Nessun ricor so, nessun
risarcimento
direttamente da questo” (terzo
comma);
• “nel caso in cui sia stata
proposta
azione di annullamento la domanda
risarcitoria può essere formulata
nel
corso del giudizio o, comunque,
sino
a centoventi giorni dal passaggio
in giudicato della relativa
sentenza”
(quinto comma).
In pratica, dunque, il giudice può
condannare l’amministrazione a
risarcire i danni provocati con i
propri
provvedimenti illegittimi, anche se
tali provvedimenti non siano stati
in
precedenza annullati.
Questo però in teoria, perché in
pratica
lo stesso Articolo 30 stabilisce al
terzo comma che “nel determinare il
risarcimento il giudice valuta
tutte le
circostanze di fatto e il
comportamento
complessivo delle parti e,
comunque,
esclude il risarcimento dei danni
che
si sarebbero potuti evitare usando
l’ordinaria diligenza, anche
attraverso
l’esperimento degli strumenti di
tutela
previsti”.
E qui casca l’asino, perché fra gli
“strumenti di tutela previsti” vi è
ovviamente anche l’impugnazione del
provvedimento illegittimo mediante
tempestivo ricorso: in altri
termini,
dice la legge, tu cittadino potevi
chiedere al giudice o all’autorità
amministrativa di annullare l’atto
amministrativo illegittimo, se
l’avessi
fatto probabilmente avresti evitato
che si verificasse il danno di cui
chiedi
il risarcimento, e siccome non
l’hai
fatto non puoi pretendere ora tale
risarcimento.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato (cioè, il massimo giudice
amministrativo) con la Sentenza n.
3 del 23 marzo 2011 ha osservato in
proposito che “il codice, pur
negando
la sussistenza di una
pregiudizialità
di rito, ha mostrato di apprezzare,
sul versante sostanziale, la
rilevanza
(…) dell’omessa impugnazione come
fatto valutabile al fine di
escludere la
risarcibilità dei danni che (…)
sarebbero
stati presumibilmente evitati in
caso
di tempestiva reazione processuale
nei confronti del provvedimento
potenzialmente dannoso”, ed ha
quindi
concluso che “la scelta di non
avvalersi
della forma di tutela specifica e
non
(comparativamente) complessa che,
grazie anche alle misure cautelari
previste dall’ordinamento
processuale,
avrebbe plausibilmente (ossia più
probabilmente che non) evitato, in
tutto
o in parte il danno, integra
violazione
dell’obbligo di cooperazione, che
(…)
impedisce il risarcimento del danno
evitabile”.
Dalle norme del codice e dalle
considerazioni dell’Adunanza
Plenaria
si possono dunque trarre alcune
regole
di comportamento, da seguire per
non
correre il rischio di perdere il
diritto al
risarcimento dei danni provocati da
un
atto amministrativo illegittimo.
Per prima cosa bisogna segnalare
all’amministrazione i vizi di
legittimità
dell’atto, e ciò può essere fatto
mediante l’inoltro di un’istanza di
revoca
oppure direttamente notificando il
ricorso giurisdizionale o
amministrativo.
Nel caso in cui venga presentata
un’istanza di revoca e questa non
venga
accolta, bisogna necessariamente
passare alla notifica del ricorso.
Ricorrendo determinate condizioni,
poi, con quest’ultimo va chiesto
anche
che, nell’attesa della decisione
finale,
l’efficacia dell’atto impugnato
venga
sospesa.
Fatto tutto questo, una volta che
l’atto
amministrativo illegittimo sia
stato
annullato non si dovrebbero
incontrare
impedimenti ad ottenere il
risarcimento
dei danni concretamente subiti a
causa
dello stesso, sempre che ovviamente
si
sia in grado di dimostrare che tali
danni
si siano effettivamente verificati.
Walter Fumagalli
Dopo anni di discussioni e
incertezze, il
risarcimento dei danni provocati
dalla
pubblica amministrazione con i
propri
atti illegittimi ha finalmente
trovato
una regolamentazione stabile a
seguito
dell’entrata in vigore del
cosiddetto
“codice del processo
amministrativo”
(Decreto legislativo 2 luglio 2010
n. 104).
A partire dalla sentenza della
Corte di
Cassazione n. 500 del 22 luglio
1999, si
era consolidato il principio
secondo cui,
se un atto amministrativo danneggia
un cittadino, salvo casi
eccezionali
l’amministrazione che l’ha emanato
deve
risarcirlo.
Il nuovo codice del processo
amministrativo permette di chiedere il risarcimento
dei danni provocati da
provvedimenti amministrativi illegittimi anche se non si
chiede
il loro annullamento. Se però non
si chiede l’annullamento del provvedimento,
ottenere il risarcimento dei danni
può rivelarsi impossibile. E allora che cosa bisogna
fare?
Affermatosi questo principio, è
sorta
però la problematica della
cosiddetta
“pregiudiziale amministrativa”: il
giudice
può condannare l’amministrazione
al risarcimento dei danni solo se
precedentemente il provvedimento
illegittimo sia stato annullato (in
sede
giudiziaria o in sede
amministrativa),
oppure può condannarla anche nel
caso
in cui tale annullamento non vi sia
stato?
Su questo tema si sono scontrate
posizioni opposte fino all’entrata
in
vigore dell’Articolo 30 del codice,
il
quale ha stabilito che:
• “può essere chiesta la condanna
al risarcimento del danno ingiusto
derivante dall’illegittimo
esercizio
dell’attività amministrativa o dal
mancato esercizio di quella
obbligatoria”
(secondo comma);
• “la domanda di risarcimento per
lesione
di interessi legittimi è proposta
entro
il termine di decadenza di
centoventi
giorni decorrente dal giorno in cui
il fatto
si è verificato ovvero dalla
conoscenza
del provvedimento se il danno
deriva |