Villani Maurizio, Francesca Giorgia
Romana Sannicandro
La rimessione in termini: art. 184
bis c.p.c. (abrogato); art. 153 comma 2 c.p.c.
L’ultimo intervento della riforma
del Codice di procedura civile, attuato dalla L. 69 del
18.06.2009, ha abrogato l'art. 184 - bis c.p.c. creando
un nuovo assetto generale per l’istituto della
rimessione in termini, ora collocato, con contenuto
pressoché identico, nell'art. 153 comma 2 c.p.c..
L’art. 184 bis prevedeva che “la
parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per
cause ad essa non imputabili può chiedere al giudice
istruttore di essere rimessa in termini” ; attualmente
la stessa disposizione è contenuta nell’art. 153 comma
2, rubricato “improrogabilità dei termini perentori”.
A seguito della riforma, la norma è
stata trasferita, quindi, nel libro I delle disposizioni
generali del Codice di procedura Civile.
In sostanza la ratio della norma
consente al giudice di restituire alla parte incolpevole
quella facoltà processuale che per il decorso del
termine essa aveva perduto; la valenza d’istituto
processuale, dunque, non è più circoscritta, come
accadeva nel vigore dell’abrogato art. 184-bis, ai soli
termini di trattazione della causa nel giudizio di primo
grado, ma d’ora in poi estesa anche ai poteri
processuali esterni allo svolgimento del giudizio, come
quello di impugnare o di proseguire o di riassumere il
giudizio. La parte dovrà allegare i fatti che hanno
comportato e determinato la decadenza dando prova della
loro non imputabilità.
La rimessione in termini nel
processo tributario.
Il processo tributario regolato dal
DPR 546/92 chiarisce subito all’art. 1 che “i giudici
tributari applicano le norme del presente decreto e, per
quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le
norme del codice di procedura civile”.
Stante la disposizione d’apertura,
risulta evidente la significativa evoluzione processuale
che configura una vera e propria safety zone per tutti
quei casi in cui “le decadenze non sono imputabili alla
parte”.
Opportuno chiarire che l’impianto
legislativo attuale prevede che il comportamento attivo
della parte costituisce inequivocabilmente un’iniziativa
per la tutela del proprio interesse e, pertanto, la sua
inattività potrebbe, ambiguamente, essere figlia sì
della volontà di abbandonare l’azione, ma anche
dell’intervento di un fatto ad essa non imputabile che
impedisce di fatto l’azione stessa (ad esempio quando
nel caso di un avviso di accertamento, il contribuente
non sia reso edotto della presenza di tale atto o
mediante una notifica nulla o mediante l’inattività del
difensore che non predisponga nessun atto difensivo a
contrastare le pretese erariali).
Fino ad oggi, a causa della
collocazione della norma – valevole per i soli processi
di cognizione e in fase di trattazione del giudizio di
primo grado – non vi era una facile ed esplicita
riconoscibilità del disposto normativo in ambito
tributario, stante l’esclusività del contenuto e la
conseguente applicazione.
Il principio sotteso
dell’”improrogabilità dei termini perentori” ha sempre
riguardato, fino ad oggi, le parti, a prescindere dal
tipo di “colpa” configuratasi; colpa intesa come
inattività pura e semplice, qualunque ragione od
omissione sottesa presente.
A seguito della riforma del 2009, e
dunque della “deroga” del comma 2 dell’art 153 relativa
all’improrogabilità dei termini, si è collaudato il
processo di generalizzazione dell’istituto della
rimessione in termini attraverso cui vediamo il
passaggio dal sistema fondato sulla regola generale
dell’autoresponsabilità da decadenza di tipo
“oggettivo”, al sistema dell’autoresponsabilità da
decadenza sul fondamento della colpa, di tipo quindi
soggettivo (cd. autoresponsabilità “colposa”). Occorre
precisare, come autorevole dottrina esprime (Caponi -La
rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996)
che il concetto di “autoresponsabilità” – e non di
“responsabilità” – evidenzia che il comportamento del
soggetto non viola alcun dovere verso gli altri ed è
finalizzato a realizzare interessi propri del soggetto.
La distinzione è nel fatto che ove
la legge non concedesse alcuna possibilità di
neutralizzare le conseguenze pregiudizievoli
dell’intervento di un impedimento, l’eventuale decadenza
del potere verrebbe imputata alla parte sia che
l’impedimento sia dovuto a sua colpa, sia che esso sia
incolpevole. Ove invece questa possibilità viene
concessa, è aperta la strada verso l’autoresponsabilità
su fondamento colposo (con la conseguente dimostrazione
della parte valutata dal giudice caso per caso).
Ciò comporta che d’ora in poi sarà
affidato al giudice il compito di trovare, di volta in
volta e nel caso concreto, il giusto equilibrio tra
l’effettività del diritto alla difesa della parte che
invoca la rimessione e, a contrario, la sua
improrogabilità.
L’effetto di questa modificazione
nel processo tributario è ancora tutto da vagliare e da
sperimentare attentamente, però già dal 2008,
giurisprudenza di Cassazione cominciava ad appoggiare la
teoria della soggettività dell’autoresponsabilità, da
verificarsi ad hoc (sentenza n. 3006 dell’8 febbraio
2008). In buona sostanza, per la Corte di Cassazione il
giudice tributario può temperare il rigore della
previsione di un termine di decadenza ove ritenga che
l'errore in cui è incorso il ricorrente possa essere
ritenuto scusabile ossia non imputabile alla parte. La
rimessione in termini deroga il principio di
perentorietà del termine per ricorrere e il suo
conseguente effetto di decadenza, cui è collegato il
mancato rispetto del termine stesso; costituisce, così,
un rimedio avverso l'irricevibilità del ricorso tardivo.
Con la riforma assistiamo ad una
forte attenuazione dell’inderogabilità dei termini,
consentendo così alla parte che sia incorsa in decadenze
per cause a lui non imputabili di essere rimessa in
termini.
Una delle prime decisioni della
giurisprudenza di merito in tema di applicabilità della
rimessione in termini nel processo tributario è
l’ordinanza n. 125 del 15.10.2010 con cui la CTP di Bari
ha ritenuto compatibile con il rito tributario
l’istituto processuale civilistico della rimessione dei
termini previsto dall’art. 153, comma 2, c.p.c..
Attraverso l’ordinanza de quo, è
stato, infatti, deciso che in presenza di un impedimento
derivante da causa di forza maggiore, quale un periodo
di riposo forzato a letto, la parte può essere rimessa
nei termini per compiere l’atto, anche se questo era
previsto a pena di decadenza, qualora sia in grado di
dimostrare che l’inadempimento deriva da una causa a lui
non imputabile.
L’impedimento derivante da causa di
forza maggiore, che il giudice tributario deve vagliare
caso per caso, può essere costituito, come nel caso
della recentissima ordinanza della CTP di Lecce n.
377/1/2011, anche da una inattività processuale radicata
nella “imperizia” del difensore (fattispecie ormai
frequentissima) che “pone in essere atti o gesti di una
mente turbata e sconvolta, sicchè assolutamente
irresponsabile”.
Nel caso di specie, infatti, lo
spirare dei termini per il contenzioso non poteva essere
rispettato dal difensore, deceduto a causa di un insano
gesto posto da lui in essere. Nello specifico, il
contribuente si vedeva notificare una cartella di
pagamento dopo aver affidato l’incarico al proprio
difensore a seguito dell’avviso di accertamento
correttamente pervenutogli. Inizialmente l’ufficio delle
Entrate invitava il contribuente al pagamento
suggerendo, in un momento successivo, la rivalsa sugli
eredi del proprio difensore; il contribuente, preso atto
della presa di posizione dell’ufficio, dando incarico ad
altro difensore proponeva ricorso avverso la cartella di
pagamento chiedendo in via preliminare la rimessione in
termini per impugnare l’accertamento originario.
Il giudice, dopo aver accertato che
la decadenza in cui era incorso il contribuente era per
una causa ad esso non imputabile – l’insano gesto del
difensore -, valutata irrilevante la prospettata azione
di rivalsa nei confronti degli eredi del difensore,
concedeva la rimessione in termini, in piena
applicazione delle disposizioni normative della L.
69/2009, avvalorando, così, la presenza della norma che
regola l’istituto della rimessione in termini come
istituto processuale di carattere generale, come tale
estendibile al processo tributario.
Pertanto, nella materia tributaria
la forza maggiore o il caso fortuito possono verificarsi
al di fuori del procedimento giudiziale (prima che il
processo sia ancora instaurato) ovvero possono riferirsi
a decadenze legate ai termini per l'instaurazione del
processo o al giudizio d'impugnazione; così, anche
nell'ordinamento tributario processuale è configurabile
il principio secondo cui gli effetti preclusivi non
possono prodursi in modo definitivo, quando la parte si
sia trovata per forza maggiore o caso fortuito in
circostanze impeditive dell'esercizio del potere.
Lecce, 01 ottobre 2011 |