UNA POSSIBILE INTERPRETAZIONE
ALTERNATIVA ALL’IPOTESI GIURISPRUDENZIALE DEL
COLLEGAMENTO NEGOZIALE TRA PRELIMINARE DI VENDITA,
COMODATO E MUTUO GRATUITO
di Girolamo Mendola e Gianluca
Ludovici
Introduzione.
Una prassi abbastanza frequente nel
settore delle compravendite immobiliari è costituita,
come noto, dal ricorso alla stipulazione di contratti
preliminari cui, a differenza di quanto sarebbe lecito
attendersi per un simile rapporto negoziale, vengono
ricollegati dalle parti una serie di conseguenze
fattuali e giuridiche che prendono il nome di “effetti
anticipati”1. L’attribuzione di una tale efficacia è
dovuta alla necessità prettamente materiale del
promissario acquirente di entrare in diretto contatto
con la res, ancor prima che si realizzi l’effetto
traslativo della vendita ovvero ancor prima che si
perfezioni l’accordo sul trasferimento della proprietà
del bene immobile e ciò per le ragioni più differenti:
indisponibilità di altri luoghi in cui dimorare,
necessità di eseguire lavori di ripristino dello stato
dei luoghi o di manutenzione degli stessi, volontà di
apportare all’immobile modifiche strutturali e
funzionali ( magari, prodromiche all’esercizio di
un’attività o di una professione ) per mezzo di imprese
di propria esclusiva fiducia o, addirittura,
personalmente, assenza di documentazione amministrativa
relativa alla porzione immobiliare, etc...
Sin qui, nulla quaestio; la
disponibilità materiale dell’immobile da parte del
promissario acquirente è transeunte, temporanea ed
esclusivamente finalizzata alla realizzazione di quella
immediata utilità per la quale si acconsente
all’anticipazione di alcuni degli effetti altrimenti
derivanti dal solo contratto definitivo di
compravendita. Concreti problemi sorgono, invece,
laddove ad una tale situazione ed in pendenza del
contratto preliminare carente di termine essenziale, non
si addivenga in tempi rapidi alla stipulazione della
vendita definitiva. Quid iuris? L’interrogativo ha ad
oggetto, o sarebbe meglio dire aveva ad oggetto, dopo
l’intervento della Corte di Cassazione, Sezioni Unite,
con sentenza 27.03.2008, n. 79302, la possibilità di
individuare in capo al promissario acquirente
beneficiario degli effetti anticipati della
compravendita immobiliare la qualifica di possessore e,
conseguentemente, trascorso ininterrottamente il termine
ventennale, la possibilità di spendere tale qualifica
ai fini dell’esercizio dell’usucapione. In altri
termini, la questione affrontata dalla giurisprudenza in
esame può riassumersi come segue: può il promissorio
acquirente di un bene immobile, che abbia avuto la
pacifica ed indisturbata disponibilità materiale della
cosa per oltre venti anni, rivendicarne l’acquisto per
usucapionem ed agire giudizialmente per ottenerne
l’accertamento e la declaratoria oppure resistere in
giudizio introducendolo in via di eccezione?
La risposta, come si vedrà,
presuppone la risoluzione di una questione di diritto
che si pone nei confronti della prima in termini di
pregiudizialità logico-giuridica. Appare evidente,
infatti, come, al fine di giungere alla soluzione
corretta, sia necessario ricondurre la complessa
fattispecie fattuale in esame agli istituti più
elementari ( e soprattutto codificati ) del nostro
ordinamento, per poi ricavarne una disciplina
soddisfacente ed in linea con i tradizionali principi
giuridici.
Lo scopo della presente analisi è
quello pertanto di tentare di ricostruire il rapporto
negoziale determinato dalla stipulazione di un contratto
preliminare di vendita immobiliare con effetti
anticipati cui non segua la redazione del definitivo, in
modo più semplice di quello elaborato dalla
maggioritaria giurisprudenza di legittimità ed avallato
infine dalle Sezioni Unite, pur facendo salve le
conclusioni di ordine sostanziale ( detenzione anziché
possesso, esclusione dell’acquisto per usucapione ) cui
si perviene e che appaiono rispondenti a criteri di
giustizia sostanziale ed equità. Si tratterà di
verificare, dunque, se esistano in primis altre
soluzioni accettabili, ove per tali debbono intendersi
soluzioni ugualmente convincenti sul piano dogmatico, e,
in secondo luogo, se queste appaiano materialmente
soddisfacenti per gli operatori del settore in cui
l’istituto in esame è chiamato a svolgere il suo ruolo
più attivo; il tutto, preferendo, infine, la
ricostruzione più semplice, in ossequio, da un lato, al
metodo prediletto del frate e filosofo inglese Guglielmo
di Occam ( che appare sempre opportuno tenere a mente
quando si compiono simili attività ermeneutiche ) e,
dall’altro, a ragioni di necessario pragmatismo,
altrettanto opportune ed importanti in casi, in cui lo
strumento giuridico deve trovare applicazione in
contesti caratterizzati da evidente praticità.
Il punto di vista della
giurisprudenza.
Come anticipato nella parte
introduttiva, la giurisprudenza di merito e di
legittimità si è più volte pronunciata sulla
questione della possibilità di derivare una posizione
di possesso dalla situazione di fatto creatasi a seguito
della stipulazione di un contratto preliminare di
vendita immobiliare con effetti anticipati. Spunto di
riflessione per la presente analisi è stato costituito
dalla più recente Cass., sentenza 09.06.2011, n. 12634,
che facendo seguito a Cass., sentenza 01.03.2010, n.
4863 e Cass., sentenza 26.01.2010, n. 1296, offre
l’occasione per rimeditare il principio di diritto
elaborato e dichiarato dalle Sezioni Unite della Suprema
Corte con sentenza 27.03.2008, n. 7930, secondo cui
“nella promessa di vendita, quando viene convenuta la
consegna del bene prima della stipula del contratto
definitivo, non si verifica un’anticipazione degli
effetti traslativi, in quanto la disponibilità
conseguita dal promissario acquirente si fonda
sull’esistenza di un contratto di comodato
funzionalmente collegato al contratto preliminare,
produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto,
la relazione con la cosa, da parte del promissorio
acquirente, è qualificabile esclusivamente come
detenzione qualificata e non come possesso utile “ad
usucapionem” salvo la dimostrazione di un’intervenuta
“interversio possessionis” nei modi previsti dall’art.
1141 cod.civ.”; in quest’ultima e più autorevole
pronuncia, infatti, il giudice di legittimità ha
ritenuto di ravvisare nel tipo di preliminare in
argomento un rapporto tra contratti collegati, in cui il
ruolo di contratto principale è svolto dal preliminare
vero e proprio, mentre quello di negozi accessori dal
contratto di comodato ( per quanto attiene alla consegna
della cosa ) e dal contratto di mutuo gratuito ( per
quanto riguarda il pagamento anticipato del prezzo ). In
altri termini, e per i fini che in questa sede
interessano,“le S.U. hanno escluso che l'immissione
nella disponibilità del bene del promissario acquirente
valga come possesso ai fini dell'acquisto della
proprietà per usucapione, affermando che si tratta di
mera detenzione. Dopo aver esaminato la prassi
contrattuale affermatasi nel settore immobiliare per
rispondere ad esigenze molteplici di entrambe le parti
del contratto preliminare ed averla ricondotta alla
categoria dei contratti collegati, ha qualificato i
contratti accessori al preliminare come comodato (
quanto alla concessione dell'utilizzazione del bene da
parte del promittente venditore al promissario
acquirente ) e come mutuo gratuito ( quanto alla
corresponsione di somme da parte del promissario
acquirente al promittente venditore ). Conseguentemente,
con riferimento al primo, la materiale disponibilità
del bene ha natura di detenzione qualificata esercitata
nel proprio interesse ma alieno nomine e non di
possesso. Possesso che può opporsi al promittente
venditore solo dimostrando un'intervenuta interversione
del possesso”.
Le
Sezioni Unite hanno in tal modo cercato di risolvere il
contrasto tra due orientamenti delle sezioni semplici,
relativo, più che alla natura del negotium ad efficacia
anticipata in esame, alla qualificazione giuridica della
situazione in cui viene a trovarsi il promissario
acquirente che sia immesso nel godimento della cosa
prima della stipulazione del contratto definitivo ( ciò
all’esclusivo fine di valutarne gli effetti in caso di
disponibilità ininterrotta e pacifica per il tempo
necessario al prodursi dell'usucapione ). Il punto di
partenza, per gli antagonisti orientamenti, era dato dal
principio di diritto, pacifico per la giurisprudenza di
legittimità3, in virtù del quale per stabilire se si
abbia possesso idoneo all'usucapione, in conseguenza di
una convenzione con la quale un soggetto riceva da un
altro il godimento di un immobile, occorre fare
riferimento all'elemento psicologico e,
conseguentemente, stabilire se il vincolo negoziale
assunto si concreti in un contratto ad effetti reali od
obbligatori, in quanto solo nel primo caso può
riconoscersi l'esistenza dell'animus possidendi nel
contraente immesso nel godimento del bene, mentre, nel
secondo, può essere riscontrato solo un animus
detinendi irrilevante ai fini dell'usucapione.
L'applicazione di tale criterio al
contratto preliminare di compravendita immobiliare, in
quanto fattispecie tipicamente produttiva di una
scissione degli effetti obbligatori da quelli reali, ha
dato luogo al contrasto. L’orientamento minoritario ha
ritenuto che, quando nel contratto preliminare si
verifica la consegna immediata del bene prima della
stipula del contratto definitivo, si determina
un'effettiva anticipazione degli effetti traslativi, con
conseguente attribuzione al promissario acquirente della
qualità di possessore ad usucapionem4. Nell'altro, al
contrario, la Suprema Corte ha sostenuto che, anche
quando le parti convengano la consegna della cosa
anteriormente alla stipula del contratto definitivo, la
disponibilità del bene conseguita dal promissario
acquirente ha
luogo con la piena consapevolezza
che l'effetto traslativo non si è ancora verificato,
ragion per cui il promissario acquirente, avendo la
consapevolezza dell'altruità della cosa, non può che
essere sostenuto da un «animus detinendi», inutile ai
fini del conseguimento del diritto di proprietà per
usucapione5.
La citata pronuncia delle Sezioni
Unite ha stabilito che nella promessa di vendita, quando
viene convenuta la consegna del bene prima della stipula
del contratto definitivo, non si verifica
un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la
disponibilità conseguita dal promissario acquirente si
fonda sull'esistenza di un contratto di comodato
funzionalmente collegato al contratto preliminare,
produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto,
la relazione con la cosa, da parte del promissario
acquirente, è qualificabile esclusivamente come
detenzione e non come possesso utile ad usucapionem6.
A ben vedere, al fine di giungere
al risultato della qualificazione in termini di
detenzione e non di mero possesso della posizione
occupata dal promissorio acquirente nel caso in esame,
risultato che si condivide ampiamente e che non può
essere contestato perché rispondente al comune
sentimento di giustizia sostanziale, la scelta operata
dalla giurisprudenza della Suprema Corte è stata nel
senso della tipicità ovvero all’insegna della
riconduzione della peculiare fattispecie negoziale de
quo all’alveo del codice civile. Per fare questo però
gli Ermellini hanno dovuto scomporre il preliminare di
vendita ad effetti anticipati in una serie di figure
contrattuali tipiche in ragione della tipologia e della
natura di ogni singola operazione che il preliminare ad
effetti anticipati è chiamata nella pratica
immobiliaristica a realizzare: obbligo di trasferimento
della proprietà della res in un momento successivo alla
stipulazione dell’atto ( contratto preliminare ),
consegna materiale del bene ( comodato ), anticipazione
del pagamento del prezzo ( mutuo gratuito ). Se ben si
considerano presupposti e conseguenze di una simile
operazione ermeneutica, tuttavia, non sfuggirà che ad
identiche conclusioni circa natura obbligatoria degli
effetti del contratto e nascita di una posizione di
detenzione, anziché di possesso può giungersi anche
attraverso un’altre figura contrattuale tipizzata, la
quale, a differenza di quelle proposte dalla Suprema
Corte, ha il pregio di essere unica, ovvero di poter
prescindere da ipotesi di collegamenti negoziali per
fare affidamento esclusivamente sulla propria unitaria
disciplina codicistica. Appare questo il caso della
vendita con riserva di proprietà o con patto di
riservato dominio, che prevista dall’art. 1523 C.C.,
sembra prestarsi, per l’affinità tra gli effetti
derivanti dalle due tipologie contrattuali ( obbligatori
e non reali ), a farsi carico di una simile
ricostruzione dogmatica.
Analizziamo, quindi, questa nuova
chiave di lettura del preliminare ad effetti anticipati,
tenendo conto delle elaborazioni dottrinarie in tema di
contratto di vendita con patto di riservato dominio e
dei risultati cui si può pervenire preferendo la
ricostruzione del preliminare de quo in termini di
vendita con riserva di proprietà.
Una innovativa interpretazione tra
le righe delle elaborazioni dottrinarie: la vendita con
patto di riservato dominio o con riserva di proprietà.
La vendita con riserva di
proprietà è un particolare tipo di vendita (
obbligatoria ) caratterizzato dal fatto che il venditore
pur mantenendo la proprietà del bene che ne costituisce
l’oggetto, lo aliena materialmente al compratore, il
quale ne consegue il godimento in attesa di acquisirne
la proprietà solo con l’integrale pagamento del prezzo
che avviene in modo differito.
Già dalla sintetica descrizione
dell’istituto è facile comprendere come esso
rappresenti un valido strumento giuridico, soprattutto
per i soggetti meno abbienti, per ottenere subito il
godimento e l’utilizzo del bene in corrispondenza del
pagamento del prezzo, di solito rateizzato, senza esser
costretti alla corresponsione integrale dello stesso. Il
codice civile disciplina espressamente la vendita con
riserva di proprietà avente a oggetto beni mobili (
anche registrati ), ma la prevalente dottrina7 non
dubita che essa possa avere a oggetto beni immobili
adducendo a favore di tale tesi il fatto che essa non
essendo proibita da alcuna norma troverebbe valido
supporto giuridico in base all’articolo 1322 codice
civile. Sempre autorevole dottrina8 ha sottolineato come
l’istituto giuridico della vendita con riserva di
proprietà sia indifferente alla natura del bene oggetto
del diritto alienato, essendo solo stata disciplinata
dal Legislatore la tipologia più frequente in concreto,
cioè quella avente a oggetto beni mobili.
La tesi suesposta trova ulteriore
conferma anche nel fatto che più leggi speciali hanno
espressamente regolamentato nel tempo la vendita con
riserva di proprietà immobiliare come accaduto nel caso
della Legge 14 Febbraio 1963, n. 60, riguardante la
dismissione di beni appartenenti a enti pubblici. Al
contrario la dottrina si è mostrata divisa riguardo la
natura giuridica della vendita con riserva di
proprietà. Parte della dottrina e una isolata sentenza
della Cassazione sostengono che la vendita con riserva
di proprietà sarebbe un contratto sospensivamente
condizionato all’integrale pagamento del prezzo.
Tuttavia tale tesi presta il fianco soprattutto alla
obbiezione che il contratto sospensivamente condizionato
non produca di norma alcun effetto finché penda la
condizione, pertanto sarebbe inconciliabile con la
vendita in esame, istituto in cui le parti, al
contrario, vogliono concordemente che il contratto sia
immediatamente efficace, e che solo taluni effetti siano
differiti al momento dell’integrale corresponsione del
prezzo da parte dell’acquirente. Altri orientamenti
invece propendono per riconoscere nella compravendita
con riserva di proprietà una doppia proprietà o la
proprietà in capo all’acquirente mentre il venditore
sarebbe solamente titolare di un diritto reale di
garanzia. Tali tesi sembrano cogliere maggiormente
l’aspetto economico-funzionale del contratto in oggetto,
ma di converso sembrano difficilmente conciliabili col
diritto positivo, in quanto solo col pagamento integrale
del prezzo il compratore acquisisce il diritto di
proprietà sul bene compravenduto. Sembra, dunque,
preferibile la teoria che propende per la definizione
della vendita con riserva di proprietà come un vendita
obbligatoria, in altri termini un contratto con effetti
finali differiti. Autorevole dottrina10, infatti,
ritiene che tali tipologie di vendita, cioè le vendite
obbligatorie, come ad esempio la vendita di cosa altrui,
non siano altro che normali contratti di vendita, non
essendo ai fini della loro qualificazione rilevante il
fatto che l’effetto reale non sia contemporaneo alla
conclusione del contratto. Difatti, sia nell’uno che
nell’altro caso, la fonte di produzione dell’effetto (
trasferimento ) è “il consenso delle parti
legittimamente manifestato” ex art. 1376 C.C.. In altre
parole, nella maggior parte dei casi la vendita ha
effetti reali immediati, come per esempio nella
compravendita di un bene mobile non registrato, tuttavia
non muta la sua natura giuridica il contratto in cui le
parti concordemente posticipino a un momento successivo
alla conclusione l’efficacia reale dello stesso. Nella
vendita obbligatoria, pertanto, le parti intendono porre
in essere un contratto definitivo e non un contratto
preliminare: esse, infatti, intendono immediatamente
vincolarsi riguardo gli effetti negoziali, volendo solo
differire a un momento successivo l’esplicazione degli
effetti reali del contratto da loro stipulato. Tale
orientamento sembra implicitamente confermare quella
parte della dottrina11e della giurisprudenza12 che,
basandosi sui criteri indicati dal codice civile in tema
di interpretazione del contratto e in particolare
poggiando sull’art. 1362 C.C. ( che richiede di indagare
la comune volontà delle parti ), sottolineano come al
di là del nomen iuris adoperato dai contraenti, l’atto
negoziale de quo debba qualificarsi piuttosto come un
contratto definitivo con effetti differiti o
condizionato anziché come contratto preliminare.
Pertanto, al fine di dare la giusta qualificazione
giuridica al contratto in argomento, occorre al di là
della definizione data dalle parti, spesso non
competenti in diritto, indagare la loro reale intenzione
verificando il concreto contenuto del regolamento
contrattuale. La dottrina è stata sempre divisa nel
voler definire la posizione giuridica del compratore
nella vendita con riserva di proprietà. In particolare,
varie sono state le tesi volte a definire siffatta
posizione giuridica, sia configurandola ora come un
diritto obbligatorio, ora come una posizione di natura
reale. In particolare, appare preferibile
l’orientamento13 che la definisce come un diritto reale
sui generis, in considerazione del fatto che la parte
acquirente ha visto riconosciuto da parte
dell’ordinamento il potere di utilizzare la cosa e al
contempo di detenerla sia nell’interesse proprio che del
venditore per quota parte. Più precisamente, tale
orientamento sottolinea come sia lo stesso diritto
positivo a riconoscere esplicitamente questo carattere
reale e ciò, nello specifico, sia nell’opponibilità
nei confronti dei terzi della riserva, sia, con
determinate limitazioni attinenti l’oggetto, riguardo la
pubblicità legale, elemento indispensabile per rendere
opponibile l’acquisto del diritto erga omnes. A miglior
intelligenza, si evidenzia come alcuni Autori abbiano
dedotto da una simile qualificazione della posizione
giuridica del compratore conseguenze sulla natura
giuridica della vendita con riserva di proprietà:
importanti voci dottrinarie, infatti, definiscono la
posizione del compratore quale
diritto di proprietà risolubile.
Siffatto orientamento intende per “proprietà
risolubile” una situazione giuridica complessa in cui
siano applicabili per analogia le norme riguardanti la
condizione risolutiva. A tal uopo occorre fare due
considerazioni. In primis, per completezza, sembra
opportuno specificare che in dottrina per “proprietà
risolubile” si può intendere anche una proprietà che,
a differenza della piena proprietà ( che trova tutela
preminente all’interno del nostro ordinamento ), si
trovi “compressa” da differente diritto di altro
soggetto, riconosciuto dal Legislatore meritevole di
tutela ( come ad esempio la proprietà del trustee e del
settlor nell’istituto del trust ), ponendola così in
uno stato di precarietà giuridica e differenziandola,
giustappunto, dal diritto pieno ed esclusivo, cosi come
disciplinato dagli artt. 832 e ss. C.C.. Altri Autori,
invece, hanno sottolineato come sarebbe non propriamente
corretto definire la posizione giuridica del compratore
nella vendita con riserva di proprietà quale
“proprietà risolubile”, in quanto l’applicazione anche
per analogia della normativa sulla condizione risolutiva
colliderebbe con i dettami del diritto positivo quali ad
esempio gli artt. 1525 e 1526 C.C., dai quali si desume
che la risoluzione non opera di diritto ma solo ed in
quanto il venditore agisca in tal senso. Altro aspetto
che differenzia la vendita con riserva di proprietà
dalla tipica compravendita sono i modi ed i tempi della
corresponsione del prezzo, se posti in correlazione alla
particolare tutela apprestata dall’ordinamento al
venditore. Gli artt. 1525 e 1526 C.C., infatti, mirano a
tutelare la parte alienante che, ove non esistessero
questi articoli, si troverebbe priva di una efficace
tutela giuridica e soprattutto in una posizione assai
deteriore rispetto a quella della parte acquirente, la
quale, oltre a non avere l’obbligo dell’immediato
pagamento del prezzo, otterrebbe già al momento della
conclusione del contratto il godimento e l’utilizzo del
bene oggetto dello stesso. Nello specifico, al fine di
garantire entrambi i contraenti, il codice di diritto
sostanziale impone che la risoluzione non possa essere
chiesta, nonostante patto contrario, se il mancato
pagamento di una sola rata non superi un ottavo del
prezzo complessivo, consentendo in tal modo una tutela
più pregnante al venditore e, al contempo, garantendo (
sia pure in modo meno forte ) il compratore, in favore
del quale si statuisce espressamente il limite minimo di
rilevanza dell’inadempimento ai fini della risoluzione
del contratto.
Il secondo comma dell’art. 1526
C.C., inoltre, riconosce espressamente la facoltà di
convenire nella vendita con riserva di proprietà che,
in caso di risoluzione del contratto, le rate pagate dal
compratore restino a titolo di indennizzo al venditore.
La dottrina ha sottolineato come la norma in esame parli
di indennizzo e non di risarcimento, evidenziando come
la prima forma di reintegrazione del patrimonio
prescinda, a differenza del secondo, dal dolo o colpa
del contraente inadempiente14. In altre parole, il
Legislatore non mira con la norma in esame a risarcire
il venditore di una eventuale condotta illecita del
compratore, oggetto semmai di una autonoma azione, ma a
garantirgli di diritto un ristoro immediato in caso di
risoluzione del contratto e ciò attraverso il
riconoscimento legale del diritto a ritenere, ove
convenuto, le rate già riscosse in precedenza15. A tal
uopo si rimarca come tale ricostruzione venga
implicitamente confermata dalla seconda parte del
secondo comma dell’art. 1526 C.C. allorquando, come nel
caso della clausola penale, riconosce espressamente
all’acquirente la possibilità di richiedere al giudice
una equa riduzione dell’indennità secondo le
circostanze del fatto concreto.
Conclusioni.
In conclusione, dall’analisi del
contratto della vendita con riserva di proprietà si
evince quanto mai esso sia accostabile all’istituto
giuridico del contratto preliminare con effetti
anticipati. Difatti, pur mantenendo le loro innegabili
differenze giuridiche, i suddetti istituti mirano
essenzialmente a produrre gli stessi effetti giuridici.
In altre parole, entrambi mirano a vincolare
immediatamente i contraenti, pur posticipando
l’efficacia di taluni effetti. Come si è avuto modo di
precisare in precedenza, parte della dottrina e della
giurisprudenza confermano come si debba al di là delle
espressioni utilizzate dalle parti, cogliere la reale
volontà dei contraenti. Pertanto nel caso in cui le
parti abbiano voluto solamente vincolarsi per la stipula
di un futuro definitivo, esse avranno posto in essere un
contratto preliminare di vendita ( obbligazione di
facere ), che, ove le parti abbiano concordemente
previsto la produzione di alcuni effetti reali già al
momento della sua conclusione, potrà essere definito
come “contratto preliminare con effetti anticipati”. Di
converso, dove i contraenti abbiano voluto
immediatamente porre in essere un contratto definitivo
di vendita in cui taluni effetti siano differiti nel
tempo, le stesse avranno stipulato una vendita
condizionata o una vendita obbligatoria, qualificabile
come “vendita con patto di riservato dominio”. Per
completezza, si ricorda come in ambedue i casi la
Suprema Corte16 abbia più volte ribadito, anche nelle
sue recentissime pronunce, come l’immediata immissione
nel godimento del bene in virtù e per effetto
dell’esecuzione anticipata ( nel caso del preliminare
con effetti anticipati ) o come l’obbligazione del
venditore ( nel caso di vendita con riserva di
proprietà ) sono di per sé inidonee a consentire la
qualificazione del promissario acquirente o
dell’acquirente, a seconda che si versi nell’una o
nell’altra ipotesi, come possessori, vale a dire come
soggetti in grado di acquisire la proprietà per
usucapionem, a meno che vi sia stata l’interversione del
possesso.
Note bibliografiche
1 Sul preliminare con effetti
anticipati, v., in dottrina, RICCIUTO, La formazione
progressiva del contratto, in Trattato dei contratti
diretto da RESCIGNO e GABRIELLI, Torino 2006, 305 1.
2 Cass., S.U., sentenza del 27
Marzo 2008, n. 7930, in www.cortedicassazione.it;
3 Cass., sentenza del 27 Gennaio
1983, n. 741; Cass., sentenza del 14 Giugno 1996, n.
5500; Cass., sentenza del 6 Agosto 2004, n. 15145, in
Riv. giur. edil., 2005, I, 451, con nota di DETILLA.
4 Cass. sentenza del 13 luglio 1993
,n. 7690, in Rass. dir. civ., 1994, 626, con nota di
CORTUCCI; e Cass., sentenza del 22 Luglio 2003, n.
11415, in Not., 2005, 169, con nota di SERENI.
5 Cass., sentenza del 30 Maggio
2000, n. 7142, in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 698,
con note di PETTARIN e di CACCIAGUERRA; Cass., sentenza
del 14 Novembre 2006, n. 24290.
6 Per un’analisi compiuta e
dettagliata del contrasto giurisprudenziale si veda
www.dejure.giuffre.it, cui queste pagine hanno fatto
espresso riferimento.
7 CILLO-D’AMATO-TAVANI, Dei singoli
contratti, volume I, Manuale e applicazioni pratiche
dalle lezioni di GUIDO CAPOZZI, seconda edizione, 2005,
Milano, p. 115; RUBINO, La compravendita, Tratt. di dir.
civ. e comm., diretto da CICU E MESSINEO, 1962, Milano,
p. 432.
8 BIANCA, La vendita e la permuta,
in Tratt. dir. civ. it., fondato da VASSALLI, 1993,
Torino, pp. 354 e ss.
9 Cass., sentenza dell’8 Aprile
1999, n. 3415, in Notariato, Ipsoa, 1999, p. 407: “La
compravendita immobiliare sottoposta alla condizione
sospensiva del pagamento del prezzo si inquadra nella
figura della compravendita con riserva di proprietà,
nella quale il trasferimento di tale diritto si realizza
“ex nunc” col pagamento dell’ultima rata del prezzo:
infatti la regola generale della retroattività della
condizione, sancita dall’art. 1360 c.c. non opera tutte
le volte che, per volontà delle parti o per la natura
del rapporto, gli effetti del contratto debbano essere
riportati ad un momento diverso da quello della
conclusione del contratto”. Inoltre, si precisa che in
tale pronuncia si nota una disamina sugli effetti
talvolta non retroattivi della condizione ( cfr. art.
1360 C.C. ).
10 DIENER, Il contratto in
generale, Manuale e applicazioni pratiche dalle lezioni
di GUIDO CAPOZZI, seconda edizione, 2011, Milano, pp.
515 e ss.; CILLO-D’AMATO-TAVANI, Dei singoli contratti,
volume I, op. cit., pp. 81 e ss.
11 MONTESANO, voce Obbligo a
contrarre, in Enc. Dir., 1979, Milano, vol. XXIX, p.
511.
12 Massima Cass., sentenza n.
17682/07.
13 CILLO-D’AMATO-TAVANI, Dei
singoli contratti, vol. I, op. cit., p. 114.
14 Si precisa che chi scrive
condivide l’orientamento dottrinale che considera
essenziale, al fine del risarcimento del danno
contrattuale, come ogni forma di risarcimento,
l’applicazione del principio generale sancito
dall’articolo 2043 codice civile, che richiede al fine
del risarcimento almeno l’imputazione per dolo o colpa.
In tal senso NOBILI, Le obbligazioni, Manuale e
applicazioni pratiche dalle lezioni di GUIDO CAPOZZI,
seconda edizione, 2008, Milano, p. 127.
15 Cfr. DIENER, Il contratto in
generale, op. cit., pp. 660-661.
16 Massime Cass., sentenza n.
4863/2010 e Cass., S.U., sentenza n. 7930/2008 afferenti
il contratto preliminare ad effetti anticipati. |