La ripresa fotografica da parte di
terzi lede la riservatezza della vita privata ed integra
il reato di cui all’articolo 615-bis c.p., sempre che
vengano ripresi comportamenti sottratti alla normale
osservazione dall’esterno, essendo la tutela del
domicilio limitata a ciò che si compie in luoghi di
privata dimora in condizioni tali da renderlo
tendenzialmente non visibile ad estranei. Ne consegue
che se l’azione, pur svolgendosi in luoghi di privata
dimora, può essere liberamente osservata senza ricorrere
a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio
non può vantare alcuna pretesa al rispetto della
riservatezza. (Fattispecie relativa ad una ripresa
fotografica dalla strada pubblica di due persone che
uscivano di casa e si trovavano in un cortile visibile
dall’esterno). La logica della statuizione in parola fa
perno sul concetto di agevole osservabilità dall’esterno
di quanto si compia in uno degli spazi protetti
dall’articolo 614 c.p. sull’evidente presupposto, a
contrario, che colui che, pur trovandosi in uno di quei
luoghi, si esponga, per libera scelta, all’osservazione
altrui non può, per ciò solo, invocare la particolare
tutela dell’articolo 615 bis.
Nella sentenza si legge:
Orbene, la struttura del fatto,
come descritta dai giudici di merito, non escludeva
certamente l’anzidetta condizione dell’agevole
osservabilità.
Sennonchè, la fattispecie in esame
presentava un altro profilo, che valeva ad escludere il
carattere abusivo dell’attività di interferenza,
consentendo di individuare un ulteriore connotato utile
alla compiuta definizione della nozione di indebito,
nell’accezione recepita dal legislatore.
In ultima analisi, non sembra,
infatti, revocabile in dubbio che la tutela apprestata
dal legislatore postuli la liceità dell’attività svolta
in ambito privato, potendo, diversamente, l’intrusione
nell’altrui privacy ritenersi comunque coonestata, tanto
più in presenza di un diritto, il cui esercizio si
intenda garantire o la cui violazione si voglia
accertare o prevenire.
Ed invero, anche ad ammettere, sia
pure con innegabile forzatura linguistica, che
l’attività di costruzione di un muro di confine
costituisca, davvero, fatto afferente
all’imperscrutabile vita privata altrui, la
realizzazione del manufatto in prossimità di un confine
prediale postula il rispetto delle prescrizioni
civilistiche.
Vero e’ che il privato, che ritenga
di poter subire un pregiudizio dall’iniziativa del
vicino ha la possibilità di adire l’autorità competente,
ma e’ pur vero che l’intervento della forza pubblica
puo’ rivelarsi, ove davvero possibile, del tutto vano,
qualora quell’attività sia legittima sul piano
amministrativo (per il possesso di titolo
autorizzazione), e nondimeno illecita sul versante
civilistica, per l’inosservanza delle anzidette
prescrizioni. Nel qual caso, al privato resterebbe solo
l’esperimento delle azioni civili previste a tutela
della proprietà ed anche del possesso, ma pure in
siffatta prospettiva avrebbe innegabile diritto a
documentare, con ogni mezzo (non esclusa appunto la
ripresa fotografica o filmata), l’epoca dell’altrui
costruzione, essendo, peraltro, risaputo che, ai fini
dell’ordinaria azione di nunciazione (denuncia di nuova
opera) di cui all’articolo 1170 c.c., e’ necessario il
rispetto del termine di un anno dall’inizio della nuova
opera.
5. – L’insussistenza del reato di
cui all’articolo 615 bis va venir meno, come è ovvio,
anche il reato di cui all’articolo 660 c.p., posto che,
nella formulazione dell’addebito, le molestie sono state
configurate solo mediante l’attività di ripresa
fotografica e filmata per petulanza e comunque per altro
biasimevole motivo, che, per quanto si e’ detto, non e’
ipotizzabile nel caso di specie e non e’ neppure,
diversamente, ipotizzato.
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