di Silvano Carletti
Il ridisegno delle regole del
sistema finanziario internazionale procede a ritmo
serrato ma in modo inevitabilmente diseguale. Tra gli
obiettivi per cui è rilevabile un ritardo c’è quello del
conseguimento di un effettivo level playing field,
espressione con la quale s’intende sottolineare la
necessità di evitare che le opzioni e le discrezionalità
nazionali impediscano un’applicazione effettivamente
unitaria della regolamentazione concordata a livello
internazionale (il cd single rulebook).
Chi sostiene l’opportunità di
accrescere l’impegno nel perseguimento di questo
obiettivo fa spesso riferimento ad alcune circostanze
evidenziatesi con forza nel recente passato: a) le
differenze tra le diverse giurisdizioni inducono spesso
gli operatori a un’attività di arbitraggio regolamentare
che indebolisce l’efficacia dell’intera normativa; b) la
presenza di molteplici discrezionalità nazionali
complica non poco la gestione e la vigilanza degli
operatori bancari con operatività transnazionale (nel
caso della Ue si tratta di quasi 50 gruppi titolari di
oltre due terzi delle attività bancarie totali); c) in
un contesto di crescente integrazione anche il “paese
più rigoroso” è comunque esposto al contagio da parte di
operatori residenti in altri paesi.
Non privi di fondamento però sono
anche gli argomenti di chi non ritiene importante il
raggiungimento di un level playing field. In
particolare, si sostiene che l’obiettivo di un terreno
competitivo effettivamente paritario sarebbe più
efficacemente perseguito attraverso un sistema di
vincoli opportunamente (seppure limitatamente)
differenziati in funzione dei diversi profili gestionali
piuttosto che attraverso regole uguali per tutti (one
size doesn't fit all). Si sottolinea inoltre che
l’attività delle autorità ha finora solo sfiorato il
tema fiscale, un fattore che direttamente o
indirettamente contribuisce non poco a differenziare il
contesto operativo nei singoli paesi.
Lo stato di avanzamento del
processo di adozione delle regole di Basilea 2, Basilea
2.5 e Basilea 3
Nelle settimane scorse il Comitato
di Basilea ha pubblicato i risultati di un monitoraggio
sullo stato di avanzamento della riforma normativa in 45
paesi, di cui 27 aderenti all’Unione Europea. Il
documento si concentra sui tre momenti essenziali della
recente riforma bancaria internazionale: le regole di
Basilea 2, la cosiddetta Basilea 2.5 e il rafforzamento
patrimoniale dettato da Basilea 3, accordo che dovrebbe
partire da gennaio 2013.
Lo status raggiunto da ciascun
paese nel processo di adozione di queste novità
regolamentari viene graduato su quattro livelli: 1)
nessun regolamento (neppure in bozza) ancora
predisposto; 2) pubblicata una bozza di regolamento; 3)
regolamento approvato; 4) regolamento entrato in vigore.
L’adozione di Basilea 2, messa a
punto nel giugno 2004 e prevista a partire da inizio
2007, risulta completata in 39 paesi su 45; in altri 4
(Cina, Russia, Turchia, Stati Uniti) la fase di
applicazione risulta ancora in corso; in un caso
(Argentina) si sta ancora predisponendo la bozza del
regolamento (fase 1), in un altro (Indonesia) si è
giunti alla fase 3. Questi ultimi due paesi dovrebbero
completare il processo entro il 2012.
Più articolata la situazione per
quanto riguarda le norme di Basilea 2.5 che disegnano
sia una diversa considerazione delle operazioni di
cartolarizzazione sia un inasprimento del sistema di
ponderazione per l’attività di trading. L’applicazione
di queste norme, concordate nel luglio 2009, dovrebbe
cominciare ad inizio 2012. A settembre 2011, 4 paesi
erano giudicati già pronti alla sua applicazione (Cina
India, Svizzera, Singapore); l’Unione europea ha
perfezionato e approvato (ottobre 2010) la necessaria
direttiva per l’applicazione di queste novità normative
(CRD3) ma solo alcuni paesi hanno concluso il processo
di recepimento; una decina di paesi (alcuni aderenti
alla Ue) dichiarano comunque di poter essere pronti per
la data stabilita.
Per quanto riguarda Basilea 3 solo
l’Arabia Saudita risulta aver completato il regolamento
attuativo. La Ue ha avviato il processo di adozione
delle novità normative mettendo a punto (luglio 2011)
una bozza di Direttiva (CRD4); Cina e Sud Africa si
trovano in una fase analoga a quella della Ue; gli altri
paesi esterni alla Ue sono in una fase più iniziale del
processo.
A qualificare come insoddisfacente
quanto conseguito con riferimento all’obiettivo del
level playing field è soprattutto lo stato di adozione
delle regole di Basilea 2 negli Stati Uniti. Oltre ad
essere avvenuta in ritardo (aprile 2008) e in modo
parziale, l’applicazione delle regole di Basilea 2 ha
interessato negli Stati Uniti solo gli istituti molto
grandi e attivi a livello internazionale.
Per il calcolo della rischiosità
dell’attivo le autorità americane hanno consentito solo
l’adozione del sistema avanzato, richiedendo un test su
un periodo di almeno quattro trimestri consecutivi. A
fine 2009 appena una delle banche statunitensi obbligate
ad adottare Basilea 2 aveva iniziato questo test, con le
altre attivatesi solo nel 2010. Di fatto, le autorità di
vigilanza statunitensi non hanno completato per nessuna
banca il processo di validazione del sistema di
valutazione del rischio. Ne consegue che anche per le
grandi banche attive a livello internazionale i
coefficienti patrimoniali in vigore risultano calcolati
con i criteri di Basilea 1.
E’ opportuno, tuttavia,
sottolineare che diversamente da altri paesi le autorità
di vigilanza statunitensi hanno adottato una clausola di
salvaguardia che impedisce che nel passaggio da Basilea
1 a Basilea 2 la dotazione di capitale delle banche
possa subire riduzioni.
L’approccio non lineare della Ue al
problema
Anche per l’Europa sono
individuabili discontinuità nel perseguimento
dell’obiettivo di un “terreno operativo uguale per
tutti”.
A fine 2010 il Comitato di Basilea
ha pubblicato la versione definitiva di Basilea 3. Per
diventare vincolanti per le banche europee le nuove
norme dovranno completare un lungo percorso la cui prima
fase è il recepimento nell’ordinamento comunitario, un
passaggio che assumerà la forma di quarta modifica alla
direttiva sull’adeguatezza patrimoniale delle banche e
delle imprese d’investimento (CRD4, Capital Requirements
Directive). Nel luglio scorso è stata pubblicata una
prima bozza di questa direttiva che nei prossimi mesi
dovrà ricevere l’approvazione del Parlamento europeo.
Nell’Unione europea le nuove regole
si applicheranno a tutte le banche, indipendentemente
dalla dimensione, dalla categoria di appartenenza e
dalla proiezione geografica dell’attività.
Nella predisposizione della CRD4 le
autorità europee hanno largamente condiviso il principio
della “armonizzazione massima” nella convinzione che
l’uso delle discrezionalità nazionali finisca con il
produrre distorsioni competitive e allontani
dall’obiettivo di creare condizioni operative uguali tra
i diversi paesi dell’Unione. Si tratta di un evidente
allontanamento da quella logica di “armonizzazione
minima” che aveva in precedenza ispirato l’azione di
Bruxelles e che aveva consentito la formulazione di
oltre 150 varianti nazionali nel quadro europeo dei
requisiti patrimoniali.
Questo mutato orientamento nel
livello di armonizzazione esclude anche la possibilità
di “deviazioni” di natura virtuosa, cioè requisiti più
alti (gold plating), una scelta che può determinare
conflitti con le decisioni di alcuni paesi Ue. È questo
il caso ad esempio, del Regno Unito ove è iniziato il
processo di attuazione delle proposte formulate dalla
Commissione Vickers.
Il principio della “massima
armonizzazione” adottato nella CRD4 non tocca però la
tempistica perché gli stati membri sono lasciati liberi
di anticipare le norme contenute nella direttiva. |