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DIRITTO ALLA RISERVATEZZA PER I PAZIENTI AFFETTI DA SINDROME DA IMMUNODEFICIENZA.-Dott.ssa Mariagrazia Mazzaraco-Diritto e processo.com

 

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La Legge n. 135/90 afferente la divulgazione dei dati sanitari nella delicata sindrome da immunodeficienza presta il fianco alla problematica inerente la violazione tra la tutela della salute pubblica, prevalente rispetto al diritto alla salute individuale piuttosto che il rispetto per la dignità del soggetto, diritti tutti costituzionalmente riconosciuti e tutelati.

 

L'apparente rivalità tra la Legge menzionata ed il D. Lgs. n. 196/2003 meglio conosciuto quale Codice in materia di protezione dei dati personali, si risolve a favore della prima che, seppur nel pieno rispetto della tutela della privacy in materia sanitaria, introduce parametri altamente rigidi e restrittivi. Emblematico è l'art. 5 della Legge n. 135/90 “Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS” che come già precisato dal D. Lgs. n. 196/2003, impone rigorosamente il rispetto della riservatezza delle persone affette da AIDS anche al fine di prevenire eventuali misure discriminatorie e danni dei sieropositivi, i commi 3° "nessuno può essere sottoposto ad analisi senza il proprio consenso", 4° "il risultato degli esami diagnostici può essere comunicato solo all'interessaato" e 5° "l'accertata infezione da HIV non può produrre conseguenze discriminatorie specie in ambito scolastico, sportivo e lavorativo" ne sono "l'espressione chiarificatoria".

 

La sentenza n. 218/94 della Corte Costituzionale fa eco al 3° co. della Legge n. 135/90 riconoscendo la legittimità degli esami sull'AIDS: "come condizione per l'espletamento di attività che comportano rischi per la salute dei terzi".

 

In materia è intervenuta anche la Suprema Corte Penale con la sentenza n. 44712/2008 per regolamentare gli eventuali comportamenti irresponsabili ed omissivi posti in essere dal soggetto affetto dalla sindrome da immunodeficienza che qualora non adottasse tutte le dovute cautele per evitare il contagio, incorrerebbe in responsabilità civile e penale.

 

A tutela della privacy e del diritto alla salute pubblica, l'Authority per la protezione dei dati personali, ha fatto presente che non può procedersi arbitrariamente a comunicare ai familiari e/o al partner lo stato di sieropositività del soggetto affetto senza il suo preventivo consenso; parimenti dicasi per il medico accertatore.

 

In ultima analisi si intravede la specifica volontà a voler tutelare la dignità del paziente, a salvaguardarlo da eventuali comportamenti discriminatori perpetrati a suo danno piuttosto che preservarne la salute collettiva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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