L'enorme debito pubblico che l'Italia ha accumulato tra
il 1965 e il 1995 non è stato utilizzato a fini
produttivi: i soldi che abbiamo preso in prestito sono
andati in impiego pubblico e pensioni. Ne hanno
beneficiato soprattutto i nati nel decennio 1940-1950. A
pagare il conto saranno i loro figli. Con maggiori
tasse, ma anche con minori servizi. I tagli alla spesa
previsti dalle recenti manovre per istruzione, sanità e
trasporti colpiscono infatti di più questa generazione.
Anche perché in Parlamento i padri continuano a essere
sovra-rappresentati.
Il debito pubblico italiano è esploso tra la metà
degli anni Sessanta, quando si attestava intorno al 25
per cento del Pil, e la metà degli anni Novanta, quando
raggiunse il 120 per cento del Pil. Un incremento di
quasi cinque volte.
PADRI, NONNI E FIGLI
Indebitarsi non è necessariamente un male. Le imprese
private lo fanno tutti i giorni per realizzare
investimenti che le renderanno più efficienti e
produttive in futuro.
Data la bassa crescita economica dal nostro paese negli
ultimi quindici anni, è difficile pensare che l'enorme
debito pubblico accumulato tra il 1965 e il 1995 sia
stato utilizzato a fini produttivi.
Grafico 1:
Debito pubblico e crescita economica.
Fonte: Penn World Tables (dati sul Pil) e Banca d’Italia
(dati sul debito pubblico).
Che cosa abbiamo fatto, allora, con tutti i soldi che
abbiamo preso in prestito? Principalmente, impiego
pubblico e pensioni. C'è una generazione,
quella che ha trascorso la maggior parte della propria
vita lavorativa nel periodo di euforica espansione del
debito, che ha beneficiato di quel denaro trasferendone
i costi alla generazione successiva, ai loro figli.
Potremmo approssimativamente identificare questa
generazione con i nati tra il 1940 e il 1950, Applicando
la convenzione che definisce in venticinque anni
l'intervallo di tempo che separa una generazione dalla
successiva, i figli di quella generazione nascono tra il
1965 e il 1975 mentre i loro padri - “i nonni” - sono
nati tra il 1915 e il 1925.
Utilizzando le indagini sui bilanci delle famiglie
italiane della Banca d'Italia possiamo confrontare
l'incidenza dell'impiego pubblico tra nonni e padri
nella fascia di età tra i 50 e i 60 anni. (2) In
tale fascia di età, gli occupati nel settore pubblico
erano il 27 per cento tra i nonni e il 40 per cento tra
i padri. Utilizzando gli stessi dati, riusciamo a vedere
padri e figli nella stessa fascia di età solo tra i 30 e
i 40 anni (3) e, di nuovo, l'occupazione pubblica
è più elevata tra i primi (39 per cento) che tra i
secondi (35 per cento) (vedi grafico 2, figura in alto).
Allo stesso modo, possiamo confrontare il tasso di
occupazione tra la generazione dei nonni e dei padri
nella fascia di età 50-60 (vedi grafico 2, figura in
basso) e scopriamo che solo il 36 per cento dei padri in
quel gruppo di età era occupato contro il 56 per cento
dei nonni. In altre parole, le baby pensioni sono un
fenomeno che riguarda soprattutto i padri e non tanto i
nonni. I figli non hanno ancora raggiunto la fascia di
età 50-60, ma è ben chiaro che a loro non sarà
certamente concesso di ottenere la pensione prima dei 65
anni. Anzi, i figli avranno pensioni molto più misere e
le otterranno molto più tardi.
Grafico 2:
Dipendenti pubblici e tassi di occupazione tra
generazioni.
Fonte: Archivio storico dell’Indagine sui bilanci delle
famiglie italiane, 1977-2008 – Banca d'Italia
In altre parole, i figli non hanno beneficiato, se non
indirettamente attraverso trasferimenti intra-familiari,
del debito pubblico accumulato nel corso della vita
lavorativa dei padri. Ciononostante, saranno
principalmente i figli a pagare il debito. Gli eventi
degli ultimi mesi hanno messo in chiaro che non ci sarà
concesso di continuare a indebitarci alle stesse
condizioni del passato e, di conseguenza, non sarà
concesso ai figli di trasferire costi collettivi ai loro
figli (i nipoti).
CHI PAGA IL DEBITO. E COME
E come pagheranno i figli per il debito dei padri?
Principalmente pagando le tasse nei prossimi
anni, quando i padri non le pagheranno più, per ovvi
motivi demografici. Ma non solo. Infatti, molti degli
interventi di contenimento della spesa e di incremento
delle entrate previsti dalla recente manovra e dalle
molte che l’hanno preceduta ricadranno principalmente
sulla generazione dei figli.
I tagli agli enti locali si tradurranno in tagli
ai servizi. Prendiamone in considerazione tre, forse i
più importanti: scuola, sanità e trasporti locali. Nel
grafico 3 riportiamo la percentuale di utenti di tali
servizi per generazione di appartenenza del
capofamiglia, in relazione al peso di tali famiglie
nella popolazione. Per esempio, tra i genitori con
bambini e ragazzi in età scolare la generazione dei
figli rappresenta il 42 per cento, contro il 28 per
cento nella popolazione: un rapporto di oltre una volta
e mezza (ed è questo rapporto che viene riportato
sull'asse verticale). In altre parole, la generazione
dei figli è sovra-rappresentata tra gli utenti dei
servizi scolastici e subirà, quindi, i tagli in
questo settore molto più degli altri.
L'utilizzo dei servizi sanitari è concentrato tra
i bambini e gli anziani, di conseguenza la generazione
che avrà meno danno dai tagli di spesa sanitaria (a
parità di efficienza) è proprio quella dei padri.
Infatti, la figura centrale del grafico 3 indica che,
tra le famiglie che hanno utilizzato i servizi
ospedalieri (ricovero) nel corso degli ultimi dodici
mesi, le uniche a essere sotto-rappresentate rispetto al
proprio peso nella popolazione sono appunto quelle dei
padri.
La figura a sinistra del grafico 3 mostra, infine, l’uso
dei trasporti pubblici e anche in questo caso la
generazione dei figli sarà più colpita dai tagli
rispetto ai padri (e anche ai nonni).
Grafico 3:
Utilizzo dei servizi pubblici per generazione del
capofamiglia.
Per non parlare delle pensioni. Tutte le riforme
pensate e attuate negli ultimi quindici anni sono state
finalizzate a ridurre la spesa pensionistica per le
generazioni dei figli e dei nipoti.
Sul fronte delle entrate, è interessante notare che il
nostro sistema di tassazione fortemente sbilanciato sui
redditi da lavoro ha importanti implicazioni
intergenerazionali. Il grafico 4 (figura di sinistra)
mostra che i figli producono quasi il 20 per cento di
tutto il reddito da lavoro italiano e, di conseguenza,
l'imponente tassazione di questa fonte di reddito si
concentra in particolare su di loro.
Sempre il grafico 4 (figura di destra) indica anche che
sono soprattutto i padri a detenere ricchezza,
sia immobiliare che mobiliare. La loro generazione
possiede circa il 25 per cento dell'intero patrimonio
immobiliare del paese, contro l’8 per cento dei figli e
il 4 per cento dei nonni. Per quanto riguarda la
ricchezza mobiliare (risparmio), le disuguaglianze
generazionali sono ancora più marcate: i padri detengono
oltre il 30 per cento del totale, i figli e nonni,
rispettivamente, il 6 per cento e il 7 per cento. Una
delle poche cose buone fatte dal governo durante
l'estate è stato l'adeguamento della tassazione delle
rendite finanziarie (non tutte) alla media Europea,
portandola dal 12.5% al 20%. L'abolizione dell'ICI,
invece, è stata una riduzione fiscale che ha beneficiato
soprattutto i padri e reintrodurre una qualche forma di
tassazione sugli immobili avrebbe il merito di far
pagare chi ha beneficiato maggiormente del debito che
oggi dobbiamo così faticosamente ripagare.
Grafico 4:
reddito da lavoro e ricchezza per generazione.
Fonte: Archivio Storico dell’Indagine sui Bilanci delle
Famiglie Italiane, 1977-2008 - Bankitalia
Se dunque, volente o nolente, la generazione dei figli
pagherà - e già sta pagando - la maggior parte del costo
del risanamento dei nostri conti pubblici, sarebbe
giusto che fosse anche quella che attua le riforme
strutturali necessarie a evitare che l’attuale
situazione si debba ripetere per i propri figli (“i
nipoti”, nella nostra classificazione).
E invece, nella classe politica italiana sono ancora
sovra-rappresentati proprio i padri. Considerando gli
ultimi eletti alla Camera e al Senato (vedi grafico 5),
che sono gli organi dove si varano le riforme
strutturali, la generazione dei padri conta quasi il
25 per cento di tutti i parlamentari, oltre una
volta e mezza la loro percentuale nella popolazione dei
maggiorenni (14,8 per cento). I parlamentari
appartenenti alla generazione dei figli sono solo 16 per
cento, due terzi del loro peso tra i cittadini votanti
(21,5 per cento).
Grafico 5:
divisione per età degli eletti in Parlamento.
Fonte: banca dati del Senato e della Camera dei
Deputati.
È dunque più impellente che mai la necessità di un
ricambio generazionale nella classe dirigente. La
situazione che si è determinata impegna la generazione
dei figli a farsi carico del debito dei padri ma
l'impegno deve essere legittimato dalla responsabilità
di realizzare le riforme necessarie a garantire la
crescita economica nei decenni a venire. Nonostante una
bizzarra matematica porti il ministro Tremonti a
sostenere il contrario, senza crescita economica
qualsiasi sforzo di risanamento delle finanze pubbliche
oggi non eviterà che domani ai figli tocchi pagare di
nuovo.
(1)
Le stime sono state effettuate considerando il periodo
1980-2009 e controllando per l'andamento del ciclo
economico con un trend temporale quadratico.
(2) 51-64, per la precisione.
(3) 33-43 anni, per la precisione.
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