Il Governo Monti ha di fronte a sé
una missione quasi impossibile. Il primo passo dovrebbe
essere tagliare i costi della politica adeguando gli
stipendi dei parlamentari a quelli dei colleghi europei.
Basterebbe tagliare i vitalizi (ancora basati sul
sistema retributivo) e le varie indennità di cui godono
i nostri rappresentanti che pesano per quasi due terzi
sul loro compenso totale. Un intervento di questo tipo
darebbe un forte segnale di discontinuità sullo stile di
questo governo. Con il consenso popolare ottenuto
sarebbe più facile poi chiedere sacrifici a tutti gli
italiani.
A detta dello stesso Presidente del
Consiglio, il governo Monti ha di fronte a sé quasi una
missione impossibile; ma le missioni impossibili si
possono fare in situazioni eccezionali e con un grande
consenso popolare. Che la situazione sia eccezionale,
con i mercati azionari in caduta libera e la
frantumazione in atto dell’area euro - per colpe a
questo punto non solo nostre, ma anche di una politica
europea che è perfino difficile definire, tanto appare
di sotto a quanto sarebbe necessario - è innegabile. Che
il consenso popolare anche sia al momento molto ampio è
confermato da tutti i sondaggi; solo che questo rischia
di evaporare rapidamente se il governo Monti non
prenderà le decisioni giuste e con le necessarie
priorità. Il governo non può dunque permettersi di
commettere errori; e un mezzo errore è sicuramente stato
che l'unico provvedimento varato nella prima riunione
del Consiglio dei Ministri sia stato il decreto per Roma
capitale --un provvedimento di spesa che esclude il
Comune di Roma dai vincoli del patto di stabilità
interno e aumenta il numero di consiglieri comunali.
Qualunque fosse l’urgenza di questo provvedimento, non
poteva essere l'unico del primo Consiglio dei Ministri.
Il prossimo, in programma domani, deve dare un segnale
ben diverso.
I COSTI DELLA POLITICA
La condizione necessaria perché le
riforme e gli indispensabili sacrifici siano accettabili
dalla popolazione è che questi siano fatti avendo un
chiaro obiettivo in mente e senza dare l’impressione che
si voglia penalizzare qualche ceto o gruppo sociale,
risparmiando invece qualcun altro. E tra i diversi ceti
che non devono essere risparmiati al primo posto ci sta
sicuramente la nostra classe politica, responsabile
principale - anche senza voler fare di tutta un’erba un
fascio, e senza confondere le responsabilità di chi è
stato a governo con quelle di chi è stato
all’opposizione – della gravissima crisi in cui ci
troviamo.
Come noto e ampiamente documentato
su questo sito, i costi della politica in Italia sono
esorbitanti, per la moltiplicazione degli enti
rappresentativi e la presenza di un sottobosco esteso
che di rapporti con la politica vive; lo stipendio medio
dei parlamentari italiani è quasi il triplo di quanto
dovrebbe essere sulla base di ragionevoli confronti
europei; i parlamentari italiani godono di benefici
ignoti ai rappresentanti popolari di altri paesi, quali
non solo una retribuzione particolarmente elevata, ma
ampi sussidi (non tassabili), formalmente definiti come
rimborsi ma attribuiti senza alcun giustificativo, che
da soli rappresentano un cospicuo extra stipendio.
Infine, mentre i lavoratori con meno di 53 anni sono già
passati al sistema contributivo da 15 anni e si progetta
di accelerare il passaggio al sistema contributivo anche
per le coorti più anziane, i vitalizi dei nostri
parlamentari continuano felicemente a essere costruiti
sulla base di un generosissimo sistema retributivo.
LE INDENNITÀ DEI PARLAMENTARI
C’è dunque ampio spazio per un
intervento. E non vale l’argomento che le assemblee
rappresentative sono sovrane nel determinare i propri
compensi e i propri privilegi; è comunque il governo che
ne propone l’appannaggio complessivo nelle leggi di
bilancio in cui fissa le allocazioni per Camera e
Senato. La sola componente della remunerazione dei
Parlamentari fissata per legge (in base all'art. 69
della Costituzione) è l'indennità dei parlamentari.
Questa è oggi fissata per i deputati in 8965 euro lordi,
al netto della quota contributiva per l'assegno
vitalizio (€ 1.006,51) e delle ritenute, e in circa 9500
euro lordi per i senatori. Al netto delle tasse, le
indennità consistono in circa 5247 euro per i deputati e
5613 per i senatori. In aggiunta a questa indennità i
deputati ricevono come trasferimenti netti la diaria
(3503 euro), e una serie di emolumenti forfettari che in
teoria servono per il rimborso di alcune spese, quali il
mantenimento del rapporto con gli elettori (3690 euro),
le spese di viaggio (3995 euro al trimestre per chi
risiede a più di 100 Km di distanza) e telefoniche
(circa 300 euro al mese) per un totale di 8783 euro al
mese; per i senatori il totale di questi "rimborsi" è di
9330 euro al mese. Si tratta di trasferimenti netti, su
cui non vengono versate tasse o contributi, attribuiti a
titolo di forfait, senza che venga richiesto di esibire
alcuna ricevuta. Quando sommati all'indennità dei
parlamentari, portano il compenso netto mensile al di
sopra dei 14.000 euro. Si noti che la componente
accessoria delle retribuzione vale quasi due terzi del
totale e non è associata ad alcuna entrata per le casse
dello Stato.
UNA NUOVA LEGGE NON SERVE
Basterebbe tagliare questa
componente accessoria della retribuzione per avvicinarsi
in modo sensibile ad una condizione di parità con
politici in altri paesi europei. E questo può essere
fatto semplicemente decurtando il bilancio della Camera
e del Senato (1). Moltiplicando le cifre di cui sopra
per il numero di deputati e senatori si raggiunge la
cifra di circa 100 milioni all'anno. Quindi una semplice
variazione di bilancio, che riduca l'allocazione
complessiva di Camera e Senato per quella cifra,
attualmente pari a 993 milioni per la Camera e a 560
milioni per il Senato, obbligherebbe le due Camere a
tagliare drasticamente le componenti accessorie della
retribuzione. Ad esempio, gli uffici di presidenza di
Camera e Senato potrebbero decidere che i rimborsi
vengano concessi solo a fronte di ricevute di spese
effettivamente sostenute o che i collaboratori dei
politici vengano pagati direttamente dalle due Camere e
non dagli stessi parlamentari --il che permetterebbe tra
l'altro di regolarizzare la loro posizione contributiva
(ahinoi, a proposito di illegalità diffusa, molti
parlamentari hanno collaboratori che lavorano in nero).
In altre parole, si raggiungerebbe
l'obiettivo di ridurre da subito in modo significativo i
compensi dei parlamentari senza la necessità di dover
varare alcuna nuova legge. Interventi futuri, pur
necessari, potrebbero essere affrontati in seguito con
la normale attività legislativa. Certo, sta sempre al
Parlamento rifiutare o respingere la variazione di
bilancio, ma bisogna vedere chi, nel contesto
emergenziale in cui ci troviamo, avrebbe il coraggio di
opporsi ad un intervento che potrebbe da subito
consentire di risparmiare risorse e ridurre il debito
pubblico.
Insomma, è davvero importante
partire con il piede giusto. E partire subito. Siamo
convinti che un intervento di questo tipo darebbe un
forte segnale di discontinuità agli italiani sullo stile
di questo governo e li renderebbe assai più disponibili
ad accettare i sacrifici necessari.
(1) Si osservi che i Presidenti di
Camera e Senato, pur nella situazione di estrema
difficoltà del Paese, hanno, come denunciato da Sergio
Rizzo e Gianantonio Stella, finora chiesto al Tesoro di
mantenere invariato il proprio appannaggio per il
prossimo triennio. E si osservi anche, a titolo di
confronto, che la Camera inglese, pur con un numero di
deputati maggiore (650), ha un appannaggio che è circa
la metà di quello della nost |