Prudenza, parsimonia, attenzione
per l’amministrazione pubblica sono i tratti salienti
del suo impero, al quale giunse in tarda età a
differenza dei suoi predecessori
“Finalmente i Flavi raccolsero e
consolidarono il potere reso a lungo instabile…Questa
famiglia era priva di memorie di antenati illustri, ma
lo Stato non ebbe affatto a pentirsene”. Così scriveva
ai tempi Svetonio, principale fonte storica della vita
di Tito Flavio Sabino Vespasiano Cesare Augusto, nel De
vita Caesari. E non vi può essere formula letteraria
migliore per descrivere il profilo di un imperatore,
conosciuto dai più come Vespasiano, che, nel 2009, ha
raggiunto e superato la fatidica soglia del bimillenario
dalla nascita.
L’imperatore del buon senso
La premessa si rivela utile per
descrivere alcune caratteristiche dell’opera
riformatrice voluta da Vespasiano, imperatore di Roma
dal 70 al 79 d.C. Uomo di grande saggezza e virtù,
militare di origine plebea che subentrò a Nerone nella
gestione della res publica dopo aver condiviso dal 68 al
69 d.C. con Galba, Vitellio e Otone la gestione
dell’impero diviso in quattro aree di influenza: legioni
siriane, Spagna, legioni germaniche e guardia
pretoriana. Una personalità poliedrica, divisa tra la
cultura e il forte attaccamento alle istituzioni riuscì
a superare una crisi politico-economica che avrebbe
potuto provocare conseguenze letali per le sorti
dell’impero. Soprattutto sotto il profilo economico.
Dall’urbanistica all’economia
passando per il fisco
Vespasiano, da un lato, è passato
alla storia per la formidabile opera architettonica
simbolo di un ripensamento dello spazio urbano e segno
tangibile del rinnovamento dell’impero in funzione della
comunità e del cittadino. A lui si devono l’avvio della
costruzione dell’Amphiteatrum Flavium, meglio conosciuto
come Colosseo, e di altre architetture di rappresentanza
come il Templum Pacis, la Domus Flavia, il Foro
Transitorio, il Tempio di Giove Capitolino e altri
edifici destinati al culto della gens Flavia come il
Divorum a Campo Marzio, il Tempio di Vespasiano
divinizzato, alcune delle quali completate dall’ultimo
principe della dinastia, Domiziano, attraverso le
soluzioni dell’architetto Rabirio. Dall’altro, come
ricorda Svetonio, si rese artefice e protagonista in
prima persona di una formidabile opera di risanamento
delle finanze pubbliche e di lotta all’evasione fiscale,
stressate come erano state dalla gestione di Nerone.
Gli interventi in materia di
economia e finanza
Ed è proprio Svetonio a tramandare
ai posteri le notizie migliori sullo stato delle finanze
all’avvento di Vespasiano. Nel suo De vita Caesari
racconta che, quando arrivò alla carica di imperatore
all’età di 60 anni, Vespasiano trovo le finanze statali
in una situazione che definire drammatica è poco. Le
casse imperiali registravano ammanchi per più di 40
milioni di sesterzi e il peso del debito pubblico
stringeva Roma in una morsa resa ancora più letale dallo
stato in cui versava l’esercito dopo le numerose guerre
civili. I primi interventi del nuovo imperatore furono
attuati in due direzioni: drastico taglio alle spese di
corte, risanamento del bilancio dello Stato. Un
indirizzo finanziario dal volto nuovo, scrupoloso,
attento nella gestione, come era d’altra parte questo
homo novus, divenuto imperatore in tarda età, permise in
breve tempo all’impero di appianare il debito pubblico.
Il tutto a vantaggio di una oculata politica degli
investimenti che consentì di programmare importanti
interventi in materia di opere pubbliche.
Gli interventi in materia di fisco
Anche le misure adottate in materia
tributaria rispecchiano un po’ lo stile dell’uomo, poco
incline al lusso, non aristocratico, pragmatico, non
disgiunto da autoironia, dedito alla cosa pubblica senza
alcun interesse personale. Una serie di tratti che gli
storici concordano nel ritenere tipici dei Sabini, da
Curio Dentato a Catone. Il settore delle imposte fu
riordinato dopo che Nerone aveva provveduto a
sopprimerne molte e poche furono le nuove introdotte.
Tra le più conosciute la tassa sulle urine e la tassa
sugli ebrei meglio conosciuta con il nome di fiscus
judaicus e un provvedimento che esentava dal pagamento
di alcuni tributi le categorie dei retori, medici,
magistrati e insegnanti. Inoltre, fu proprio Vespasiano
a inaugurare una vera e propria lotta all’evasione
fiscale, sempre con l’intento di restituire alle casse
imperiali un segno positivo.
La tassa sull’urina
Chi non conosce i vespasiani?
Sicuramente pochi non li conoscono. Oggi sono del tutto
scomparsi, ma fino a qualche decennio fa sulle strade di
Roma era possibile trovarne ancora qualcuno. In ogni
caso si trattava di veri e propri monumenti la cui
istituzione fu decisa da Vespasiano e, non a caso,
recano il suo nome. Secondo alcuni storici, l’idea
sottintesa era di fare cassa applicando una tassa a
carico di chi ne faceva uso (da qui sembra derivi la
famosa frase rivolta da Vespasiano al figlio Tito
“pecunia non olet”). Secondo altre fonti storiche,
Vespasiano, da buon pragmatico, era perfettamente a
conoscenza del fatto che, dietro le “deiezioni liquide”,
si nascondeva un vero e proprio commercio. L’urina,
infatti, era considerata sin dai tempi degli Etruschi un
materiale indispensabile per la concia delle pelli tanto
da essere venduta a caro prezzo ai fullones ovvero ai
conciatori. Da qui, l’idea di tassare i proventi frutto
di questo tipo di commercio che era per lo più svolto da
persone di umili origini che avevano trasformato questa
maleodorante attività in una fonte di guadagno.
La tassa sugli ebrei
Un’altra tassa di cui si fece
promotore Vespasiano fu quella sugli ebrei, meglio
conosciuta come fiscus iudaicus, che ogni anno doveva
essere corrisposta per la protezione del tempio di Giove
Capitolino. Ma la sua istituzione nasconde un fatto che
è politico e ideologico. Fu proprio Vespasiano, e con
lui il figlio Tito, a completare l’opera di distruzione
di Gerusalemme e con essa del Tempio sacro di Salomone e
della fortezza di Masada, dando inizio a quella che
sarebbe passata alla storia come la diàspora. Più di un
milione di ebrei furono annientati e costretti ad
abbandonare i territori. Un emblema per Roma, poiché ciò
significava implicitamente il trionfo dell’imperialismo
romano, dove la religione era subordinata allo Stato,
sull’ideale giudaico che prevedeva proprio l’opposto. Da
qui, l’idea di applicare anche agli ebrei una tassa.
Le caratteristiche dell’imposta
Prima del 70 d.C., anno in cui il
figlio di Vespasiano, Tito, vinse la resistenza degli
Ebrei, saccheggiando e distruggendo il Tempio di
Salomone a Gerusalemme, tutti gli ebrei maschi di età
compresa tra i 20 e i 50 anni erano tenuti a
corrispondere una tassa annuale di mezzo shekel
(l’equivalente di due denari romani) destinati alla
protezione del tempio. Dopo la fine della guerra,
Vespasiano stabilì con apposito editto che la tassa
dovesse essere corrisposta egualmente, ma per il bene
del tempio di Giove Capitolino. La questione sarà
risolta più tardi da Nerva, che abolì il fiscus iudaicus
facendo coniare un’apposita moneta con su scritto fisci
ivdaici calvmnia svblata, che stigmatizzava l’evento.
L’esenzione dai tributi
Sempre da notizie trasmesse da
Svetonio, si deve proprio a Vespasiano l’editto con cui
venivano esentati dal pagamento di alcuni tributi
magistrati, medici, retori e insegnanti. A queste
categorie poi era riservato un trattamento particolare
in quanto non “era possibile vessarle con richieste
pecuniarie e tantomeno intentare nei loro confronti
azioni giudiziarie vessatorie”.
Fonti bibliografiche
Svetonio, De vita Caesari
Luigi Capogrossi Colognesi, Divus
Vespasianus
Ny Carlsberg Glyptotech di
Copenhagen
Ranuuccio Bianchi Bandinelli, Roma
l’arte romana nel |