Del Dott. Giuseppe Caristena
1. La vicenda
In data 8 settembre 2011 è stata
depositata la sentenza n. 18348 con cui i giudici della
prima
sezione della Corte di Cassazione
avevano, in data 21 aprile 2011, condannato un ex
curatore
fallimentare al risarcimento del
danno per inesatto adempimento delle proprie funzioni
nell’ambito della procedura
concorsuale. Veniva così confermata dagli ermellini la
decisione dei
giudici di merito.
In particolare, all’ex curatore è
stato contestato di non aver tempestivamente receduto,
durante il
suo incarico professionale, da un
contratto locativo dei locali aziendali della fallita,
mantenendo
così in vita l’obbligazione di
pagamento dei relativi canoni.
Ma non solo. All’ex curatore è
stato altresì contestato di aver consentito alla fallita
la prosecuzione
dell’attività imprenditoriale. Tra
l’altro, senza che gli introiti confluissero all’attivo
fallimentare.
Insomma, oltre al danno la beffa.
Sin dal primo grado, la difesa
dell’ex curatore, per quel che a noi qui interessa, ha
fatto leva
sull’interpretazione letterale,
restrittiva, dell’art. 38, comma 2, Regio Decreto 16
marzo 1942, n.
267 (Legge Fallimentare). Si è
tentato, infatti, di correre ai ripari eccependo che il
convenuto aveva
a suo tempo lasciato l’incarico in
forza di proprie dimissioni, anziché per impulso
dell’autorità
giudiziaria ex art. 37 l. fall.1
Il nuovo art. 37 statuisce che:
“1. Il tribunale può in ogni tempo,
su proposta del giudice delegato o su richiesta del
comitato dei creditori o d'ufficio,
revocare il curatore.
2. Il tribunale provvede con
decreto motivato, sentiti il curatore e il comitato dei
creditori.
3. Contro il decreto di revoca o di
rigetto dell'istanza di revoca, è ammesso reclamo alla
corte di appello ai sensi
dell'articolo 26; il reclamo non
sospende l'efficacia del decreto”.
L’articolo in questione è stato
modificato dal D.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (in vigore
dal 16 luglio 2006), che ha
apportato anche l’aggiunta del
nuovo terzo comma. Il testo previgente prevedeva che:
“1. [i]l tribunale può in ogni
tempo, su proposta del giudice delegato o su richiesta
del comitato dei creditori o d'ufficio,
revocare il curatore.
2. Il tribunale provvede con
decreto, sentiti il curatore ed il pubblico ministero.”
2
Per capire meglio, al secondo comma
del sopracitato art. 38 si legge che “[d]urante il
fallimento
l'azione di responsabilità contro
il curatore revocato è proposta dal nuovo curatore,
previa
autorizzazione del giudice
delegato, ovvero del comitato dei creditori.”2
In poche parole, la difesa del
convenuto puntava alla dichiarazione d’inammissibilità
dell’azione
risarcitoria promossa dal nuovo
curatore, sostenendo che la vicenda non fosse da
ricondurre al
suddetto articolo in virtù di
un’interpretazione prettamente letterale dello stesso,
volta a
restringerne il campo
d’applicazione al solo caso di revoca del curatore.
Per di più, il convenuto ricordava,
a supporto della propria difesa, l’avvenuta approvazione
del
rendiconto. Evento a carattere
asseritamente preclusivo dell’azione di responsabilità
di cui si
discute.
L’impianto difensivo messo in piedi
dall’ex curatore non ha però convinto i giudici nel
corso di
tutto il processo, tant’è che in
ultimo grado è stata, in buona sostanza, confermata la
condanna al
risarcimento del danno patito dal
ceto creditorio.
Tale giudizio è frutto di
un’argomentazione con cui i giudici hanno inteso
riconoscere il carattere
(naturalmente) elastico dell’art.
38, comma 2, l. fall.
In effetti, per le ragioni
riportate nel paragrafo successivo, l’interpretazione
estensiva della norma
appare la più corretta, dal punto
di vista logico, e più in armonia con il corpo normativo
che
disciplina la materia fallimentare.
2. La parola dei giudici di
Cassazione
Prima di illustrare le motivazioni
con cui la Corte di Cassazione ha deciso di confermare
la
condanna risarcitoria dell’ex
curatore, è interessante evidenziare un particolare
aspetto connesso
all’esercizio dell’azione di
responsabilità.
Ai sensi del secondo comma
dell’art. 38, legge fallimentare, l’iniziativa
processuale spetta
unicamente al nuovo curatore, fermo
restando che questi debba ottenere il placet del
“giudice
delegato, ovvero del comitato dei
creditori”.
La presenza nel testo della
congiunzione alternativa “ovvero” è stata oggetto di
varie
interpretazioni.
2 Vale la pena di ricordare la
sentenza di Cass. civ., Sez. I, 5 aprile 2001, n. 5044,
in Il Fallimento, 2002, 57, con nota di
Capocchi, in cui è stato dichiarato
che tale azione, “in considerazione della natura del
rapporto, equiparabile al
mandato”, si prescrive nel termine
decennale, che “non decorre prima della sostituzione del
curatore, a nulla rilevando
che l'illecito rimonti ad un tempo
notevolmente anteriore, per il fondamentale principio
che la prescrizione comincia a
decorrere solo dal giorno in cui il
diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.)”.
Conformemente già Cass. civ., Sez. III,
4 ottobre 1996, n. 8716 e Cass.
civ., Sez. I, 11 febbraio 2000, n. 1507.
3
C’è chi reputa sufficiente
l’autorizzazione richiesta ad uno solo dei due organi
sopra menzionati. A
ben riflettere, si tratterebbe
della tesi più in linea con l’interpretazione letterale,
principio
d’ermeneutica, che in questo caso
non appare poi così fuori luogo da poter essere
trascurato.
Restando agganciati a questo primo
orientamento, nel caso in cui si sia deciso per una
richiesta
rivolta ad entrambi gli organi, la
mancata concessione da parte di uno di questi, secondo
alcuni
autori, non paralizzerebbe comunque
l’esercizio dell’azione di responsabilità, data la
posizione di
asserita parità che tali organi
assumono3. Altri, invece, propendono per la via del
reclamo al fine di
uscire dall’impasse creato dalla
mancata concessione dell’autorizzazione da parte di uno
dei due
organi interpellati4.
Altri ancora ritengono più
opportuno che il nuovo curatore si rivolga ad entrambi
gli organi,
consapevole comunque di poter
esercitare l’azione di responsabilità in forza anche di
una sola
autorizzazione, e ferma restando la
via del reclamo da parte di qualunque soggetto
interessato
avverso il provvedimento che
concede o nega l’autorizzazione o avverso la sua
omissione, con
eventuale sospensione della
procedura già innescata in forza di una sola
autorizzazione.5
Dall’altra parte, l’orientamento
più rigido esige il rilascio della doppia
autorizzazione, giustificando
tale necessità sulla base del
diverso valore assunto dal “benestare” del giudice
delegato rispetto a
quello del comitato dei creditori.
Difatti, il primo organo garantirebbe la legittimità
degli atti,
mentre il secondo certificherebbe
l’opportunità della decisione del curatore, titolare dei
compiti
gestori nel corso della procedura
(infra par. 3).
Veniamo ora ai passaggi di maggiore
interesse contenuti nella sentenza in esame. I giudici,
soffermandosi su talune circostanze
specifiche, hanno categoricamente rigettato una
limitazione
del campo d’applicazione di una
norma, frutto di una superficiale interpretazione
letterale, come
avvenuto nella vicenda in esame.
La prima questione affrontata dai
giudici nasce dal fatto che all’art. 38, secondo comma,
l. fall., si
legge di un’azione di
responsabilità promossa nei confronti del curatore
revocato.
Nonostante sia menzionata la sola
ipotesi della revoca, gli ermellini chiariscono che tale
indicazione non è da considerarsi
“tassativa, bensì solo normale”. Essi statuiscono
giustamente
che sia da sussumere sotto questa
fattispecie normativa astratta anche l’ipotesi in cui il
curatore
abbia lasciato il proprio incarico
sulla base di dimissioni. Come è accaduto nel caso di
specie.
A ben riflettere, non prendere per
buona la tesi sposata dai giudici d’ultimo grado
significherebbe
svilire la ratio della norma e
impoverirne l’efficacia. Difatti, se si limitasse
l’applicabilità della
norma al solo caso della revoca del
curatore si arriverebbe paradossalmente a legittimare
l’elusione della legge, dal momento
che ciascun furbo curatore, fiutando il rischio di
3 D’Attore, sub art. 38, in Nigro e
Sadulli (a cura di),La riforma della legge fallimentare,
Torino, 2006, 246.
4 Ruggiero, in La legge
fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2007, 290.
5 G. Verna, La responsabilità del
curatore fallimentare, in Rivista dei dottori
commercialisti, 2010, 1, 169.
4
responsabilità, non esiterebbe un
istante a dimettersi dall’incarico prima dell’emersione
di un
qualsiasi danno conseguenza della
sua imperizia.
Detto ciò, è stato appalesato che
il presupposto per l’esercizio dell’azione di
responsabilità in
commento è da rinvenirsi in una
vera e propria violazione dei propri doveri da parte del
curatore,
anziché semplicemente nell’avvenuta
revoca dello stesso.
L’altra questione, anch’essa
connessa all’interpretazione letterale della stessa
norma, consiste
nell’indagine sul carattere del
rapporto tra approvazione del rendiconto e azione di
responsabilità.
In altre parole, l’avvenuta
approvazione del rendiconto di gestione osta
all’esercizio dell’azione di
responsabilità contro il curatore?
Nel caso di specie l’ex curatore ha
eccepito l’inammissibilità dell’azione in questione in
quanto
preclusa dal fatto che il
rendiconto, da egli presentato prima delle proprie
dimissioni, fosse già
stato approvato senza che in quella
sede fosse stata promossa alcuna contestazione nei
confronti
della sua persona.
Il riferimento specifico è all’art.
116, l. fall., richiamato dall’ultimo comma dell’art. 38
della
medesima legge, in cui si legge che
“il giudice [dopo che il curatore gli ha presentato
l’esposizione
del rendiconto di gestione] ...
fissa l’udienza fino alla quale ogni interessato può
presentare le sue
osservazioni o contestazioni”.
L’art. 116 cit. si conclude statuendo che “[s]e
all’udienza stabilità
non sorgono contestazioni … il
giudice approva il conto con decreto […]”.
Ebbene, anche su questo punto della
difesa i giudici hanno avuto da ridire.
In effetti, è stato chiarito che il
giudizio di rendiconto di cui all’art. 116, l. fall., è
da considerarsi
semplicemente la sede naturale in
cui promuovere l’azione di responsabilità nei confronti
dell’ex
curatore, senza presunzione
d’esclusività. E ciò “in forza di connessione assoluta,
ex lege: data
l’ammissibilità della scissione del
controllo più propriamente contabile da quello
gestionale”.
In virtù di tale considerazione,
non può ritenersi preclusa l’azione di responsabilità
esercitata al di
fuori del giudizio sul rendiconto
gestionale del curatore: né che l’azione sia esperita
prima né che
lo si faccia dopo tale giudizio6.
6 A proposito del giudizio sul
rendiconto di gestione, nella sentenza di Cass. civ.,
sez. I, 5 ottobre 2000, n. 13274 si
legge che: “[i]l giudizio che si
instaura, ai sensi dell’art. 116 l. fall., in caso di
mancata approvazione del rendiconto di
gestione del curatore può avere
legittimamente ad oggetto non soltanto gli errori
materiali, le omissioni ed i criteri di
conteggio adottati, ma anche
l’accertamento delle responsabilità del curatore
medesimo, ai sensi dell’art. 38, comma
2, stessa legge, ma l’esercizio di
tale azione non costituisce un effetto normale ed
automatico della mancata
approvazione del conto, né implica
deroghe alle regole sul procedimento stabilite per il
giudizio di cognizione
ordinario”. Sempre in merito al
giudizio in questione, Cass., sez. I, 10 settembre 2007,
n. 18940:“ Il giudizio di
approvazione del rendiconto
presentato dal curatore ha ad oggetto oltre alla
verifica contabile anche l'effettivo
controllo di gestione e può
estendersi all'accertamento della personale
responsabilità nel compimento di atti
pregiudizievoli per la massa o per
i singoli creditori; in quest'ultimo caso il diniego di
approvazione deve essere
preceduto dal concreto riscontro di
tutti i requisiti di riconoscimento della
responsabilità, incluso il pregiudizio
5
Da ultimo, per mero tuziorismo, si
fa notare come questa conclusione sia in sintonia con
quanto
normativamente stabilito in
relazione all’approvazione del bilancio di società per
azioni7.
3. La figura del curatore e la
natura della sua responsabilità
A titolo introduttivo di questo
paragrafo bisogna ricordare che una tra le più
interessanti novità
della riforma del diritto
fallimentare8 risulta essere, senza dubbio, la
rivisitazione dei ruoli
assegnati ai soggetti coinvolti
nella procedura concorsuale.
Nel nuovo diritto fallimentare si
apprezza un equilibrio tra gli organi coinvolti, frutto
principalmente: 1) del
ridimensionamento del ruolo del giudice delegato,
privato del potere
direzionale e oggi titolare
principalmente della funzione di vigilanza sul rispetto
delle regole
procedurali; e 2) del
corrispondente potenziamento della figura del curatore,
titolare, oggi in via
autonoma, di compiti di direzione e
amministrazione all’interno dell’iter fallimentare.
A comprovare quanto sopra detto vi
è il novellato art. 31, l. fall., al cui primo comma si
legge: “[i]l
curatore ha l’amministrazione del
patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni
della
procedura sotto la vigilanza del
giudice delegato e del comitato dei creditori,
nell’ambito delle
funzioni ad esso attribuite”9.
Emerge quindi un giudice delegato
non più motore della procedura, bensì relegato a ruolo
di
vigilante anziché direttore10.
Concentrandoci sulla figura del
curatore fallimentare, l’art. 30, l. fall., afferma che:
“il curatore, per
quanto attiene all’esercizio delle
sue funzioni, è pubblico ufficiale”11.
In virtù di tale qualifica, il
professionista che assume l’incarico di curatore non
svolge un’attività
c.d. ”libera", cioè nei confronti
di un cliente e regolata dalle norme che presiedono al
contratto
d'opera professionale
intellettuale, ma deve altrettanto con sicurezza
ritenersi che egli esplichi un
compito, rientrante nell'attività
professionale della sua categoria”. Egli, perciò, rimane
“un privato,
eventualmente cagionato alla massa
o ad uno dei creditori”. In senso conforme alla prima
parte di questa massima,
Cass. 19 gennaio 2000, n. 547 e
Cass. 14 ottobre 1997, n. 10028.
7 Ci si riferisce in particolare
all’art. 2434 cod. civ., che statuisce come
segue:”[l]’approvazione del bilancio non implica
liberazione degli amministratori,
dei direttori generali, dei dirigenti preposti alla
redazione dei documenti contabili
societari e dei sindaci per le
responsabilità incorse nella gestione sociale”. Sulla
stessa scia, seppur in tema di conto
corrente, si pone la Cass., sez. I,
19 marzo 2007, n. 6514:“la mancata tempestiva
contestazione dell'estratto conto da
parte del correntista nel termine
previsto dall'art. 1832 c.c. rende inoppugnabili gli
accrediti e gli addebiti solo sotto il
profilo meramente contabile, e non
preclude pertanto la contestazione della validità e
dell'efficacia dei rapporti
obbligatori da cui essi derivino”.
Conformemente, Cass., 18 maggio 2006, n. 11749 e Cass.,
5 maggio 2006, n. 10376.
8 Tale riforma è entrata pienamente
in vigore in data 1 gennaio 2008, in virtù del D.lgs. 12
settembre 2007, n. 169,
Disposizioni integrative e
correttive al r.d. 16 marzo 1942, nonché al d.lgs. 9
gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina
del fallimento, del concordato
preventivo e della liquidazione coatta amministrativa.
9 Il vecchio primo comma dell’art.
31, l. fall., prevedeva quanto segue: “[i]l curatore ha
l’amministrazione del
patrimonio fallimentare sotto la
direzione del giudice delegato”.
10 Cfr. Relazione illustrativa
dello schema di decreto legislativo, sub art. 25.
11 Il curatore mantiene questa
qualifica, sebbene in alcuni casi (i.e. esercizio
provvisorio o affitto d’azienda) prenda il
posto del fallito
nell’amministrazione del patrimonio.
6
che svolge, nell'ambito della sua
attività professionale, un incarico giudiziario, in
relazione al quale
incarico svolge pubblici poteri”.12
Detto ciò, il suo rapporto con la
Pubblica Amministrazione non è riconducibile al
contratto di
lavoro subordinato, né al contratto
d’opera professionale. Il curatore, scelto tra gli
iscritti in albi
professionali13, assume una doppia
veste, dal momento che resta un privato che svolge un
incarico
giudiziario, in qualità di pubblico
ufficiale.
Per quanto riguarda la
responsabilità dell’organo in questione, l’art. 38, al
suo comma 1, stabilisce
che esso è responsabile quando non
“adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla
legge o
derivanti dal piano di liquidazione
approvato, con la diligenza richiesta dalla natura
dell’incarico”14.
Come risulta chiaramente dal testo
della norma, il nuovo disposto dell’art. 38 non fa più
riferimento alla diligenza del buon
padre di famiglia, ex art. 1176, co. 1, cod. civ., bensì
a quella, di
maggior spessore, del
professionista, ex art. 1176, co. 2, cod. civ.15
Si tratta di una novità che
conferma il punto di vista da tempo affermatosi in
dottrina16.
Altra novità è l’agganciamento
della diligenza professionale non solo alla legge, ma
anche al piano
di liquidazione17, restando esclusa
la possibilità di agire avverso il curatore in relazione
al merito
delle proprie decisioni.
Prima di proseguire oltre, si
precisa che per poter agire contro il curatore è
ovviamente necessario
che, a prescindere dalla natura
della sua responsabilità, sussistano i seguenti
elementi:
l’intenzionalità della condotta18,
il verificarsi del danno, e il nesso causale fra questi
elementi.
Quanto al profilo di responsabilità
del curatore che a noi più interessa, ossia per i danni
arrecati al
patrimonio fallimentare (massa dei
creditori), la dottrina maggioritaria propende per la
natura
contrattuale.19
Tra le ragioni a sostegno della
suddetta tesi vi è, in primis, la natura di mandato
rivestita
dall’incarico affidato e accettato
dal curatore, ossia un contratto con cui il
professionista si obbliga
12 In questi termini Cass. civ.,
Sez. III, 15 luglio 2005, n. 15030.
13 Ex art. 28, legge fallimentare.
14 L’affidamento dei compiti di
direzione e amministrazione al curatore fallimentare ha
portato alcuni autori a rilevare
talune analogie tra la sua
responsabilità e quella dell’amministratore di società
di capitali di cui all’art. 2392, co. 1, cod.
civ. Altri ancora hanno ritenuto
più plausibile l’accostamento con quella del liquidatore
di società ex art. 2489, co. 2,
cod. civ., pur tuttavia rinviando,
quest’ultimo articolo, alla responsabilità degli
amministratori. Si veda sul punto G.
Verna – S. Verna, La liquidazione
delle società di capitali, Padova, 2009, 116 ss.
15 Il testo precedente, nella sua
prima parte, statuiva quanto segue: “[i]l curatore deve
adempiere con diligenza ai
doveri del proprio ufficio.”
16 Cfr. Santini, in Commentario, a
cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1977, 25 ss.;
Satta, Istituzioni di diritto
fallimentare, Padova, 1996, 122.
17 Dalla lettura dell’art. 104-ter
il piano di liquidazione risulta essere “una fattispecie
a formazione progressiva”,
nonché “momento di raccordo
operativo” tra curatore e comitato dei creditori, che in
tale sede detiene poteri
nettamente più incisivi rispetto a
quelli del giudice delegato, che svolge il solo
controllo di legalità sull’atto. Così si è
espresso De Crescienzo, La
responsabilità del curatore fallimentare: la nuova
disciplina, in Il Fallimento, 2009, 4, 380.
18 La responsabilità contrattuale
del curatore sarà ricondotta all’art. 2236 cod. civ., ai
sensi del quale nel caso in cui la
prestazione comporti problemi di
particolare complessità, il professionista ne risponderà
solo per dolo o colpa grave.
19 Tra tutti, Lo Cascio, Il
fallimento e le altre procedure concorsuali, Assago,
2007, 263; Ruggiero, in La Legge
fallimentare, a cura di Ferro,
Padova, 2007, 290; Serao – Ruvolo, in Fallimento e altre
procedure concorsuali, diretto da
Fauceglia e Panzani, Padova, 2009,
333.
7
ad agire nell’interesse della
giustizia e dei creditori del fallito20. Si tratta, a
ben vedere, di un
rapporto riconducibile all’art.
1170 cod. civ.
In secondo luogo, la previsione di
una “diligenza professionale” con cui il curatore deve
eseguire la
propria prestazione, commisurata
alla “natura dell’incarico”, ha senso solo se si parla
di
responsabilità contrattuale.
Altra ragione è che la
responsabilità da mandato è conseguenza
dell’inadempimento di doveri, a
differenza di quella da atto
illecito che nasce dalla contravvenzione a divieti21.
L’ipotesi menzionata non esaurisce
però la casistica.
Difatti, avverso il curatore è
possibile agire anche per il pregiudizio economico da
questi arrecato,
non al patrimonio fallimentare,
bensì a un singolo creditore o a un terzo estraneo alla
procedura22,
o ancora al fallito23.
Il danneggiato, diretto
interessato, in tal caso dovrà agire ex art. 2043 cod.
civ. (responsabilità
extracontrattuale) e direttamente
nei confronti del curatore e del patrimonio personale
dello
stesso.
In queste ultime ipotesi, estranee
alla disciplina dell’art. 38 l. fall., non saranno
necessari: la
cessazione dall’incarico del
curatore (revoca o dimissioni!), la presentazione del
rendiconto di
gestione, l’autorizzazione del
giudice delegato o del comitato dei creditori (supra
par. 2). 24
4. Note conclusive
I giudici coinvolti nel caso in
commento, di merito e di legittimità, hanno avuto il
gran merito (mi
scuso per il gioco di parole!) di
porre un argine a certe difese che se tollerate
avrebbero messo a
serio rischio il sistema giustizia
riferito alla materia risarcitoria in ambito
fallimentare.
Basti pensare al già menzionato
rischio di elusione della legge se le dimissioni non
fossero
ricomprese nell’ambito applicativo
dell’art. 38, co. 2, l. fall.
Mi trovano d’accordo le tesi
abbracciate dagli ermellini, che hanno come denominatore
comune il
rigetto di un’interpretazione
meramente letterale e quindi restrittiva della suddetta
previsione
normativa.
20 Adempimento tipico di tale
mandato è, per esempio, la periodica elaborazione da
parte del curatore di un rapporto
sulla gestione, che viene poi
inviato ai creditori e all’autorità giudiziaria (art.
33, ultimo comma, l. fall.).
21 G. Verna, La responsabilità del
curatore fallimentare, op. cit., 116 ss.
22 Per esempio, per le irregolarità
del curatore nei confronti di quel creditore non
inserito, dallo stesso curatore, nel
suo progetto di riparto. Oppure
quando il curatore non ha provveduto (o lo ha fatto
tardivamente) ad agire in via
cautelativa in relazione ad alcuni
beni del fallito, e da ciò ne è scaturito un danno per
un soggetto terzo.
A proposito di quest’ultima
fattispecie, ne approfitto per ricordare che il
curatore, una volta in possesso dei beni del
fallito, ne diviene custode a tutti
gli effetti e con tutti gli obblighi che ne derivano.
23 Per esempio, se il curatore con
la sua condotta ha danneggiato beni del fallito rimasti
estranei alla procedura
fallimentare.
24 Cass. 23 luglio 2007, n. 16214,
in Mass., 2007, 1321.
8
Ciò, tra l’altro, per una questione
di giustizia.
A ben riflettere, non è concepibile
pensare che in capo al curatore fallimentare sussista,
in seguito
alla riforma della materia
fallimentare, un fascio di poteri così qualitativamente
consistente senza
però controbilanciarlo con un
sistema di responsabilità tale da garantire la completa
tutela, in
primo luogo, ai soggetti (i
creditori) nell’interesse dei quali il curatore stesso,
nell’ambito delle sue
funzioni, ha il dovere di agire.
Un’interpretazione puramente
letterale dell’articolo in esame, volta al contenimento
del suo
campo applicativo, non fa altro che
indebolire il sistema di tutele della massa dei
creditori
danneggiati dalla condotta
negligente del curatore.
Per concludere, azzardo una
metafora che, se letta bene, può far capire il nocciolo
del discorso.
Escludere dall’ambito operativo
dell’art. 38 cit. l’ipotesi dell’ex curatore
dimissionario sarebbe, per
la massa dei creditori, un po’ come
dirsi proprietario di un cane da compagnia senza però
possedere un guinzaglio. Nonostante
le regole di condotta ad esso “impartite” si
rischierebbe di
perderlo di vista alla prima
distrazione. |