di Antonio Ribba
Con una nuova recessione mondiale
ormai incombente, inseguire il pareggio di bilancio si
rivelerà un’impresa proibitiva nel prossimo triennio. Se
non proprio impossibile. In ogni caso, l’approccio
seguito sinora dal governo per aggiustare i conti
pubblici difficilmente potrà consentire di raggiungere
l’obiettivo, data la mancanza di attenzione agli effetti
contrattivi esercitati sulla domanda aggregata e,
quindi, sulla crescita dell’economia. Occorre, almeno a
datare dalla prossima legislatura, promuovere un forte
incremento degli investimenti pubblici in infrastrutture
e ricerca, agendo contemporaneamente sul versante di
riduzioni strutturali di spesa ed aumento di entrate, da
ottenere su un orizzonte di medio periodo.
Rientrare dal debito pubblico
elevato con un’economia ancora in vita
L’obiettivo del pareggio di
bilancio per l’economia italiana si sta rivelando
davvero inafferrabile. Infatti, le manovre successive di
correzione dei conti, realizzate tra il 2010 e il 2011,
producendo significativi rallentamenti nella crescita
dell’economia nazionale, hanno solo parzialmente
avvicinato l’obiettivo che, tuttavia, sarà quasi
sicuramente mancato anche nel 2013 e nel 2014. Inoltre,
il contesto internazionale, con i segnali sempre più
chiari di una nuova recessione in arrivo, non aiuta il
processo di faticoso rientro dall’elevato debito
pubblico dell’economia italiana. Problema che peraltro
affligge, ed in maniera assai acuta, diversi paesi.
Così, la nuova legislatura porrà, inesorabile, nuove
necessità d’intervento. È possibile pensare a modalità
di risanamento strutturale della finanza pubblica che
siano in grado di rompere il circolo vizioso in atto?
Gran parte delle proposte finora
avanzate guarda agli stimoli alla crescita come ad un
puro problema di interventi dal lato dell’offerta e, in
tal senso, l’assurda iniziativa della lettera
Draghi-Trichet inviata al governo italiano lo scorso 5
agosto, può essere vista come un manifesto che raccoglie
tutta la saggezza convenzionale disponibile
sull’argomento. La definisco assurda, in quanto penso
che non esista nella storia contemporanea un esempio di
banca centrale indipendente che abbia avuto l’ambizione
di dettare un programma di politica economica al governo
e, quindi, al parlamento di uno stato sovrano.
In realtà, occorre prestare
maggiore attenzione ai problemi di tenuta della domanda
aggregata nel corso di un processo di risanamento.
Occorre cioè affiancare ad interventi strutturali su
orizzonti di medio termine di riduzione permanente di
spese e-o di maggiori entrate, interventi di sostegno
nel breve periodo all’attività economica, soprattutto
nella forma della spesa pubblica in infrastrutture.
Non solo offerta: aumentare gli
investimenti pubblici nel prossimo triennio
La strada deve essere quella di
promuovere un aumento consistente degli investimenti
pubblici nel corso del triennio 2013-2015. Un programma
di opere pubbliche ed interventi infrastrutturali
stimato sull’ordine dei due punti di Pil, ovvero circa
30 miliardi di euro aggiuntivi di spesa pubblica,
spalmati sui tre anni, per un programma che spazi dalla
manutenzione straordinaria di scuole ed edifici pubblici
ad interventi sulle gravi carenze infrastrutturali, che
sono localizzate prevalentemente nel Sud del paese.
Penso vi possa essere consenso sul fatto che, se ben
progettate e realizzate, si tratta di opere che, a
parità di altre condizioni, mentre sostengono il livello
di attività economica nel breve periodo, generando
dunque riduzioni nel tasso di disoccupazione, al
contempo favoriscono l’aumento del prodotto potenziale
dell’economia su orizzonti di più lungo periodo. Senza
sottovalutare, naturalmente, le positive implicazioni
sociali di carattere più complessivo che sono associate
a questi investimenti pubblici.
Ci sono, certamente, dubbi
sull’ampiezza dei moltiplicatori associati a questa
tipologia di spesa ma, probabilmente, l’eventuale
extra-deficit generato sarebbe di dimensioni assai
modeste, se non addirittura inesistente.
Un altro settore che richiede
interventi urgenti è quello relativo a scuola e
università. Anche qui, un governo lungimirante dovrebbe
aver chiaro che non si tratta di spesa inutile ma di
investimento a lungo termine. Nell’arco dell’intera
(prossima) legislatura, sono necessari almeno due
miliardi di euro di finanziamento annuo aggiuntivo.
Peraltro, per quanto concerne l’università, l’avvio
dell’attività dell’Anvur dovrebbe tranquillizzare i
critici del sistema sul fatto che almeno parte di questa
maggiore spesa dovrebbe essere distribuita secondo
criteri competitivi. In ogni caso, il sistema
dell’istruzione pubblica è in ginocchio. Ed è un preciso
obbligo del futuro governo far qualcosa di intelligente
su questo fronte.
Risanamento strutturale dei conti
pubblici: imposta patrimoniale e aumento dell’età
pensionabile
Lasciando perdere interventi
estemporanei e discutibili fondati su scudi, condoni
fiscali o ritassazione di capitali già scudati, quali
misure di riduzione strutturale della spesa e-o di
aumento delle entrate possono rendere credibile,
nell’insieme, un piano di rientro dal deficit a medio
termine che includa gli ingredienti qui delineati di
rilancio dell’attività economica del paese? La solidità
complessiva del piano è fondamentale in quanto, va
notato, che se la manovra di stimolo sul versante della
spesa pubblica non fosse varata congiuntamente ad
interventi di riduzione permanente del deficit sul medio
periodo, l’inevitabile aumento dei tassi d’interesse di
mercato sulle diverse scadenze per i titoli del debito
italiano vanificherebbe l’obiettivo della crescita, sia
per i possibili effetti negativi sull’investimento
privato, che per la conseguente necessità di compensare
con ulteriori interventi restrittivi l’aumento della
spesa pubblica per interessi.
Il primo intervento strutturale sul
deficit riguarda le entrate e, più precisamente,
l’introduzione di un‘imposta ordinaria sul patrimonio.
Sembra ormai esserci un ragionevole consenso sulla
necessità di un’imposta ordinaria sui patrimoni elevati,
allo scopo di offrire un contributo al risanamento
finanziario da parte dei ceti più abbienti e così
garantire maggiore equità nella distribuzione dei
sacrifici richiesti alla società per rientrare
dall’elevato debito pubblico. Va pure sottolineato come,
finora, il segno di equità nel risanamento sia stato
assai modesto, se non proprio inesistente. Una
patrimoniale dovrebbe essere congegnata in modo tale da
garantire un adeguato livello di entrate annue, almeno
intorno ai 5 miliardi di euro, senza comunque essere
vessatoria. In tal senso, la soglia dei 10 milioni di
euro, congiunta ad un’aliquota moderata, come nella
proposta avanzata dal senatore Rossi e dalla fondazione
Italia Futura, garantisce un gettito troppo modesto (1
miliardo di euro) ed è quindi più simbolica che ad
effetti sostanziali. Una forte riduzione della soglia
minima, (fissata a due milioni, per esempio), con una
moderata progressività delle aliquote, potrebbe invece
fungere allo scopo.
Introduco la seconda linea di
intervento che è mirata alla riduzione permanente di
spesa, osservando che, probabilmente, non esiste un
piano di risanamento e di rilancio dell’economia
italiana che possa esser credibile, e quindi avere
qualche possibilità di successo, in assenza di un
intervento deciso sull’età di ritiro dal lavoro. Va cioè
ulteriormente, e sensibilmente, ridotta la spesa
pubblica destinata a pensioni. Entro la prossima
legislatura l’età di pensionamento dovrebbe essere
portata a 67-68 anni, completando anche con maggior
velocità l’equiparazione dell’età di ritiro per uomini e
donne. È francamente difficile vedere ostacoli di
rilievo per un innalzamento dell’età per tutti coloro
che lavorano nel settore pubblico o in quello privato
con mansioni impiegatizie, o comunque per i lavoratori
non impegnati in attività usuranti.
Il pareggio di bilancio in
costituzione è un errore
Nel titolo di questo articolo ho
richiamato una regola aurea per i conti pubblici (e
quindi per l’economia) che non è certamente quella più
alla moda, almeno oggigiorno. In sostanza, una golden
rule moderata, ovvero un quasi pareggio di bilancio con
un modesto disavanzo, comunque non superiore all’1% del
Pil, generato da un incremento degli investimenti
pubblici.
Del resto si sa che le mode vanno e
vengono, per cui si può sempre nutrire qualche speranza
di rinsavimento. Il che, implicitamente, definisce la
mia personale avversione alla regola, proposta da molti
in Italia e in Europa, del pareggio di bilancio elevata
a norma di rango costituzionale. Una misura inutile,
nella migliore della ipotesi, pericolosa altrimenti.
Soprattutto per paesi a costituzione rigida, una norma
costituzionale sembra avere poco senso. Infatti, per
essere gestibile, la norma deve contenere sufficiente
flessibilità da prevedere l’obbligo del pareggio in
condizioni “normali”, cioè al netto degli effetti
avversi del ciclo economico. Tuttavia, tale flessibilità
sfocia facilmente nell’indeterminatezza, vista la nota
difficoltà di identificare un ciclo univocamente
separato da una tendenza di fondo dell’economia (per
alcune scuole, poi, il ciclo economico non esiste
nemmeno). A questo proposito, dovrebbe pure aver
insegnato qualcosa l’estrema difficoltà riscontrata
negli ultimi 10 anni di disegnare patti e vincoli
duraturi, a livello di Unione Europea, sulle regole
fiscali per i paesi membri.
Invece, se dovesse prevalere
un’interpretazione più restrittiva della norma, senza
cioè riferimenti alle condizioni “normali”
dell’economia, si cadrebbe in una zona di pericolo o per
la credibilità dei governi, sconfessati dai sistematici
risultati di disavanzo ex post o, ancor peggio, in
presenza di governi caparbi (che a dire il vero,
storicamente quasi mai si sono osservati in Italia) per
gli effetti potenzialmente pro-ciclici della regola che
verrebbero esercitati sul sistema nei contesti
recessivi.
In verità, il rigore, anche quello
intelligente, non richiede grandi proclami
costituzionali ma, più modestamente, azioni
sistematiche. Come è noto, nel 1979 ci fu una rottura
strutturale nella conduzione di politica monetaria da
parte della Federal Reserve, sotto la nuova direzione
Volcker. Non furono necessarie né particolari novità
legislative, né annunci roboanti: nell’ottobre di
quell’anno fu emesso un sobrio comunicato nel quale la
Fed annunciava nuove procedure operative, basate su un
più stretto controllo degli aggregati monetari. Eppure,
fu subito chiaro a tutti che si trattava del principio
della (contro)-rivoluzione anti-inflazionistica delle
banche centrali.
Non ho fatto menzione in questo
intervento di possibili misure fiscali volte alla
riduzione del costo del lavoro per le imprese, o alla
riduzione del carico fiscale per i redditi più bassi.
Con la necessaria gradualità, legata alla disponibilità
di risorse, anche queste strade dovrebbero essere
intraprese, prevedendo magari di destinare le quote
derivanti da un’auspicabile intensificazione della
sempiterna lotta all’evasione fiscale italiana all’uno
ed all’altro obiettivo. Così come altre risorse
potrebbero essere ottenute da una opportuna riduzione
dei costi del sistema politico e della rappresentanza
istituzionale. Ma il punto dell’articolo non è
presentare l’ennesima lista della spesa degli interventi
necessari o, al limite possibili, quanto piuttosto
provare a stabilire un ordine di priorità, individuando
al contempo un nucleo limitato di interventi ritenuti di
rilievo. |