentuale dei crediti,
in materia di accordi di ristrutturazione dei debiti,
prevista dall’articolo 182-bis, primo e sesto comma.
Il comma 2, dell’articolo 48 del
decreto integra anche la disciplina dettata in materia
di ristrutturazione dei debiti, prevedendo che dopo il
quinto comma dell’articolo 182-bis, della L.F., siano
aggiunte le seguenti disposizioni:
sesto comma: il divieto di
iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive,
di cui al terzo comma, può essere richiesto
dall’imprenditore anche durante lo svolgimento delle
trattative e prima della formalizzazione dell'accordo di
ristrutturazione dei debiti, laddove abbia raggiunto
un’intesa con la maggioranza qualificata dei creditori.
In tal caso, occorrerà depositare presso il tribunale
competente, ai sensi dell’articolo 9 della L.F.: 1. la
documentazione di cui all’articolo 161, primo e secondo
comma, ossia la documentazione richiesta per la
proposizione della domanda per l’ammissione alla
procedura di concordato preventivo; 2. una proposta di
accordo, correlata da una dichiarazione
dell'imprenditore, avente valore di autocertificazione,
attestante che sulla proposta sono in corso trattative
con i creditori, che rappresentano almeno il sessanta
per cento dei crediti; 3. una dichiarazione del
professionista, circa la sussistenza delle condizioni
per assicurare il regolare pagamento dei creditori con i
quali non sono in corso trattative o che hanno comunque
negato la propria disponibilità a trattare. Si precisa
che quest’ultima dichiarazione dovrà avere i requisiti
di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d), della
L.F., secondo cui “non sono soggetti all’azione
revocatoria: (…) d) gli atti, i pagamenti e le garanzie
concesse su beni del debitore purché posti in essere in
esecuzione di un piano (…) la cui ragionevolezza sia
attestata da un professionista iscritto nel registro dei
revisori contabili e che abbia i requisiti previsti
dall’articolo 28, lettere a) e b) ai sensi dell’articolo
2501-bis, quarto comma, del codice civile”. La predetta
istanza di sospensione viene pubblicata nel registro
delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio
o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari,
nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se
non concordati, dalla pubblicazione.
comma settimo: Il tribunale,
dopo aver verificato la completezza della documentazione
depositata, provvede a fissare con decreto l’udienza
entro il termine di 30 giorni dal deposito dell’istanza
di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai
creditori della documentazione stessa. Durante il corso
dell’udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti
per pervenire ad un accordo di ristrutturazione dei
debiti, con le maggioranze di cui al primo comma, e
delle condizioni per il regolare pagamento dei
creditori, con i quali non sono in corso trattative o
che hanno, comunque, negato la propria disponibilità a
trattare, il Tribunale dispone con decreto motivato il
divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o
esecutive. Va, peraltro, precisato che con lo stesso
decreto il Tribunale può disporre di acquisire titoli di
prelazione, se non concordati, assegnando il termine di
non oltre 60 giorni per il deposito dell’accordo di
ristrutturazione e della relazione redatta dal
professionista, a norma del primo comma. Il suddetto
decreto è reclamabile a norma del quinto comma, in
quanto applicabile.
comma ottavo: Solo a seguito
del deposito dell’accordo di ristrutturazione dei
debiti, nei termini assegnati dal tribunale, trovano
applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo,
quarto e quinto comma.
Il comma 2-bis della disposizione
in esame prevede, infine, che dopo l’articolo 217 della
L.F., relativo alla “bancarotta semplice” sia inserito
l’articolo 217-bis, che stabilisce l’“esenzioni dai
reati di bancarotta” di cui ai precedenti articoli 216,
terzo comma, e 217, in relazione ai pagamenti e alle
operazioni compiuti in esecuzione di un concordato
preventivo, di cui all’articolo 160, o di un accordo di
ristrutturazione dei debiti, omologato ai sensi
dell’articolo 182-bis ovvero del piano di cui
all’articolo 67, terzo comma, lettera d).
Sulle materie disciplinate
dall’articolo 48 si rinvia ad un successivo documento di
prassi amministrativa di approfondimento.
23. Disposizione in materia di
contenzioso tributario (Articolo 48-ter)
L’articolo 48-ter del decreto,
inserito dalla legge di conversione, modifica la lettera
b) dell’articolo 3, comma 2-bis, del d.l. del 25 marzo
2010, n. 40 che contempla disposizioni volte a
deflazionare il contenzioso pendente innanzi alla
Commissione tributaria centrale e alla Corte di
Cassazione.
La novità interessa le controversie
tributarie pendenti presso i menzionati organi
giurisdizionali, per le quali:
i ricorsi siano stati iscritti
a ruolo nel primo grado entro e non oltre il 25 maggio
2000;
l’Amministrazione finanziaria
dello Stato risulti soccombente nei precedenti gradi del
giudizio.
Per le modalità della definizione
in esame è previsto un meccanismo differenziato, a
seconda dell’organo giurisdizionale innanzi al quale è
pendente la controversia (cfr. circolare n. 37/E del 21
giugno 2010).
Più precisamente, la lettera a) del
comma 2-bis, del citato articolo 3, prevede che “le
controversie tributarie pendenti innanzi alla
Commissione tributaria centrale, (…) sono
automaticamente definite con decreto assunto dal
presidente del collegio o da altro componente delegato.
(…)”.
La successiva lettera b) del
medesimo comma 2-bis stabilisce, invece, che “le
controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di
Cassazione possono essere estinte con il pagamento di un
importo pari al 5 per cento del valore della
controversia determinato ai sensi dell’articolo, comma
3, della l. 27 dicembre 2002, n. 289, e successive
modificazioni, e contestuale rinuncia ad ogni eventuale
pretesa di equa riparazione ai sensi della l. 24 marzo
2001, n. 89 (…)”. A tale previsione si è quindi
aggiunto, con l’articolo 48-ter in commento, che
“l’avvenuto pagamento estingue il giudizio a seguito di
attestazione degli uffici dell’amministrazione
finanziaria comprovanti la regolarità della istanza ed
il pagamento integrale di quanto dovuto ai sensi del
presente decreto”.
24. Garanzia per il versamento di
somme dovute per effetto di accertamento con adesione
(Articolo 52-bis)
L’articolo 52-bis del decreto,
inserito dalla legge di conversione, introduce, in via
sperimentale, a partire dal 31 luglio 2010 e fino al 31
dicembre 2011, la possibilità, ai fini del
perfezionamento dell’accertamento con adesione in forma
rateizzata di cui all’articolo 9 del d.lgs. n. 218 del
1997, qualora le rate successive alla prima siano
superiori a 50.000 euro, di avvalersi di una ulteriore
forma di garanzia -diversa da quelle già previste, ossia
polizza fideiussoria, o fideiussione bancaria ovvero
fideiussione rilasciata dai consorzi di garanzia
collettiva dei fidi iscritti in apposito albo-da
prestarsi attraverso ipoteca volontaria di primo grado.
In particolare, la norma prevede
due condizioni essenziali affinché la garanzia possa
assumere la forma dell’ipoteca volontaria:
deve trattarsi di ipoteca
volontaria di primo grado, cioè sullo stesso bene non
devono essere iscritte altre ipoteche aventi un numero
d’ordine progressivo precedente;
il valore dell’ipoteca, che
deve essere pari al doppio del debito erariale o della
somma oggetto di rateizzazione, deve essere comunque
accettato dall’amministrazione finanziaria.
25. Disposizioni finanziarie
(Articolo 55)
L’articolo 55, commi 1 e 2, del
decreto interviene sul versamento dell’acconto
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche,
disponendo il differimento dello stesso, per il periodo
di imposta 2011 e 2012, nei limiti che saranno
determinati con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle
finanze.
Per ciò che concerne i soggetti che
si avvalgono dell’assistenza fiscale, i commi 1 e 2
dell’articolo sopra citato prevedono che i sostituti di
imposta trattengano l’acconto, tenendo conto del
differimento che sarà disposto con il citato DPCM. |