Alessandro M. Basso
??Secondo la tradizione inglese, i
contratti possono essere classificati, a seconda della
forma, in contracts of record (derivanti da una sentenza
di una Court of Record), contracts under seal
(costituiti da una o più promesse scritte) e simple (or
parol) contracts (contratti ordinari a forma libera).
Possono distinguersi, a seconda
dell’assunzione delle obbligazioni, tra unilaterali e
bilaterali; a seconda del modo in cui viene esternata la
volontà, tra express ed implied contracts e
quasi-contracts (indebito ed ingiustificato
arricchimento); a base individuale (presunzione di
eguaglianza sostanziale tra le parti) e per adesione
(una parte ha predisposto il formulario); a seconda se
le obbligazioni sono state già interamente o
parzialmente eseguite o sono ancora ineseguite, executed
ed executory contracts; transactions (istantanei) e
relations (di durata). Vi sono, poi, particolari tipi di
contratti (James).
Altra questione dibattuta anche
nella letteratura inglese è la causa: essa è, infatti,
strumento logico e tecnico ed appare connaturale
all’atto giuridico. La stessa promessa si intende
derivata da una sussistente causa (G. Basevi).
La causa è stata definita, in
un’alternarsi di identificazione oggettiva e soggettiva,
in più modi, come “la giustificazione del fenomeno
stesso del diritto” (Vedel), “formula magica” (R.
Wietholter), “il fine che si propongono le parti nel
conseguire la causa oggettiva del negozio”
(Diez-Picazo), “esistente nella natura delle cose” (D.
Guggenheim), “motivo giuridicamente sufficiente”
(Zachariae), “elemento identificato con l’interesse
perseguito dalle parti” (Carbonnier).
Diversamente, è stata definita come
poco utile e recante gravi confusioni (M. E. Storme),
concetto equivoco, polivalente, pericolosamente
indeterminato (E. Redenti, S. Pugliatti, E. Ferrara), un
punto molto discusso (M. Albaladejo), uno strumento
oscuro (Ghestin): le formule dottrinali della causa
sarebbero, cioè, imprecise (J. Maury) e la causa non
sarebbe una nozione unitaria (J. Ghestin) in quanto può
riferirsi si alle intenzioni dei contraenti che alla
funzione e/o all’equilibrio del contratto.
Alcuni ordinamenti hanno codificato
la definizione di causa (codice spagnolo del 1889),
altri l’hanno menzionata come causa dell’obbligazione
(codice svizzero del 1911), altri ordinamenti l’hanno
inglobata in altri istituti (codice napoleonico, codice
austriaco del 1811 e portoghese del 1966), l’hanno
ignorata (codice tedesco) o disciplinata nell’ambito del
contratto in generale e sottesa alla regolamentazione di
altri istituti (codice italiano). Più in partiocolare,
la causa non è stata codificata come elemento essenziale
del contratto nei sistemi scandinavi, nel codice del
Quebec e nel sistema tedesco.
Vi sarebbero, peraltro, differenti
tipologie di causa: causa del negozio, dell’attribuzione
patrimoniale, solvendi, credendi, donandi, onerosa,
gratuita, remuneratoria.
Secondo la tradizione francese, per
esempio, la causa è stata vista nell’ambito della
struttura ovvero delle condizioni di formazioni del
contratto (J. Carbonnier) in un duplice concetto
astratto ed oggettivo (attinente all’esistenza),
soggettivo e concreto (sulla liceità): da altri,
identificata con la funzione giuridica tipica di un dato
schema negoziale (Pugliatti), con la forma (Gorla) o con
la stessa funzione del contratto (Scognamiglio) e, cioè,
con l’oggetto, con il contenuto, con la sostanza o con
il tipo.
In dottrina italiana, la causa è
stata interpretata come strumento di controllo delle
pattuizioni private (Betti), come strumento di selezione
del consenso (Gorla), come la ragione pratica del
contratto ovvero l’interesse (oggettivo) che
l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare e,
cioè, causa in concreto dell’affare concluso (Bianca),
come funzione (utilità) economica sociale (Betti, Cass.
29-01-1983 n. 826) o economico-individuale (G.B. Ferri)
dell’atto di volontà (Galgano), come essenza del
contratto (Scognamiglio), per distinguere le operazioni
lecite da quelle illecite, per escludere od includere
rischi dell’area contrattuale (a seconda se trattasi di
scopo estraneo o intrinseco alla causa del contratto) e,
secondo la teoria classica dell’economia liberista del
1800, come corrispettività (nei contratti
sinallagmatici), prestazione (c. reali) o intento
liberale (donazioni).
La causa è, contemporaneamente,
ragione giustificatrice (fondamento) dell’atto, funzione
economica del negozio (fondamento dell’attribuzione
patrimoniale) ed intento pratico delle parti
(Pacchioni): è, cioè, criterio interpretativo del
contratto, di qualificazione e di adeguamento (Bessone,
Redenti).
In giurisprudenza, la causa
consisterebbe “nello scopo tipico che le parti si
propongono di conseguire” e costituirebbe “la ragione
ultima della loro determinazione volitiva” ed avrebbe
“una propria configurazione giuridica rispetto ai motivi
soggettivi delle parti” (Cass. 11-08-1980 n. 4921).
L’intento, pur se collegato alla causa, sarebbe, cioè,
concettualmente da essa: ne deriva, così, una diversa
concezione di importanza dell’inadempimento e, cioè, da
intendersi non in relazione alla valutazione che il
creditore abbia potuto fare del proprio interesse
violato bensì in relazione all’attitudine
dell’inadempimento a turbare l’equilibrio contrattuale
ed a reagire sulla causa e sul comune intento negoziale.
Così: una determinata prestazione
eseguita risulta compatibile con la causa di un tipo di
contratto, anche se estranea alla sua causa propria; le
prestazioni accessorie non implicano una modificazione
della causa del contratto; la nullità del contratto non
esclude il diritto, in quanto il requisito soggettivo
non rientra nella causa del contratto.
Si è, sostanzialmente, sostenuta
una tesi atomistica della causa ma anche la tesi opposta
di unitarietà (le due promesse che danno luogo al
contratto non sono autonome bensì interdipendenti) ed
addirittura di distinzione (con necessaria stretta
connessione) tra causa e principio causalistico.
I controlli da effettuare sulla
causa riguardano la sua esistenza in concreto, la
rilevanza giuridica e la liceità: così, la rescissione
pone la causa sotto forma di difetto genetico,
l’impossibilità sopravvenuta o l’eccessiva onerosità
sotto forma di difetto funzionale.
La causa, comunque, sarebbe
presupposta anche quando non menzionata mentre, in senso
opposto, è stato sostenuto che l’uso della causa sarebbe
non necessario in quanto abbinato ovvero implicito
all’illiceità dell’oggetto, alla violazione delle norme
imperative, dell’ordine pubblico e del buon costume.
Bibliografia generale
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Milano, 1993.
G. ALPA, M. BESSONE, V.
ZENO-ZENCOVICH, I fatti illeciti, in P. Rescigno,
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