di Michele Di Stefano
Lo scorso 7 febbraio i segretari
generali della Flai-Cgil e della Fillea-Cgil hanno
inviato al parlamento una bozza di proposta di legge
volta ad introdurre nell’ordinamento il reato di
caporalato. Il legislatore ha recepito il segnale e
nell’articolo 12 del D. L. n° 138/2011 ha disciplinato
il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento
del lavoro.
Nel corso degli ultimi anni i
riflettori dei sindacati e del Legislatore hanno fatto
luce sul cd. caporalato del XXI secolo, la frusta
moderna che lascia dei segni indelebili nella mente e
sul corpo degli schiavi di nuova generazione. Il
protagonista di questa forma di sfruttamento dell’uomo e
del suo lavoro è il caporale, ossia un uomo spesso di
origine straniera, che, in un contesto di criminalità
organizzata internazionale, recluta la forza lavoro nei
paesi dell’est Europa ma non solo, la conduce negli agri
delle regioni prevalentemente del sud Italia,
all’interno di locali dismessi, malandati e insalubri,
privi di servizi e confort, di cui illegalmente si è
impossessato e la “vende” ai proprietari terrieri.
Mediante le informazioni acquisite dagli ingannevoli
annunci di offerte di lavoro in Italia, pubblicati nei
giornali locali e in siti internet, gli immigrati
intraprendono contatti diretti con coloro che poi si
riveleranno i loro futuri “padroni” e, giunti nel bel
paese, ad attenderli sarà, in sostituzione della
prospettata occupazione dignitosa, la riduzione in
schiavitù. I malcapitati, che sono costretti a faticare
nei campi dall’alba fino a notte inoltrata per una
manciata di euro al mese - da cui i caporali sottraggono
una somma destinata al pagamento dell’affitto dei sudici
casolari in cui vengono segregati, quelle poche ore
concessegli per la soddisfazione dei bisogni primari -
non denunciano la disastrosa situazione in cui vivono
per paura di ripercussioni sulla propria famiglia in
patria.
Il monitoraggio di questo fenomeno
induce la CGIL a redigere una bozza di proposta di
legge intenta a codificare il reato di caporalato, che
sancisce la tipicità della condotta dei rei (caporale e
beneficiario del lavoro intermediato) i quali,
nell’esercizio della “compravendita” di forza lavoro,
sfruttano lo stato di bisogno e di necessità in cui
versano i disoccupati di lunga durata, i clandestini,
gli svantaggiati in genere ovvero esercitano nei loro
confronti raggiri o comportamenti intimidatori. Al suo
verificarsi consegue l’applicazione delle pena detentiva
e dell’ammenta nel cui calcolo rileva l’esistenza delle
circostanze aggravanti del reclutamento dei minori, di
un numero di lavoratori superiore a tre e della
sottoposizione degli sfruttati a prestazioni pericolose
o a trattamenti personali degradanti. Alla irrogazione
delle sanzioni penali si aggiunge il divieto di
partecipazione a gare d’appalto pubbliche, ai benefici
concessi dallo stato o da altri enti pubblici, la
confisca dei beni, del denaro e delle altre utilità di
cui i condannati non possono giustificare la provenienza
e di cui risultano titolari a qualsiasi titolo in valore
sproporzionato rispetto al reddito dichiarato. Mediante
un rinvio al D. Lgs. n° 231/2001, l’articolato prevede
inoltre la responsabilità amministrativa della persona
giuridica, società, associazione, a beneficio della
quale la persona fisica ha commesso l’illecito, anche se
materialmente dal suo compimento l’organizzazione non ha
conseguito dei concreti vantaggi.
La proposta CGIL individua la fonte
del problema - concretantesi nella presenza in Italia di
un notevole numero di lavoratori stranieri, irregolari,
disposti a lavorare in condizioni estenuanti - ed è
dotata degli strumenti idonei a prosciugarla quando
colloca, accanto alla deterrente norma di diritto
penale, la predisposizione di politiche di
reintegrazione sociale dirette ad insegnare agli
immigrati la lingua italiana e gli standard minimi di
tutela che consentono di distinguere le offerte di
lavoro regolare dalle situazioni di sfruttamento.
Il nucleo della bozza di proposta
di legge è stato recentemente fatto proprio dal
Legislatore italiano che, nell’articolo 12 della manovra
d’agosto (D.L. n° 138/2011, convertito in legge lo
scorso 14 settembre), ha introdotto il nuovo reato di
caporalato. La norma inserisce all’interno del libro II,
titolo XII, Capo III, del codice penale gli articoli 603
bis e 603 ter. Il primo, che abbandona la logica
plurisoggettiva del delitto, presente nell’articolato
ispiratore, identifica il reo solo in colui che recluta
la mano d’opera e nulla dice sulla responsabilità del
soggetto che dal lavoro intermediato trae vantaggio.
Altro elemento di novità è l’analitica identificazione
degli indici dello sfruttamento nella violazione della
normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di
lavoro che espone il lavoratore a pericoli per la
propria salute, sicurezza, incolumità, nel suo impiego
in luoghi insalubri e degradanti e nell’erogazione della
retribuzione in misura inferiore alla soglia minima
garantita dall’art. 36 Cost. . Secondo il dettato
dell’articolo 603 ter la condanna per il delitto, contro
la persona, di caporalato determina l’irrogazione delle
pene accessorie dell’interdizione dagli uffici direttivi
delle persone giuridiche o delle imprese,
dell’impossibilità di stipulare o concludere contratti
di appalto, sub appalto, di forniture di opere, beni e
servizi, con la p.a., l’esclusione per un periodo di
anni 2, estendibili a 5 in caso di recidiva, dai
finanziamenti e agevolazioni erogati a livello nazionale
e comunitario. Nel testo di legge, incomprensibilmente,
scompare la previsione di quei percorsi di
reintegrazione sociale, formativi, informativi,
d’istruzione, di cui alla proposta CGIL e indispensabili
al contenimento del nuovo caporalato.
L’analisi evidenzia che durante
questo ultimo anno il maggiore sindacato e il
Legislatore si stanno impegnando a “cospargere, negli
agri della nostra penisola, i pesticidi idonei ad
indebolire la radice malata da cui i campi sono
affetti”. Tuttavia la sua completa estirpazione richiede
ulteriori tecniche di intervento quali l’introduzione di
politiche dirette a ridurre la pressione fiscale e
contributiva, in modo da rendere il lavoro regolare più
concorrenziale rispetto a quello sommerso, ad accelerare
e snellire le procedure ed i tempi di smaltimento delle
richieste di autorizzazione all’assunzione di lavoratori
stranieri, insieme all’effettivo monitoraggio del
territorio, utile a garantire - con l’utilizzo di una
massiccia presenza sui luoghi di forze dell’ordine ed
ispettori del lavoro - l’accertamento della corretta
applicazione della legge. Non meno importante è la
subordinazione dell’accesso degli imprenditori agricoli
ai preziosi fondi nazionali e comunitari alla prova
dell’applicazione ai propri dipendenti dei contratti di
categoria, attraverso l’annuale esibizione
all’ispettorato del lavoro dei registri di paga e delle
fatture di consegna della merce, documenti da cui
leggere la trasparenza delle condotte, mediante
l’incrocio dei dati relativi agli utili d’esercizio e al
costo del lavoro, pena la restituzione dei benefici già
conseguiti e l’interdizione dal ricevimento di quelli
futuri.
Queste misure, insieme all’adozione
delle indicate tecniche repressive e preventive appaiono
il modo più accreditato per cercare di sconfiggere il
mostro che si sta impadronendo delle campagne italiane e
tornare a garantire al lavoratore della terra la tutela
di posizioni costituzionalmente garantite. |