di Carlo Milani
Il recente dibattito economico ha
riacceso i riflettori sul tema delle privatizzazioni del
patrimonio pubblico italiano. Sia la visita in Italia
dei rappresentanti del fondo sovrano cinese CIC
(disposti ad acquistare titoli di Stato italiani solo
se, in contropartita, gli verrà data la possibilità di
entrare nell’azionariato di alcune importanti società
partecipate dallo Stato, in particolare nelle imprese
energetiche), sia il seminario organizzato dal Ministero
del Tesoro sul tema della valorizzazione del patrimonio
pubblico ne sono una chiara evidenza.
La questione della vendita dei
cosiddetti “gioielli di famiglia” sembra essere stato
quindi sdoganato anche da Tremonti, seppur solo in parte
visto che il Ministro non sembrerebbe intenzionato a
mettere sul mercato le quote statali in big del calibro
di Eni, Enel, Poste, Ferrovie e Rai. In ogni caso,
rispetto alla strada della vendita se ne potrebbe
seguire anche un’altra: barattare il patrimonio
pubblico, non funzionale all’espletamento dei servizi
offerti ai cittadini, con titoli di Stato italiani.
Le privatizzazioni: i pro e i
contro
Come molti fautori delle
privatizzazioni hanno ben evidenziato1, la vendita del
patrimonio pubblico non dovrebbe andare a finanziare il
deficit, bensì dovrebbe essere portata direttamente a
riduzione dello stock di debito. Il contenimento del
debito avrebbe poi effetti indiretti sul deficit
attraverso la riduzione del carico degli interessi, sia
per l’effetto del minor indebitamento sia per il
contenimento del costo complessivo del debito (cioè il
famigerato spread Btp-Bund) a seguito del minor rapporto
debito/Pil (effetto deleverage).
Va detto che sul fronte opposto si
schiera chi non ritiene le privatizzazioni
necessariamente utili ai fini della sostenibilità del
debito2. Infatti, a fronte dell’incasso del valore di
mercato del patrimonio dismesso lo Stato perderebbe
tutte le entrate attese derivanti da quelle attività (ad
esempio i dividendi azionari). La possibilità che le
privatizzazioni migliorino la sostenibilità del debito
dipenderebbe, quindi, dal differenziale tra il costo del
debito (post privatizzazione) e il rendimento delle
partecipazioni pubbliche.
Anche tenendo conto di quest’ultima
tesi, le privatizzazioni avrebbero in ogni modo un
notevole pregio, soprattutto in un paese come l’Italia:
(i) permetterebbero agli operatori di mercato di
ampliare il loro raggio di manovra in settori al momento
particolarmente ingessati (si veda il caso della Rai), e
(ii) toglierebbero molto ossigeno alla corruzione, che
la Corte dei Conti ha stimato essere una tassa occulta
che pesa sui cittadini italiani per 50/60 miliardi di
euro all'anno.
Il ritorno al baratto
Visto che la bilancia dei pro e i
contro alle privatizzazioni sembra propendere più sui
pro3, il tema fondamentale da affrontare è quelle della
modalità attraverso cui attuarle. L’esperienza italiana
recente insegna, infatti, che non sempre lo Stato è
riuscito a massimizzare gli incassi derivanti dalla
vendita delle sue proprietà (si veda ad esempio il caso
dell’Alitalia). Per la vendita delle proprietà
pubbliche, siano esse mobiliari o immobiliari, dovrebbe
quindi vigere la massima trasparenza. Un’asta
internazionale aperta a tutte le controparti, siano esse
appartenenti a paesi occidentali o emergenti
(abbandonando quindi ogni principio di “italianità”),
sembra essere la strada più idonea da perseguire, anche
al fine di massimizzare le entrate. Dato l’attuale
contesto di forte criticità, l’asta dovrebbe poi avere
due specifiche caratteristiche:
1) per accedervi ogni controparte
dovrebbe depositare un ammontare di titoli di Stato
italiani, in termini di valore nominale, pari alla base
minima di partenza dell’asta4;
2) ogni lotto d’asta aggiudicato
dovrebbe essere saldato in titoli di Stato italiani. In
altri termini, si dovrebbero barattare asset pubblici in
cambio di titoli di debito.
Un’asta così congegnata avrebbe
diversi aspetti positivi:
aumenterebbe la richiesta di titoli
di Stato italiani sul mercato primario e secondario,
facendo quindi migliorare lo spread Btp-Bund;
per le istituzioni che sono già in
possesso di grandi quantità di titoli di Stato italiani
ci sarebbe la possibilità di allentare la loro
esposizione. In particolare le banche italiane, che
detengono circa 200 miliardi di euro tra Bot, Cct, Ctz e
Btp, avrebbero la possibilità di ridurre in modo
consistente il rischio sui titoli sovrani, con il
conseguente miglioramento delle loro quotazioni
azionarie;
essendo il valore di mercato ben
inferiore al valore nominale, e dato il crescente
andamento del rischio di default per i paesi dell’Area
euro con maggiori difficoltà di finanza pubblica, le
istituzioni che detengo titoli di Stato italiani
sarebbero incentivate a fare offerte d’acquisto
vantaggiose per i conti pubblici;
l’incasso delle privatizzazioni
ottenuto in forma di titoli di Stato escluderebbe
qualsiasi possibilità di utilizzare gli introiti
ottenuti per coprire la spesa pubblica, ma andrebbe
direttamente a ridurre il carico del debito.
Qualche stima sulle potenziali
somme in gioco
Recentemente il Ministero del
Tesoro ha colmato il vuoto di informazioni circa il
valore del patrimonio pubblico, sia mobiliare che
immobiliare5.
In particolare, si possono
individuare tre macro aggregati che potrebbero essere
oggetto di dismissione.
In primo luogo, il patrimonio
immobiliare della Pubblica Amministrazione (PA). Dalle
stime del Ministero emerge che questo patrimonio ammonta
nel complesso a quasi 370 miliardi di euro, di cui però
solo 42 è il valore degli immobili dismettibili,
escludendo di mettere in vendita anche le abitazioni
pubbliche che da sole valgono 150 miliardi.
La seconda voce di patrimonio
privatizzabile è quella relativa alle partecipazioni
della PA, il cui valore di mercato è stimato pari a 132
miliardi. Ipotizzando che preservare dalla
privatizzazione le grandi reti di distribuzione –
ritenute da molti analisti strategiche e che per tale
motivo dovrebbero rimanere pubbliche6 – si possa
realizzare anche solo il 50% di tale ammontare, da
questa posta si potrebbero ottenere circa 65 miliardi.
Infine, il valore di mercato dei
crediti pubblici e le anticipazioni attive della PA, che
potrebbero essere cartolarizzati ed immessi sul mercato,
sono pari a poco più di 100 miliardi.
In definitiva, il valore di mercato
del patrimonio pubblico suscettibile di dismissione è
stimabile quindi intorno ai 200 miliardi di euro, un
valore ragguardevole (circa 13 punti di Pil) che
potrebbe essere ancor più alto in termini di valore
nominale (anche un punto di Pil in più) data la corrente
svalutazione osservata sui titoli di Stato.
Per il meccanismo di funzionamento
di queste specifiche aste pubbliche, inoltre, l’entità
dei titoli di Stato movimentati sarebbe ben più elevato.
Infatti, ipotizzando lotti minimi d’asta pari in media a
1 miliardo di euro, l’ammontare coinvolto andrebbe
moltiplicato per il numero di enti partecipanti
all’asta. Con in media 3 enti partecipanti per asta, ad
esempio, l’entità di titoli di Stato messi in
circolazione sarebbe estremamente rilevante (200 aste in
cui ogni controparte deposita un miliardo di euro di
titoli di Stato determinerebbe una movimentazione
complessiva di 600 miliardi, pari a oltre il 30% dello
stock del debito).
Anche nel caso in cui si procedesse
ad una dismissione del patrimonio pubblico nell’arco di
alcuni anni, le masse coinvolte sarebbero così rilevanti
da determinare una rilevante crescita di domanda di
titoli italiani e, conseguentemente, una più rapida
normalizzazione dello spread Btp-Bund.
* Le opinioni espresse appartengono
esclusivamente all’autore e non sono quindi attribuibili
all’Istituto di appartenenza.
1. Si vedano ad esempio Perrotti e
Zingales su IlSole-24Ore del 9 luglio 2011.
2. Si veda Manasse su lavoce.info
del 1 giugno 2011.
3. Bisogna tra l’altro ricordare
che le evidenze empiriche mostrano che le società
privatizzate riescono, nella maggioranza dei casi, ad
aumentare l’efficienza, i profitti, gli investimenti e
la loro solidità finanziaria (si veda William L.
Megginson W.L. e Netter J.M., 2001, From State To
Market: A Survey Of Empirical Studies On Privatization,
Journal of Economic Literature 39:2).
4. Tale deposito verrebbe
ovviamente restituito nel caso in cui la controparte non
si aggiudicasse l’asta.
5. Si veda nello specifico Edoardo
Reviglio su
http://www.tesoro.it/primo-piano/primo-piano.asp?ppid=27991
6. Si vedano Barucci e Messori su
nelmerito.com del 29 luglio 2011. |