Chiricosta Giovanni
L’art. 67 della Legge Fallimentare
elenca una serie di atti a titolo oneroso soggetti a
revocatoria perché pregiudizievioli per i diritti dei
creditori. Il 3° comma dell’articolo prevede alcune
ipotesi si esclusione, da cui si può derivare, per
argomento a contrario, nuove ipotesi di revocatoria.
La lett. B del 3 comma dell’art.
67, in particolare, prevede che non sono soggette a
revocazione “le rimesse effettuate su un conto corrente
bancario, purchè non abbiano ridotto in maniera
consistente e durevole l’esposizione debitoria del
fallito nei confronti della banca”.
Ne deriva che tra le attività
dell’imprenditore fallito soggette a revocatoria
fallimentare –ai sensi dell’art. 67, 3 c, lett. b), L.
Fall.- vi sono anche le rimesse sul conto corrente, a
condizione che si tratti di rimesse su un conto
scoperto, equivalenti a pagamento di un debito nei
confronti della banca; l’ultima riforma del diritto
fallimentare subordina tale revocatoria alla durata
dell’esposizione al passivo dei conti, oltre che
all’entità del passivo stesso.
Per conto scoperto si ritiene,
naturalmente, un conto che non solo è in passivo, ma che
abbia anche superato il “fido” concesso dalla banca in
caso di mancanza di liquidi, ossia abbia superato il cd.
“massimo scoperto”. Ciò non necessariamente implica un
periodo negativo per l’azienda o l’imminenza del
fallimento, perché se lo scoperto è di poco conto e per
un periodo breve, un periodo di passività rientra nella
normale alea di un’attività di impresa, e per tale
motivo le somme potrebbero essere esenti da revocatoria,
anche se il discorso non è così semplice, perché la
revocatoria dipende anche dalla funzione delle rimesse.
Se queste vengono effettuate allo
scopo di far rientrare il conto nel margine di scoperto
–ossia nei limiti del fido, pur restando in passivo-
servono a far riaprire una linea di credito, mentre se
si limitano ad abbassare la cifra –superiore allo
scoperto- di debito nei confronti della banca sono da
considerarsi pagamento di un debito, quindi revocabili.
Ciò può avvenire anche contemporaneamente: facciamo
l’esempio di un conto corrente che abbia un fido di
1.000,00 €, e supponiamo che tale conto segni -1.500,00;
tale conto, oltre che passivo, è anche scoperto; se
l’imprenditore titolare del conto versa 1.000,00 €, le
prime 500,00 € vanno a far rientrare lo “scoperto” (e
sono da considerarsi pagamento di un debito a tutti gli
effetti, anche revocatori), mentre gli altri 500,00
servono a rientrare nell’ambito del fido, quindi a
riottenere liquidità dalla banca.
Perché il pagamento di somme su
conto scoperto viene considerato pagamento di un debito,
mentre il versamento di somme su un conto passivo viene
considerato addirittura operazione di finanziamento? Per
un motivo semplice, ossia che le passività sullo
scoperto sono debiti scaduti ed immediatamente
esigibili, mentre non è così per il passivo sul fido, e
ciò spiega la differenza di trattamento quanto alla loro
revocabilità.
E’ evidente che tali movimenti
possono verificarsi più volte nell’anno preso in
considerazione dalla normativa sulla revocatoria
fallimentare; dato il principio di autonomia dei singoli
crediti, pur se riferiti ad un unico conto, poteva
dunque accadere che la somma di tali passività
superasse, anche in misura rilevante, tutto l’attivo
(cd. criterio della sommatoria). Per evitare questo
effetto, e prendendo come punto di riferimento il saldo
del conto corrente, e non più i singoli movimenti di
cassa, un criterio alternativo sarebbe quello cd. del
massimo scoperto, intendendo revocabili solo le somme
che stabilmente coprivano esposizioni sullo scoperto di
una certa entità.
L’ultima riforma del diritto
fallimentare ha scelto una via mediana tra il criterio
della sommatoria e quello del massimo scoperto, per cui
il punto di riferimento (ossia il pagamento soggetto a
revocazione) non è più la sommatoria di tutto lo
scoperto nell’anno precedente al fallimento, né
tantomeno il passivo risultante dal saldo al momento del
fallimento, bensì una somma pari alla differenza tra
l’ammontare massimo raggiunto dallo scoperto –ossia dal
passivo che supera il fido bancario- nel periodo di
conoscenza dello stato di insolvenza e l’ammontare del
passivo alla data di apertura del fallimento. Tali
pagamenti, però, sono soggetti a revocatoria soltanto
quando di una certa entità, ossia, come suaccennato,
quando coprono passivi rilevanti e per un dato periodo,
altrimenti rientrano nella normale attività d’impresa, e
non si considerano un indice determinante di stato
d’insolvenza.
Per inciso, lo stesso criterio può
essere utilizzato anche per la revocatoria di pagamenti
per coprire il fido, ossia pur nel caso in cui il conto
non sia mai stato “allo scoperto”, ma sia comunque stato
in passivo per un consistente periodo di tempo: tale
circostanza implica infatti la conoscenza dello stato di
insolvenza dell’imprenditore, e quindi le rimesse sul
passivo sono da considerarsi, agli effetti della
revocatoria, una riduzione dell’esposizione debitoria,
soggetta a revocatoria fallimentare1.
La durata della rimessa sulle
passività del conto serve non solo a sottolineare che lo
scopo deve essere proprio quello di ridurre le
passività, ma serve anche a ridurre il rischio di
assoggettare a revocatoria versamenti effettuati per
normali operazioni di cassa, con somme che transitano
sul conto corrente magari per un solo giorno.
Il conto corrente, infatti, viene
normalmente utilizzato per compiere moltissime
operazioni d’impresa –poniamo il pagamento di lavoratori
o fornitori-, e le somme che passano attraverso la banca
devono considerarsi neutre rispetto al rapporto tra la
banca e il suo correntista2.
Ma sul conto corrente vengono
spesso addebitate anche somme derivanti da altri
rapporti tra la banca e il correntista, come ratei di
mutuo, anticipazioni bancarie etc; in tal caso il
criterio della differenza tra il massimo scoperto e il
saldo all’apertura del fallimento ha bisogno di
correttivi, perchè la banca è nella possibilità di far
spostare sul conto corrente passività preesistenti
derivanti da altri rapporti con la stessa impresa, così
da ridurre considerevolmente i pagamenti soggetti a
revocatoria all’apertura del fallimento: poiché il
criterio è quello della differenza tra il massimo
scoperto nell’anno precedente e quello al saldo alla
data del fallimento, alla banca sarebbe sufficiente
implementare il passivo facendo confluire sul conto gli
altri rapporti con l’imprenditore (rate di mutuo etc.)
per ridurre le somme soggette a revocatoria. Per evitare
tale effetto bisogna verificare volta per volta quale
sia o scopo –oltre, ovviamente, la durata e l’entità-
dei diversi addebiti effettuati dalla banca, ma anche il
momento dell’addebito è un indice da tenere in
considerazione: un aumento improvviso dello scoperto
causato dall’addebito di diverse voci fatto dalla stessa
banca nell’imminenza del fallimento è da considerarsi
quantomeno sospetto.
Bisogna fare dei distinguo, a
seconda delle operazioni compiute, tenendo sempre
presente che la ratio di base è sempre l’attività
d’impresa. La stessa riserva di cui abbiamo parlato
finora, il cd. “fido”, è in realtà un’apertura di
credito in conto corrente, destinata a gestire le spese
ordinarie di un’attività d’impresa (il pagamento di
stipendi, fornitori, utenze etc.), per poi essere subito
ripianata con i proventi dell’attività stessa.
L’anticipazione di crediti ha lo
stesso scopo del fido bancario, ossia la messa in
disponibilità di liquidi per la vita dell’impresa, solo
che la garanzia è fornita dall’anticipazione su crediti
dell’imprea verso terzi non ancora riscossi, ma che
verranno riscossi dalla banca; normalmente non si tratta
di datio in solutum, per cui se per una qualunque
ragione il credito non viene riscosso deve provvedere
l’imprenditore a coprire il debito. Anche tale
operazione, naturalmente, può essere effettuata per
cassa o in conto corrente, e in quest’ultimo caso il
rimborso dell’anticipazione su credito, corrispondendo
al pagamento di una passività potrebbe –il condizionale
è d’obbligo, vista la premessa che abbiamo fatto- essere
soggetto a revocazione.
Discorso analogo vale per il mutuo,
che normalmente viene concesso per finanziare operazione
di investimento, che di per sé dovrebbe essere
sufficiente a coprire i ratei del mutuo; anche in questo
caso normalmente il rimborso avviene per cassa, ma può
avvenire anche su conto corrente, e in tal caso vanno
tenute in considerazione tutte le valutazioni che
abbiamo già fatto3.
I pagamenti delle operazioni
suddette, se avvengono nell’anno precedente il
fallimento e in presenza di scientia decoctionis sono
sempre revocabili se: 1) avvengono per cassa oppure 2)
sono addebitati su un conto già scoperto oltre i limiti
del fido; se invece avvengono su un conto passivo ma nei
limiti dell’apertura di credito allora tali pagamenti
saranno revocabili soltanto se riducono l’esposizione
passiva in misura consistente e per un notevole lasso di
tempo.
Tale effetto si può evitare
convenzionalmente: se si addebitano le varie passività
derivanti da rapporti bancari diversi su uno stesso
conto corrente scoperto, le liquidità successivamente
depositate vanno immediatamente a ripianare lo scoperto
(che è, come abbiamo detto, un debito già scaduto ed
immediatamente esigibile). Nulla però impedisce che le
parti concordino espressamente che la somma depositata
sul conto in passivo sia destinata a ripagare una
specifica voce di debito, lasciando immutato lo
scoperto. In tal caso la passività principale rimane
immutata, ma il pagamento è revocabile ai sensi del
secondo comma dell’art. 167 L Fall.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Bonfatto, Censoni, Manuale di
Diritto Fallimentare, Cedam, 2009; Fabiani, Diritto
Fallimentare. Un profilo organico, Zanichelli, 2011;
AAVV, Commentario Scialoja-Branca alla legge
fallimentare; Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare,
2001; Giorgianni, Tardivo, Manuale di Diritto Bancario,
Giuffrè, 2009; Valignani, Manuale di diritto della
banca, CEDAM 2010; Cutillo, Novelli, Manuale del
curatore fallimentare, IPSOA 2000
1 V. Trib. Milano 25/5/2009, in Il
fallimento 2010, 602, con n. di FEDERICO, Consistenza e
durevolezza della riduzione dell’esposizione debitoria
nella revocatoria delle rimesse in conto corrente
bancario; Trib. Udine 24/2/2011; contra Trib. Milano
27/3/2008, in Il fallimento, 2008, 1213, con n. di
ARATO, I primi orientamenti sulla revocatoria delle
rimesse bancarie dopo la riforma della legge
fallimentare; Cass. 7 ottobre 2010, n.20834, ibidem,
2010, 1241.
2 Per un caso di pagamenti
effettuati tramite POS, v. Cass. Civ. 2/7/2010, edita da
Il Caso, visibile su
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/2425.php
3 Per un caso di revoca di un mutuo
ipotecario v. Trib. Vicenza 15/12/2010, visibile su
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/6177.pdf |