Matteo Boscolo
Anzoletti
Il dibattito attuale
circa il peso e la rilevanza costituzionale del
principio di concorrenza nella
Costituzione, in
relazione alla normativa espressa in sede di Unione
europea, è molto vivace. E ciò
in in un' economia come
quella contemporanea, sempre più rivolta a nuovi
orizzonti, in grado di
mettere in discussione
antiche certezze e, nel contempo, di creare nuove
opportunità.
Non si deve tuttavia
pensare che la concorrenza costituisca un principio la
cui rilevanza si
manifesti soltanto oggi.
Al contrario, già in seno all' Assemblea Costituente era
ben chiara la sua
palese rilevanza, che si
configura all'interno del Titolo III della Prima Parte
della Carta
costituzionale,
nell'art. 41.
Il fatto che la
questione afferente il significato della concorrenza sia
presente nella Costituzione
trae le sue origini sin
da quando le Repubbliche marinare iniziarono a stringere
una fitta trama di
rapporti commerciali che
le portarono in breve tempo a sviluppare interessi
economici sino in
estremo oriente, come ci
è mostrato da Marco Polo nel Milione1 e,
successivamente, da altri che
per terra e per mare
ampliarono i commerci.
Il principio di
concorrenza, quale si evince dall'art. 41 della
Costituzione, trova impulso nella sua
enunciazione e nella sua
applicazione alla luce dell'art 41 e dell'art. 81 e
seguenti del Trattato che
istituisce la Comunità
Europea, che riferisce tale principio relativamente alle
imprese e agli Stati.
Nel diritto dell'Unione
europea è prefigurata un' economia aperta e in libera
concorrenza. A tale
scopo, la concorrenza è
colta non in un'accezione restrittiva, ma estensiva, per
mezzo della quale
sia cioè possibile
rivolgere particolare attenzione alla protezione
sociale, a un alto grado di
competitività e di
convergenza dei risultati economici, alla qualità della
vita, alla coesione
economica e sociale e
alla solidarietà tra Stati membri. E' così di tutta
evidenza che i principi
comunitari del mercato e
della concorrenza non sono svincolati da un’idea di
sviluppo
economico-sociale.
Dal punto di vista del
diritto interno, la nozione di concorrenza non può non
riflettere quella
operante in ambito
comunitario, che comprende interventi regolativi, la
disciplina antitrust e
misure destinate a
promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza.2
Non viene data così
un'accezione statica
della concorrenza, ma una rivolta all'interrelazione e
al confronto tra coloro i
quali esercitano
attività d'impresa, nell'ottica dell'utilità sociale. E'
in quest'ottica che si pone la
legislazione ordinaria
attuativa del principio di concorrenza, che ne
concretizza la valenza sul
piano fattuale.
Si colgono così i due
significati del principio di concorrenza: da un lato,
esso integra la libertà di
iniziativa economica che
spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e,
dall'altro, è diretto
1 M. POLO, Il
Milione, Milano 2003.
2 Corte Costituzionale,
sentenza n. 14/2004.
alla protezione della
collettività, in quanto l'esistenza di una pluralità di
imprenditori, in
concorrenza tra loro,
giova a migliorare la qualità dei prodotti e a
contenerne i prezzi. 3
Esercitare la
concorrenza significa anche poter dare ad essa
autolimitazione mediante accordi, i
quali non turbano
necessariamente il gioco della libera concorrenza, anzi
talvolta possono
agevolarlo (come nel
caso di accordi intesi ad evitare l'emarginazione di
imprese più deboli e la
conseguente formazione
di posizioni di monopolio o di quasi monopolio ovvero di
oligopolio, da
parte delle imprese più
forti). E' tuttavia di tutta evidenza che l'
autolimitazione non può superare
quei limiti che
l'ordinamento giuridico pone nell'interesse individuale
o in quello della collettività.
Con le limitazioni alla
concorrenza non si hanno dunque compressioni al libero
esercizio della
medesima, ma si dettano
condizioni di validità e di efficacia alle
autolimitazioni che, nella
materia, siano
intervenute negozialmente fra imprenditori. “4
Per molto tempo è stata
considerata l'idoneità della disciplina vigente
nell'ordinamento giuridico
italiano ad assicurare
la effettiva tutela del mercato, oggettivamente
considerato, sotto il profilo
concorrenziale a
soddisfare così le esigenze della moderna vita
economica. In proposito, com'è
noto, si sono susseguiti
numerosi studi e progetti che generalmente muovono dall'
insufficienza
dell' attuale normativa
e tendono ad una più incisiva e sostanziale tutela del
mercato stesso. Per
tale motivo è stata
ritenuta la necessità di un'opportuna normativa (cioè di
una legislazione
antimonopolio o
antitrust). “5 Disciplina antitrust invocata anche in
un'altra sentenza della Corte
Costituzionale.6
Con la riforma del
Titolo V della Seconda Parte della Costituzione,
avvenuta con la Legge
costituzionale n. 3 del
18 ottobre 2001, è stato posto in essere un riparto di
materie, con
riferimento alle quali
la potestà esclusiva a legiferare relativamente alle
tutela della concorrenza,
è riservata, ex art.
1172, allo Stato.
Quando l’art. 117,
secondo comma, lettera e), affida alla potestà
legislativa esclusiva statale la
tutela della
concorrenza, non intende certo limitarne la portata ad
una sola delle sue declinazioni
di significato. Al
contrario, proprio l’aver accorpato, nel medesimo titolo
di competenza, la
moneta, la tutela del
risparmio e dei mercati finanziari, il sistema
valutario, i sistemi tributario e
contabile dello Stato,
la perequazione delle risorse finanziarie e, appunto, la
tutela della
concorrenza, rende
palese che quest’ultima costituisce una delle leve della
politica economica
statale e pertanto non
può essere intesa soltanto in senso statico, come
garanzia di interventi di
regolazione e ripristino
di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione
dinamica, ben nota
al diritto comunitario,
che giustifica misure pubbliche volte a ridurre
squilibri, a favorire le
condizioni di un
sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti
concorrenziali. “7
Significativo, con
riferimento al principio di concorrenza, è che l'art.
411 della Costituzione non
3 Corte Costituzionale,
sentenza n. 223/1982.
4 Corte Costituzionale,
sentenza n. 223/1982.
5 Corte Costituzionale,
sentenza n. 223/1982.
6 Corte Costituzionale,
sentenza n. 241/1990.
7 Corte Costituzionale,
sentenza n. 14/2004.
stabilisce il primato
dell'iniziativa economica privata o di quella pubblica,
ma le pone su un piano
di parità; e
l'iniziativa pubblica è posta in essere dallo Stato
quando esso discrezionalmente ritenga
sussistano i presupposti
per la propria azione in campo economico. Sotto il
profilo delle modalità
del proprio intervento,
lo Stato ha la possibilità di intervenire rispettando le
medesime regole di
comportamento alle quali
sono sottoposti gli operatori privati.8
Una prima applicazione
della disciplina della concorrenza per mezzo della
legislazione statale si
trova nel Codice civile,
a norma del quale possono essere stipulati tra
imprenditori patti di non
concorrenza9, in base ai
quali:
1. può accadere che un
imprenditore si obblighi, in cambio di una
controprestazione di altro
genere o senza
controprestazione, a non svolgere attività
concorrenziale rispetto ad un
altro imprenditore;
2. può accadere che due
o più imprenditori si obblighino a non farsi
concorrenza, stabilendo
per ciascuno un distinto
settore di attività o una distinta zona di vendita;
3. può accadere che due
o più imprenditori si obblighino, anziché ad astenersi
dalla
concorrenza reciproca, a
osservare determinate regole comuni, come ad esempio a
praticare un prezzo
comune o a non praticare prezzi inferiori a un dato
minimo, oppure si
impegnano a non produrre
più di una certa quantità. Questa terza categoria di
accordo è
definita cartello.10
Il Codice civile prevede
quindi la sanzione del danno derivante dalla concorrenza
sleale.11
Delle varie tipologie
all'interno delle quali si configura tale illecito
comportamento, la prima si
manifesta allorquando
l'imprenditore cerca di appropriarsi del successo di un
altro imprenditore
e, a tal fine, egli “usa
nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con
i nomi o con i segni
distintivi
legittimamente usati da altri”.
La seconda ipotesi è
afferente alla pubblicità ingannevole, che insinua il
discredito sulla genuinità
dei prodotti messi in
commercio dall'imprenditore.
La terza tipologia mira
a ricomprendere tutti gli altri mezzi diretti o
indiretti per mezzo dei quali
si pongono in essere
atti di concorrenza sleale.
Gli atti di concorrenza
sleale, posti in essere con dolo o con colpa, prevedono
il risarcimento del
danno cagionato.12
Un' altra applicazione
dell'esercizio della competenza statale nella materia
della tutela della
concorrenza è dato dalla
legge 10 ottobre 1990 n. 287, che disciplina le nuove
norme per la
tutela della concorrenza
e del mercato; la quale costituisce la norma omologa in
questa materia
dello Sherman Act
statunitense, promulgato nel 1890.
8 F. GALGANO, Diritto
commerciale. L'imprenditore, Bologna 1994, p.
163-164.
9 Art. 2596 c.c.
10 F. GALGANO,
Diritto commerciale. L'imprenditore, cit. p. 171.
11 Art. 2598-2599 c.c.
12 F. GALGANO,
Diritto commerciale. L'imprenditore, p. 174-180.
La concorrenza può
essere limitata o annullata, in primo luogo, attraverso
la predisposizione di
intese , le quali sono
gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese
nonché le deliberazioni,
anche se adottate ai
sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di
consorzi, associazioni di
imprese ed altri
organismi similari13.
Il principio di
concorrenza può essere violato anche per mezzo dell'
abuso di posizione
dominante, che, ai
termini della legge, significa:
a) imporre direttamente
o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre
condizioni
contrattuali
ingiustificatamente gravose;
b) impedire o limitare
la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo
sviluppo tecnico o il
progresso tecnologico, a
danno dei consumatori;
c) applicare nei
rapporti commerciali con altri contraenti condizioni
oggettivamente diverse
per prestazioni
equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati
svantaggi nella
concorrenza;
d) subordinare la
conclusione dei contratti all'accettazione da parte
degli altri contraenti di
prestazioni
supplementari che, per loro natura e secondo gli usi
commerciali, non abbiano alcuna
connessione con
l'oggetto dei contratti stessi.14
Vi è un' ultima
tipologia di violazione del principio di concorrenza,
che ricorre nel caso di
operazioni di
concentrazione, e cioè nel caso in cui venga strutturata
o rafforzata una posizione
dominante in modo da
eliminare o ridurre in misura sostanziale e duratura la
concorrenza.15
Nella materia della
concorrenza, sussiste anche una competenza legislativa
residuale delle
Regioni.
Tale competenza si
espliciterà con riferimento agli interventi sintonizzati
sulla realtà produttiva
regionale tali comunque
da non creare ostacolo alla libera circolazione delle
persone e delle cose
fra le Regioni e da non
limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque
parte del territorio
nazionale (art. 1201
della Costituzione). Non può essere trascurato che sullo
sfondo degli aiuti
pubblici alle imprese vi
è la figura dell’imprenditore con le relative situazioni
di libertà di
iniziativa economica,
che postulano eguali chances di accesso al mercato e,
nell’ipotesi di aiuti
pubblici, standard
minimi di sostegno. 16
Matteo Boscolo Anzoletti
13 Art. 2 L. 10 ottobre
1990 n. 287.
14 Art. 3 L. 10 ottobre
1990 n. 267.
15 Art. 5 L. 10 ottobre
1990 n. 267.
16
Corte Costituzionale, sentenza n. 14/2004. |