L'Italia sta affrontando una vera e
propria rivoluzione demografica. E ciò genera paure e
incertezze che alimentano molti luoghi comuni, "le cose
da non credere" appunto. In un volume pubblicato da
Editori Laterza, Gianpiero Dalla Zuanna e Guglielmo
Weber analizzano e confutano i miti e i pregiudizi che
nel nostro paese ostacolano una gestione corretta dei
cambiamenti. Lo fanno attraverso un'analisi attenta
della realtà, così come rappresentata dai dati. Perché
il senso comune si nutre di miti, il buon senso di
fatti. Per i nostri lettori, anticipiamo il capitolo
conclusivo del libro.
La copertina del libro
Pubblichiamo l'ultimo capitolo del
libro di Gianpiero Dalla Zuanna e Guglielmo Weber “Cose
da non credere”, edito da Editori Laterza.
Il buon senso c’era;
ma se ne stava nascosto,
per paura del senso comune
Alessandro Manzoni
I promessi sposi, cap. XXXII
Questo libro ha trattato di
argomenti assai diversi (cicale e formiche, sesso e
riproduzione, mattone e soldi, vecchiaia e
immigrazione), ma fra loro collegati per (almeno) due
motivi. Da un lato, tutti gli argomenti sono
riconducibili al modo in cui la società e gli individui
sono influenzati dai grandi cambiamenti demografici che
hanno caratterizzato l’ultima parte del secolo scorso e
questo primo scorcio del nuovo secolo, che vanno sotto
il nome di nuova rivoluzione demografica (new vital
revolution): aumento della longevità e immigrazioni, per
citare solo i più eclatanti. Dall’altro, i vari capitoli
hanno messo in evidenza come senso comune e buon senso
spesso differiscano, il primo essendo basato (almeno
nella nostra definizione – che si ispira ma non
necessariamente coincide con quella di Alessandro
Manzoni) su impressioni e pregiudizi, il secondo
sull’analisi attenta della realtà, così come
rappresentata dai dati. Il senso comune si nutre di
miti, il buon senso di fatti.
I miti che speriamo di essere
riusciti a sfatare in questo volume sono ostacoli spesso
insormontabili alla gestione corretta delle cambiate
condizioni di vita indotte dalla nuova rivoluzione
demografica. E intendiamo qui non solo la gestione da
parte degli individui dei propri risparmi o delle scelte
di fecondità, ma anche la gestione da parte dei governi
dei sistemi di sicurezza sociale che riducono i rischi e
le paure a cui sono soggetti i loro cittadini.
Punto chiave è l’importanza vitale
dell’analisi dei dati. In tutti i paesi avanzati il
ruolo centrale del dato statistico è riconosciuto, e la
raccolta di dati di pubblico interesse è affidata ad
istituti centrali di statistica, in Italia l’Istat.
Tuttavia l’accesso ai dati raccolti dagli istituti
statistici e da altri enti ed agenzie governative è
talvolta ristretto non solo agli addetti ai lavori, ma
specificamente a quegli addetti ai lavori che lavorano
per conto del governo. Che questo accada in paesi
dittatoriali (quale era l’Italia quando l’Istat fu
fondata) non stupisce. Stupisce e preoccupa quando
accade nelle moderne democrazie.
Naturalmente, la burocrazia che
produce i dati e che li usa per il governo del paese è
riluttante a mettere questi stessi dati a disposizione
di analisti indipendenti. Federico Rampini su «la
Repubblica» del 6 maggio 2011 ha ricordato che, secondo
Max Weber: «Ogni burocrazia si adopera per rafforzare la
superiorità della sua posizione mantenendo segrete le
sue informazioni e le sue intenzioni. Lo Stato cerca di
sottrarsi alla visibilità del pubblico, perché questo è
il modo migliore per difendersi dallo scrutinio
critico». Ci preme sottolineare che Max Weber non è
parente di uno degli autori di questo libro, ma il suo
pensiero aiuta a comprendere perché in Italia – come in
altri paesi europei – sia così difficile avere accesso
ai dati raccolti dalle amministrazioni pubbliche.
In Italia l’Istat ha fatto
progressi significativi nel mettere a disposizione, a
costo ridotto, micro dati raccolti nell’ambito delle
numerose indagini che conduce. Non più di due decenni
fa, per poter usare (ad esempio) i micro dati
dell’indagine sui bilanci delle famiglie occorreva
collaborare direttamente con ricercatori dell’Istat.
Oggi questi stessi dati si possono
acquistare a poco prezzo, e vengono consegnati per posta
in un formato di facile lettura e con tutta la
documentazione necessaria. Tuttavia, in ottemperanza non
tanto alla legge sulla privacy, quanto a regolamenti e
codici di condotta inutilmente restrittivi, i dati che
vengono resi disponibili agli utenti esterni sono privi
di alcune informazioni di vitale importanza, fra cui
l’anno di nascita dell’intervistato, e questo ne
restringe fortemente l’uso (ad esempio, non è possibile
studiare come individui nati nello stesso anno variano i
consumi al passare del tempo).
In una democrazia è lecito
attendersi che il dibattito sulle politiche economiche e
sociali sia informato, e cioè che il pubblico disponga
di tutti gli elementi per valutare le diverse proposte
sul tappeto. Significativa è, a questo riguardo,
l’esperienza dello Institute for Fiscal Studies (Ifs),
un istituto di ricerca britannico, indipendente, che da
mezzo secolo analizza le varie opzioni di politica
economica e sociale sul tappeto, e talvolta ne propone
di proprie (nel cosiddetto Green Budget – il Budget è la
legge di bilancio che il Cancelliere dello Scacchiere
porta all’approvazione del Parlamento di Londra, il
colore verde è invece proprio del logo dell’Ifs).
Ebbene, l’Ifs riceve una versione particolarmente
dettagliata e tempestiva di tutti i micro dati necessari
alle analisi dall’istituto centrale di statistica, e
compete quindi ad armi pari con gli economisti (e gli
statistici) del ministero del Tesoro che predispongono
la legge di bilancio. In Italia, purtroppo, la
situazione è ben diversa: l’Isae, l’Istituto di Studi e
Analisi Economica, ente pubblico non governativo, è in
fase di scioglimento (i suoi ricercatori lavoreranno per
il ministero dell’Economia e delle Finanze), e gli
economisti del sito «Lavoce.info» – che vorrebbero
svolgere un ruolo simile a quello dell’Ifs – si sono a
più riprese lamentati della scarsa tempestività e
completezza con cui riescono ad accedere a dati (ad
esempio) sulle forze di lavoro.
Per fortuna nel nostro paese c’è il
servizio studi della Banca d’Italia, composto da
economisti in grado di svolgere ricerca di altissimo
livello, che si fa carico della raccolta di micro dati
sui redditi, la ricchezza ed i consumi delle famiglie
italiane. Questi dati sono diffusi gratuitamente ai
ricercatori di tutto il mondo (la documentazione è in
italiano e inglese), e vengono utilizzati non solo per
la stesura della relazione annuale del Governatore (il
più autorevole documento sullo stato dell’economia
italiana), ma anche per la ricerca in campo economico da
parte di ricercatori delle migliori università e centri
di ricerca internazionali. L’indagine sui redditi e la
ricchezza delle famiglie della Banca d’Italia è non solo
accessibile per la ricerca, ma è anche aperta ai
suggerimenti della comunità scientifica su particolari
contenuti da investigare.
In questo libro abbiamo fatto largo
uso dei dati di un’altra indagine, denominata Share,
sugli ultracinquantenni in Europa. Anche nel caso di
Share abbiamo un’indagine condotta al di fuori del mondo
degli istituti centrali di statistica, i cui contenuti
sono decisi da ricercatori dei paesi coinvolti
(economisti, sociologi, geriatri, epidemiologi), in
accordo con altri ricercatori di tutto il mondo, ed i
cui dati sono distribuiti gratuitamente e
tempestivamente a chi ne fa richiesta per scopi di
ricerca scientifica. Il nostro ricorso ai dati di questa
indagine in parte riflette il ruolo che uno degli autori
ha nell’ambito del progetto Share, ma deriva anche dalla
ricchezza di informazioni contenute e dal forte
collegamento fra queste informazioni e gli argomenti di
maggiore interesse per le politiche economiche e sociali
relative all’invecchiamento della popolazione. Anche i
dati sulla sessualità che ci hanno permesso di scrivere
il secondo capitolo sono frutto di una ricerca condotta
da ricercatori indipendenti, non appartenenti a istituti
di ricerca pubblici, finanziati dal ministero
dell’Università.
La raccolta di dati al di fuori
degli istituti di statistica è quindi una possibile
soluzione alla reticenza ed alla scarsa apertura a
suggerimenti esterni dimostrata dagli enti preposti alla
raccolta di micro dati ad uso pubblico, ma la pressione
dell’opinione pubblica affinché i dati necessari a
comprendere e governare i mutamenti di economia e
società vengano messi a disposizione dei ricercatori
sarebbe la soluzione più efficiente, dato che la
raccolta di micro dati è costosa e gli istituti centrali
di statistica godono di notevoli vantaggi sul piano
organizzativo, economico e normativo.
Un’ultima osservazione. Questo
libro ha voluto contribuire, attraverso esempi su
specifici risultati, al diffondersi della cultura della
valutazione delle politiche pubbliche. Timide
indicazioni sull’utilità della valutazione svolta da
soggetti indipendenti vengono dal mondo della scuola e
dell’università. Si pensi alle importanti analisi dei
risultati scolastici condotte dall’Invalsi, l’Istituto
Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di
Istruzione e di formazione – ingiustamente e
pesantemente criticato da alcune frange di opinione
pubblica e da alcuni insegnanti – e la recentissima
nascita dell’Anvur, l’Agenzia Nazionale di Valutazione
di Università e Ricerca, un ente pubblico indipendente
che dovrà fornire le valutazioni necessarie per allocare
i fondi pubblici ad università ed enti di ricerca. Anche
singole pubbliche amministrazioni – come l’Agenzia
Regionale del Lavoro del Veneto, la Provincia di Trento
eccetera – mettono a disposizione micro dati per
valutare l’efficacia di singoli interventi o di più
ampie politiche.
Ma molto cammino resta da fare, e
molti miti sono ancora da sfatare. |