Buzzoni Alessandro
Nel tentativo di chiarire uno tra i
punti più controversi della disciplina codicistica in
materia di intercettazioni telefoniche, i giudici di
legittimità hanno avvalorato il principio
dell’inutilizzabilità delle informazioni rese dai
confidenti di polizia giudiziaria (combinato disposto di
cui agli artt.203, comma 1, 1-bis e 267 comma 1-bis del
Cpp), seppure fornite nella sola fase investigativa,
qualora i medesimi non siano stati interrogati ovvero
ascoltati a titolo di sommarie informazioni, atteso che
le norme sopra riportate pongono un generale divieto sia
al giudice delle indagini preliminari che allo stesso
pubblico ministero nei casi di urgenza, nel motivare i
rispettivi provvedimenti di intercettazione sulla base
delle notizie scaturite da fonti anonime o in ogni caso
incognite e, come tali, non sottoponibili ad
accertamento in sede giurisdizionale sino al momento del
concreto riconoscimento delle stesse.
La questione
La vicenda in esame trae origine da
un provvedimento del Tribunale del Riesame mediante il
quale si disponeva il rigetto della relativa istanza ex
art.309 Cpp, avanzata nei confronti di un’ordinanza del
giudice delle indagini preliminari che aveva applicato
la misura della custodia cautelare in carcere a carico
di alcuni soggetti, indagati per il delitto di tentata
estorsione aggravata e continuata.
Gli indagati ricorrevano per
Cassazione avverso il provvedimento di rigetto del
Tribunale del Riesame, denunciando violazione di legge e
vizio di motivazione del provvedimento impugnato, sia in
riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza che delle necessità cautelari.
Veniva in particolare desunta la
nullità dell’ordinanza cautelare alla luce del combinato
disposto di cui agli articoli 203, 266, 267 e 271 del
codice di procedura penale, da cui sarebbe derivata
l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni
telefoniche dei colloqui, in base ai quali invece il
provvedimento del Tribunale distrettuale aveva
giustificato le proprie argomentazioni.
Ed invero, la doglianza avanzata
dai ricorrenti faceva leva sulla contestata legittimità
dei decreti autorizzativi delle predette
intercettazioni, nonché sulle relative motivazioni, che
a parere dei ricorrenti riposavano sui risultati di una
primitiva intercettazione ordinata urgentemente dal
pubblico ministero sulla base, tuttavia, di una semplice
nota della direzione investigativa antimafia con cui si
erano ritenuti sussistenti gravi indizi di reato alla
luce delle “riservate acquisizioni investigative”.
La risoluzione della Corte di
legittimità
Le predette “riservate acquisizioni
investigative”, cioè le notizie ottenute dai c.d.
informatori confidenziali di polizia, giammai possono
rappresentare quegli indizi di reato che, secondo il
giudizio insindacabile della Corte di Cassazione, siano
in grado di fondare validamente i conseguenti
provvedimenti autorizzativi.
Sul punto, per la Corte, appare già
sufficientemente chiaro il richiamo operato dal
combinato disposto di cui agli articoli 203 comma
1,1-bis e 267 comma 1-bis del Cpp che, in linea con i
principi di cui all’art.111 Cost., “impongono che al
provvedimento del giudice per le indagini preliminari e
a quello urgente del pubblico ministero in materia di
intercettazioni, rimanga estraneo tutto ciò che proviene
da fonti anonime o comunque ignote, come tali non
assoggettabili a verifica giurisdizionale fino al
momento dell’identificazione delle stesse”.
Nello stesso senso si era del resto
già espressa tempo addietro la stessa sezione con altra
decisione (Cass.pen.sez.VI, 3 dicembre 2007, O.L.M.E.,
in Ced Cass. n.239458; Esiste tuttavia una pronuncia di
segno contrario resa da Cass.sez.II, 7 ottobre 2010, X,
seppur con riferimento alla ricerca del latitante).
La Corte di legittimità pertanto,
non ha potuto che disporre l’annullamento dell’ordinanza
impugnata con rinvio della stessa per un nuovo esame al
Tribunale distrettuale. |