Per i giudici amministrativi non
sarebbe stata lesa l’immagine e il prestigio della
Marina Militare. Le attitudini sessuali attengono alla
sfera privata, e non hanno riflesso sullo status
militare
E’ illegittimo il procedimento
disciplinare che rimuove i gradi ad un ufficiale della
Marina Militare, punito per aver pubblicato le sue foto
su un sito Internet per incontri sessuali gay.
Lo stabiliscono i giudici del Tar
di Genova con una sentenza che decide il ricorso di un
ufficiale della Marina in servizio in Liguria contro il
Ministero della Difesa.
Il Tar ha accolto la tesi della
difesa, secondo la quale il comportamento dell’ufficiale
non ha arrecato “nessuna lesione all’immagine e al
prestigio della Marina Militare“.
La vicenda trae origine circa un
anno fa e si conclude nel febbraio del 2011 con un
provvedimento disciplinare che irroga all’ufficiale la
sanzione più pesante: “Perdita di grado per rimozione“.
La commissione disciplinare della Marina militare ha
ritenuto infatti che la condotta dell’uomo abbia
pregiudicato “il senso di responsabilità, con i doveri
attinenti al giuramento prestato ed al grado rivestito,
nonché con i doveri di correttezza ed esemplarità propri
dello status di miliare”, e si sarebbe manifestata nella
“pubblicazione su un sito Web, di libero accesso agli
utenti, di fotografie che ritraevano l’incolpato in pose
equivoche contenenti l’offerta di prestazioni sessuali“.
Tra i motivi del ricorso elencati
dalla difesa, i giudici amministrativi si sono
soffermati soprattutto su quello strettamente collegato
alle libertà personali, e su questo hanno basato
l’annullamento della sanzione e il reintegro del
capitano. Il comportamento censurato sarebbe
“espressione delle proprie inclinazioni sessuali,
strettamente attinente alla vita privata e” soprattutto
“non avrebbe avuto alcun riflesso sullo svolgimento del
servizio né sullo status di ufficiale“.
L’ufficiale della Marina si è
difeso sostenendo anche di aver sempre tenuto separate
la professione dalle sue preferenze sessuali. Nessun
riferimento alla sua vita pubblica compariva infatti nei
messaggi che accompagnavano le foto esplicite sul sito
gay. Vero è che l’ufficiale aveva pubblicato il suo
numero di cellulare, ma lo stesso inquirente che ne
aveva chiesto la condanna aveva ammesso che senza la sua
specifica ammissione “avrei avuto difficoltà ad
identificarlo“.
Il Tar, inoltre, pur riconoscendo
la discrezionalità di giudizio del corpo militare
contesta che sia stata applicata all’ufficiale la pena
più alta, ricordando che avrebbero potuto essere
comminate sanzioni “maggiormente adeguate“.
Implicitamente, dalla sentenza
emerge come l’omofobia possa essere stata una componente
del procedimento disciplinare. “La circostanza – scrive
il Tar ligure - che il comportamento censurato attenga
all’inclinazione sessuale odiosamente e scandalosamente
palesata dal ricorrente, non depone affatto per la
gravità tout court dei fatti addebitati” e poi ricorda
che la legge sulla parità di trattamento in materia di
condizioni di lavoro, anche nelle forze armate, non
tollera discriminazioni per “handicap, età, religione,
convinzioni personali e, per quel che qui più rileva,
orientamento sessuale“.
Tar Liguria 1593/2011
N. 01593/2011
REG.PROV.COLL. N. 00548/2011 REG.RIC. REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale
Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione
Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso
numero [...]
Testo
N. 01593/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00548/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 548 del 2011,
proposto da:
Mxxxx Rxxxxx, rappresentato e difeso dagli avv. Daniele
Granara, Giorgio Carta, con domicilio eletto presso
Daniele Granara in Genova, via Bartolomeo Bosco 31/4;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in
Genova, v.le B. Partigiane, 2;
per l’annullamento
SANZIONE DISCIPLINARE
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero
della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2011
il dott. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti i
difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente, capitano di fregata della Marina
Militare, in servizio presso la scuola telecomunicazioni
delle Forze Armate di Chiavari, ha impugnato la sanzione
della perdita di grado per rimozione- – contenuta nel
decreto del 4 febbraio 2011 – infittagli dal Vice
Direttore generale della direzione generale per il
personale militare del Ministero della Difesa.
A fondamento dell’impugnazione ha dedotto, sul piano
formale, la violazione delle norme e dei criteri che
disciplinano il procedimento disciplinare, e, su quello
sostanziale, l’irragionevolezza della sanzione c.d. di
stato in ragione del fatto che il comportamento
censurato afferirebbe esclusivamente alla vita privata
senza alcun riflesso sullo status di militare né sul
servizio disimpegnato.
L’amministrazione si è costituita in giudizio chiedendo
la reiezione del ricorso.
Accolta la domanda incidentale di tutela cautelare (ord.
n. 283/2011), confermata in appello (Consiglio di Stato,
sez. IV, n. 3759/2011), alla pubblica udienza del
6.10.2011, la causa, su richiesta delle parti, è stata
trattenuta in decisione.
DIRITTO
E’ impugnata la sanzione della perdita di grado per
rimozione comminata, ai sensi degli artt. 70 n. 4 e 73
lett. c) l. 10 aprile 1954 n.113, al ricorrente
ufficiale superiore della Marina Militare.
La condotta, ritenuta gravemente lesiva del prestigio e
dell’immagine dell’amministrazione militare, tale da
pregiudicare (come si legge testualmente nell’atto
impugnato) “il senso di responsabilità, con i doveri
attinenti al giuramento prestato ed al grado rivestito,
nonché con i doveri di correttezza ed esemplarietà
propri dello status di miliare”, s’è manifestata nella
pubblicazione su un sito web, di libero accesso agli
utenti internet, di fotografie che ritraevano
l’incolpato in pose equivoche contenenti l’offerta di
prestazioni sessuali.
Ad avviso del ricorrente il procedimento disciplinare,
che ha dato stura alla sanzione di stato impugnata,
sarebbe affetto dai seguenti vizi di forma:
già all’atto della nomina dell’ufficiale inquirente,
ossia dell’addetto all’istruttoria del procedimento, il
Comandante capo avrebbe espresso il giudizio poi
riprodotto “tal quale” nella sanzione, condizionando il
corso dell’istruttoria;
il procedimento disciplinare avrebbe accusato
ingiustificata soluzione di continuità, essendo stata
illegittimamente riaperta l’istruttoria, già conclusa,
per fatti già conosciuti al momento dell’avvio;
infine, non sarebbero stato osservato né il termine
perentorio di 270 giorni per l’adozione della sanzione
(avvenuta il 22 02.2011) che avrebbe dies a quo il 30
marzo 2010 data di piena conoscenza dei fatti, né quello
di 90 giorni dall’avvio del procedimento disciplinare.
Sul piano sostanziale, lamenta infine che il
comportamento censurato, espressione delle proprie
inclinazioni sessuali, strettamente attinente alla vita
privata, non avrebbe avuto alcun riflesso sullo
svolgimento del servizio né sullo status di ufficiale:
in definitiva, a suo dire, nessun vulnus sarebbe stato
recato al corpo d’appartenenza.
Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
L’indagine diacronica del procedimento e del contenuto
degli atti smentisce le deduzioni in fatto su cui si
basa il primo ordine di censure.
Contrariamente a quanto esposto nell’atto introduttivo,
il procedimento è stato tempestivamente promosso il
1°aprile 2010; s’è poi articolato nell’ordine di
deferimento al giudizio del consiglio di disciplina
dell’8 giugno 2010; ha quindi fatto seguito il
supplemento d’istruttoria (d. 5.07.2010) conseguente
all’acquisizione di nuovi elementi, per il tramite di
atti contenuti in un plico di provenienza anonima,
riguardanti gli stessi addebiti mossi al ricorrente.
Correttamente l’amministrazione, una volta conosciuti i
nuovi elementi, ha implementato l’istruttoria,
consentendo oltretutto al ricorrente con riguardo ai
fatti ulteriori di potersi difendere.
Sicché sia l’adozione del giudizio conclusivo del
procedimento disciplinare adottato dal consiglio di
disciplina il 23.12.2010 che la comminatoria della
sanzione del 4 febbraio 2011 sono tempestivi.
Né inficia la legittimità del procedimento la nota con
la quale il Comandante capo, all’atto di nominare
l’ufficiale inquirente, ha censurato il comportamento
del ricorrente, esprimendo una valutazione che ha
trovato riscontro nell’atto impugnato.
In realtà il giudizio, enfaticamente estrapolato dal
ricorrente dal contesto complessivo dell’atto nel quale
è espresso, in relazione ai fatti addebitati, dà conto
della contestazione mossagli dall’amministrazione:
sicché, di fatto, si è tradotto in una ulteriore
garanzia per l’incolpato che fin dall’avvio del
procedimento ha avuto esatta cognizione della ragione
giustificatrice del procedimento disciplinare.
A diversa conclusione deve invece giungersi per l’ordine
di censure sostanziali.
La sanzione impugnata, la più grave fra quelle
astrattamente previste dall’ordinamento militare che ne
occupa, muove da un presupposto indimostrato: la
condotta censurata sarebbe “gravemente lesiva del
prestigio e dell’immagine dell’amministrazione
militare”.
Le risultanze istruttorie, contenute nella relazione
finale dell’ufficiale inquirente, sono a riguardo in
fatto dirimenti:
“le foto esposte nella pagina web non contengono alcun
riferimento specifico allo status del ricorrente”;
“il portale in cui erano riportate era un portale
straniero”;
“le stesse – afferma testualmente l’ufficiale inquirente
– non sono facilmente riconducibili all’inquisito,
tant’è che se non ci fosse stata l’esplicita ammissione
da parte dell’ufficiale medesimo, avrei avuto difficoltà
ad identificarlo”.
L’unico elemento oggettivo che collega il comportamento
censurato alla carica militare rivestita è la
coincidenza del numero telefonico del cellulare esposto
nelle pagine web e comunicato all’amministrazione
militare.
Vero è che il sindacato di legittimità avente ad oggetto
le sanzioni disciplinari a carico dei militari incontra
limite nell’apprezzamento discrezionale riservato
all’amministrazione in ordine sia alla valutazione della
gravità del comportamento ai fini disciplinari che alla
proporzionalità tra gravità dei fatti contestati e
sanzione irrogata.
Nondimeno, il travisamento dei fatti, vizio sintomatico
dell’eccesso di potere, che, sul piano della coerenza
logica della valutazione attinta si traduce
nell’irragionevolezza ed illogicità manifesta della
sanzione, è campo d’elezione del riscontro di
legittimità.
Nel caso in esame i fatti accertati dall’ufficiale
inquirente, circa l’assenza di alcun concreto riflesso
della condotta dell’incolpato sullo status di militare,
sono stati tenuti in non cale: viceversa la sanzione dà
per scontato quello che non è laddove con espressione
generica fonda la rimozione dal grado sulla grave
lesione inferta al prestigio ed all’immagine
dell’amministrazione militare.
La circostanza poi che il comportamento censurato
attenga all’inclinazione sessuale odiosamente e
scandalosamente palesata dal ricorrente (cfr. fotografie
depositate in giudizio), non depone affatto per la
gravità tout cort dei fatti addebitati.
È significativo a riguardo l’art. 3, comma 2, lett e)
d.lgs. 9 luglio 2003 n. 216 laddove estende alle forze
armate la parità di trattamento in materia di
occupazione e condizione di lavoro fra le persone
indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni
personali, dagli handicap, dall’età ed infine, per quel
che qui più rileva, dall’orientamento sessuale.
Aggiungasi che i vincoli di lealtà, correttezza, dignità
e decoro che astringono il miliare al corpo
d’appartenenza, tanto più vincolanti in ragione del
grado rivestito dall’incolpato, sono pur sempre
riferiti, ai sensi degli artt. 10 comma 2, 18 e 36 commi
1, 2 e 3 lett a) del RDM, nel caso di comportamento ad
essi contrario, al disvalore causato al prestigio ed
all’immagine del corpo.
In altri termini la violazione sanzionata ha una
struttura bifasica: oltre al comportamento contrario al
codice (assiologico) che informa la condotta
dell’ufficiale miliare occorre accertare l’offesa
concretamente inferta al prestigio del corpo.
L’indagine sistematica dell’ordinamento sanzionatorio
complessivo è a riguardo significativo.
Nel diritto penale si è, ad esempio, sviluppato un
orientamento interpretativo a carattere teleologico che
reputa irrilevante il fatto di reato, ove il bene in
concreto leso si riveli di valore estremamente modesto,
anche nei reati di danno astratto (es. furto), nei
quali, a differenza di quanto accade nei reati di danno
in concreto (es. truffa), sarebbe invero precluso al
giudice l’accertamento della mancanza del danno giacché
in tali ipotesi è il legislatore a stabilire a
priori cosa sia dannoso o meno.
Nel diritto amministrativo, l’ordine di rimessione in
pristino ai sensi dell’art. 19 l. n. 241/90 per opere
eseguite in forza di SCIA non conformi alla disciplina
di settore è subordinato al riscontro della presenza di
effetti lesivi (recte dannosi) dell’attività
invalidamente avviata e proseguita fino alla ricezione
del provvedimento di divieto.
Nel diritto civile laddove il risarcimento del danno
assume funzione sanzionatoria (es. artt. 2059 e 185
c.p.), alla lesione dell’interesse protetto s’accompagna
la prova del danno conseguente, ancorché non rigidamente
parametrata a dati oggettivi, la cui liquidazione tiene
conto dell’effetto deterrente proprio del risarcimento
(curvato) a fini latamente punitivi.
In definitiva, ai sensi della disciplina specifica
richiamata, confortata altresì dalle indicazioni che si
traggono dalla comparazione dei diversi regimi
sanzionatori, la violazione disciplinare imputabile al
militare è tale se e nella misura in cui al
comportamento contrario ai vincoli di fedeltà e dignità
s’aggiunga il nocumento recato al prestigio ed
all’immagine del corpo.
Una doppia verifica dunque, che, sebbene riservata
all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione, ha
indefettibili presupposti: in primo luogo,
l’accertamento dei fatti; ed, in secondo, l’espressa
indicazione delle ragioni che, pur in (eventuale)
assenza di puntuali riscontri di fatto sull’offesa
concretamente sofferta dall’istituto militare in
conseguenza del comportamento tenuto dal militare,
inducano l’amministrazione militare comunque a ritenere
leso il prestigio e l’immagine del corpo in misura tale
giustificare la destituzione l’incolpato (da ultimo, sul
punto, specificamente, Cons. St., sez. III, 6 giugno
2011 n. 3371).
Sicché l’assenza dei primi, per evidenti esigenze di
tutela dell’incolpato, deve essere supplita (almeno)
dall’indicazione dei motivi, discrezionalmente valutati
dall’amministrazione ma oggettivamente apprezzabili in
sede di giudizio di legittimità, in base ai quali si
ravvisi la lesione all’immagine del corpo.
In caso contrario, come in quello che ne occupa,
residuano, è appena il caso di aggiungere, le altre
sanzioni conservative astrattamente comminabili,
maggiormente adeguate alla gravità dei fatti come
accertati.
In ragione della fondatezza parziale del ricorso
sussistono giustificati motivi per compensare le spese
di lite
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in
epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla
l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del
giorno 6 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:
Enzo Di Sciascio, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore
Davide Ponte, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/11/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Pubblicato da Redazione |