Sposato Roberto
1. Besa: caratteri generali.
La besa1 costituisce uno dei
principi cardini della popolazione albanese, un valore
cui si conformano tutte le condotte ed il modus vivendi
di ogni singolo consociato; besa2 vuole dire parola
data, fede, promessa che doveva essere mantenuta anche a
costo della propria vita, termini che indicano un quid
di profondo i quali incidono, in maniera evidente, nella
persona di un dato consociato.
La besa è da intendersi, innanzi
tutto, come canone, principio informatore dell’attività
che ciascun consociato pone in essere in un dato momento
storico; essa si caratterizza non solo con riguardo i
rapporti all’interno di un nucleo familiare, ma
soprattutto con riguardo ai rapporti con gli altri
consimili.
La medesima oltre ad essere intesa
in tale accezione, assume rilievo anche come valore,
quest’ultimo insito nella personalità di ogni albanese,
di fatti la stessa besa, intesa come valore, aveva
rivestito un ruolo preminente nell’alveo del Kanun
albanese, ossia della raccolta di norme consuetudinarie,
le quali si ponevano quale fonte primigenia dei rapporti
posti in essere dai consociati di una data comunità; il
Kanun sopperiva alle deficienze dello Stato albanese,
quest’ultimo non era dotato di un apparato valido di
leggi e di codici al fine di regolamentare i rapporti
all’interno della comunità stessa.
All’interno del Kanun la besa
veniva soventemente trattata: l’art. 163 del Libro III
poneva in rilievo l’importanza della besa come “un
comportamento fedele attraverso il quale chiunque voglia
liberarsi da un debito, deve dare un segno di fede,
chiamando il Signore a testimonianza della verità”;
l’art. 175, Libro III, prevedeva che la besa diventasse
obbligatoria su coloro i quali avessero subito una
offesa, tuttavia non tutti erano legittimati a porla in
essere, di fatti, ai fini della dichiarazione della besa,
gli anziani potevano richiedere la sussistenza di
determinati requisiti quali la presenza, in capo al
dichiarante, dei caratteri dell’onore e del rispetto; da
ultimo la besa veniva intesa come tregua o anche perdono
nei confronti dell’offensore da parte dei parenti della
vittima di un omicidio.
La parola data, rappresentava e
rappresenta un connotato della personalità di un
albanese, che non poteva giammai essere violato, pena la
irrogazione di sanzioni non solo aventi natura morale,
ma anche, nei casi più gravi, natura fisica.
L’assenza di istituzioni od
organismi che imponessero regole certe da osservare e
darne attuazione ha fatto assurgere la besa a valore
principe della Comunità albanese, valore collegato tra
l’altro ai concetti di onore ed ospitalità3 disciplinati
anch’essi nel Kanun4; la stessa è stata definita come un
valore cardine di un ordinamento in cui la fedeltà alla
legge è fedeltà all’essere intimo dell’uomo.
Circa l’esatta individuazione del
termine besa, varie sono state le definizioni date dagli
studiosi.
Cofalato5 ha definito la besa come
“la parola veritiera essenziale, non superflua che
comprende il rispetto di colui a cui è rivolta. Nella
besa si raccolgono e si dispiegano un ventaglio di
emozioni…onore, fiducia, lealtà. Un detto albanese dice
“Fjalen e dhene nuk e thith te dheu” ossia la parola
data non l’assorbe neanche la terra”.
Resta6 ha, invece, inteso la besa
come “la parola data, il rispetto delle regole, il
sentimento che spinge un albanese ad agire secondo un
modello cruento, che impone tanto omicidio e vendetta
quanto ospitalità e ossequio alle gerarchie. La parola
di un uomo vale più della stessa vita”.
La besa contraddistinguendo la
personalità di un dato soggetto porta ad effettuare
determinate considerazioni circa l’esatta individuazione
dei caratteri di un dato consociato, di fatti
presupposto ineludibile ai fini del possesso di tale
valore o virtù a dir si voglia è l’essere una persona
degna, non meschina, la quale agisce ponendo in essere
la propria attività, in particolare modo con riguardo ai
rapporti con terzi soggetti, in modo leale, corretto ed
onesto.
L’agire secondo il rispetto della
besa vuole dire essere “bur” o “trim”, ossia una persona
dotata di apposite virtù, una persona saggia, virile,
che agisce cercando di non pregiudicare la posizione
giuridica del terzo evitando possibili nocumenti per la
sua sfera giuridica.
Il fatto che la besa è tanto
sentita quanto osservata all’interno del popolo
albanese, lo si evince non solo dalla sua presenza
all’interno della raccolta delle norme consuetudinarie
del Kanun, ma anche dal mito di Costantino e Doruntina7;
infatti la medesima besa è istituita nel mito su
riferito tramandato sotto forma di racconto, di ballata,
di romanzo diffuso in molte varianti.
Il mito di Costantino e Doruntina
narra la storia di una madre e dei suoi dieci figli,
nove maschi ed una femmina, la storia vuole che la
figlia femmina si fosse innamorata di un ragazzo che
abitava lontano da lei, quest’ultima decideva di
sposarsi ed andare a vivere da lui, ciò comportava il
disappunto della madre lamentando il fatto che una volta
che i suoi figli maschi si fossero sposati non ci
sarebbe stato nessuno che sarebbe rimasto accanto a lei
al fine di accudirla una volta divenuta vecchia.
Il figlio più piccolo, al fine di
far sposare la sorella, aveva giurato alla madre
(dichiarando, appunto, la besa), che se ce ne fosse
stato bisogno sarebbe andato lui a riprenderla, tuttavia
tutti i figli maschi morivano compreso Costantino, il
quale non poteva, così, dar fede, rispettare il patto
preso con la madre; il medesimo, tuttavia, veniva
rispettato perché Costantino uscendo dalla tomba portava
la propria sorella dalla madre così osservando la besa
precedentemente prestata.
Appare ineludibile il ruolo che la
besa ha rivestito nel corso del tempo nell’ambito della
comunità albanese, in particolare, e nell’ambito
dell’intera comunità balcanica in generale, Costantino,
al fine di rispettare il pactum posto in essere con la
madre sconfigge la morte riportando a casa, dalla
propria madre bisognosa di essere accudita, Doruntina.
Proprio Costantino incarna lo
spirito della besa, questa virtù è insita nel popolo
albanese e contraddistingue la loro persona rispetto
alle altre, sul punto il Kadare8 afferma che “la besa
non si viola è divieto sacro….forza invincibile che
sconfigge la morte”.
Il Nanci9, con specifico
riferimento al ruolo della besa nell’ambito del mito di
Costantino e Doruntina afferma che “la besa, innescando
e condizionando le azioni ed i comportamenti del
protagonista, si giustifica in primo luogo come obbligo
morale che deve essere assolutamente rispettato, poiché
la sua inosservanza esclude tutti gli altri valori dalla
vita del trasgressore….la besa rappresenta in modo
particolare quegli individui per sincerità e prontezza
al sacrificio, eroi che, per via del particolare vigore
morale, sono chiamati a stravolgere le norme sociali
canonizzate e realizzare un nuovo ideale di umanità”.
2. La besa intesa come istituto
giuridico.
Riprendendo le parole di un autore,
il Marco10, la besa potremo definirla come un “istituto
giuridico di una cultura orale”; tale definizione,
efficacemente, individua un importante ambito di
operatività della besa medesima ossia intendendola come
fonte di rapporti obbligatori tra i consociati una data
comunità.
Premessa l’assenza, all’interno
dell’ordinamento albanese, prima dell’avvento del Re Zog
e della sua codificazione, di un apparato normativo
certo che potesse disciplinare i rapporti non solo tra
Stato e cittadini, ma soprattutto tra cittadini, la besa
fungeva, di fatti, a fonte dei rapporti negoziali tra i
consociati, ponendo la medesima non solo quale regola di
condotta da osservare nell’evolversi di un dato
rapporto, ma anche quale fondamento di una data
convenzione stipulata tra i consociati.
Al riguardo sempre il Marco11
sostiene che “la besa è un istituto giuridico, poiché
essa sigillava con l’atto simbolico della stretta di
mano, una convenzione e un generico patto come un vero e
proprio contratto obbligatorio, che nel gesto canonico
aveva la sua forma. “Dammi”, ovvero “ti offro la fede”
era l’espressione che invitava le parti a suggellare il
patto d’onore, e il negozio giuridico in una cultura
orale”.
Alle carenze di tipo normativo,
dovuta in gran parte all’assenza di uno Stato-autorità
capace ad imporre le norme di diritto, non solo penali
ma anche civili, la disciplina dei rapporti giuridici
trovava, quindi, la propria fonte nella besa, operante,
non solo nell’alveo del sistema penalistico accanto
all’istituto della vendetta di sangue, non solo in
qualità di canone o principio posto alla base delle
norme del Kanun, ma anche come valore che trova una
dimora all’interno della personalità di ciascun
consociato la comunità, ancora come regola di condotta
del corretto agere con riferimento ai rapporti
intersoggettivi, e da ultimo quale fonte dei rapporti
obbligatori tra due o più soggetti.
Da ciò si desume la natura
poliedrica del concetto di besa, e della sua
imprescindibile rilevanza all’interno della comunità
organizzata in Stato.
All’interno di una data realtà
sociale il diritto muta, adeguandosi alle suddette
realtà, facendo sì che un concetto, più precisamente un
fatto metagiuridico quale quello di besa, assurga a
fonte dei rapporti tra i consociati; la medesima besa
potremo dire che si pone al di fuori del diritto, ma che
diviene fonte una volta che ciò lo richieda una data
realtà sociale, ed è ciò che accade, appunto,
all’interno di una comunità, quale quella albanese, in
cui il potere statuale non era stato esercitato in modo
efficiente ed efficace al fine di dotare la comunità di
corpora legislativi, i quali potessero essere utilizzati
al fine di regolamentare una serie indefinita di
rapporti intersoggettivi.
La rilevanze della besa all’interno
dei rapporti intersoggettivi si evinceva anche dalle
conseguenze derivanti dalla sua violazione; di fatti,
premesso che ad ogni azione, condotta derivano sempre
determinate conseguenze, le stesse si riscontravano
anche nel caso di violazione della parola data.
Le sanzioni presentavano diversa
natura, innanzi tutto sanzioni di tipo morale, ma anche
di tipo fisico nei casi più gravi ed eclatanti.
La sanzione di natura morale
operava nei casi in cui la condotta posta in essere
dall’inadempiente non fosse di un certo rilievo, in tali
casi si procedeva nell’isolare colui il quale fosse
incorso in detta infrazione; sul punto il Marco12
afferma che “in un contesto sociale in cui la parola è
così importante, la coercizione di non parlare a chi si
ritenga colpevole di una infrazione o di una offesa,
quale quella della parola data e non mantenuta, è una
risposta punitiva non certo leggera….alla parola data e
non mantenuta, quindi alla besa violata, corrisponde una
coercizione omogenea consistente nel silenzio”.
Nei casi più gravi si ammetteva
anche il ricorso a mezzi più incisivi che afferivano la
persona del soggetto, lo stesso Marco13 afferma che la
sanzione “nel caso più cruento consisteva in una disfida
sanguinosa”, con conseguente violazione del principio di
proporzionalità che dovrebbe operare in ambito
penalistico, senza trascurare gli altri fondamentali
principi della responsabilità penale colpevole e della
determinatezza-tassatività delle fattispecie penali.
Appaiono notevoli le analogie tra
il concetto-istituto giuridico della besa ed i canoni
della buona fede, correttezza e lealtà che
contraddistinguono il rapporto obbligatorio all’interno
del nostro ordinamento.
Come posto in forte evidenza sia in
dottrina14 che in giurisprudenza i canoni della buona
fede, da intendersi in senso oggettivo e non soggettivo
(quindi non come ignoranza di ledere l’altrui diritto ex
art. 1147 c.c.), della correttezza e della lealtà devono
essere intesi in senso univoco e strettamente collegato,
portando i soggetti di un dato rapporto obbligatorio ad
agire in un certo modo al fine di evitare un possibile
pregiudizio o nocumento per le altre parti e per il
terzo.
Da una parte l’art. 1175 c.c.
impone alle parti, debitore e creditore “di comportarsi
secondo le regole della correttezza”; dall’altra l’art.
1375 c.c., con specifico riferimento al momento
esecutivo del contratto, dispone che “il contratto deve
essere eseguito secondo buona fede”, altri sono gli
articolati di legge del codice civile che impongono alle
parti, sia in pendenza della condizione, sia in fase
precontrattuale, sia in sede di interpretazione etc.,
una certo agere.
Sul punto un importante arresto
delle Sezioni Unite della Suprema Corte del 200815 pone
in evidenza che “il principio di correttezza e buona
fede (il quale, secondo la Relazione ministeriale al
codice civile, “richiama nella sfera del creditore la
considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera
del debitore il giusto riguardo all’interesse del
creditore) deve essere inteso in senso oggettivo ed
enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2
Costituzione, che, operando come un criterio di
reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a
ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il
dovere di agire in modo da preservare gli interessi
dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici
obblighi contrattuali o di quanto espressamente
stabilito da singole norme di legge, sicchè dalla
violazione di tale regola di comportamento può
discendere, anche di per sé, un danno risarcibile“.
Così intesi detti canoni portano ad
una considerazione, la besa è da intendersi quale canone
di buona fede, lealtà, correttezza che impone un certo
modus agendi ed operandi ai soggetti di un dato rapporto
obbligatorio, comportando, come già visto,
l’applicazione di determinate sanzioni, gravi e non
gravi, nel caso di inadempimento; lo stesso vale per il
nostro caso posto che, oramai sia la dottrina che la
giurisprudenza largamente dominanti propendono per
l’azionabilità di una azione risarcitoria, o sussistendo
i presupposti anche l’esperibilità dell’azione di
annullamento o di risoluzione del contratto o della
exceptio doli generalis, al fine di tutelare la
posizione giuridica della parte che abbia agito con
correttezza, lealtà, buona fede e diligenza
nell’adempiere le sue obbligazioni.
Recentemente un importante arresto
della Suprema Corte16, con ciò ponendo in luce le
analogie con la besa, ha specificato che “I principi di
correttezza e buona fede nell'esecuzione e
nell'interpretazione dei contratti, di cui agli artt.
1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia sul piano
dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su
quello del bilanciamento dei contrapposti interessi
delle parti: sotto il primo profilo, essi impongono alle
parti di adempiere obblighi anche non espressamente
previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia
necessario per preservare gli interessi della
controparte, mentre, sotto il secondo profilo,
consentono al giudice di intervenire anche in senso
modificativo o integrativo sul contenuto del contratto,
qualora ciò sia necessario per garantire l'equo
contemperamento degli interessi delle parti e prevenire
o reprimere l'abuso del diritto, specificando poi che si
ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto
soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo
eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del
dovere di correttezza e buona fede, causando uno
sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della
controparte contrattuale, ed al fine di conseguire
risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i
quali quei poteri o facoltà furono attribuiti”.
Gli aspetti preminenti relativi
alla besa possono evincersi, quindi, anche attraverso
una analisi comparata dei canoni e dei valori operanti
in altri ordinamenti, quali il nostro, ed afferenti la
buona fede, correttezza, lealtà od il principio del
naeminem laedere; la besa è da intendersi in tal senso,
ossia nel rispetto di determinate regole di condotta
operanti sotto più punti di vista, sia come precetto da
osservare nell’interagire con altri consociati, sia come
fonte di rapporti intersoggettivi.
3. Conclusioni.
Da quanto emerge dalle pagine che
precedono appare evidente la natura poliedrica della
besa, intesa come valore preminente nella persona degna,
saggia, leale ed onesta; come regola di condotta che
direziona in un certo modo l’attività e la condotta che
deve essere posta in essere da ciascun consociato nei
rapporti intersoggettivi; come fonte “normativa”
operante nei casi di assenza di specifiche disposizioni
che regolino i rapporti suddetti, in tale caso la besa
sopperisce alle assenze e deficienze dello
Stato-Comunità.
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1 Avv. Roberto Sposato è
specializzato nelle professioni legali, pubblicista,
collabora con le riviste giuridiche telematiche
“filodiritto” ed “ildirittoamministrativo.it”.
2 Su tutti CRISAFULLI – DI TULIO,
Aspetti della criminalità militare nel settore albanese,
Tirane 1942; ; ASCOLI, La vendetta del sangue, Milano,
1961; MARCO, Gli arbereshe e la storia. Civiltà, lingua
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Letersime, dhe Kulturen Shqiptare, 2006; nella dottrina
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ss.; ELEZI, E drejta zakonore e laberise ne planin
krahasues, Tirane, 1994.
3 “La sacralità dell’amicizia e
dell’ospitalità, così come il dovere altrettanto sacro
di riparare alla offesa subita, presso gli albanesi si
giustifica con la sacralità della besa”, così si esprime
MANDALA’ in La besa nel Kanun di Lek Dukagjini, tratto
da Atti del XVII Congresso Internazionale degli Studi
Albanesi. Palermo 25-28 novembre 1991.
4 Per uno sguardo d’insieme
VILLARI, Le consuetudini giuridiche dell’Albania, Roma,
1920; CASTELETTI, Consuetudini e vita sociale albanese
secondo il Kanun di Lek Dukagjini, Roma, Vol. III-IV,
1933-34; RESTA, Un popolo in cammino, Migrazioni
albanesi in Italia, Lecce, 1996; MARTUCCI, Il Kanun di
Leke Dukagjini: le basi morali e giuridiche della
società albanese, Lecce, 2009; MARTUCCI, Il diritto
consuetudinario albanese: il Kanun, Tirana, 2005;
Valentini, Il diritto delle comunità nella tradizione
giuridica albanese, Firenze, 1956.
5 COLAFATO, Emozioni e confini: per
una sociologia delle relazioni etniche, Roma, 1998.
6 RESTA, Pensare il sangue: la
vendetta nella cultura albanese, Roma, 2002.
7 Si veda DE RADA, Rapsodie di un
poema albanese, Canto XVII, Libro I, “Costantinoe
Garentina”, Opera Omnia, Soveria Mannelli (Cz), 2005;
KADARE, Chi ha riportato in vita Doruntina?, Milano,
2008, KOLA, Arvanitet dhe prejardhja e grekeve, Tirana,
2002.
8 Opera ult. cit.
9 NANCI, La leggenda del fratello
morto nella tradizione orale albanese, Riv. Catanzaro
Arberia, Catanzaro, 2006.
10 MARCO, Gli arbereshe e la
storia. Civiltà, lingua e costumi, Lungro, 1996.
11 Op. ult. cit.
12 Op. ult. cit.
13 Op. ult. cit.
14 Su tutti BIANCA, L’obbligazione,
Vol. IV, Milano, 1995; CARINGELLA, Manuale di diritto
civile, Roma 2009;
GAZZONI, Manuale di diritto
privato, Napoli, 2006.
15 Corte di Cassazione, Sezioni
Unite, 25 novembre 2008, n. 28056.
16 Corte di Cassazione, Sez. III,
26 giugno 2011, n. 13583. |