Gianfranco Romano
(Estratto da Diritto e Processo
formazione n. 10/2011)
QUAESTIO IURIS
Le Sezioni Unite ritornano sulla
questione del riparto di giurisdizione in caso di
impugnazione del preavviso di fermo amministrativo di
beni mobili registrati. Nel caso di specie, il
contribuente aveva impugnato dinanzi alla commissione
tributaria provinciale competente per territorio un
preavviso di fermo di autovettura, riguardante cartelle
di pagamento sia per debiti tributari che
extratributari. La commissione adita accoglieva il
ricorso. La commissione tributaria regionale, invece,
accogliendo l’appello dell’agente della riscossione,
dichiarava il proprio difetto di giurisdizione,
ritenendo la controversia di competenza del giudice
ordinario.
1. Generalità
Il fermo di beni mobili registrati,
altrimenti noto come “ganasce fiscali” (da non
confondere con l’istituto del fermo amministrativo
previsto dall’art.69 del regio decreto n.2440 del 1923
sulla contabilità generale dello stato, nonché col fermo
amministrativo previsto dall’art 214 del nuovo codice
della strada, anche se con quest’ultimo condivide il
regime sanzionatorio) è istituto che trova disciplina in
seno all’art.86 del Decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (disposizioni sulla
riscossione delle imposte sul reddito), che dispone che
decorso inutilmente il termine di cui all'articolo 50,
comma 1 del medesimo decreto (cioè sessanta giorni dalla
notifica della cartella di pagamento), l’agente della
riscossione può disporre il fermo dei beni mobili del
debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici
registri, dandone notizia alla direzione regionale delle
entrate ed alla regione di residenza. Il fermo si esegue
mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei
registri mobiliari a cura dell’agente alla riscossione,
che ne dà altresì comunicazione al soggetto nei
confronti del quale si procede. È prevista una sanzione
amministrativa a carico di chiunque circola con veicoli,
autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo, e la
confisca del veicolo.
In buona sostanza, il fermo
amministrativo si estrinseca in una sorta di vincolo di
indisponibilità sul bene, opponibile ai terzi in quanto
iscritto nei pubblici registri, che priva il
proprietario destinatario del provvedimento del pieno
diritto di godimento sul bene medesimo. A differenza
dell’ipoteca legale disciplinata dal medesimo DPR
n.602/73, il fermo non genera alcuna causa di prelazione
in favore dei crediti per cui è azionato.
L’istituto, introdotto per la prima
volta nel nostro ordinamento dall’art.5 del decreto
legge n.669 del 1996, ha subito negli anni un
progressivo potenziamento. Originariamente il fermo,
disciplinato dall’art.91 bis del DPR n.602/73, poteva
avvenire soltanto dopo un tentativo infruttuoso di
esecuzione e poteva essere disposto ad opera non già del
concessionario, ma della direzione regionale delle
entrate e poteva avere ad oggetto solo veicoli a motore
e motoscafi. Con la riforma della riscossione di cui
alla legge n.46 del 1999, che, com’è noto ha in gran
parte riscritto il decreto sulla riscossione, la
disciplina del fermo veniva spostata in seno all’art.
86, veniva esteso esteso alla generalità dei beni mobili
registrati e veniva data la possibilità di eseguire il
fermo anche nei confronti dei soggetti coobbligati. Da
ultimo, l’art.1 comma 1 lettera q) del decreto
legislativo n.193 del 2001 ha attribuito direttamente al
concessionario alla riscossione il potere di emettere il
provvedimento ed ha eliminato il requisito del previo
tentativo di esecuzione.
Svincolato dunque dalla necessità
di effettuare previamente concreti tentativi di
esecuzione, il fermo amministrativo è ormai ampiamente
utilizzato nella prassi applicativa come strumento
ordinario per indurre il contribuente moroso ad
adempiere.
2. Il problema del riparto di
giurisdizione
La natura giuridica del fermo è
controversa, circostanza che ha determinato anche
estrema incertezza in ordine alla titolarità della
giurisdizione delle relative controversie.
Secondo una prima opinione, il
fermo sarebbe un provvedimento amministrativo
discrezionale nell’an e nel quid, circostanza da cui si
inferiva che la giurisdizione appartenesse al giudice
amministrativo (così Consiglio Stato, sez. VI, 18 luglio
2006, n. 4581 in Bollettino trib. 2006, 15-16, 1328).
Altri ritengono che il fermo
avrebbe natura cautelare, circostanza questa che secondo
taluni comportava l'attribuzione della giurisdizione al
giudice ordinario (così Tribunale Bari, ordinanza del 17
marzo 2003 in Giur. merito 2003, 1501), secondo altri al
giudice tributario (così Commissione tributaria
provinciale di Cosenza, Sez. I, sentenza 28 maggio 2003
n. 397/1/03 in Dir. e prat. trib. 2004, II, 984).
Secondo altro orientamento, fatto
proprio dalla giurisprudenza di legittimità, il fermo
sarebbe invece un atto che si inserisce nel processo di
espropriazione forzata esattoriale, e come tale le
controversie relative andavano attribuite alla
giurisdizione del giudice ordinario (così Cassazione
civile, sez. un., 23 giugno 2006, n. 14701 in Giust.
civ. Mass. 2006, 7-8).
In questo contesto di incertezza,
acuito dal sostanziale contrasto tra la giurisprudenza
della Cassazione da un lato e dal Consiglio di Stato
dall’altro, è intervenuto il legislatore nel 2006.
L’art.35 comma 26 quinquies del decreto legge n. 223
del 2006 così come modificato in sede di conversione
dalla legge n. 248 del 2006 ha introdotto in seno
all’art.19 comma 1 del decreto legislativo n.546 del
1992 le lettere e-bis) ed e-ter), così annoverando tra
gli atti autonomamente impugnabili dinanzi alle
commissioni tributarie rispettivamente l'iscrizione di
ipoteca sugli immobili di cui all'art. 77 del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602
e il fermo di beni mobili registrati di cui all'art. 86.
L’intervento del legislatore non ha
però sortito l’effetto di chiarire definitivamente la
questione del riparto di giurisdizione, dal momento che
è rimasta incerta la titolarità della giurisdizione
allorquando il fermo riguardi (o riguardi anche)
obbligazioni extratributarie.
Da un lato, si è affermato che il
legislatore ha soltanto ampliato il novero degli atti
impugnabili, ma non l’ambito della giurisdizione.
Infatti, l’elencazione degli atti autonomamente
impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie si
rinviene in seno all’art.19 del decreto legislativo
n.546 del 1992 (norma sulla quale è appunto intervenuta
la modifica del legislatore), laddove l’ambito della
giurisdizione è disegnato dall’art.2, cosicché il
giudice tributario sarebbe competente a conoscere del
fermo amministrativo solo quando sia correlato
all'iscrizione a ruolo di crediti di natura tributaria.
(così Comm.trib. prov.le Roma, sez. LXI, 16/05/2007, n.
173 in Bollettino trib. 2007, 14, 1232).
Dall’altro lato si è invece
affermato che la natura del credito sarebbe irrilevante,
e che tutte le controversie sul fermo sarebbero state
attribuite al giudice tributario, e ciò sulla base di
differenti considerazioni.
Secondo un primo punto di vista,
si è ritenuto che se la disposizione di cui
all'art. 35, comma 26-quinquies, del decreto legge
n.223/2006 fosse da interpretarsi nel senso che ha
attribuito alle Commissioni tributarie la giurisdizione
limitatamente ai fermi amministrativi azionati per
crediti tributari, la norma sarebbe inutile atteso
che non vi sarebbe stata alcuna necessità di un
intervento legislativo. D’altro canto, se è vero che,
come affermato dalla giurisprudenza della Cassazione, il
fermo è atto di esecuzione forzata, la disposizione si
porrebbe in contrasto con l’art.2 del decreto
legislativo n.546 del 1992 che esclude dalla
giurisdizione tributaria gli atti di esecuzione forzata
successivi alla notifica della cartella di pagamento.
Secondo tale prospettiva dunque si dovrebbe prendere
atto che il legislatore abbia voluto intervenire, al
fine di eliminare i contrasti attribuendo la
giurisdizione alle commissioni tributarie in ogni
caso di fermo amministrativo, azionato sia per crediti
di natura tributaria sia per crediti di natura non
tributaria (così Comm. Trib. Prov. Roma. sentenza del
24/07/2007 n. 269 reperibile su internet all’indirizzo
http://def.finanze.it/).
Un altro orientamento ha invece
ritenuto sussistere la giurisdizione esclusiva del
giudice tributario perché il fermo amministrativo
avrebbe natura di sanzione amministrativa irrogata da un
“ufficio finanziario” (tale sarebbe da considerare
l’agente della riscossione) e come tale da attribuire al
giudice tributario sulla base dell’art.2 del decreto
legislativo n.546 del 1992 (così Comm. Trib. Prov.
Milano. sentenza del 14/11/2007 n. 395 reperibile su
internet all’indirizzo http://def.finanze.it/). Tale
natura sanzionatoria emergerebbe dalla eliminazione del
previo esperimento negativo del pignoramento, che
avrebbe modificato, di fatto, la natura del fermo
amministrativo, svincolando tale procedura da
qualsiasi accertamento preventivo circa l'esistenza
di un pregiudizio effettivo o potenziale per la
realizzazione di un credito iscritto a ruolo, così
che l'atto avrebbe perso la sua natura cautelare,
acquisendo un carattere coercitivo, afflittivo e
sanzionatorio (così Comm. Trib. Prov. Roma, sentenza del
13/06/2007 n. 192 reperibile su internet all’indirizzo
http://def.finanze.it/).
La tesi dell’attribuzione esclusiva
al giudice tributario delle controversie in materia di
fermo, sembrava trovare sponda nell’ordinanza
n.3171/2008 delle Sezioni unite della Cassazione,
secondo cui “Il legislatore può, senza violare l'art.
102 cost. attribuire ai giudici tributari le
controversie che riguardino atti "neutri", cioè
utilizzabili a sostegno di qualsiasi pretesa
patrimoniale (tributaria o no) della mano pubblica. In
questo quadro, la legge 248/2006 ha inserito fra gli
atti elencati nell'art. 19 del D.lg. 546/1992, ed
impugnabili avanti alle commissioni Tributarie: "e bis)
l'iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all'art.
77 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973 n. 602, e successive modificazioni; e
ter) il fermo di beni mobili registrati di cui all'art.
86 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973 n. 602, e successive modificazioni; ciò
in quanto si tratta di misure collocate all'interno nel
sistema della esecuzione esattoriale, di matrice
tributaristica, cui il legislatore ha ritenuto di far
ricorso per facilitare la riscossione anche di entrate
non tributarie. Di conseguenza, il relativo contenzioso
riguarda questioni attinenti alla regolarità formale e
sostanziale della misura adottata; non alla fondatezza
della pretesa che ha dato luogo al provvedimento di
fermo ed alla iscrizione di ipoteca (dal momento che
questa fondatezza deve già essere stata accertata con
atti definitivi)” (Cassazione civile, sez. un.,
11/02/2008, n. 3171, in Diritto & Giustizia 2008).
L’argomento del fermo come “atto
neutro” non teneva tuttavia conto della circostanza che,
com’è noto, il comma 3 del più volte citato articolo 19
del decreto legislativo n.546 del 1992 prevede che “la
mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili,
adottati precedentemente all'atto notificato, ne
consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo”, cosa
che ovviamente non può avvenire dinanzi alle commissioni
tributarie, qualora l’atto presupposto non
precedentemente notificato esuli dalla giurisdizione del
giudice tributario.
Questo indirizzo interpretativo
tuttavia non si consolidava, anche a causa di due
importanti pronunce della Corte Costituzionale, la n.64
e la n.130 del 2008, che hanno posto un freno alla
tendenza espansiva della giurisdizione tributaria, la
prima affermando che l’attribuzione alla giurisdizione
tributaria di controversie non aventi natura tributaria
viola il divieto costituzionale di istituire giudici
speciali, la seconda, sulla stessa scia, affermando
l’illegittimità dell’art.2 del decreto legislativo n.546
del 1992 nella parte in cui attribuisce alla
giurisdizione tributaria le controversie relative alle
sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche
laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni
non aventi natura tributaria.
Con l’ordinanza n.14831 del 2008 le
Sezioni unite si adeguano a quanto stabilito dal giudice
delle leggi. Osservano le Sezioni unite che «Se questo
necessario ancoraggio alla natura tributaria del
rapporto è il fondamento della legittimità
costituzionale della giurisdizione tributaria, anche per
quanto riguarda il fermo bisogna affermare che in tanto
il giudice tributario potrà conoscere delle relative
controversie in quanto le stesse siano attinenti ad una
pretesa tributaria. Sicché deve essere affermato il
seguente principio di diritto: "La giurisdizione sulle
controversie relative al fermo di beni mobili registrati
di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 86, appartiene al
giudice tributario ai sensi del combinato disposto di
cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1 e art.
19, comma 1, lett. e ter), solo quando il provvedimento
impugnato concerna la riscossione di tributi” ».
Ed ancora: «L'affermato principio
di diritto non comporta conseguenze negative per
l'ipotesi che il fermo di beni mobili registrati
concerna una pluralità di pretese, solo alcune delle
quali di natura tributaria.
4.1. In una simile ipotesi,
infatti, qualora il ricorso non sia stato
originariamente proposto innanzi al giudice competente
in relazione alla specifica natura dei crediti posti a
fondamento del provvedimento di fermo, opererebbe il
principio della translatio iudicii che consente al
processo, iniziato erroneamente, in parte o in tutto,
davanti ad un giudice che non ha la giurisdizione
necessaria, di poter continuare davanti al giudice
effettivamente dotato di giurisdizione, onde dar luogo
ad una pronuncia di merito che conclude la controversia,
comunque iniziata, realizzando in modo più sollecito ed
efficiente il servizio giustizia, costituzionalmente
rilevante (v. Cass. S.U. n. 4109 del 2007). E' questo un
modo per assicurare il rispetto del principio del giusto
processo senza forzare il dato costituzionale
sull'ambito della giurisdizione tributaria:
l'applicazione della translatio iudicii rappresenta,
infatti, una adeguata tutela del cittadino che deve
avere la possibilità di ricorrere alle garanzie
apprestate dall'ordinamento sul piano giurisdizionale
attraverso un percorso lineare e privo di "trappole
formali", senza che tuttavia le esigenze di
semplificazione e celerità del processo si convertano in
una violazione dei limiti costituzionali.
4.2. Sicché il giudice adito dovrà
verificare se i crediti posti a fondamento del
provvedimento di fermo oggetto dell'impugnazione siano
crediti di natura tributaria - ipotesi nella quale
sussisterà la giurisdizione del giudice tributario - o
crediti di natura non tributaria - ipotesi nella quale
sussisterà la giurisdizione del giudice ordinario - e,
in esito a tale accertamento, affermerà o declinerà la
propria giurisdizione, nel primo caso, trattenendo la
causa per la decisione del merito; nel secondo caso,
rimettendo la stessa, innanzi al giudice competente.
Tanto avverrà anche nell'ipotesi in cui il provvedimento
di fermo oggetto di impugnazione concerna più crediti di
diversa natura (tributaria e non): in tal caso il
giudice adito separerà le cause, trattenendo quella per
la quale egli ha giurisdizione e rimettendo la restante
al giudice competente. Il debitore potrà in ogni caso
proporre originariamente l'impugnazione separatamente
innanzi ai giudici diversamente competenti in relazione
alla natura dei crediti posti a base del provvedimento
di fermo contestato. »
3. Il preavviso di fermo.
Impugnabilità e giurisdizione.
Il “preavviso” di fermo non è
previsto dalla legge, esso è stato istituito
dall'Agenzia delle Entrate con nota n. 57413 del 9
aprile 2003, che ha disposto che i concessionari, una
volta emesso il provvedimento di fermo amministrativo
del bene mobile registrato, ma prima di procedere alla
iscrizione del medesimo, comunichino al contribuente
moroso un avviso ad adempiere al debito entro venti
giorni, decorsi i quali si provvederà a rendere
operativo il fermo. La suddetta nota dell'Agenzia delle
Entrate dispone inoltre che tale preavviso valga come
comunicazione di iscrizione del fermo a decorrere dal
ventesimo giorno successivo.
Il preavviso di fermo è tipicamente
l’unico atto che viene portato a conoscenza del
contribuente. Si è posto dunque il problema se il
suddetto preavviso costituisca un atto autonomamente
impugnabile in commissione tributaria e, più in
generale, se il destinatario del preavviso abbia un
concreto interesse ad agire ai sensi dell’art.100 del
codice di procedura civile.
Secondariamente, visto che il
preavviso di fermo non è stato ricompreso, in quanto
tale, nell’elencazione degli atti impugnabili di cui
all’art.19 del decreto legislativo n.546, si può porre
il problema se per lo stesso non debba considerarsi
sempre soggetto alla giurisdizione ordinaria (come
probabilmente ritenuto dalla commissione tributaria
regionale nel caso di cui alla sentenza in commento).
In giurisprudenza si sono
registrate e, purtroppo, ancora si registrano posizioni
diverse in ordine alla impugnabilità del preavviso.
Secondo un primo orientamento, il
preavviso di fermo, non spiegherebbe alcuna efficacia
nella sfera giuridica del destinatario. Secondo
Cassazione civile, sez. II 23/07/2008 n. 20301 “il cd.
preavviso di fermo non solo non è previsto come atto
tipico della normativa di riferimento, ma non arreca
alcuna menomazione al patrimonio, non essendovi dubbio
che, fino a quando il fermo non sia stato iscritto ai
pubblici registri, il presunto debitore può esercitare
pienamente tutte le facoltà di utilizzazione e di
disposizione del bene, senza essere soggetto alla
sanzione amministrativa di cui all'art. 214 C.d.S.,
comma 8, che punisce chiunque circoli con veicoli,
autoscafi ed aeromobili sottoposti al fermo (e non al
preavviso di fermo).
Ne deriva che il debitore
destinatario del preavviso, ai sensi dell'art. 100
c.p.c. è carente di interesse ad adire il giudice, non
essendosi prodotta alcuna lesione della sua sfera
giuridica, anche in considerazione del fatto che il
fermo precede l'esecuzione esattoriale in senso stretto,
che inizia con il pignoramento (art. 491 c.p.c.).
Il preavviso di fermo dunque è atto
non previsto dalla sequenza procedimentale
dell'esecuzione esattoriale.
Si obietta che l'esattore, una
volta inviato il preavviso di fermo, non effettua altra
comunicazione, così che detto atto, decorso il termine
assegnato per il pagamento, assumerebbe valore di
comunicazione di iscrizione del fermo.
Tale tesi non ha pregio, atteso che
in base ad essa verrebbero meno tutte le prerogative,
sostanziali e procedimentali che regolano la materia;
infatti, l'efficacia del fermo (e secondo alcuni la
stessa giuridica esistenza di esso come fattispecie
complessa a formazione progressiva - fermo - iscrizione
- comunicazione) è condizionata alla comunicazione che,
una volta eseguita l'iscrizione del provvedimento, deve
essere data al proprietario del bene, al quale, dal
momento in cui il fermo diventa efficace, è inibita la
circolazione; ne segue che la comunicazione del fermo
costituisce atto indefettibile della serie
procedimentale, in mancanza del quale non può concepirsi
il venire in essere di un atto implicito, difforme da
quello tipico espresso, come delineato normativamente
nei suoi requisiti di efficacia. Va, conclusivamente sul
punto, considerato che l'eventuale accoglimento del
ricorso avverso il preavviso di fermo non (o non ancora)
seguito da iscrizione, si risolverebbe nella anomala
inibizione di una attività (futura) così introducendosi
nell'ordinamento processuale una categoria di sentenze
che suscita serie perplessità.
L'annullamento del preavviso di
fermo si risolverebbe, in definitiva, in un
provvedimento inutile, essendo dato per un atto del
tutto privo di efficacia e che, pur non essendo previsto
dall'ordinamento, come presupposto del fermo, non
impedirebbe, anche se in ipotesi annullato, al
concessionario di emanare il relativo provvedimento
tipico, richiedendone l'iscrizione” (così Cassazione
civile, sez. II, 23/07/2008, n. 20301 in Il civilista
2009, 12, 21).
Di opinione diversa l’ordinanza
n.10672 del 2009 delle Sezioni unite, che affronta ex
professo il tema dell’impugnabilità del preavviso di
fermo, secondo cui “Il fatto che il preavviso di fermo
amministrativo non compaia esplicitamente nell'elenco
degli atti impugnabili contenuto nel D.Lgs. n. 546 del
1992, art. 19, non costituisce un ostacolo, in quanto,
secondo un principio già affermato da questa Corte, e
che il Collegio condivide, l'elencazione degli atti
impugnabili, contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art.
19 va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio
alle norme costituzionali di tutela del contribuente
(artt.24 e 53 Cost.) e di buon andamento della p.a.
(art. 97 Cost.), che in conseguenza dell'allargamento
della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448
del 2001. Con la conseguenza che deve ritenersi
impugnabile ogni atto che porti, comunque, a conoscenza
del contribuente una ben individuata pretesa tributaria,
in quanto sorge in capo al contribuente destinatario,
già al momento della ricezione della notizia,
l'interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire,
con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più
modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e,
quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale,
comunque, di controllo della legittimità sostanziale
della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori
vantati dall'ente pubblico (v. Cass. nn. 21045 del 2007,
27385 del 2008). Pertanto deve essere affermato il
seguente principio di diritto: "Il preavviso di fermo
amministrativo D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 86, che
riguardi una pretesa creditoria dell'ente pubblico di
natura tributaria è impugnabile innanzi al giudice
tributario in quanto atto funzionale, in una prospettiva
di tutela del diritto di difesa del contribuente e del
principio di buon andamento della pubblica
amministrazione, a portare a conoscenza del medesimo
contribuente, destinatario del provvedimento di fermo,
una determinata pretesa tributaria rispetto alla quale
sorge ex art. 100 c.p.c. l'interesse del contribuente
alla tutela giurisdizionale per il controllo della
legittimità sostanziale della pretesa impositiva” (così
Cassazione civile, sez. un., 11 maggio 2009, n.10672 in
Riv. Dir.Trib. 2009, 7-8, 539).
LA SOLUZIONE DI Cassazione, Sez.
Unite Civili, 2 agosto 2011, n. 16858
“Come eccepisce la parte
ricorrente, la giurisdizione per le controversie di
natura tributaria che traggono origine, come nella
specie, da un atto impositivo (nella specie cartella
esattoriale e/o preavviso di fermo) appartengono alla
giurisdizione del G.T., secondo quanto prescritto dagli
artt. 2 e 19 del d.lgs. 546/1992. Sul punto la
giurisprudenza di questa Corte ha già fornito chiare e
condivise indicazioni (v. Cass SS. UU. 10672/2009,
11087/2010).
Conseguentemente, il ricorso deve
essere accolto, e la sentenza impugnata va cassata nella
parte in cui la CTR ha declinato la giurisdizione anche
in relazione alle controversie di natura tributaria”.
CONCLUSIONI
La sentenza in commento è
importante perché ribadisce l’autonoma impugnabilità del
preavviso di fermo (la giurisprudenza di merito continua
talvolta ad orientarsi in modo diverso) e consolida
altresì l’orientamento in tema di riparto della
giurisdizione, che vuole i limiti della giurisdizione
tributaria saldamente ancorati alla natura tributaria
del rapporto sottostante.
Sebbene questa sia, de iure
condito, probabilmente la soluzione più corretta, non si
può non rilevare come la necessità di proporre cause
separate per l’impugnazione del medesimo atto finisce
per raddoppiare i costi a carico del contribuente e
quindi, in definitiva, a comprimerne il diritto
costituzionalmente tutelato di agire in giudizio per
difendere i propri diritti ed interessi legittimi.
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