Enida Bozheku
1. Introduzione – 2. La direttiva
2008/99 – 3. La legge delega 96/2010 conferita al
Governo in recepimento della direttiva comunitaria
2008/99/Ce – 4. Lo schema di D.lgs. (atto Governo 357
del 11.04.2011) – 5. Decreto Legislativo in recepimento
della direttiva comunitaria 2008/99 – 6. La
responsabilità delle persone giuridiche per reati
ambientali.
1. Introduzione
In data 07 luglio 2011 (*), col
decreto legislativo n. 121, il Consiglio dei Ministri ha
recepito due direttive comunitarie riguardanti la tutela
penale dell'ambiente (2008/99/CE) e l'inquinamento
provocato da navi (2009/123/CE) 1.
Seppur, nell’insieme il decreto ha
portato alcune modifiche in tema di tutela
dell’ambiente, molte delle aspettative, nate con
riferimento al contenuto della direttiva CE 2008/99,
sono state disattese. Infatti, si posso indicare fin da
subito alcuni profili di criticità: il legislatore ha
scelto ad esempio di mantenere la struttura della tutela
penale dell'ambiente imperniata sulla fattispecie dei
reati contravvenzionali di pericolo astratto,
circostanza questa poco conforme a quelle che erano le
prescrizioni europee sul punto; e ancora non possono
sottacersi gli evidenti problemi rilevabili in relazione
al principio di offensività2.
Tra le novità introdotte dal d.lgs.
121/2011 spicca l’estensione della disciplina ex d.lgs.
n. 231/2001 sulla responsabilità penale degli enti anche
ai reati ambientali, aggiungendo così all'elenco dei
reati presupposti anche quelli in materia di diritto
ambientale; nonché l’introduzione nel codice penale di
due nuove figure di reati contravvenzionali, ossia l'art
727-bis c.p. sulla tutela delle specie animali e
vegetali selvatiche protette e l'art. 733 – ter c.p. sul
deterioramento di habitat3.
2.La direttiva 2008/99
La direttiva 2008/99/Ce – oggetto
di recepimento del d.lgs. 121/2011 – è il risultato di
un lento e costante potenziamento delle politiche
europee in materia di ambiente, finalizzata alla
armonizzazione degli obblighi di tutela da parte degli
stati membri la fine di favorire un miglior contrasto
alla commissione di reati ambientali.
Essa rappresenta un importante
traguardo per la legislazione penale europea, dal
momento che costituisce il primo atto di tale
provenienza che non si limita a prevedere degli obblighi
generici per gli stati membri ad approntare adeguate
discipline al fine di realizzare determinati obbiettivi
rientranti nella propria politica, ma impone in
espliciter obblighi di incriminazione in capo a tutti
loro, assumendo quale parametro fondamentale di
riferimento per il suo concepimento l'art. 174, comma 2
del Trattato CE (Titolo IV) secondo il quale “ la
politica della Comunità in materia di ambiente mira ad
un elevato livello di tutela”.4.
La direttiva, dunque, manifesta
l'intenzione del legislatore comunitario di limitare
l'intervento di armonizzazione della disciplina de qua
ai soli reati “gravi”, ai fine di assicurare uno
standard minimo di tutela comune a tutti gli stati
membri 5, in un ottica funzionalistica del diritto
comunitario 6 giustamente ponderata, in quanto una
scelta in senso contrario, basata sull'incriminazione
delle semplici inosservanze di prescrizioni di diritto
comunitario, avrebbe comportato l'imposizione da parte
sovranazionale di uno standard maximium di tutela, in
evidente contrasto tanto con il principio di
sussidiarietà della legislazione comunitaria (art.5
TCE), quanto con il principio di proposizione 7.
Venendo ai contenuti: la direttiva
impone agli stati, l'obbligo di sanzionare con “sanzioni
penali efficaci, proporzionate e dissuasive” una serie
di condotte offensive per l’ambiente imputabili a
persone fisiche o giuridiche capaci di provocare seri
danni alla salute, distinguendo tra aggressioni
derivanti da rifiuti, sostanze tossiche, radiazioni
ecc., attribuendo particolare attenzione anche a
specifici oggetti di tutela quali gli habitat naturali,
gli animali selvatici ecc. L’articolo 3 impone, infatti,
l’obbligo di incriminare le condotte – poste in essere
intenzionalmente ovvero per grave negligenza – di “a)
scarico, emissione o immissione di sostanze ionizzanti
nell’aria nel suolo, o nelle acque; di raccolta,
trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti; b)
realizzate nell’esercizio di un impianto in cui sono
svolte attività pericolose che possono provocare lesioni
gravi alle persone, o danni rilevanti alla qualità
dell’aria, del suolo e delle acque; c) di uccisione,
distruzione, possesso e prelievo di esemplari di specie
animali o vegetali protette; d) le condotte che
provocano “il significativo deterioramento di un habitat
all’interno di un sito protetto; f) la produzione,
l’importazione, l’esportazione, l’immissione sul mercato
o l’uso di sostanze che riducono lo strato di ozono
ecc.” – ovvero, secondo il nostro ordinamento penale, 8
qualificando l'elemento soggettivo dei reati in termini
di dolo o colpa grave 9. L’'art. 4 prevede, inoltre, la
punibilità di istigazione e favoreggiamento nelle
suddette attività, mentre l’articolo 5 afferma che le
sanzioni debbano essere efficaci, proporzionate e
dissuasive. Di particolare rilievo è l’articolo 6, il
quale prevede l’introduzione della “responsabilità delle
persone giuridiche” anche per i reati ambientali nelle
ipotesi in cui tali reati “siano stati commessi a loro
vantaggio da qualsiasi soggetto che detenga una
posizione preminente in seno alla persona giuridica,
individualmente o in quanto parte di un organo della
stessa in virtù: a) del potere di rappresentanza della
persona giuridica; b) del potere di prendere decisioni
per conto della persona giuridica; c) del potere di
esercitare un controllo in seno alla persona giuridica”
10.
Quanto alle sanzioni penali
conseguenti alla commissione di tali reati, la Direttiva
impone agli stati membri l’obbligo di applicare “misure
effettive, proporzionate e dissuasive”, non indicando
comunque l’entità delle stesse.
3. La legge delega 96/2010
conferita al Governo in recepimento della direttiva
comunitaria 2008/99/Ce
Il Parlamento Italiano, in data 04
giugno 2010, con la legge 96 (entrata in vigore, in data
10 luglio 2010), nota anche come “Legge comunitaria”, ha
delegato il Governo (art 19) ad “adottare entro il
termine di nove mesi dalla […] uno o più decreti
legislativi al fine di recepire le disposizioni della
direttiva 2008/99/Ce del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla tutela
dell’ambiente e della direttiva 2009/123/Ce del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009,
che modifica la direttiva 2005/35/Ce relativa
all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione
di sanzioni per violazioni” 11.
Inoltre, si prevede che il
legislatore delegato, nel recepire, appunto, le
direttive, debba necessariamente realizzare il
necessario coordinamento con le altre disposizioni
vigenti 12. All’articolo 19 è dato, tra l'altro, leggere
che il Governo, al fine di estendere la disciplina della
“responsabilità delle persone giuridiche” anche ai reati
ambientali, deve seguire i seguenti criteri:
“a) introdurre tra i reati di cui
alla sezione III del capo I del decreto legislativo 8
giugno 2001, n. 231, e successive modificazioni, le
fattispecie criminose indicate nelle direttive di cui al
comma 1;
b) prevedere, nei confronti degli
enti nell'interesse o a vantaggio dei quali è stato
commesso uno dei reati di cui alla lettera a), adeguate
e proporzionate sanzioni amministrative pecuniarie, di
confisca, di pubblicazione della sentenza ed
eventualmente anche interdittive, nell'osservanza dei
principi di omogeneità ed equivalenza rispetto alle
sanzioni già previste per fattispecie simili, e comunque
nei limiti massimi previsti dagli articoli 12 e 13 del
decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive
modificazioni”.
Particolare rilevanza assume poi
l’articolo 2 della legge comunitaria, a mente del quale
(comma 1, lettera c) “le sanzioni penali, nei limiti,
rispettivamente, dell’ammenda fino a 150.000 euro e
dell’arresto fino a tre anni, sono previste, in via
alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le
infrazioni ledono o espongono a pericolo interessi
costituzionalmente protetti. In tali casi sono previste:
la pena dell’ammenda alternativa all’arresto per le
infrazioni che espongono a pericolo o danneggiano
l’interesse protetto; la pena dell’arresto congiunta a
quella dell’ammenda per le infrazioni che recano un
danno di particolare gravità. Nelle predette ipotesi, in
luogo dell’arresto e dell’ammenda, possono essere
previste anche le sanzioni alternative di cui agli
articoli 53 e seguenti del decreto legislativo 28 agosto
2000, n. 274, e la relativa competenza del giudice di
pace”.
Da una attenta analisi del
riferimento normativo sopra citato, emerge che l'art 19
della l. comunitaria estende “pericolosamente” l'ambito
di applicazione degli illeciti ambientali, in relazione
al loro ingresso nella disciplina del ex decreto
231/2001. Infatti lo schema di decreto estende questa
forma di responsabilità a fattispecie di reato
contravvenzionale, e pertanto prive dei requisiti di
gravità e lesività richiesti dalla direttiva. Inoltre
nodo problematico è anche l'estensione della disciplina
ex 231/2001, a numerose fattispecie di reato di pericolo
astratto, prescindendo, anche qui, dai principi
comunitari 13.
4. Lo schema del D.lgs. 121/2011
(atto Governo 357 del 08.04.2011)
In attuazione della “legge
comunitaria”, il Governo italiano ha predisposto uno
schema di decreto legislativo, finalizzato al
recepimento delle due direttive 2008/99/Ce e
2009/123/Ce, presentato alla Camera in data 11.04.2011 e
discusso in data 06.07.2011.
Sembra d'obbligo, in merito ai
limiti che lo stesso legislatore si è posto, dover
evidenziare che: nella relazione illustrativa di
accompagnamento del testo presentato al Governo,
spiccava la “superficiale” sbrigatività con la quale si
veniva a giustificare il fatto che non si era potuto
“ripensare ex novo il sistema dei reati contro
l'ambiente”: infatti la relazione liquidava questo
punto, con la locuzione “potrà costituire oggetto di un
successivo intervento normativo”.
Ma al di là degli non trascurabili
aspetti formali che la nuova legislazione in materia
ambientale presenta, venendo ai contenuti dello schema
di decreto legislativo va segnalato come il Governo
abbia ritenuto opportuno non introdurre nuove
fattispecie penali in materia ambientale (con due
eccezioni di cui si dirà in seguito), osservando in tal
guisa come molte delle violazioni indicate dalla
direttiva siano già previste e punite dall’ordinamento
italiano a titolo di contravvenzioni, secondo lo schema
dei reati di pericolo astratto 14.
A mero titolo esemplificativo nella
relazione illustrativa, al fine di sottolineare la
completezza del sistema penale italiano in tema di reati
ambientali, il Governo riporta una serie di disposizioni
contenute nel c.d. “Codice dell’ambiente”, quali gli
art. 137, 256, 257 , 258, 259 e 260, sia quelle relative
all’esercizio di attività pericolose all’art. 279 (ex
art. 25 del d.P.R. 203/1988), nonché quelle relative
alla c.d. “autorizzazione ambientale integrata” (che
accorpa tutte le altre) all’articolo 29-quatordecies,
Alle norme appena indicate la
relazione fa cenno, anche alle sanzioni previste dalla
legge n. 150/1992 inerenti alla disciplina dei reati
relativi all'applicazione in Italia della convenzione
sul commercio internazionale delle specie animali e
vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3
marzo 1973 e successive modificazioni.
E ancora. Si fa cenno ad alcune
norme previste dal codice penale, quali l’articolo 544
bis (uccisione di animali), 727 (abbandono di animali),
674 (getto pericoloso di cose,), 733 (danneggiamento del
patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale),
734, (distruzione o deturpamento di bellezze naturali),
cui va aggiunto l’articolo 30 della legge n. 394/1991
(“Legge quadro sulle aree protette”).
Infine, in tema di tutela penale
dell’ozono, avverso comportamenti atti a ridurne lo
strato, il Governo osserva come la materia sia già
disciplinata dall’articolo 3 della legge n. 549/1993.
A tali norme possiamo certamente
aggiungere poi le disposizioni in tema di avvelenamento
delle acque, danneggiamento idrico, disastro ambientale,
omicidio e lesioni se realizzati nell’ambito delle
fattispecie contravvenzionali previste qua e là dalle
normative di settore.
La scelta del Governo è
condivisibile dal momento che l’articolo 2 della “legge
comunitaria” prevede quale cornice edittale in relazione
a nuovi reati in materia ambientale la pena dell’arresto
nel massimo di tre anni e l’ammenda fino a 150.000 euro.
Il problema sta però a monte e segnatamente nella legge
delega la quale non sembra garantire efficacemente le
esigenze di “adeguatezza, proporzione e dissuasività”
richieste dalla direttiva 2008/99/Ce. Nonostante
quest’ultima non specifica espressamente la consistenza
di tali criteri, che risultano in definitiva vaghi e dai
contenuti alquanto labili.
Forse era onere del parlamento
garantirli tenendo conto della rilevanza dei beni
giuridici tutelati dalla disciplina dell’ambiente: in
primis l’incolumità e la salute pubblica. Sotto questo
profilo ben potrebbe dunque rilevarsi una violazione
della disciplina comunitaria nell’ottica di una mancata
effettiva tutela per mancato rispetto di adeguatezza e
proporzionalità indicati dalla direttiva.
Della scarsa persuasività ed
efficacia del sistema sanzionatorio stabilito
dall’articolo 2 della legge 96/2010, ne da atto anche lo
stesso Governo, il quale nella relazione illustrativa
allo schema del decreto legislativo, proprio in virtù
dei scarsi limiti edittali previsti dallo stesso
articolo, precisa che “il recepimento della direttiva
“non può essere assicurato attraverso un completo
ripensamento del sistema dei reati contro l’ambiente,
mediante il loro inserimento sistematico all’interno del
codice penale sostanziale e la previsione come delitti
delle più gravi forme di aggressione”, riservando tale
operazione ad un “successivo intervento normativo”.
Il Governo ritiene che le uniche
fattispecie sanzionate dalla direttiva, ma assenti
nell’ordinamento risultano essere l’uccisione, la
distruzione, il prelievo o il possesso di esemplari di
specie animali o vegetali selvatiche protette e il
significativo deterioramento di un habitat all’interno
di un sito protetto; a tal fine infatti ha previsto
l’introduzione di due apposite norme 15.
5. Il decreto legislativo 121/2011
in recepimento della direttiva comunitaria 2008/99
Il Decreto legislativo 121, in
recepimento della direttiva 2008/99, è stato approvato a
seguito della definitiva discussione da parte del
Governo, in data 07.07.2011.
Ciò che risalta agli occhi
dell'interprete, è come alcune norme che erano state
previste nello schema di decreto sono state “tagliate”.
Gli aggiustamenti apportati al testo definitivo del
decreto riguardano diverse fattispecie tra cui quelle
più significative prescritte dall'art 279, salvandone,
però, solo il comma 5, nonché sono venuti meno i reati
presupposto contemplati nell'art 25 quattuordecies, in
tema di autorizzazione integrale ambientale.
Dall'altro canto però il d.lgs
121/2011 introduce nel codice penale l’articolo 727-bis
c.p. il quale prevede la contravvenzione di “uccisione,
distruzione, cattura, prelievo o possesso di esemplari
di specie animali o vegetali selvatiche protette”.
Segnatamente la norma afferma che
“chiunque, fuori dai casi consentiti, uccide, cattura o
detiene esemplari appartenenti ad una specie animale
selvatica protetta, è punito con la reclusione da uno a
sei anni o con l’ammenda fino a 4.000 euro, salvo i casi
in cui l’azione riguardi una qualità trascurabile di
tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo
stato di conservazione della specie”.
In modo diverso da quanto previsto
nello schema di decreto, il secondo periodo dell'art 727
bis, contiene una clausola di esiguità, la quale fa
salvi “i casi in cui l’azione riguardi una qualità
trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto
trascurabile sullo stato di conservazione della specie”.
Tale clausola sembra essere una clausola di esclusione
del tipo, valevole cioè ad “escludere il tipo
“originario” delimitandone l'ampiezza 16.
Inoltre, per quanto attiene il
profilo sanzionatorio, sembra che lo standard di tutela
penale imposta dalla direttiva 2008/99/Ce, recante
criteri di sanzionabilità “adeguati, dissuasivi ed
efficaci”, non sembra aver trovato giusto riscontro nel
recepimento effettuato dal Governo, in quanto è proprio
il dettato normativo che al suo interno prevede una
contravvenzione oblazionabile (fino a 2.000) di
ammenda.17.
Invece all’articolo 733-bis comma 2
c.p. Si precisa che “ai fini dell’applicazione
dell’articolo 727-bis c.p., per specie animali o
vegetali protette si intendono quelle indicate
nell’allegato IV della direttiva 92/43Ce e nell’allegato
I della direttiva 2009/147Ce.”. Infatti tale articolo
nasce anche da una necessita materiale del
interpretazione della locuzione specie protetta, la
quale non è stata in alcun modo intesa nel suo
significato letterale.
Diversamente dallo schema, il
decreto legislativo non riporta l’inciso”salvo che il
fatto costituisca più grave reato”, con la conseguenza
che, in virtù dell’articolo 15 c.p., la fattispecie in
esame dovrebbe trovare applicazione anche a favore di
altre che punendo più severamente gli stessi fatti
apprestano un maggiore grado di tutela: in particolare
in caso di uccisione di animali selvatici protetti
dovrebbe trovare applicazione il nuovo 727-bis. c.p. e
non già l’articolo 544-bis c.p. che, punisce con la
reclusione da 4 mesi a 2 anni l’uccisione di qualsiasi
animale.
Al comma 2 la norma punisce con
l’ammenda fino a 4.000 euro “chiunque, fuori da casi
consentiti, distrugge, preleva, o detiene esemplari
appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta”.
Si tratta, invero, di una clausola
di illiceità espressa, la quale rinvia alle norme e ai
provvedimenti amministrativi per integrare la
fattispecie 18 .
Il testo finale non riporta gli
incisi “cattura o possiede”, presenti invece nello
schema di decreto; cosi come l’inciso “possesso” e
sostituito da quello di “detenere”.
Sotto il profilo sanzionatorio,
poi, il decreto prevede solo la pena pecuniaria
dell’ammenda fino a 4.000 euro, mentre lo schema
prevedeva la pena dell’arresto fino a sei mesi e
l’ammenda fino a 3.000 euro. Non compare più neanche
l’ipotesi di prelievo e possedimento di una specie
selvatica protetta; fattispecie che veniva punita nello
schema con l’ammenda fino a 2.000 euro.
Da segnalare infine, è come in
entrambi i commi previsti nella versione definitiva,
risulta inserito l’inciso “salvo i casi in cui l’azione
riguardi una qualità trascurabile di tali esemplari e
abbia un impatto trascurabile sullo stato di
conservazione della specie”, il quale non era presente
invece nel testo originario, ma che, tuttavia, era
presente nella fattispecie europea e segnatamente
nell’articolo 3, par. 1, lett. f) della direttiva
2008/99/Ce che esclude la configurabilità del reato in
relazione ad azioni non in grado di influenzare lo stato
di conservazione della specie ovvero che riguardano una
quantità trascurabile di esemplari; a nostro avviso
l’inciso sembrerebbe sia teso a conferire rilievo alle
condotte che possono essere effettivamente offensive per
la specie, senza che venga in rilievo la tutela del
singolo animale o vegetale appartenente alla specie
protetta.
Inoltre l’articolo 733-bis, comma 1
c.p. (“danneggiamento di habitat”), punisce “con
l’arresto fino a diciotto mesi e con l’ammenda non
inferiore a 3.000 euro”,”chiunque distrugge un habitat
all’interno di un sito protetto o comunque lo deteriora
compromettendone lo stato di conservazione”. Scompare
dal testo finale l’inciso “deteriora in modo
significativo”, il che induce a ritenere che ai fini
della disciplina rileva qualsiasi turbamento di un
ecosistema, prescindendo dal suo effettivo grado di
incidenza all’interno di un sito protetto.
Il comma 3 precisa che “ai fini
dell’applicazione dell’articolo 733-bis del codice
penale, per ‘habitat all’interno di un sito protetto’ si
intende qualsiasi habitat di specie per le quali una
zona sia classificata come zona a tutela speciale a
norma dell’articolo 4, paragrafi 1 o 2, della direttiva
79/409/CE, o qualsiasi habitat naturale o un habitat di
specie per cui un sito sia designato come zona speciale
di conservazione a norma dell’articolo 4, paragrafo 4,
della direttiva 92/43/CE”.
Il concetto di habitat dunque può
essere rinvenuto, da un lato, con riferimento alla
direttive richiamate dal legislatore, dall’altro, in
virtù dell’inciso “qualsiasi habitat naturale”, dallo
stesso giudice, il quale sembrerebbe sia richiamato a
stabilire – sua sponte – in concreto l’esistenza o meno
di un luogo quale “habitat” anche se non espressamente
catalogato come tal dalla direttiva.
La condotta tipica consiste nel
distruggere, ovvero nel deteriorare un determinato
habitat. Mentre il concetto di distruggere non pone
particolari problemi, si pone però la questione più
difficile della decifrazione della condotta di
deterioramento, soprattutto al fine di stabilire una
soglia di punibilità rilevante ai fini della
configurazione del reato. L’interpretazione diventa
ancora più ardua dal momento che, differentemente dallo
schema, il decreto definitivo non riporta più l’inciso
“in modo significativo”, il che lascia presagire che la
norma debba trovare applicazione in tutte le ipotesi di
depauperamento dell’habitat, scollegata da qualsiasi
valutazione in merito all’effettiva incidenza del
deterioramento sullo stesso.
La norma può concorre con
l’articolo 734 c.p. (deturpamento e distruzione di
bellezze naturali), dal momento che l’articolo 733-bis
c.p. tutela l’habitat quale luogo di dimora di specie
animali o vegetali, mentre l’articolo 734 c.p. tutela le
bellezze naturali, tra cui anche gli habitat, nella loro
prospettiva estetica.
6. La responsabilità delle persone
giuridiche per reati ambientali.
Il profilo più interessante e,
invero, il più problematico del decreto legislativo in
esame riguarda la responsabilità amministrativa delle
persone giuridiche di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n.
231, estesa anche ai reati ambientali attraverso
l’introduzione dell’articolo 25-decies (rubricato “Reati
ambientali”); quest’ultimo al comma 1 prevede in
relazione al reato di cui all’articolo 727-bis c.p.
l’applicazione all’ente della sanzione pecuniaria fino a
duecentocinquanta quote; mentre per la violazione
dell’articolo 733-bis c.p. la sanzione da centocinquanta
a duecentocinquanta quote.
Il testo definitivo, contrariamente
allo schema, come sopra richiamato, non contiene più,
l’applicazione della disciplina ex 231/2001 ai reati
previsti dall’articolo 29-quattuordecies del d.lgs 03
aprile 2006, n. 152 (in relazione ai quali era prevista
la pena pecuniaria fino a duecentocinquanta quote), in
tema di esercizio delle attività di cui all’Allegato
VIII dello stesso decreto nei casi di assenza o di
sospensione dell’autorizzazione ambientale integrata
(AIA), ovvero nelle ipotesi di mancata osservanza delle
prescrizioni ivi contenuti, nonché di esercizio delle
attività di cui all’allegato VIII dopo l’ordine di
chiusura dell’impianto.
Al comma 2 si prevede la
responsabilità dell’ente (sanzionata con la pena
pecuniaria) per una serie di reati previsti dal decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Segnatamente in relazione ai reati
di cui all’articolo 137 (in materia di acque), viene
prevista la responsabilità dell’ente solo con
riferimento alle violazione dei commi 3, 5 primo periodo
e 13, per i quali è prevista la sanzione pecuniaria da
centocinquanta a duecentocinquanta quote, nonché in
relazione ai commi 2, 5 secondo periodo e 11 è prevista
la sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote.
Rimangono fuori, però, una serie di
violazioni – peraltro previste dallo schema originario –
quali quelle previste dai commi 1, 7 prima ipotesi, 8,
9, 12, e 14; ipotesi che nello schema di d.lgs. venivano
punite con la sanzione pecuniaria prevista che andava da
centocinquanta a duecentocinquanta quote. In particolare
va precisato che il legislatore operando tale scelta di
“correzione parziale” dello schema, espugnava dal
catalogo dei reati presupposto gli illeciti penali di
natura più formale 19
Infine di spiccata rilevanza è
anche l'estensione alla disciplina ex d.lgs 231/01 al
settore dei rifiuti. Va però precisato che i reati
presupposto in materia di rifiuti sono stati gli unici a
non subire modifiche, rispetto allo schema originario.
Infatti, si è voluto mantenere, fermo il principio della
responsabilità degli enti in materia di rifiuti, con
eccezione, però, dell'ipotesi di abbandono di rifiuti.
In particolare per i reati di cui
all’articolo 256:
1) per la violazione dei commi 1
lettera a) e 6, primo periodo, la sanzione pecuniaria
fino a duecentocinquanta quote,
2) per la violazione dei commi 1
lettera b), 3, primo periodo e 5, la sanzione pecuniaria
da centocinquanta a duecentocinquanta quote;
3) per la violazione del comma 3,
secondo periodo, la sanzione pecuniaria da duecento a
trecento quote;
d) per i reati di cui all’articolo
257:
1) per la violazione del comma 1,
la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
2) per la violazione del comma 2,
la sanzione pecuniaria da centocinquanta a
duecentocinquanta quote;
e) per la violazione dell’articolo
258, comma 4, secondo periodo, la sanzione pecuniaria da
centocinquanta a duecentocinquanta quote;
f) per la violazione dell’articolo
259, primo comma, la sanzione pecuniaria da
centocinquanta a duecentocinquanta quote;
g) per il delitto di cui
all’articolo 260, la sanzione pecuniaria da trecento a
cinquecento quote, nel caso previsto dal comma 1 e da
quattrocento a ottocento quote nel caso previsto dal
comma 2;
h) per la violazione dell’articolo
260-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a
duecentocinquanta quote nel caso previsto dai commi 6,
7, secondo e terzo periodo, e 8, primo periodo, e la
sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote nel
caso previsto dal comma 8, secondo periodo;
i) per la violazione dell’articolo
279, ad eccezione dell’ultima ipotesi del comma 1, la
sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
Al comma 3 si prevede che in
relazione alla commissione dei reati previsti dalla
legge 7 febbraio 1992, n. 150, si applichino all'ente le
seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per la violazione dell’articolo
1, comma 1, 2, commi 1 e 2, e 6, comma 4, la sanzione
pecuniaria fino a duecentocinquanta quote;
b) per la violazione dell’articolo
1, comma 2, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a
duecentocinquanta quote;
c) per i reati del codice penale
richiamati dall’articolo 3-bis, comma 1,
rispettivamente:
1) la sanzione pecuniaria fino a
duecentocinquanta quote, in caso di commissione di reati
per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad
un anno di reclusione;
2) la sanzione pecuniaria da
centocinquanta a duecentocinquanta quote, in caso di
commissione di reati per cui è prevista la pena non
superiore nel massimo a due anni di reclusione;
3) la sanzione pecuniaria da
duecento a trecento quote, in caso di commissione di
reati per cui è prevista la pena non superiore nel
massimo a tre anni di reclusione;
4) la sanzione pecuniaria da
trecento a cinquecento quote, in caso di commissione di
reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a
tre anni di reclusione.
Al comma 4 si prevede che in
relazione alla commissione dei reati previsti
dall’articolo 3, comma 6, della legge 28 dicembre 1993,
n. 549, si applica all'ente la sanzione pecuniaria da
centocinquanta a duecentocinquanta quote.
Al comma 5 si prevede che in
relazione alla commissione dei reati previsti dal
decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202, si
applichino all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) per il reato di cui all’articolo
9, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a
duecentocinquanta quote;
b) per i reati di cui agli articoli
8, comma 1, e 9, comma 2, la sanzione pecuniaria da
centocinquanta a duecentocinquanta quote;
c) per il reato di cui all’articolo
8, comma 2, la sanzione pecuniaria da duecento a
trecento quote.
Il comma 6 prevede che le sanzioni
previste dal comma 2, lettera c) sono ridotte della metà
nel caso di commissione del reato previsto dall’articolo
256, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152.
Il comma 7 stabilisce che nei casi
di condanna per i delitti indicati al comma 2, lettera
b), n. 3), lettera c), n. 3) e lettera g) e al comma 5,
lettera c), si applicano le sanzioni interdittive
previste dall'articolo 9, comma 2 del Decreto
Legislativo 8 giugno 2001 n.231 per una durata non
superiore a sei mesi.
Il comma 8 stabilisce che se l'ente
o una sua unità organizzativa vengono stabilmente
utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o
agevolare la commissione dei reati di cui all’articolo
260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e
all’articolo 8 del decreto legislativo 6 novembre 2007,
n. 202 si applica la sanzione dell'interdizione
definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi
dell'articolo 16, comma 3 del Decreto Legislativo 8
giugno 2001, n. 231.
Infine sembrerebbe che il
legislatore, abbia di proposito operato una scelta
orientata sul penalmente importante, per quanto attiene
i reati presupposto fondanti la disciplina della
responsabilità dell'ente, conformandosi pertanto anche
ad una parte della dottrina, orientata sulla necessità
di espellere dall'ambito penalistico di alcune tipologie
di violazioni dotate di minore capacità offensiva.
7. Profili di criticità
Da ultimo, vano evidenziati alcuni
dei nodi più rilevanti delle nuove modifiche, apportate
dall'entrata in vigore del d.lgs 121/2011.
In particolare, a proposito
dell'armonizzazione della legislazione europea in
materia di tutela dell'ambiente in chiave penalistica,
le direttive hanno imposto agli Stati degli standard
minimali di tutela, derogabili dagli stessi,
rispettivamente nell'ambito di una tutela eterogenea del
bene ambiente.
Volendo delimitare i confini del
discorso, una riflessione in chiave critica è dovuta
alla responsabilità degli enti. Tale presupposto nasce
dall’attività di recepimento della normativa che il
nostro legislatore ha attuato, inserendo dunque nella
lista dei reati presupposto, dei reati di pericolo
astratto, e non di danno o di pericolo concreto.
Inoltre, in merito all’astrattività dei reati
presupposto rimasti, dopo l'ultima modifica apportata
allo schema del decreto, sono comunque connotati da un
profilo di pericolo astratto, anche se, rispetto a
quelli antecedentemente previsti, questi, comunque
presentano un grado di offensività relativamente più
elevato. Un ulteriore punto importante delle nuove
modifiche apportate al decreto 231/01, riguarda la
cautela con la quale il legislatore si è mosso in merito
all'applicazione delle sanzioni. Infatti, si è voluto
evitare l'applicazione delle sanzioni interdittive
previste dal d.lgs, 231/01, limitando pertanto tale
scelta a una tipologia circoscritta di reati
presupposto, - misura non superiore ai sei mesi
rispettivamente all'art. 137, commi 2 e 5 secondo
periodo, art. 11e art. 260 del D.lgs 152/2006, e agli
artt. 8, commi 1 e 2, e 9, comma 2 della L. 202/2007. E'
invece configurata quale applicazione de plano, le
sanzioni pecuniarie. La più rilevante è quella riservata
all'art. 260, comma 1 del D.lgs 152/2006 (organizzazione
per il traffico dei rifiuti), la cui sanzione va da un
minimo di quattrocento ad un massimo di ottocento quote,
corrispondenti, una volta determinato il valore, in una
sanzione pecuniaria massima ad euro 1.239,200.
La disciplina, inoltre, è rivolta
agli enti con una forza impositiva rilevante, basti
pensare alle pene pecuniarie cui l'ente è sottoposto, in
confronto al minor rigore per le persone fisiche,
destinatarie degli illeciti penali contavvenzionali
soggetti a prescrizione breve e pene non particolarmente
afflittive.
Infine le aziende sono obbligate ad
adattarsi alla nuova disciplina, munendosi all'uopo con
dei modelli organizzativi volti a scongiurare la
commissione di un qualche illecito penale, appunto per
evitare prevedibili e notevoli costi di gestione del
rischio penale.
Un ultima riflessione va alla
geografia strutturale del codice penale, ed alla nuova
collocazione di tali modifiche. Nello specifico non si
capisce come mai il legislatore non abbia colto
l'occasione di compiere una ristrutturazione integrale
della normativa penale complementare; infatti, ogni
qualvolta il sistema interno dell'ordinamento lo
necessiti, questi sembra che si dilegui, paralizzando ed
inondando sempre di più un già carico sistema penale
(20).
Ciò che probabilmente al nostro
legislatore sfugge è che l'adeguamento del diritto
interno agli obblighi di matrice europea deve essere
finalizzato e funzionale al miglioramento del nostro
sistema di tutela penale dell'ambiente attraverso ad
esso maggiore effettività, in termini di sicuro
potenziamento degli effetti di deterrenza e di
prevenzione generale e speciale 21. Per fare ciò, però,
il mero recepimento delle direttive di Bruxelles non è
sufficiente, ma occorre anche meditare in chiave
sistematica – tenendo presente quello che è il quadro
complessivo del nostro sistema positivo – sulle ricadute
che la legislazione europea possa avere al suo interno,
poiché solo cosi si può raggiungere una vera
armonizzazione.
8. Bibliografia.
AMIDEI G., Relazione sull’analisi
di impatto della regolamentazione, in recepimento della
direttiva 2008/99/Ce, Ministero dell’Ambiente, in
www.dirittopenalecontemporaneo.it.
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nuove fattispecie incriminatrici e nuove responsabilità
per gli enti sotto l’influsso del diritto europeo, in
www.neldirtto.it, settembre 2011.
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punibilità, soglie edpresse di offensività (clausola di
esclusione del tipo), Studi in onore di Giorgio
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sulla tutela penale dellambiente: nuovi reati, nuova
responsabilità degli enti da reato ambientale, in
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prospettiva europea”. A.I.D.P. Gruppo Italiano, in
www.dirittopenalecontemporaneo.it.
STILE A. M., Prospettive di riforma
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VAGLIASINDI G. M. , La direttiva
2008/99 CE e il Trattato di Lisbona: verso un nuovo
volto del diritto penale ambientale italiano, in Dir.
comm. intern., 2010.
VERGINE A. L., Rossi di vergogna ….
Anzi paonazzi leggendo la legge 2009, in Ambiente e
Sviluppo, 2011.
1 Dr.ssa Enida Bozheku, Avvocato
del Foro di Tirana (Albania). Avvocato Praticante
Abilitata del Foro di Roma, Dottoranda di Ricerca in
Diritto e Procedura Penale presso L’Università “La
Sapienza” di Roma.
()Direttiva 2008/99/Ce del
Parlamento europeo e del Consiglio del 19.11.2008 sulla
tutela penale dell’ambiente, in G.U L. 328/28.
2 F. LISENA, La tutela
dell’ambiente nuove fattispecie incriminatrici e nuove
responsabilità per gli enti sotto l’influsso del diritto
europeo, in www.neldirtto.it, settembre 2011.
3 C. RUGA RIVA, Il decreto
legislativo di recepimento delle direttive comunitarie
sulla tutela penale dellambiente: nuovi reati, nuova
responsabilità degli enti da reato ambientale, in
www.dirittopenalecontemporaneo.it, agosto 2011.
4 F. LISENA, La tutela
dell’ambiente nuove fattispecie incriminatrici e nuove
responsabilità per gli enti sotto l’influsso del diritto
europeo, in www.neldirtto.it, settembre 2011.
5 Direttiva 2008/99/Ce del
Parlamento europeo e del Consiglio del 19.11.2008 sulla
tutela penale dell’ambiente, in G.U L. 328/28.
Considerando dal 5 al 10. Sull’incidenza delle direttive
europee nel nostro sistema si veda: G.M. VAGLIASINDI, La
direttiva 2008/99 CE e il Trattato di Lisbona: verso un
nuovo volto del diritto penale ambientale italiano, in
Dir. comm. intern., 2010, 458 ss.; C. PAONESSA, Gli
obblighi di tutela penale, Pisa, 2009, 232 s.; C. RUGA
RIVA, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2011, 66 ss.
6J.L DE LA QUESTA ARZAMENDI,
Protection Against Envirnmental Crimes, in V. Milittelo
(a cura di), European Cooperation in Penal Matters,
Issues and Perspectives, Padova, 2008, p. 222.
7 V. MILITIELLO, I diritti
fondamentali come oggetto di tutela penale: l’apporto
della Carta europea, in Diritto Penale del XXI, 2003,
p.61 e ss.
8 L.PISTORELLI, Relazione al
Massimario presso la Corte di Casszione, Roma in data
08. agosto 2011, in www.dirittopenalecontemporaneo.it
9 A. SCARCELLA, Relazione al
Massimario presso la Corte di Casszione, Roma agosto
2011, in, www.dirittopenalecontemporaneo.it.
Attualmente il nostro ordinamento
prevede solo alcuni reati ambientali qualificabili come
delitti e non come contravvenzioni e segnatamente gli
artt. 260 del d.lgs N° 152/2006, 260 bis, comma 6, 7, 8
d.lgs. N° 152/2006, 209, comma 5 d.lgs. N° 152/2006,
258, comma 4 d.lgs N°152/2006.
10 Gli stati membri debbono altresì
prevedere – affinché le persone giuridiche possano
essere dichiarate responsabili – quando la carenza di
sorveglianza o controllo di uno dei soggetti indicati
possa rendere possibile la commissione di un reato tra
quelli previsti dagli articoli 3 e 4 “a vantaggio della
persona giuridica da parte di una persona soggetta alla
sua autorità”.
11 L.PISTORELLI, Relazione al
Massimario presso la Corte di Casszione, Roma agosto
2011, www.dirittopenalecontemporaneo.it
In merito alla celerità con la
quale il Governo Italiano si adattava alla direttiva, è
d'obbligo precisare, che tale adeguamento avveniva oltre
i limiti stabiliti da Bruxelles. Infatti il termine
ultimo entro il quale l'Italia si sarebbe dovuta
adeguare alle direttive era quello del 26.12.2010, per
la direttiva 2008/99/CE e novembre 2010 per la direttiva
2009/123/CE; così però non è stato e Bruxelles è dovuto
intervenire e richiamare l'Italia con ben due lettere di
messa in mora.
12 Atto del Governo n°357,
trasmessa al senato, in data 08.04.2011.
13 Altresì è prevista l'estensione
della responsabilità dell'ente ex decreto 231/01, anche
per violazioni meramente formali o di impatto
trascurabile.
14 G.AMIDEI, Relazione sull’analisi
di impatto della regolamentazione, in recepimento della
direttiva 2008/99/Ce, Ministero dell’Ambiente, in
www.dirittopenalecontemporaneo.it.
15 A.L.VERGINE, Rossi di vergogna
…. Anzi paonazzi leggendo la legge 2009, in Ambiente e
Sviluppo, 2011, p.131.
16 C. RUGA RIVA, Il decreto
legislativo di recepimento delle direttive comunitarie
sulla tutela penale dellambiente: nuovi reati, nuova
responsabilità degli enti da reato ambientale, in
www.dirittopenalecontemporaneo.it, agosto 2011.
17 Trattandosi di contavvenzioni,
il tentativo non è configurabile. Dunque non è punibile
chi compie atti idonei e diretti in modo non equivoco a
porre in essere una delle condotte tipiche, se l'azione
non si compie o l'evento non si produce. M. ROMANO,
Teoria del reato punibilità, soglie edpresse di
offensività (clausola di esclusione del tipo), Studi in
onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini e C.E.
Paliero, tomo II, Milano, 2006, p.1723. Trattandosi di
contavvenzioni, il tentativo non è configurabile. Dunque
non è punibile chi compie atti idonei e diretti in modo
non equivoco a porre in essere una delle condotte
tipiche, se l'azione non si compie o l'evento non si
produce
18 A. SCARCELLA, Relazione al
Massimario presso la Corte di Casszione, Roma agosto
2011, www.dirittopenalecontemporaneo.it
19 G.DE FRANCESCO, Diritto Penale,
I fondamenti, Torino 2008, p.12.
20 A. M. STILE, Prospettive di
riforma del codice penale e valori costituzionali (a
cura di), Napoli, 1989;
21 L.SIRACUSA, L’attuazione della
direttiva europea sulla tutela dell’ambiente tramite il
diritto penale, Convegno tenutosi, in data 04.02.2010
sulla “Riforma del diritto penale dell’ambiente in
prospettiva europea”. A.I.D.P. Gruppo Italiano, in
www.dirittopenalecontemporaneo.it. |