Autore: Daniele Minussi
Elenco dei capitoli
Note
Bibliografia
La rinunzia all'eredità è, nella
sua accezione più pura, atto caratterizzato da una causa
meramente dismissiva in relazione al quale sarebbe
ultronea qualsiasi considerazione circa la gratuità o
l'onerosità, concetti che male si attagliano ad un
intento contrassegnato da una volontà intesa
esclusivamente a determinare l'estinzione di un diritto
senza trasmetterlo ad alcuno.
Il codice civile assume in
considerazione la rinunzia all'eredità effettuata senza
corrispettivo in tre distinte disposizioni.
a) Il II comma dell'art.519
cod.civ. precisa che essa, quando sia fatta
gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si
sarebbe devoluta la quota del rinunziante, non sortisce
effetti finchè non venga posta in essere nelle forme di
cui al I comma (vale a dire con dichiarazione innanzi al
notaio o al cancelliere).
b) L'art. 478 cod.civ. dispone
invece che la rinunzia ai diritti di successione che
intervenga gratuitamente a favore di alcuni soltanto dei
chiamati, importa accettazione (tacita) dell'eredità.
c) Infine ai sensi dell'art. 477
cod.civ. la donazione che il chiamato faccia dei suoi
diritti di successione ad un estraneo, a tutti gli altri
chiamati o ad alcuni di essi, parimenti importa
accettazione dell'eredità.
Le prime due ipotesi si palesano
radicalmente diverse: il II comma dell'art. 519
cod.civ.apri apri ha l'eminente finalità di chiarire che
l'eventuale intesa raggiunta tra coeredi in ordine alla
ipotizzabile rinunzia di uno o più di essi non può che
essere qualificata come mero atto preliminare rispetto
ad un formale atto di rinunzia. Il tema sarà oggetto di
più ampia trattazione aliunde , con riferimento
all'ammissibilità di una rinunzia "contrattuale" nota1.
Quello che occorre qui chiarire è unicamente che l'atto
in questione mantiene integra la propria natura
meramente abdicativa, come è provato dal fatto che
l'eredità si devolve successivamente secondo la regole
proprie della delazione. La rinunzia gratuita fatta a
favore soltanto di alcuni dei chiamati di cui all'art.
478 cod.civ. possiede invece natura giuridica
assolutamente divergente: in tanto infatti è possibile
per il rinunziante determinare un incremento della
delazione in favore soltanto di alcuni tra i soggetti
che profitterebbero di una rinunzia pura e semplice, in
quanto essa venga ad assumere il valore di atto di
accettazione tacita d'eredità. In sostanza è come se il
rinunziante venisse in un primo tempo ad accettare
l'eredità e, secondariamente, ne disponesse cedendola
senza corrispettivo ad alcuni tra i chiamati nota2.
La donazione di diritti successori
di cui all'art. 477 cod.civ. , norma che considera la
donazione al pari della vendita o, in ogni modo, della
cessione non altrimenti qualificata (es.: datio in
solutum ), sortisce effetti analoghi a quelli di cui
alla fattispecie dell'articolo successivo, importando
accettazione dell'eredità. Il significato della
disposizione si palesa tuttavia assolutamente
differente. Mentre la "rinunzia" di cui all'art. 478
cod.civ. interviene a favore di alcuni soltanto dei
chiamati, l'art. 477 cod.civ. considera l'atto inteso a
beneficiare indifferentemente un estraneo, tutti gli
altri chiamati o alcuni di essi. In altre parole, è del
tutto irrilevante stabilire chi ritrae un profitto
dall'attribuzione; ciò che conta è il titolo di detta
attribuzione, titolo che consiste in una donazione
(diretta). Il chiamato che pone in essere una formale
donazione infatti manifesta un chiaro intento
dispositivo che non può non implicare (anche
implicitamente) la volontà di accettare l'eredità. La
concreta disposizione dei beni dell'eredità viene a
mettere la sordina sull'eventuale coincidenza soggettiva
tra i donatari e coloro che si avvantaggerebbero della
delazione in esito alla semplice eliminazione del
rinunziante dal novero dei coeredi nota3.
Da ultimo è il caso che ci si
occupi della relazione che si pone tra rinunzia gratuita
e liberalità indiretta. Può la rinunzia pura e semplice
posta in essere allo scopo di donare (es.: Tizio,
chiamato all'eredità lasciatagli dal padre, rinunzia
puramente e semplicemente, senza corrispettivo alcuno,
al fine di beneficiare il fratello Secondo, che viene
così ad essere l'unico erede) essere qualificata come
donazione indiretta? Prevale la tesi negativa: si
afferma infatti che la legge prescinde dall'intento
donativo, essendo del tutto assorbente la natura
meramente abdicativa della rinunzia nota4. Si aggiunge
che questa conclusione si armonizzerebbe rispetto al
disposto dell'art. 521 cod.civ. , ai sensi del quale
colui che ha rinunziato all'eredità non può trasmettere
diritti successori neppure indirettamente, dovendo
essere considerato come se non fosse mai stato chiamato
nota5. Questa opinione appare criticabile. Se il negozio
indiretto si qualifica come tale in quanto presenta un'
eccedenza dello scopo rispetto al mezzo a motivo del
fatto che la finalità pratica perseguita da chi lo pone
in essere va al di là della causa tipica dell'atto
nota6, allora non sembra dubitabile che anche la
rinunzia possa integrare una liberalità indiretta. Quali
le conseguenze pratiche? Se è vero che la detta
qualificazione implica che, ogniqualvolta le parti
abbiano usato uno schema negoziale non corrispondente
alla causa in concreto perseguita, la disciplina della
fattispecie è, per quanto attiene agli aspetti
dell'elemento causale, afferente al tipo negoziale la
cui causa può dirsi corrispondente al risultato
realmente perseguito dalle parti, a ciò seguirebbe
semplicemente la possibilità di valutare la causa in
concreto dell'atto al fine di sindacarne l'eventuale
illiceità o la frode alla legge. Per tutti gli altri
aspetti invece (quali l'elemento formale, gli elementi
costitutivi, etc.) occorre fare riferimento allo schema
negoziale usato (nella fattispecie alla rinunzia, intesa
come atto unilaterale). Al di là delle discussioni
teoriche il fenomeno è ben evidente nella prassi usuale:
si pensi al caso del genitore che rinunzia all'eredità
lasciata dal coniuge allo scopo di beneficiare il
figlio, contemporaneamente seguendo la via fiscalmente
più conveniente.
Note
nota1
In fondo si tratta di una regola
ermeneutica: è come se la legge si premurasse di
interpretare le espressioni adoperate dal rinunziante ed
ulteriori rispetto alla manifestazione di intento
meramente abdicativo. Sono cioè considerate equivalenti
le seguenti formule: "rinunzio all'eredità" (ed in tal
caso per legge l'eredità sarà devoluta agli altri
chiamati), "rinunzio all'eredità a favore di tutti
coloro ai quali la stessa sarebbe devoluta per legge",
"rinunzio all'eredità a favore di Primo, Secondo e
Terzo" (che sono gli altri chiamati). Tutte integrano
ipotesi dinegozio giuridico unilaterale. Ciò che conta è
che l'eredità si devolva secondo le regole proprie della
successione e non venga "reindirizzata" ad alcuni
soltanto dal rinunziante.
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nota2
A parere di parte della dottrina
(Ferri, Successioni in generale. Artt.456-511, in
Comm.cod.civ., a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma,
1980, p.266) la disposizione di cui all'art. 478
cod.civ. costituirebbe una duplicazione dell'art. 477
cod.civ., contenendo la previsione di uno solo dei casi
contemplati in quest'ultima, dal momento che donatari
sarebbero soltanto alcuni tra i chiamati e non tutti gli
altri chiamati o addirittura soggetti estranei. Altri,
invece (Grosso-Burdese, Le successioni. Parte generale ,
in Tratt.dir.civ.it., diretto da Vassalli, Torino, 1977,
p.336), reputano che la rinunzia di cui all'art. 478
cod.civ. avrebbe a che fare non già con un atto di
donazione (ciò di cui si occupa l'art. 477 cod.civ.),
bensì con una semplice proposta di donazione. Essa
infatti basterebbe ad integrare un atto di accettazione
tacita d'eredità. A parere di altri (Capozzi,
Successioni e donazioni , t.1, Milano, 1983, p.219)
dalla stessa relazione al codice, tenuto altresì conto
dei precedenti storici (cfr. l'art. 936 e 937 cod.civ.
1865) emergerebbe la funzione di semplice raccordo della
norma in questione con il II comma dell'art. 519
cod.civ.apri . Queste ultime notazioni possono essere
condivise: pare tuttavia più importante sottolineare la
differente angolazione delle due norme: l'art. 478
cod.civ. apri evoca la rinunzia quale negozio indiretto
e ne specifica la valenza dispositiva in correlazione al
fatto che i beneficiari di essa sono diversi rispetto a
quelli cui profitterebbe una rinunzia pura e semplice
(cioè una vera rinunzia, atto qualificato da una causa
abdicativa, dismissiva pura). L'art.477 cod.civ. , al
contrario, assume in considerazione la donazione come
atto dispositivo. In questo senso si palesa del tutto
irrilevante la verifica di quali siano i soggetti
beneficiati: se anche per avventura costoro
coincidessero con quelli che si sarebbero avvantaggiati
da una rinunzia abdicativa pura, non per questo la
donazione si potrebbe qualificare come mera rinunzia. In
altri termini la donazione è sempre e comunque atto
dispositivo che implica l'accettazione dell'eredità per
il donante.
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nota3
La valenza interpretativa della
norma sembrerebbe chiara: quella cioè di rimarcare che,
anche se per avventura i donatari si avvantaggiassero in
maniera assolutamente identica a quella che
discenderebbe dall'operatività delle norme relative alla
delazione, comunque non si tratterebbe di una rinunzia
pura e semplice, ma di un atto di disposizione che non
potrebbe non importare accettazione tacita. La questione
non è tuttavia pacifica. A fronte dell'opinione di chi
(Cicu, Successioni per causa di morte, Parte generale,
in Tratt.dir.civ. e comm., diretto da Cicu-Messineo,
Milano, 1961, p.210) reputa che la legge si sia voluta
attenere alla qualificazione dell'atto data dalle parti
in chiave di donazione, v'è invece il parere di altri
(Azzariti Martinez, Successioni a causa di morte e
donazioni, Padova, 1979, p.74) che ritengono comunque
abbia rilievo la volontà del chiamato. Se costui ha
voluto in effetti trasferire un diritto che gli
appartiene, coerente sarebbe la costruzione in chiave di
preventiva accettazione (tacita). Qualora invece egli
avesse semplicemente inteso non acquistare ciò che
avrebbe potuto, lasciandolo agli altri coeredi (nella
stessa misura prevista dalla legge per il caso di
rinunzia abdicativa), non potrebbe escludersi la valenza
di una rinunzia abdicativa. La questione, invero
delicata, sembra tuttavia ridursi alla possibilità di
riqualificare giuridicamente una donazione perfezionata
con un formale atto pubblico. Accedendo a quest'ultima
idea risulterebbe del tutto sminuita la portata
dell'art. 477 cod.civ.: la norma pare invero formulata
proprio per dirimere dubbi di carattere interpretativo:
di fronte al perfezionamento di un atto di donazione,
alla presenza di testimoni, non pare più consentito
evocare dilemmi ermeneutici afferenti all'eventuale
intento meramente dismissivo del chiamato. Egli infatti
perfeziona solennemente un atto dalla chiara portata
dispositiva che, come tale, non può non importare
accettazione tacita d'eredità.
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nota4
Grosso-Burdese, op.cit., p.287.
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nota5
Così Capozzi, op.cit., p.218.
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nota6
Si può dunque asserire che
l'aggettivo "indiretto" è riferibile alla funzione
pratica dell'atto e non ai suoi effetti. Lo scopo
pratico della negoziazione non viene a corrispondere a
quello che è insito nella causa astrattamente assegnata
dalla legge al tipo negoziale posto in essere.
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Bibliografia
CAPOZZI, Successioni e
donazioni, Milano, 1983
CICU, Successioni per causa di
morte. Parte generale: delazione ed acquisto
dell'eredità. Divisione ereditaria, Milano, Tratt. dir.
civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo, vol. XII, 1961
F.S. AZZARITI - MARTINEZ -
G.AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazioni,
Padova, 1979
FERRI, Successioni in generale.
Art.456 - 511, Bologna Roma, Comm.cod.civ. Scialoja
Branca, 1980
GROSSO-BURDESE, Le successioni.
Parte generale, Torino, Tratt.dir.civ. it. diretto da
Vassalli, XII - t.1, 1977 |