Pesce Gian Maria, Adamo Giovanni
La prassi della Commissione in
materia di concentrazione prima dell'entrata in vigore
del reg. 4064/1989: dalla giurisprudenza Continental Can
al caso Philip Morris
La disciplina delle concentrazioni
tra imprese ha avuto in Europa un'evoluzione che
potremmo definire discontinua e sui generis1. Già
nell'ambito della C.E.C.A., infatti, era prevista una
disposizione relativa a tale fattispecie, e limitata
tuttavia al settore del carbone e dell'acciaio2. In
seguito, invece, in sede di redazione del Trattato di
Roma, nonostante la questione fosse stata oggetto di
discussione, non si era potuti giungere alla
predisposizione di una disposizione ad hoc. La
circostanza pare essere stata, invero, il risultato
anche di un'attenta valutazione dei mercati sui quali la
disciplina sarebbe andata ad incidere. Infatti, in virtù
dell'elevata frammentazione, e dunque del basso livello
di concentrazione tra imprese presente nel mercato
europeo all'epoca, si era volutamente evitato di
regolamentare con una specifica disciplina tali
operazioni3.
Tuttavia, anche in assenza di una
specifica disciplina, trascorso un primo periodo di
“modernizzazione” del mercato europeo nel senso sopra
esposto, le istituzioni comunitarie, consapevoli
dell'elevato rischio prodotto dall'eccessiva
concentrazione di imprese che si stava via via
realizzando, iniziarono a sottoporre a controllo le
concentrazioni adottando quale base giuridica, prima
l'art. 82 TCE, ed in un secondo tempo ai sensi dell'art.
81 TCE.
In merito al controllo effettuato
ex art. 82 TCE, occorre avere riguardo ad una sentenza
“storica”, trattasi della Sentenza della Corte del 21
febbraio 1973, Europemballage Corporatzion e Continental
Can c. Commissione4, decisione nella quale si rinviene
altresì una prima applicazione dei principi stabiliti
con il Memorandum della Commissione sulle concentrazioni
del '66 (cfr. nota 3). Con riferimento all'acquisizione
da parte della Soc. americana Continental Can di
cospicue quote di mercato nel settore degli imballaggi,
la Commissione aveva affermato che la presa di
controllo, da parte di una società già in posizione
dominante all'interno di uno specifico mercato, su
un'altra impresa del settore, avrebbe costituito di per
sé un abuso di posizione dominante nella misura in cui
avrebbe eliminato o ridotto drasticamente la
concorrenza, attuale o potenziale, in quel determinato
settore5. La Commissione richiamava l'attenzione delle
imprese interessate sulla compatibilità dell'operazione
con l'allora art. 86 TCE ed avviava d'ufficio un
procedimento amministrativo ai sensi dell'art. 3 del
regolamento 17/1962 in base al quale accertava poi,
l'abuso di una posizione dominante in capo alle società
coinvolte nell'operazione. La decisione era, in seguito,
oggetto di ricorso innanzi alla Corte di Giustizia delle
Comunità Europee che la annullava per carenza di
adeguata analisi economica sull'accertamento della
posizione dominante. Tale sentenza, se da una parte
produceva l'effetto pratico di annullare la precedente
decisione della Commissione, accogliendo, fra l'altro
gli orientamenti già espressi dalla stessa Commissione
con il già citato Memorandum del '66, dall'altra parte
confermava, tramite talune affermazioni, le ragioni
poste alla base della precedente decisione assunta
dall'organo esecutivo. Particolare significato può
essere attribuito alle affermazioni della Corte secondo
cui “il rafforzamento della posizione occupata
dall'impresa può essere abusivo e vietato dall'articolo
86 del Trattato, indipendentemente dai mezzi o
procedimenti usati a tal fine […]. Si può infatti
considerare abusiva la posizione dominante che giunga al
punto di eludere gli obiettivi del Trattato mediante una
modifica così profonda della struttura dell'offerta da
compromettere gravemente la libertà d'azione del
consumatore sul mercato. In questa ipotesi rientra
necessariamente la pratica eliminazione di qualsiasi
tipo di concorrenza”6. E ancora, confermando in linea di
principio le precedenti affermazioni della Commissione,
la Corte affermava che: “gli artt. 81 e 82 mirano allo
stesso scopo, cioè a mantenere un’efficace concorrenza
nel mercato comune. L’alterazione della concorrenza,
vietata quando deriva dai comportamenti contemplati
dall’art. 81, non può diventare lecita qualora detti
comportamenti riescano, grazie all’azione di un’impresa
dominante, a concretarsi in un’unione fra imprese. In
mancanza di espresse disposizioni non si può ritenere
che il Trattato, il quale vieta all’art. 81 talune
decisioni di semplici associazioni di imprese che
alterino la concorrenza senza eliminarla, ammetta
tuttavia all’art. 82 come lecito il fatto che
determinate imprese, collegandosi in un’unità organica,
possano raggiungere una posizione dominante tale da
escludere in pratica qualsiasi seria possibilità di
concorrenza. Una tale diversità di trattamento aprirebbe
nel complesso delle norme sulla concorrenza una breccia
atta a compromettere il corretto funzionamento del
mercato comune” (grassetto aggiunto).
In breve tempo la giurisprudenza
Continental Can divenne un punto di riferimento per la
disciplina comunitaria della concorrenza. In
particolare, dall'analisi della sentenza, i cui passaggi
più rilevanti possono ritenersi quelli appena sopra
riportati, sono derivati alcuni punti fermi ripresi
dalla successiva giurisprudenza :
un'impresa in posizione
dominante sul mercato pone in essere una condotta
abusiva nel momento in cui rafforza ulteriormente la
propria posizione mediante operazioni di concentrazione
e producendo in tal modo una limitazione della
concorrenza tale da rendere le residue imprese
concorrenti dipendenti dalla stessa o comunque non
sufficientemente autonome;
per rientrare all'interno del
campo di applicazione dell'art. 82 TCE non è necessaria
l'eliminazione totale della concorrenza, essendo
sufficiente una sostanziale riduzione di questa, tale da
produrre un effetto per cui le restanti imprese
concorrenti non siano più in grado di contrastare il
potere di mercato della prima;
non ha importanza il mezzo o il
procedimento attraverso il quale viene realizzata la
concentrazione7 né occorre procedere alla
identificazione di un nesso di causalità in senso
stretto tra l’operazione di concentrazione e la
posizione dominante, essendo sufficiente accertare
l'effettiva produzione degli effetti vietati.
Tuttavia, i limiti più rilevanti
della giurisprudenza Continental Can non tardarono a
manifestarsi. Intanto era evidente sin da allora il
ridotto campo di applicazione di una disciplina che,
sostanzialmente, prevedeva quale pre-requisito per
l'applicabilità la collocazione dell'impresa interessata
già in posizione di mercato dominante. Ciò valeva ad
escludere tutte quelle operazioni di concentrazione che
producevano esse stesse l'effetto di far acquisire
all'impresa interessata una posizione dominante sul
mercato8. Ancora, poi, altra grave lacuna strutturale
dell'applicazione dell'art. 82 TCE in luogo di una
disciplina ad hoc in materia di concentrazioni, era il
carattere successivo dell'intervento. In sostanza, la
base giuridica e la normativa vigente, rispettivamente
art. 82 TCE9 e reg. 17/62, non permettevano di
realizzare un controllo preventivo sulle operazioni di
concentrazione. E' evidente che l'intervento operato ex
post riduceva considerevolmente la stessa efficacia
dell'azione di controllo, peraltro aumentandone il
“costo sociale” e non garantendo la certezza dei
rapporti giuridici che nel frattempo potevano
costituirsi e consolidarsi.
Diversi fattori portarono dunque la
Commissione a raggiungere la consapevolezza della
necessità di dettare una specifica disciplina per
regolamentare le operazioni di concentrazione: le lacune
che l'applicazione della giurisprudenza Continental Can
aveva evidenziato, unitamente al sempre crescente numero
ed al maggior volume delle concentrazioni che si
realizzavano, ed alla tendenza della Corte di Giustizia
a cercare autonamamente una base giuridica per
pronunciarsi su tali fattispecie, produssero l'effetto
di far cooperare le istituzioni comunitarie e gli Stati
membri per il raggiungimento dell'obbiettivo comune. Già
nel 1973, infatti, fu presentato un primo progetto di
regolamento in materia di concentrazioni, e tuttavia
bisognerà attendere il 1989 per vedere realizzata tale
disciplina.
Nel frattempo, tuttavia, non solo
la Corte di Giustizia reiterò spesso la prassi
applicativa basata sull'art. 82 TCE, ma nella prima metà
degli anni '80 si pronunciò altresì in una serie di
decisioni di carattere negativo nelle quali, fra
l'altro, fece trasparire la possibilità di applicare
alle operazioni di concentrazioni la disposizione di cui
all'art. 81 TCE.
Un altro caso degno di nota e che
segnò un'importante passo nell'evoluzione della
disciplina comunitaria sulle concentrazioni è certamente
il cd. caso Philip Morris10, su cui vale la pena
soffermarsi. Innanzi alla Commissione prima, ed in
seguito in sede giurisdizionale innanzi alla Corte di
Giustizia, si pose il problema di valutare se e in quale
misura l'acquisto di partecipazioni nel capitale di
un'impresa concorrente potesse influire sull'equilibrio
concorrenziale del mercato. I fatti sono relativamente
semplici e si possono riassumere nell'acquisto da parte
dell'americana Philip Morris Inc. del 50% della holding
sudafricana Rembrandt Group Ltd. A seguito di tale
cessione, alcune imprese concorrenti operanti nel
settore del tabacco proposero reclamo alla Commissione
affermando che una tale operazione avrebbe prodotto
effetti negativi sulla concorrenza nel settore. La
Commissione, condividendo almeno in parte le rimostranze
manifestate dai concorrenti, notificò una serie di
addebiti alla Philip Morris che, al fine di adeguarsi a
quanto evidenziato dalla Commissione, modificò gli
accordi sino a renderli compatibili con le esigenze del
mercato regolamentato. In seguito, poi, i nuovi accordi
furono approvati dalla Commissione stessa ed a nulla
valse per le imprese concorrenti il successivo
intervento della Corte di Giustizia che sancì
definitivamente la liceità degli accordi intercorsi con
l'esclusione del verificarsi di condotte
anticoncorrenziali.
Seppur con la realizzazione di un
risultato negativo per i concorrenti/ricorrenti che
avevano portato il caso all'attenzione della Corte,
anche tale sentenza deve ritenersi un importante punto
fermo nell'evoluzione della giurisprudenza comunitaria
in materia di concentrazioni. La Corte, infatti,
nonostante abbia in concreto escluso la produzione di
effetti anticoncorrenziali, non mancò di precisare che
una tale fattispecie sarebbe stata comunque idonea in
astratto, ed in presenza di particolari circostanze, a
produrre effetti distorsivi nel sistema della
concorrenza11.
Dalle due decisioni sopra riportate
traspare l'orientamento che la Commissione ha adottato,
in un primo momento, nei confronti delle concentrazioni
tra imprese, che era dunque tollerata, ed in una certa
misura, anche vista con favore12 nell'evoluzione del
mercato comunitario.
2. L'applicazione del reg.
4064/1989: dal caso Kali sino al revirement prodotto con
le sentenze Tetra Laval e General Eletric
Con il regolamento emanato alla
fine degli anni '80 le istituzioni comunitarie colmavano
una lacuna che era ormai diventata motivo di
preoccupazione nell'ambito della politica di
concorrenza. L'aumentare del numero e delle dimensioni
delle concentrazioni che avevano luogo tra imprese
comunitarie suggerivano la necessità di una precisa
regolamentazione di queste onde evitare che gli effetti
positivi delle concentrazioni svolte in un primo momento
nel panorama europeo mutassero patologicamente in
operazioni aventi carattere distorsivo del regime di
libera concorrenza.
Nel giro di pochi anni la prassi
della Commissione e la giurisprudenza della Corte di
Giustizia contribuirono a delineare la portata ed i
confini del regolamento 4064/89, precisando, di volta in
volta, ed anche in relazione alle fattispecie atipiche e
meno frequenti, l'incidenza della normativa
nell'economia della concorrenza europea.
Un caso particolarmente
interessante all'interno della vasta giurisprudenza così
formatasi, è certamente il cd. caso Kali. Occorre qui
svolgere una breve premessa onde contestualizzare meglio
la portata della decisione. Nell’applicazione del
regolamento 4064/1989, l’accento è stato posto, in un
primo momento, sulla valorizzazione degli aspetti
strutturali: la creazione o il rafforzamento della
posizione dominante. Gli effetti negativi sulla
disciplina della concorrenza erano, tipicamente,
presunti13. Ed inoltre, la nozione di posizione
dominante è stata progressivamente ampliata. Nei
primissimi anni di applicazione del regolamento,
attenendosi a un’interpretazione letterale della norma,
la nozione veniva riferita solo all’operatore principale
nel mercato. In seguito, la Commissione ha iniziato a
sostenere che l’articolo 2 del regolamento consentisse
di colpire anche la posizione dominante detenuta
collettivamente da più imprese. Questo è proprio il core
issue del caso Kali che ha concretizzato l'ipotesi di un
oligopolio collusivo. Le società tedesche Kali und Salz
AG e Mitteldeutsche Kali AG notificavano alla
Commissione un progetto di concentrazione ai sensi
dell'allora vigente regolamento. Tali società operavano
nel settore del potassio e del salgemma, settore,
peraltro, in cui si rilevava un basso livello di
concorrenza tra operatori. L'analisi della Commissione
portò questa a ritenere che l'operazione avrebbe
determinato una posizione dominante collettiva nel
mercato comunitario dei prodotti a base di potassio14.
Tuttavia, in seguito, nel dicembre del 1993, la
Commissione consentiva ed autorizzava l'operazione
subordinandola a determinate condizioni. La Francia,
unitamente alla SCPA e all'AMC15 si rivolgeva alla Corte
di Giustizia sollevando talune questioni che certamente
meritavano un approfondimento. L'interesse e la portata
del caso emergono evidenti dalle stesse considerazioni
con cui gli attori introducevano la causa innanzi alla
Corte. Con particolare riferimento alla questione
centrale dell'applicabilità del regolamento 4064/1989
alle posizioni dominanti collettive la Corte16 aveva
modo di osservare che “l'argomento delle ricorrenti
secondo cui la scelta del fondamento giuridico di per sé
stessa suggerirebbe che il regolamento non si applichi
alle posizioni dominanti collettive non può essere
accolto”, a sostegno di tale orientamento la Corte
portava almeno tre argomenti:
in primo luogo, come anche
osservato dall'Avv. Generale nelle proprie conclusioni,
gli artt. 87 e 235 del Trattato avrebbero potuto,
teoricamente, essere utilizzati come base giuridica di
una disciplina che consentisse di intervenire anche in
via preventiva nei confronti di operazioni di
concentrazione che creano o che rafforzano in modo
significativo il gioco della concorrenza;
in relazione all'art. 2 del
reg. 4064/1989 la Corte osservava come non fosse
sostenibile la tesi secondo cui tale articolo fosse
preposto unicamente all'intervento in caso posizione
dominanate individuale, e, seppur non espressamente
previsto, dovevas ritenersi la sua applicabilità anche
in caso di posizione dominante a carattere collettivo
(questa interpretazione estensiva della norma deve
ritenersi lecita laddove l'art. 2 non esclude
espressamente la possibilità di applicare il regolamento
a casi in cui le operazioni di concentrazione conducano
alla creazione o al rafforzamento di una posizione
dominante di carattere collettivo, ciè e nel caso di
specie particolarmente- detenuta dai partecipanti alla
concentrazione unitamente ad un soggetto terzo);
da ultimo, neppure il
riferimento operato dalle ricorrenti ai lavori
preparatori consentiva di ritenere che nella portata
della locuzione “posizione dominante” fosse ricompresa
la posizione dominante collettiva17.
Esclusa l'accoglibilità
dell'eccezione così sollevata dalle ricorrenti, la Corte
operava dunque un'interpretazione della norma, l'art. 2
del reg. 4064/1989, “sulla scorta della sua finalità e
disciplina generale [della disciplina] (v., in questo
senso, sentenza 7 febbraio 1979, causa 11/76, Paesi
Bassi/ Commissione, Racc. pag. 245, punto 6)”. A questo
proposito si rilevava che il regolamento, a differenza
degli artt. 85 e 86 del Trattato, sarebbe stato
destinato ad essere applicato a tutte le operazioni di
concentrazione aventi carattere comunitario qualora
queste risultassero incompatibili con il regime di
concorrenza instaurato dal Trattato. Conseguentemente,
al punto 171 della sentenza veniva affermato che
“un'operazione di concentrazione che crei o rafforzi una
posizione dominante delle parti interessate con un
entità terza all'operazione è atta a risultare
incompatibile con il regime di concorrenza non falsato
voluto dal Trattato”. Con un'interpretazione a
contrariis, infatti, si sarebbe giunti all'irragionevole
risultato di privare il regolamento di una parte del suo
effetto utilem senza che ciò sia realmente necessario
all'economia generale del regime comunitario di
controllo delle concentrazioni. Da ultimo, poi,
dall'ulteriore analisi delle motivazioni della sentenza
è altresì possibile trovare una soluzione ad un altro
non irrilievante problema sollevato dalle ricorrenti: in
un procedimento di tal guisa, i diritti di difesa
dell'impresa terza comunque interessata dall'operazione,
si troverebbero irrimediabilmente compromessi. Su questo
punto la Corte ha rilevato che: “né l'argomento relativo
alla mancanza di garanzie procedurali né quello
riguardante il 'quindicesimo'18 considerando del
regolamentato sono tali da rimettere in discussione
l'applicabilità del regolamento ai casi di posizione
dominante collettiva derivanti da operazioni di
concentrazione”, infatti, proseguendo la Corte statuiva
che “riguardo al primo di tali argomenti si deve
osservare che il regolamento non prevede espressamente
l'obbligo di dare, alle imprese terze all'operazione di
concentrazioni considerate come il polo estrerno
dell'oligopolio dominante, la possibilità di esprimere
utilmente il loro punto di vista” ed ancora,
concludendo, “pur assumendo […] che la progettata
operazione di concentrazione instaura o rafforza una
posizione dominante collettiva tra le imprese
interessate e un'impresa terza, possa di per sé essere
lesivo per quest'ultima, si deve ricordare che il
rispetto dei diritti di difesa in qualunque procedimento
costituisce un principio fondamentale del diritto
comunitario che deve essere garantito anche in mancanza
di qualsiasi norma di procedura a riguardo19”.
L'orientamento estensivo che la Commissione e la Corte
avevano abbracciato con tale decisione, in un certo
senso anche in antitesi al punto di vista adottato nel
periodo precedente all'entrata in vigore del regolamento
stesso, emerge con forza, da ultimo, con riferimento
alla considerazioni conclusive svolte dai Giudici:
“[...] tenuto conto dello scopo del regolamento […], il
fatto che nel suo ambito non sia stata espressamente
prevista, da parte del legislatore comunitario, una
procedura in grado di garantire il diritto di difesa
delle imprese terze ritenute detentrici di una posizione
dominante collettiva con le imprese partecipanti alla
concentrazione non può essere considerato come una prova
decisiva dell'inapplicabilità di detto regolamento alle
posizioni dominanti collettive”. Dall'analisi di questa
giurisprudenza traspare in maniera evidente il
reviremént applicativo, della Commissione, e
giurisprudenziale, della Corte, in relazione al mutato
atteggiamento nei confronti delle operazioni di
concentrazione. A circa metà degli anni '90, l'ormai
compiuta evoluzione del mercato comunitario aveva
evidenziato tutti gli aspetti negativi di un eccessivo
livello di concentrazione tra imprese, e le istituzioni
comunitarie dopo averne preso atto “correvano ai
ripari”, estendendo, talvolta, le proprie competenze
anche al di là del dato letterale previsto dalla
normativa e dal regolamento.
Procedendo a tappe rilevanti
nell'evoluzione dell'orientamento finora descritto,
viene in evidenza il caso Airtours-First Choice20, nel
quale la Commissione è andata ancora oltre rispetto
all'interpretazione estensiva adottata nel caso Kali,
applicando la nozione di posizione dominante collettiva
anche a situazioni di oligopolio non collusivo. Secondo
questa prospettiva, viene qualificato comportamento
anticoncorrenziale anche il solo aumento di potere di
mercato che deriva dalla semplice riduzione del numero
degli operatori, a prescindere dall’esistenza di un
coordinamento tacito. Tuttavia, la decisione a cui la
Commissione era approdata per il tramite dell'anzidetta
interpretazione estensiva, fu, in questo caso, disattesa
dal Tribunale di primo grado. Nel 1999 la società
britannica Airtours plc rendeva pubblica l'intenzione di
acquistare l'intero capitale di una società concorrente
e notificava alla Commissione tale progetto. L'esame poi
svolto in seno alla Commissione si concludeva con una
decisione che dichiarava l'operazione come incompatibile
con il mercato comune poiché avrebbe creato una
posizione dominante collettiva nel mercato britannico
(la nozione di mercato rilevante in questione era
individuata nel mercato britannico dei pacchetti di
vacanza all'estero con destinazioni a corto raggio). La
società Airtours presentava dunque ricorso per
annullamento, fondato sostanzialmente su due motivi: il
primo concernente l'errata individuazione del mercato
rilevante, ed il secondo basato sul presupposto che la
Commissione avesse applicato un'inedita nozione, ed
errata, di posizione dominante collettiva. Dunque, come
già anticipato, si trattava della prima applicazione
della normativa in materia di concentrazioni, ad un caso
di oligopolio non collusivo.
Per quanto riguarda l'errata
individuazione del mercato rilevante, la questione è
tutta incentrata sulla differenza (leggi
“sostuibilità”), tra pacchetti vacanze “a corto raggio”
e “a lungo raggio”. I secondi sono individuati con
quelle mete che prevedono uno spostamento aereo maggiore
di tre ore. Il Tribunale, dopo aver affettuato
un'attenta analisi degli argomenti portati sul punto da
entrambe le parti, conclude ritenendo che la Commissione
ha effettuato una corretta individuazione del mercato
rilevante nel caso di specie, e ciò senza andare oltre i
limite del proprio potere discrzionale21. Pertanto il
primo motivo di annullamento veniva respinto in quanto
infondato. Passando poi all'esame del secondo, e ben più
rilevante, motivo avanzato dalle ricorrenti, il
Tribunale, nel riformare la decisione della Commissione,
ha avuto modo di individuare in astratto alcune
condizioni necessarie a comprovare l'esistenza di una
posizione dominante colletiva di tal genere (ricordiamo
trattavasi di oligopolio non collusivo) :
ogni impresa ritenuta coinvolta
deve essere in grado di conoscere il comportamento delle
altre, così da poter verificare se esse seguono
effettivamente i comportamenti concordati (monitoring);
devono sussistere adeguati
meccanismi di punizione nel caso di deviazione
dall’equilibrio di uno dei partecipanti all’intesa
(retaliation), cosicché eventuali terzi concorrenti
presenti e futuri non siano in grado di turbare
l’equilibrio;
la prevedibile reazione dei
concorrenti, effetivi e potenziali, nonché dei
consumatori, non deve essere in grado di inficiare i
risultati attesi dalla comune linea d'azione.
Alla luce anche di tali requisiti,
ed a seguito di un'attenta analisi del ragionamento
svolto dalla Commissione, il Tribunale accertava che “
[…] la Decisione, lungi dall'aver basato la sua analisi
prospettica su elementi di prova solidi, è viziata da un
insieme di errori di valutazione che riguardano elementi
importanti per la valutazione dell'eventuale creazione
di una posizione dominante collettiva. Ne consegue che
la Commissione ha vietato l'operazione [...] senza
dimostrare un ostacolo significativo ad un'effettiva
concorrenza nel mercato di cui trattasi”
Il caso Airtours-First Choice ha
dunque posto un freno alla linea interpretativa
estensiva della nozione di dominanza (almeno per quanto
riguarda l'oligopolio non collusivo). Ad un primo
periodo di applicazione prudente, è seguito un secondo
periodo di applicazione più aggressiva dei divieti e
delle misure correttive22 ed il caso Airtours è
espressione dell'arrestarsi, in un certo senso, di
questa seconda fase.
Proseguendo nell'analisi della
giurisprudenza, necessario riflesso degli orientamenti
di volta in volta adottati dalle istituzioni
comunitarie, non possono non venire in evidenza alcuni
particolari casi di concentrazioni cosidette
“conglomerali”, poste in essere cioè da imprese operanti
in diversi mercati. A riguardo la politica della
Commissione pare essere stata alquanto controversa, e
disattesa poi dai relativi controlli giurisdizionali del
Tribunale e della Corte di Giustizia. Nel cd. caso
Laval23, ad esempio, la decisione assunta in prima
battuta dalla Commissione, che dichiarava l'operazione
di concentrazione notificatale come incompatibile con il
mercato comune, fu immediatamente impugnata dalla
società, la Tetra Laval BV, innanzi al Tribunale di I
grado, che, accogliendo le doglianze della ricorrente,
annullò la decisione dell'organo esecutivo24. In
particolare, e fra l'altro, il Tribunale aveva ritenuto
che la Commissione avesse commesso dei rilevanti errori
di valutazione con riferimento al cd. effetto leva25 ed
all'effettivo rafforzamento della posizione dominante
della Tetra nel settore di riferimento26. Senza scendere
nel dettaglio dell'analisi della pronuncia del
Tribunale, basti qui rilevare che dal dato letterale
della sentenza traspare nitidamente l'idea che le
concentrazioni cd. conglomerali siano generalmente
“neutre” per l'equilibrio della concorrenza, e anzi, che
talvolta possano addirittura produrre effetti positivi
su questa (anche qui, ovviamente, si tratta sempre di
considerazioni a carattere maggiormente economico che
giuridico). In estrema sintesi e buona sostanza, il
Tribunale ritenne che alla fattispecie in esame, ed in
generale alle cd. concentrazioni conglomerali, potesse
essere applicata una presunzione di compatibilità con il
diritto della concorrenza comunitario particolarmente
forte. Tuttavia, da parte sua la Commissione impugnò a
sua volta la sentenza del Tribunale innanzi alla Corte
di Giustizia per ottenerne l'annullamento. La
Commissione invocava a sostegno della propria tesi
diversi motivi di ricorso (cinque formalmente,
riconducibile sostanzialmente a quattro
argomenti/obiezioni). Ripercorrendo le ragioni della
Commissione dal punto di vista della Corte di Giustizia,
è possibile apprezzare, da una parte, il merito e la
fondatezza delle ragioni stesse, e dall'altra, delineare
i contorni dell'approccio utilizzato dalla Corte
nell'affrontare tali, complesse, questioni27.
Analizziamo dunque i motivi di ricorso e la relativa
analisi svolta dalla Corte:
con il primo motivo di ricorso
la Commissione contestava la richiesta operata dal
Tribunale in relazione al livello probatorio ed alla
qualità degli elementi di prova presentati a sostegno
della propria argomentazione, ritenendo tale richiesta
incompatibile con l'ampio potere discrezionale di cui la
Commissione dispone quando occorre effettuare
considerazioni di ordine economico.
La soluzione di tale prima
questione è relativamente semplice. Il Tribunale,
infatti, aveva correttamente parametrato le richiesta
avanzate alla Commissione agli stessi criteri del
sindacato giurisdizionale cristalizzati nella pronuncia
Kali & Salz28. Sebbene la Corte riconosca pacificamente
alla Commissione l'ampio potere discrezionale di cui
questa dispone in tali casi, “ciò non implica che il
giudice comunitario debba astenersi dal controllare
l'interpretazione, da parte della Commissione, di dati
di natura economica” ((punto 39 della relativa
sentenza). Al termine della disamina di questo ed altri
profili connessi, la Corte riteneva che il Tribunale
aveva rispettato i criteri del sindacato giurisdizionale
esercitato dal giudice comunitario – aveva rispettato
dunque l'art. 230 CE – e dichiarava il primo motivo di
ricorso infondato;
con il secondo motivo la
Commissione lamentava la violazione da parte del
Tribunale degli artt. 2 e 8 del regolamento in quanto
questi aveva imposto di tener conto dell'incidenza del
carattere illegale di determinati comportamenti sugli
incentivi esercitati sulla nuova entità a far uso di un
effetto leva, e ancora di valutare, quale eventuale
misura correttiva, l'impegno di non adottare
comportamenti abusivi.
Sulla questione avanzata con il
secondo motivo di ricorso occorre evidenziare che, se
anche il Tribunale avesse commesso un errore di diritto
respingendo le conclusioni della Commissione inerenti
all'adozione, da parte della nuova impresa, di
comportamenti idonei a produrre il cd. effetto leva,
esso ha comunque correttamente statuito in ordine al
fatto che la Commissione avrebbe dovuto tenere in
maggiore considerazione gli impegni sottoscritti dalla
Tetra in merito al futuro comportamento della nuova
impresa;
con il terzo motivo di
annullamento la Commissione sostiene che il Tribunale ha
commesso un errore di diritto ricorrendo ad un errato
criterio di sindacato giurisdizionale e una violazione
dell'art. 2 del regolamento nei limiti in cui ha
stabilito che la “decisione non fornisce sufficienti
elementi per giustificare la definizione di sottomercati
distinti delle macchine SBM, secondo la loro
utilizzazione finale” e che “pertanto, gli unici
sottomercati da prendere in considerazione sono quelli
delle macchine a bassa capacità”.
I primi due argomenti del terzo
motivo vengono qualificati, rispettivamente, come
ininfluente ed incoferente29. Per quanto attiene
all'altro argomento, che sostanzialmente mira a
contestare la valutazione del Tribunale relativa al
carattere generico delle macchine SBM, alla possibilità
di definire a quale gruppo appartenga un dato cliente ed
all'impossibilità di avvalersi degli scambi fra clienti
o dell'arbitraggio tramite terzi in relazione a tali
macchine, la Corte rileva come tali circostanze debbano
essere dichiarate irricevibili, in quanto pongono in
discussione la valutazione di elementi di prova
effettuata dfal Tribunale30. Per tali ragioni anche il
terzo motivo addotto dalla Commissione deve ritenersi in
parte irricevibile, ed in partne infondato;
infine, poi, con il quarto
motivo di ricorso la Commissione ha sostenuto la
violazione da parte del Tribunale dell'art. 2 del
regolamento, avendo omesso di rilevare alcuni argomenti
portati dalla Commissione stessa a sostegno della
fondatezza della sua ipotesi – quella cioè secondo cui
la Tetra con l'operazione in discorso avrebbe rafforzato
al sua posizione dominante - .
L'analisi di tale motivo deve
prendere avvio dal panorama dei concorrenti dell'impresa
intressata31. Precedentemente il Tribunale aveva
ritenuto che la sola circostanza che la Tetra già prima
dell'operazione di concentrazione detenesse una
posizione dominante all'interno del mercato di
riferimento, non di per sé elemento che possa che possa
autonomamente provare la diminuzione della concorrenza.
Anzi, l'impresa stessa contestava tale punto affermando
che la mancanza di innovazione (che sarebbe invece stata
prodotta dalla concentrazione in questione) avrebbe
avvantaggiato gli allora concorrenti della Tetra
producendo effetti negativi sul mercato. Il Tribunale,
infine, si è fondato sulle potenziali reazioni dei
concorrenti della Tetra per confutare l'affermazione
della Commissione secondo cui una volta portata a
termine la concentrazione l'impresa avrebbe aumentato i
prezzi senza che la nuova entità apportasse elementi
innovativi nel settore. Pertanto non si può ritenere
fondata la doglianza espressa dallaCommissione secondo
cui la concorrenza potenziale sarebbe del tutto slagata
dalla relazione di concorrenza esistente tra l'impresa
considerata dominante e le altre imprese operanti nel
mercato di riferimento.
3. Cenni sulla successiva
evoluzione e sulla riforma del reg. 139/2004
Come già accennato supra occorre
rilevare che le sentenze Tetra Laval e la successiva
General Eletric32, oltre ad avere in comune lo stesso
impianto sostanziale, con riferimento alle decisioni
assunte dal Tribunale e dalla Corte, segnano altresì il
passaggio della Commissione ad una nuova prospettiva in
materia di controllo delle concnetrazioni. In estrema
sintesi e buona sostanza, le due sentenze, oltre ad aver
sottolineato in concreto le carenze probatorie delle
decisioni della Commissione, hanno messo in luce
importanti aspetti sostanziali riguardo alla portata del
divieto ed hanno imposto una più attenta valutazione
economica dei casi sottoposti all'attenzione della
Commissione. L'effetto dell'arresto operato con tale
ultima giurisprudenza è stato tale per cui la
Commissione stessa si è trovata necessariamente a dover
rivedere le proprie prospettive in materia di controllo
delle concentrazioni. In primo luogo essa ha sciolto la
Merger task force fino ad allora preposta al controllo
delle concentrazioni, ed in seguito, ha avanzato diverse
proposte per migliorare la disciplina del controllo
sulle concentrazioni. Tali proposte possono afferivano
sostanzialmente a tre macroaree: le procedure interne ed
il successivo controllo giurisdizionale, il ruolo
dell'analisi economica e gli aspetti sostanziali della
disciplina. Sintenticamente possiamo osservare che con
riguardo al primo punto l'intento è stato quello di
rendere maggiormente garantista per le iomprese
interessate il controllo effettuato sulle operazioni di
concentrazione, in particolare il punctum dolens è da
rinvenire nella circostanza secondo cui chi presiede
allo svolgimento dell'istruttoria è il medesimo soggetto
che poi assume la decisione33. Con riferimento, invece,
all'analisi economica, occorre rilevare che questa, pur
rivestendo un'importanza sempre maggiore nella
valutazione delle decisioni assunte dalla Commissione,
non può da sola gistificare l'adozione, o meno, di
determinate misure. In pratica il ruolo dell'analisi
economica dovrebbe essere al contempo, da una parte
valorizzato, e dall'altra prudentemente valutato quale
parte, fondamentale, di un “pattern” complesso e
multidisciplinare.
Nel gennaio del 2004, poco più di
una dozzina di anni dopo l'entrata in vigore della prima
normativa organica in materia di controllo sulle
concentrazioni, La Commissione europea ha adottato il
cd. “reform package”varando una riforma anche
sostanziale del merger control a livello europeo34.
La rapida ricognizione che precede
della giurisprudenza comunitaria in materia di controllo
delle concentrazioni, seppur non esaustiva e senza
pretese di completezza, permette di apprezzare, sia da
un punto di vista prettamente giuridico che da un punto
di vista più generale di politica economica, il rapido
evolversi della disciplina in questione. Seppur è vero
che la Comunità Europea è giunta relativamente tardi ad
elaborare una normativa organica su tale materia, è
altrettanto vero che questo ha permesso al legislatore
europeo di evitare gli errori commessi da altre
discipline nazionali. La natura stessa della materia
trattata ha poi imposto una revisione per così dire “a
breve termine” e l'osservazione del rapidissimo
evolversi della disciplina comunitaria in questa
materia, oltre ad essere espressione dinamica di un
“nuovo modo di fare diritto”, consente di apprezzare
altresì la portata del controllo giurisdizionale svolto
in seno alla Comunità Europea. In estrema sintesi e
buona sostanza, è possibile interpretare parte
dell'evoluzione supra ripercorsa35 come un processo
dialettico in cui la crescita e l'adattamento della
normativa è il risultato di una dialettica conflittuale
tra la Commissione e le istituzioni giurisidizionali
dell'Unione, il Tribunale di I grado o la Corte di
Giustizia. Un procedimento che potrebbe quasi definito
quasi maieutico, di consapevole crescita e adattamento
di una disciplina al sostrato fattuale su cui la stessa
dovrà operare.
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Questo se il parametro di
riferimento è individuato, ad esempio, nella disciplina
statunitense. Basti pensare alla lungimiranza e coerenza
insiti nello Sherman Act, emanato nel 1890 e consistente
in una disciplina applicabile ad ogni fattispecie
restrittiva della concorrenza, omnicomprensiva, e
comunque strutturata in maniera tale da potersi adattare
ai rapidi cambiamenti del mercato dettati dall'andamento
dell'economia. L'idea che ha guidato la stesura di tale
disciplina era quella di proteggere il mercato da
qualsiasi illegittima restrizione della concorrenza. Con
questo intento venivano redatte le sez. I e II dello
Sherman Act le quali prevedono che “ogni contratto,
combinazione nella forma di trust o altrimenti, o
cospirazione che limita gli scambi o il commercio tra i
vari Stati, o con nazioni straniere, è per mezzo della
presente legge dichiarato illegale”, e ancora che “ogni
persona che monopolizzerà o tenterà di monopolizzare o
entrerà a far parte di combinazioni o cospirazioni con
altra persona o persone, tendenti a monopolizzare
qualsiasi parte degli scambi o del commercio fra i vari
Stati o con nazioni straniere sarà ritenuta colpevole di
reato”. (Traduzione tratta da Bernini, “Un secolo di
filosofia antitrust”, Clueb, Bologna, 1993.
2Cfr. art. 66 Trattato C.E.C.A., la
ratio di tale disposizione è da rinvenirsi nella
circostanza che il mercato del carbone e dell'acciaio
era già allora caratterizzata da un elevato grado di
concentrazione tra imprese.
3Le ragioni di tale scelta possone
essere ricondotte anche a considerazioni economiche. Un
elevato grado di concentrazione è sicuramente un fattore
che incide negativamente sull'equilibrio concorrenziale
del mercato, e tuttavia, in un'ottica macroeconomica –
che tenga cioè conto dell'andamento dei mercati in senso
non solo transanazionale ma anche transcontinentale –
anche una troppo elevata frammentazione del mercato può
produrre un effetto antieconomico. Dunque al fine di
facilitare i rapporti con con le grandi imprese
americane ed asiatiche si era attivata, in un primo
momento, una politica tesa se non a favorire, quantomeno
a tollerare le operazioni di concentrazione tra imprese.
Cfr., tra l'altro, Memorandum of the
Commission to the Governements of the Member State,
Concentration of Enterprises in the Common Market, EEC
Competition Series, Study No. 3, Bruxelles, 1966.
4Causa 6/72, Racc. 1973, pp. 215 e
ss..
5Decisione Continental Can, in GUCE
n. L 7 dell’8 gennaio 1972, pagg. 25 e ss..
6Per una più approfondita analisi
della cd. giurisprudenza Continental, cfr. B.
Nascimbene, M. Condinanzi, Giuriprudenza di diritto
comunitario. Casi scelti, Giuffrè editore, 2007, pp. 986
e ss..
7Cfr. in particolare su
quest'ultimo punto, A. Frignani, M. Waelbroeck,
Disciplina della concorrenza nella CE, Torino, UTET,
1996.
8Tale circostanza, oltre a
qualificarsi come uno dei limiti più evidenti di tale
disciplina, era tra l'altro stata ampiamente criticata
già all'epoca. Cfr. in particolare risposta alla
questione scritta n. 385/75 di M.Scholten, in GUCE n. L
285 del 13 dicembre 1975.
9Numerose altre concentrazioni
furono valutate in quegli anni sulla base dell'art. 82
TCE, tra queste possiamo ricordarne alcune:
Mannesmag/Demag, III relazione sulla politica di
concorrenza (1973), No. 73;
Fiat/Kloeckner-Humboldt-Deutz, V relazione sulla
politica di concorrenza (1975), No. 83; Michelin /
Actor, VIII Relazione sulla politica di concorrenza
(1978), No. 146; Kaiser/Estel, IX Relazione sulla
politica di concorrenza (1979), No. 131; Amicon/Fortia e
Wright Scientific, XI Relazione sulla politica di
concorrenza,(1981) No. 112. Per un catalogo completo di
questa prassi cfr. documenti ufficiali delle Relazioni
sulla politica di concorrenza e L.F. Pace, Diritto
europeo della concorrenza, Cedam, Padova, 2007 (Parte X,
Cap. 41, pp. 379 e ss.).
10Cause riunite 142 e 156/84,
Sentenza della Corte del 17 novembre 1987.
11Più precisamente, ai Punti 37, 38
e 39 della Sentenza in discorso la Corte precisava che
tali effetti avrebbero ben potuto prodursi nel caso i)
di acquisizione del controllo; ii) in cui l'accordo
avesse contemplato la collaborazione commerciale tra le
imprese interessate o avesse creato strutture idonee ad
agevolare tale collaborazione; iii) in cui l'accordo
avesse previsto la possibilità che l'acquirente potesse
ottenere successivamente il controllo dell'impresa
partecipata.
12Sulle ragioni, prettamente
economiche, di tale orientamento ci si è già soffermati
supra, cfr. nota 3.
13Gli effetti negativi per i
consumatori sono stati a lungo tempo ignorati o comunque
non sufficientemente considerati in un ottica generale
di salvaguardia degli interessi del mercatiìo in senso
stretto (dunque con particolare riguardo in primis ai
concorrenti delle imprese che ponevano in essere
concentrazioni rilevantio per il diritto comunitario).
14Più precisamente, come osservato
in B. Nascimbene, M. Condinanzi, op. cit., “l'analisi
della Commissione si fondava, da un lato, sulla
considerazione che l'offerta al di fuori del gruppo Kali
und Salz/Mitteldeutsche Kali e SCPA (consociata
francese) era atomizzata e faceva capo ad operatori non
in grado di intaccare la quota di mercato complessiva di
circa il 60% detenuta dal duopolio e, dall'altro, sulla
presunzione secondo cui tra Kali und Salz/Mitteldeutsche
Kali e SCPA non si sarebbe instaurata alcuna concorrenza
effettiva, sia per le caratteristiche del mercato dei
sali di potassio, sia per il comportamento tenuto in
passato da Kali und Salz/Mitteldeutsche Kali e SCPA,
sia, infine, per l'intreccio di rapporti esistenti da
molto tempo tra di esse”.
15Si tratta delle due imprese
francesi coinvolte nell'operazione: SCPA Societé
commerciale des potasseset de l'azote e EMC Enterprise
miniere et chimique.
16Francia e a. contro Commissione,
cause riunite C-68/94 e C-30/95, 31 marzo 1998, Racc.
I-1375.
17Punto 167 della Sentenza:
“Pertanto, i lavori preparatori non sono in grado di
fornire indicazioni utili per l'interpretazione della
nozione controversa (v., in questo senso, sentenza 1°
giugno 1961, causa 15/60, Simone/Corte di Giustizia,
Racc. pag. 213)”.
18Il 'quindicesimo' considerando
del reg. 4064/1989 dispone che: “La Commissione dovrebbe
poter rinviare ad uno Stato membro le concentrazioni
notificate di dimensione comunitaria che rischiano di
incidere in misura significativa sulla concorrenza in un
mercato, all'interno del suddetto Stato membro, che
presenta tutte le caratteristiche di un mercato
distinto. [...]” cfr. quindicesimo 'considerando' reg.
4064/1989, sulla possibilità di rinvio agli Stati membri
del controllo su determinati tipi di concentrazione.
19“v., in questo senso, sentenza 13
febbraio 1979, causa 85/76, Hoffman-LaRoche/Commissione,
Rac. pag. 461, e 24 ottobre 1996, causa C-32/95,
Commissione/Lisrestal e a., Racc. pag. I-5373, punto
21)”.
20Airtours plc. c. Commissione,
causa T-342/99, 6 giugno 2002, Racc. II-2585.
21Cfr., in particolare, i passaggi
della sentenza da n. 17 a n. 48. Particolarmente
interessante anche l'operato riferimento alla
giurisprudenza precedente: “19. Occorre osservare
innanzitutto che, per quanto riguarda l'applicazione del
regolamento 4064/89, […], l'adeguata definizione del
mercato rilevante è una condizione necessaria e previa
alla valutazione degli effetti sulla concorrenza della
concentrazione tra imprese notificata (v.. in tal senso,
la sentenza della Corte 31 marzo 1998 cause riunite
C-68/94 e C-30/95, Francia e a./Commissione, detta
Kali&Salz)”
22Per una sintesi efficace rinvio a
un recente articolo di Nicholas Levy su “EU Merger
Control: from Birth to Adolescency” (World Competition,
2003).
23Commissione c. Tetra Laval BV,
causa C-12/03 P, 15 febbraio 2005, Racc. I-1113.
24Tetra Laval BV c. Commissione I,
causa T-5/02, 25 ottobre 2002, Racc. pag. II-4318.
25L'effetto leva è un concetto
sostanzialmente economico che in estrema sintesi, ed ai
soli fini che qui interessano, può essere descritto come
quello effetto derivante dallo sfruttamento del potere
detenuto in un mercato al fine di provocare od indurre
l’uscita dei concorrenti da un altro e diverso mercato.
26I fatti alla base di tale
pronuncia sono, invero, piuttosto noti. La Commissione,
in applicazione del reg. 4064/89 avviava un procedimento
relativo all'acquisizione da parte della Tetra Laval BV
, società finanziaria del gruppo Tetra, che include al
suo interno anche la la società Tetra Pak, impresa
leader a livello mondiale nell'imballaggio in cartone e
ritenuta occupare una posizione dominante, in
particolare, nel campo dell'imballaggio asettico, della
Società Sidel SA (a sua volta impresa produttrice di
macchine atte all'imballaggio ed ai trattamenti cd. a
barriera).
27In particolare occorre osservare
che l'impianto giuridico-teorico utilizzato dalla Corte
nel decidere tale caso, è sostanzialmente il medesimo
adottato poi nel successivo caso cd. General Eletric
Company.
28Cfr. supra Kali
29Punto 103 della sentenza:
“Infatti, dalla lettura dei punti 259, ultima frase, e
268 della sentenza impugnata emerge che, nell'ambito
dell'individuazione di mercati distinti, il Tribunale
non si è pronunciato relativamente alla prova diretta di
una discriminazione […], ossia la possibilità di
determinare con precisione a quale gruppo appartenga un
dato cliente e l'impossibilità di avvalersi degli scambi
fra clienti o dell'arbitraggio tramite terzo”.
30Valutazione che, evidentemente,
non può essere assoggettata al controllo della Corte
nell'ambito di un ricorso contro una pronuncia del
Tribunale.
31Come l'art. 2 del reg. 4064/1989
impone, al fine di valutare la compatibilità di una
determinata operazione con l'equilibrio della
concorrenza nel mercato comune, la Commissione deve
tenere conto di diversi elementi che spaziano dalla
struttura del mercato rilevante al grado di concorrenza
effettiva e potenziale posto in essere dagli altri
operatori del settore.
32General Eletric Company c.
Commissione, causa T-210/01, 14 dicembre 2005, Racc.
II-5575
33“Un ruolo di vero garante può
essere svolto solo dal Tribunale. Da questo punto di
vista è positivo che, a partire dal 2001, siano stati
introdotti vari accorgimenti per accelerare le sentenze
in materia di concentrazioni. Ma i poteri del Tribunale
dovrebbero essere estesi alla sospensione cautelare
delle decisioni della Commissione, senza la quale la
capacità delle imprese di resistere alle richieste di
misure correttive, pur se infondate, è pressoché nulla.
In generale, le decisioni del Tribunale dovrebbero
giungere con la massima tempestività, dato gli effetti
altrimenti irreversibili di una decisione di divieto”,
S.Micossi, “Il ruolo dell'analisi economica nella nuova
disciplina del controllo delle concentrazioni” .
34Per quanto riguarda le
sostanziali novità e la portata della riforma si fa
riferimento all'articolo recentemente pubblicato sul
portale web Diritto&Diritti “Il quadro normativo delle
concentrazioni: dalla legislazione europea a quella
nazionale” cura di G. Adamo, R. Strangio, G. Pesce.
35Ci si riferisce in particolare
all'ultima parte della presente trattazione, quella cioè
inerente in particolare alle pronunce Tetra Laval BV e
General Eletric Company c. Commissione in cui la
conflittualità tra le decisioni assunte dalla
Commissione e la riforma di queste operata dal Tribunale
è particolarmente evidente. |