Camonita Salvatore
Le controversie di lavoro palesano
dei contrasti tra un prestatore di lavoro ed un datore
di lavoro in merito ad alcuni aspetti peculiari del
rapporto di lavoro intercorrente tra di loro, oppure di
un rapporto di lavoro che è già cessato.
Le controversie di lavoro possono
essere distinte in:
individuali, concernenti i
diritti di un singolo prestatore di lavoro;
plurime, che riguardano i
diritti individuali di più prestatori di lavoro; e,
infine,
collettive, concernenti i
diritti generali dei prestatori di lavoro.
L'oggetto sul quale ruota e/o
s'impernia una controversia in materia di lavoro può
riguardare sia aspetti di carattere economico, sia
aspetti normativi.
Per quanto concerne l'ambito degli
aspetti economici, esso può riguardare: le differenze
retributive, il trattamento di fine rapporto, il
pagamento o meno del lavoro straordinario etc. etc. ;
mentre gli aspetti normativi possono consistere negli
aspetti contemplati dai contratti collettivi di lavoro
vertenti sulle mansioni, sul licenziamento illegittimo,
gli avanzamenti di carriera.
Il processo del lavoro è
regolamentato dalle norme di cui agli artt. 409 ss.
c.p.c..
Il nostro ordinamento ha previsto
un rito speciale - introdotto con la Legge 11 agosto
1973, n.° 533 - per la trattazione di tutte le
controversie relative ai rapporti di lavoro ed in
materia di previdenza e di assistenza obbligatoria.
La disciplina del processo del
lavoro costituisce il frutto di un iter legislativo
giunto al suo approdo con la promulgazione della L. 11
sgosto 1973, n.° 533.
Una disciplina del processo del
lavoro esisteva già nel codice del 1940, che ad essa
avevav riservato il titolo quarto del libro secondo,
dedicato al processo di cognizione. Tale titolo quarto
era rubricato «Norme per le controversie in materia
corporativa» ed era suddiviso in quattro capi, dedicati
rispettivamente alle controversie collettive, alle
controversie individuali di lavoro, alle controversie in
materia di previdenza e di assistenza obbligatorie,
nonché alle controversie individuali in materie regolate
da norme corporative.
La soppressione dell'ordinamento
corporativo, ed in particolare degli organi competenti
ad emanare norme corporative (R.D.L. 3 agosto 1943, n.°
721), avevva implicitamente abrogato il capo primo;
mentre il mantenimento in vita delle norme corporative
già esistenti fino alla loro modifica (D.L.L. 23
novembre 1944, n.° 369) lasciava al capo quarto uno
stretto margine di applicabilità in via di graduale
eliminazione. Rimanevano operanti i due capi intermedi:
il secondo, dedicato alle controversie individuali di
lavoro, ed il terzo dedicato alle controversie in
materia di previdenza e di assistenza obbligatorie1.
Il rito speciale del lavoro,
introdotto dalla L. n.° 533/1973, si applica alle
controversie relative a tutti i rapporti di lavoro
subordinato, sia a quelle riguardanti obbligazioni
caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato, sia
a quelle in cui tale rapporto si presenti come
antecedente o presupposto necessario della situazione di
fatto posta a fondamento della domanda.
Il rito del lavoro si applica anche
a rapporti non inerenti l’esercizio dell’impresa, ossia
a rapporti alle dipendenze di datori di lavoro non
imprenditori.
La controversia si può riferire a
qualsiasi rapporto di lavoro subordinato, anche non
ancora costituito o già cessato, nonché a tutti gli
aspetti del rapporto.
Il rito speciale in oggetto si
applica, inoltre, anche a controversie estranee
all'ambito del rapporto di lavoro subordinato privato,
quali quelle relative a rapporti di agenzia e di
rappresentanza commerciale, se caratterizzati da
prestazione d'opera continuativa e coordinata e
prevalentemente personale, a rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa, a prestazioni previdenziali
ed assistenziali obbligatorie.
L’art. 409 c.p.c. si preoccupa di
individuare le controversie individuali soggetto al rito
del lavoro, disponendo: “Si osservano le disposizioni
del presente capo nelle controversie relative a :
i rapporti di lavoro
subordinato privato, anche se non inerenti all’esercizio
di una impresa;
rapporti di mezzadria, di
colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di
affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti
da altri contratti agrari, salva la competenza delle
sezioni specializzate agrarie;
rapporti di agenzia, di
rappresentanza commerciale ed altri rapporti di
collaborazione che si concretino in una prestazione di
opera continuativa e coordinata, prevalentemente
personale, anche se non a carattere subordinato;
rapporti di lavoro dei
dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente
o prevalentemente attività economica;
rapporti di lavoro dei
dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro
pubblico, semprechè non siano devoluti dalla legge ad
altro giudice”.
I caratteri del processo del
lavoro, alla luce della riforma introdotta dalla L.
11.8.1973, n.° 533, sono i seguenti:
- oralità, in quanto solamente gli
atti introduttivi devono essere redatti per iscritto;
- immediatezza, in quanto tra il
deposito del ricorso e l’udienza di discussione non
dovrebbero decorrere più di 60 giorni;
- massima concentrazione degli atti
processuali;
- ampliamento dei poteri istruttori
del giudice.
OGGETTO
La controversia si può riferire a
qualsiasi rapporto di lavoro subordinato, anche non
ancora costituito o già cessato, nonché a tutti gli
aspetti del rapporto.
Quindi, oltre alle normali pretese
di natura retributiva ed alle impugnazioni dei
licenziamenti, rientrano nella disciplina in esame anche
le controversie aventi ad oggetto ad esempio:
la costituzione del rapporto di
lavoro;
l'impugnazione dei
trasferimenti individuali;
l'applicazione di sanzioni
disciplinari;
il risarcimento di danni
conseguenti a violazioni di regole imperative (mancata
fruizione di ferie, danni da infortunio, mancato
versamento dei contributi previdenziali, etc.);
il risarcimento di danni
all’immagine professionale;
l'inquadramento del lavoratore
(attribuzione a mansioni superiori o inferiori,
demansionamento, etc.);
la violazione degli obblighi di
fedeltà e di non concorrenza;
il mobbing;
le molestie sessuali;
il trasferimento d’azienda;
la cessazione del rapporto
associativo e del rapporto lavorativo del socio
lavoratore con la società cooperativa;
gli atti aventi ad oggetto
rinunzie o transazioni.
Il rito speciale in oggetto si
applica, inoltre, anche a controversie estranee
all'ambito del rapporto di lavoro subordinato privato,
quali quelle relative a:
rapporti di agenzia e di
rappresentanza commerciale, se caratterizzati da
prestazione d'opera continuativa e coordinata e
prevalentemente personale (art. 409 n. 3 c.p.c.);
rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa, lavoratori a progetto,
procacciatori d’affari, amministratori di società di
capitali, amministratori di condominio.
prestazioni previdenziali ed
assistenziali obbligatorie (art. 442 c.p.c.);
contratti agrari (rapporti di
mezzadria, colonia parziaria, compartecipazione agraria,
affitto a coltivatore diretto), o conseguenti alla
conversione dei contratti associativi in affitto, ferma
restando, però, la competenza delle sezioni
specializzate agrarie previste dalla legge n. 320/1963
(art. 409 n. 2 c.p.c.);
locazione e comodato di
immobili urbani e affitto di aziende (art. 447-bis
c.p.c.), innanzi al Giudice ordinario.
FACOLTATIVITA' DEL TENTATIVO DI
CONCILIAZIONE PRESSO LE DIREZIONI PROVINCIALI DEL LAVORO
In relazione alle materie di cui
all'articolo 409 del codice di procedura civile, le
parti contrattuali possono pattuire clausole
compromissorie (arbitrali), solo ove cio' sia previsto
da accordi interconfederali o contratti collettivi di
lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di
lavoro e dei lavoratori comparativamente piu'
rappresentative sul piano nazionale. La clausola
compromissoria, a pena di nullita', deve essere
certificata dagli organi competenti (art. 31). La
clausola compromissoria non puo' essere pattuita e
sottoscritta prima della conclusione del periodo di
prova, ove previsto, ovvero se non siano trascorsi
almeno trenta giorni dalla data di stipulazione del
contratto di lavoro, in tutti gli altri casi. La
clausola compromissoria non puo' riguardare controversie
relative alla risoluzione del contratto di lavoro.
Tutte le controversie saranno
arbitrabili, ad eccezione di quelle connesse al
licenziamento, riservate al giudice ordinario: il
licenziamento dovrà essere impugnato entro 60 giorni
dalla ricezione della comunicazione scritta.
L'impugnazione del licenziamento e'
inefficace se non e' seguita, entro il successivo
termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del
ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di
giudice del lavoro o dalla comunicazione alla
controparte della richiesta di tentativo di
conciliazione o arbitrato, ferma restando la
possibilita' di produrre nuovi documenti formatisi dopo
il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o
l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia
raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento,
il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di
decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal
mancato accordo (art. 32).
Altre novità, cui si accenna,
rinviando alla lettura della Legge 183/2010, sono:
- il rafforzamento dell’istituto
dell’apprendistato, con la previsione di poter assolvere
all’ultimo anno di obbligo scolastico (cioè a partire
dai 15 anni) imparando un mestiere in azienda;
- nuove sanzioni amministrative
pecuniarie in caso di violazione della normativa
sull’orario di lavoro (art. 7);
- nella ipotesi di lavoro sommerso
scatterà la sospensione dell’attività imprenditoriale,
disposta nei casi più gravi e anche dove l’autorità
ispettiva riscontri violazioni in materia della
normativa antinfortunistica;
- sarà considerato reato il mancato
versamento delle trattenute previdenziali ai co.co.co.
ed ai lavoratori a progetto;
- a differenza dei datori di lavoro
privati, le pubbliche amministrazioni sono tenute a
comunicare, entro il ventesimo giorno del mese
successivo alla data di assunzione, di proroga, di
trasformazione e di cessazione, gli eventi relativi ai
rapporti di lavoro (art. 5).
Con l’entrata in vigore della Legge
4 novembre 2010, n.° 183, che ha modificato l’art. 410
c.p.c., a far data dal 24 novembre 2010, chi intende
proporre un’azione in giudizio non è più obbligato a
promuovere un previo tentativo di conciliazione.
L’obbligo permane esclusivamente qualora la controversia
riguardi contratti certificati. Quindi, in linea
generale, il tentativo di conciliazione è meramente
facoltativo e non costituisce più una condizione di
procedibilità della domanda (la legge n.° 183/2010 ha
abrogato, con l’art. 31 comma 9 anche gli artt. 65 e 66
che disciplinavano il tentativo obbligatorio di
conciliazione nelle controversie individuali relative ai
rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni).
Le parti (e, quindi, sia il
lavoratore che il datore di lavoro) prima di adire il
Giudice del Lavoro, possono promuovere il tentativo di
conciliazione, anche tramite l'associazione sindacale
alla quale aderiscono o conferiscono mandato, presso la
Commissione di Conciliazione istituita presso la
Direzione Provinciale del Lavoro della provincia in cui
è sorto il rapporto oppure della provincia in cui si
trova l’azienda oppure della provincia in cui si trovava
la dipendenza dell’azienda al momento della fine del
rapporto.
Nel caso di rapporti di
collaborazione, agenzia e rappresentanza, il tentativo
di conciliazione può essere promosso unicamente presso
la Commissione di Conciliazione istituita presso la
Direzione Provinciale del Lavoro nella cui
circoscrizione si trova il domicilio dell'agente, del
rappresentante o del titolare del rapporto di
collaborazione.
La comunicazione della richiesta di
espletamento del tentativo di conciliazione interrompe
la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo
di conciliazione e per i venti giorni successivi alla
sua conclusione, il decorso di ogni termine di
decadenza. La richiesta del tentativo di conciliazione,
sottoscritta dal lavoratore, deve essere consegnata o
spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento
alla Direzione Provinciale del Lavoro.
Copia della richiesta del tentativo
di conciliazione, a seguito della modifica dell’art. 410
c.p.c., deve essere consegnata o spedita con
raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa
parte istante alla controparte.
Nella richiesta la parte è tenuta a
precisare:
nome, cognome e residenza
dell'istante e del convenuto; se l'istante o il
convenuto sono una persona giuridica, un'associazione
non riconosciuta o un comitato, l'istanza deve indicare
la denominazione o la ditta, nonché la sede;
il luogo dove è sorto il
rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua dipendenza
alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale
egli prestava la sua opera al momento della fine del
rapporto;
il luogo dove devono essere
fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla
procedura;
l'esposizione dei fatti e delle
ragioni posti a fondamento della pretesa.
Se la controparte intende accettare
la procedura di conciliazione, deposita presso la
Commissione di Conciliazione, entro venti giorni dal
ricevimento della copia della richiesta, una memoria
contenente le difese e le eccezioni in fatto e in
diritto, nonché le eventuali domande in via
riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, ciascuna delle
parti è libera di adire l'autorità giudiziaria. Entro i
dieci giorni successivi al deposito della memoria
contenente le difese e le eccezioni in fatto e in
diritto, nonché le eventuali domande in via
riconvenzionale, la Commissione di Conciliazione fissa
la comparizione delle parti per il tentativo di
conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi
trenta giorni. Trattasi di termini non perentori.
Dinanzi alla Commissione di
Conciliazione il lavoratore può farsi assistere anche da
un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.
Se la conciliazione riesce, anche
limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto
separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai
componenti della Commissione di Conciliazione. Il
giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara
esecutivo con decreto.
Se non si raggiunge l'accordo tra
le parti, la Commissione di Conciliazione deve formulare
una proposta per la bonaria definizione della
controversia. Se la proposta non è accettata, i termini
di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle
valutazioni espresse dalle parti.
Delle risultanze della proposta
formulata dalla Commissione di Conciliazione e non
accettata senza adeguata motivazione il Giudice del
Lavoro eventualmente adito deve tener conto all'esito
del successivo giudizio per la decisione sulle spese di
giudizio. Per tale ragione, ove il tentativo di
conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al
ricorso depositato ai sensi dell'art. 415 c.p.c. devono
essere allegati i verbali e le memorie concernenti il
tentativo di conciliazione non riuscito.
IN SEDE SINDACALE
Il tentativo di conciliazione può
svolgersi anche in sede sindacale. Ad esso non si
applicano le disposizioni di cui all'art. 410 c.p.c.
(per quanto concerne invio della richiesta, esposizione
dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della
pretesa, memoria, etc.).
Nel nuovo testo dell’art. 410
c.p.c. è stato eliminato il precedente richiamo alle
“procedure di conciliazione previste da contratti ed
accordi collettivi”: ciò induce a ritenere che il
tentativo di conciliazione in sede sindacale possa ora
essere esperito anche se la contrattazione collettiva
non lo prevede espressamente.
Il verbale di conciliazione in sede
sindacale deve essere depositato presso la Direzione
Provinciale del Lavoro a cura di una delle parti o per
il tramite di un'associazione sindacale. Il Direttore, o
un suo delegato, accertatane l'autenticità, provvede a
depositarlo nella Cancelleria del Tribunale nella cui
circoscrizione è stato redatto. Il Giudice, su istanza
della parte interessata, accertata la regolarità formale
del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con
decreto. Il verbale acquista in tal modo efficacia di
titolo esecutivo. Il titolo esecutivo è il documento che
consente, nel processo civile, di promuovere
l'esecuzione forzata.
La giurisprudenza, per quanto
concerne i requisiti di validità e di inoppugnabilità ex
art. 2113 c.c. dei verbali di conciliazione sottoscritti
in sede sindacale ai sensi degli artt. 410 e 411 c.p.c.,
considera invalido ed inidoneo a produrre gli effetti di
cui all'art. 2113 c.c. il verbale di conciliazione in
sede sindacale sottoscritto in assenza di uno dei due
conciliatori.
Le rinunce e le transazioni che
hanno per oggetto diritti del lavoratore derivanti da
disposizioni inderogabili di legge e dei contratti o
accordi collettivi non sono valide, a meno che non siano
contenute in verbali di conciliazione sottoscritti in
sede amministrativa, sindacale o giudiziale (artt. 185,
410, 411, 412-ter e 412-quater c.p.c.).
Di natura stragiudiziale, si
sostanzia nell'accordo fra le parti di una controversia
del lavoro realizzato con l'intervento e l'appoggio
delle associazioni sindacali di categoria.
Il D.Lgs. 31-3-1998, n.° 80, oltre
a riformare la materia del pubblico impiego, ha
apportato altresì significative modifiche in materia di
tentativo di conciliazione soprattutto allo scopo di
deflazionare i carichi di lavoro degli organi
giudicanti.
Antecedentemente, il tentativo di
conciliazione disciplinato dall'art. 410, c.p.c., di
carattere extragiudiziale, era meramente facoltativo e
non precludeva l'inizio del processo.
Attualmente, invece, l'art. 410
c.p.c. (come riformato dall'art. 36 D.Lgs. 80/98)
prevede che il tentativo di conciliazione
extragiudiziale sia obbligatorio: esso è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale e, in suo
difetto, il giudice deve sospendere il giudizio,
fissando alle parti un termine perentorio per proporre
il tentativo (art. 412, bis c.p.c.).
Pertanto, chi intende proporre in
giudizio una domanda relativa ai rapporti di lavoro di
cui all'art. 409 c.p.c. deve:
— o avvalersi delle procedure di
conciliazione eventualmente previste dai contratti o
accordi collettivi;
— o, non intendendo avvalersi delle
suddette procedure, promuovere, anche tramite
l'associazione sindacale di appartenenza, il tentativo
di conciliazione presso la commissione di conciliazione
nella cui circoscrizione si trova l'azienda.
La comunicazione della richiesta di
conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per
la durata del tentativo e per i 20 giorni successivi
alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di
decadenza.
Il tentativo di conciliazione
extragiudiziale, anche se nelle forme previste dai
contratti e accordi collettivi, deve essere espletato
entro 60 giorni dalla presentazione della richiesta.
Trascorso inutilmente tale termine,
il tentativo di conciliazione si considera comunque
espletato (art. 410 bis c.p.c.).
Se il tentativo di conciliazione
riesce, si forma processo verbale che è depositato nella
cancelleria del tribunale competente per territorio; il
giudice, su istanza della parte interessata, accertatane
la regolarità formale, lo dichiara esecutivo con decreto
(art. 411 c.p.c.).
Se la conciliazione non riesce, si
forma processo verbale con l'indicazione delle ragioni
del mancato accordo; in esso le parti possono indicare
la soluzione anche parziale sulla quale concordano,
precisando, quando è possibile l'ammontare del credito
che spetta al lavoratore. In quest'ultimo caso il
processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo,
osservate le disposizioni all'art. 411 c.p.c. (art. 412
c.p.c.).
Con la nota n.° 3428/2010 il
Ministero del Lavoro ha fornito le primemistruzioni
operative in ordine alle innovazioni apportate alla
procedura di conciliazione dall'art. 31 della legge 4
novembre 2010, n.° 183. Invero, con la legge n.° 183
(cd. Collegato Lavoro), in vigore dal 24 novembre 2010,
si conclude dopo poco più di un decennio l’esperienza
del tentativo obbligatorio di conciliazione presso le
Direzioni provinciali del lavoro, avviato dal decreto
legislativo 31 marzo 1998, n.° 80. Il tentativo di
conciliazione torna ad essere facoltativo,mentre permane
la obbligatorietà dello stesso unicamente in relazione
ai contratti certificati in base al decreto legislativo
10 settembre 2003, n.° 27 .
TENTATIVO OBBLIGATORIO DI
CONCILIAZIONE.-
Il tentativo di conciliazione è
obbligatorio in un solo caso: quando la futura
controversia giudiziale riguardi un contratto che è
stato certificato ai sensi dell’art. 75 del Decreto
Legislativo 10 settembre 2003, n.° 276, come modificato
dall’art. 30 comma 4 della Legge n.° 183/2010 (“al fine
di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, le parti
possono ottenere la certificazione dei contratti in cui
sia dedotta, direttamente o indirettamente, una
prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria
stabilita” nel titolo VIII del decreto legislativo n.°
276/2003).
Si precisa, in proposito, che sia
le parti che i terzi, nella cui sfera giuridica il
contratto certificato è destinato a produrre effetti,
possono adire l'autorità giudiziaria per:
erronea qualificazione del
contratto;
difformità tra il programma
negoziale certificato e la sua successiva attuazione;
vizi del consenso;
Tuttavia essi sono obbligati a
rivolgersi previamente alla stessa Commissione di
Certificazione che ha certificato il contratto e
chiedere che sia esperito il tentativo di conciliazione
ai sensi dell'art. 410 c.p.c.
DIFFERENZE CON LA CONCILIAZIONE
MONOCRATICA
La conciliazione ex art. 410 c.p.c.
non va confusa con la conciliazione monocratica ex art.
11 del Decreto legislativo n.° 124/2004, tenuta sempre
presso la Direzione Provinciale del Lavoro.
DECADENZE
A seguito della modica dell’art. 6
della Legge 15 luglio 1966, n.° 604, l’impugnazione del
licenziamento è inefficace se non è seguita entro il
termine di 270 (duecentosettanta) giorni - che decorrono
dal termine di decadenza di cui al primo comma dell’art.
6 cit. - dal deposito del ricorso nella Cancelleria del
Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro o dalla
comunicazione alla controparte della richiesta di
tentativo di conciliazione o arbitrato.
Qualora la conciliazione o
l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia
raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento,
il ricorso al Giudice del Lavoro deve essere depositato
a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o
dal mancato accordo.
Tali nuove disposizioni si
applicano anche:
a tutti i casi di invalidità
del licenziamento;
ai licenziamenti che
presuppongono la risoluzione di questioni relative alla
qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla
legittimità del termine apposto al contratto;
al recesso del committente nei
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa,
anche nella modalità a progetto;
al trasferimento ai sensi
dell’art. 2103 c.c., con termine decorrente dalla data
di ricezione della comunicazione di trasferimento;
all’azione di nullità del
termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli
artt. 1, 2 e 4 del Decreto legislativo 6 settembre 2001,
n.° 368, e successive modificazioni, con termine
decorrente dalla scadenza del medesimo;
ai contratti di lavoro a
termine stipulati ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 del
decreto legislativo 6 settembre 2001, n.° 368, in corso
di esecuzione alla data di entrata in vigore della legge
4 novembre 2010, n.° 183, con decorrenza dalla scadenza
del termine;
ai contratti di lavoro a
termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni
di legge previgenti al Decreto legislativo 6 settembre
2001, n.° 368, e già conclusi alla data di entrata in
vigore della legge 4 novembre 2010, n.° 183, con
decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore
della presente legge;
alla cessione di contratto di
lavoro avvenuta ai sensi dell’art. 2112 c.c. con termine
decorrente dalla data del trasferimento; in ogni altro
caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dall’art. 27
del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.° 276, si
chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto
di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del
contratto.
1Crisanto Mandrioli, DIRITTO
PROCESSUALE CIVILE, III Tomo; |